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    Medvedev a 360°: “Le palle quest’anno sono lente in ogni torneo. Il segreto di Alcaraz? Può farti il punto da ogni posizione”

    Daniil Medvedev

    Daniiel Medvedev è sbarcato a Toronto carico di grandi aspettative. Dopo il suo ottimo Wimbledon (mai era giunto in semifinale nel più storico degli Slam, con modesti risultati su erba), inizia adesso la parte di stagione a lui più congeniale, dove ha spiccato il volo nel 2019 e dove ha alzato il suo unico Slam in carriera, a US Open, interrompendo ad un passo il clamoroso sogno “Grande Slam” di Djokovic nel 2021. Lui è consapevole di dover “monetizzare” le prossime settimane con il suo miglior tennis, e per questo ha scelto come compagno di allenamenti per presentarsi al massimo all’Open del Canada proprio il n.1 Alcaraz. Ne ha parlato nella press conference pre torneo, nella quale ha spaziato anche su altri temi. A suo dire per esempio, quest’anno le palle sono lente in ogni evento, un netto peggioramento della velocità rispetto alla scorsa edizione.
    “Non so se sono solo io a percepirlo, e non credo, ma ho notato dall’inizio dell’anno che le palle sono più lente in tutti i tornei che giochiamo, e qui succede la stessa cosa” commenta il russo. “La palla diventa rapidamente grande e pesante. Non è qualcosa che mi avvantaggia, ma devi adattarti e, fortunatamente, il campo invece è veloce e quello sì penso che si adatti bene al mio stile di gioco”.
    “Sono molto felice che questa fase della stagione sia arrivata. Finalmente posso giocare su quella che è la mia superficie preferita e dove il mio tennis scorre facilmente. Inoltre, mi sento davvero bene fisicamente e su questi campi il mio corpo non soffre quanto sulla terra battuta o sull’erba. Questo non significa che devo vincere ogni partita, tutt’altro. Sono consapevole che sono gara bravi giocatori in grado di battermi, ma certo anche del livello di gioco che posso raggiungere in questo periodo dell’anno. Adoro questo torneo, ma ovviamente sento una certa pressione a sentirmi candidato alla vittoria perché il fatto di aver ottenuto ottimi risultati in questi eventi mi spinge a dover sfruttare quest’opportunità. Non conta quel che ho fatto finora, 1uesto è un nuovo inizio, tutto può cambiare velocemente e devo essere pronto ad affrontare ogni situazione”.
    Ecco il suo pensiero su Alcaraz: “È stato molto interessante potermi allenare con lui, spero che potremo farlo anche più avanti, vorrebbe dire che sono ancora in corsa nel torneo! Cosa mi impressiona del suo gioco? La potenza dei suoi colpi, senza dubbio. Ogni volta che tira una palla, può essere un vincente. Sono abituato a difendere e neutralizzare gli attacchi dei miei avversari, rimettere loro una palla molto incisiva, inchiodarli in un lungo scambio per poi cambiare passo. Ma lui è diverso, può colpire un vincente da qualsiasi posizione e questo è il suo segreto, quel che lo distingue. Sono convinto che se facessimo il test per misurare l’uno il colpo più potente dell’altro, il suo sarebbe di circa 25 km/h più veloce del mio”.
    Carlos e Daniil sono le prime due teste di serie del torneo canadese, quindi un loro scontro potrebbe avvenire solo in finale. Sarebbe una finale da sogno, ma i potenziali avversari sono molti. E agguerriti.
    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO

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    Alcaraz “Re Mida” anche sui social: più 700mila follower Instagram il giorno della vittoria a Wimbledon. E i guadagni volano

    Carlos Alcaraz (foto Getty Images)

    “Re Mida” del tennis, tutto quel che tocca diventa oro. Così Lorenzo Musetti aveva definito Carlos Alcaraz nell’intervista che abbiamo riportato ieri. C’è assolutamente del vero in questa simpatica considerazione del nostro azzurro. Gli incredibili successi ottenuti dal più giovane n.1 ATP della storia fruttano enorme popolarità e, di conseguenza, enormi guadagni. Sponsor ovviamente, ma anche attraverso i social network. Ormai i social non sono più solo un mezzo per stare in contatto con i fans, ma anche fondamentale veicolo di promozione della propria immagine e di prodotti, con un valore economico tutt’altro che irrilevante. Basta un semplice dato dei giorni scorsi per fare due conti.
    Alcaraz con il suo trionfo a Wimbledon ha registrato un aumento straordinario dei follower su Instagram: ha guadagnato poco più di 700.000 nuovi follower in un solo giorno, quello della finale, ulteriore soddisfazione dopo aver vinto il primo titolo ai Championships sconfiggendo Djokovic in una finale che resterà agli annali come una delle più interessanti e storicamente significative. Prima della finale, Alcaraz aveva 2,8 milioni di follower sul più popolare dei social network; il giorno successivo, lunedì 17 luglio, è passato a 3,5 milioni di follower. Oggi il conto complessivo dei suoi seguaci è 3,9 milioni.
    Tutto questo ha un potenziale economico non indifferente: secondo le stime di esperti di social media britannici, il valore della sua presenza su Instagram può fruttargli un potenziale di guadagno di 42.600 dollari per post Instagram sponsorizzato, 21.300 $ per ogni storia Instagram e 55.300 $ per ogni “reel” Instagram. In pratica, ogni suo “reel” Instagram vale quanto sbarcare nei quarti di finale dell’ATP 500 di Washington in corso questa settimana (51.055 $, per l’esattezza, l’assegno per arriva tra i migliori otto del torneo). Niente male…
    Dopo la vittoria a Wimbledon, Alcaraz ha accumulato un Prize money complessivo in carriera di 19.644.057 dollari, con 7.814.414 dollari solo in questa prima parte del 2023. Se non è Re Mida lui…
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    Tsitsipas: “Cambierei una vittoria Slam col diventare n.1 in classifica”

    Stefanos Tsitsipas a Los Cabos (foto El Universal)

    Stefanos Tsitsipas è la stella dell’ATP 250 di Los Cabos, torneo vinto in passato dal nostro Fabio Fognini e disputato in una località magica della Baja California. Il greco, attualmente n.5 al mondo, ha debuttato sul sintetico messicano battendo Isner, ed è adesso atteso nei quarti di finale da sfida interessante contro il cileno Jarry, tennista in grande ripresa quest’anno dopo molti problemi avuti in passato. Sarà il match di cartello, in prime time della serata in Messico. A latere del torneo, Stefanos è stato protagonista di varie iniziative promozionali dell’evento, e anche qualche intervista. Al quotidiano El Universal, ha parlato su alcuni temi di attualità, rivelando che la sua priorità, o meglio il suo vero obiettivo, è diventare n.1 al mondo, ancor più del vincere un torneo dello Slam.
    “Il mio obiettivo? Vincere un torneo dello Slam lo è assolutamente”, confessa Stefanos, “ma… alla fine, sai… lo scambierei senza indugio per essere il numero uno. È sicuramente qualcosa di speciale, è il segno che hai raggiunto il massimo nella tua carriera e mi piace quando riesci a massimizzare tutto quel che hai fatto negli anni. Così un giorno potrei dire con orgoglio ai miei nipotini di esser stato il migliore in quel che facevo”.
    Per arrivarci, è indispensabile giocare al meglio. Per questo Tstisipas pensa di voler spingere ancor più sul proprio gioco offensivo: “Mi sono impegnato molto nel mio gioco offensivo, perché il mio stile si basa su questo e sull’essere aggressivo. Inoltre, il mio servizio è una delle mie armi principali e sto lavorando sulla mia flessibilità per arrivare a colpire più risposte possibili in campo e di buona qualità“. In effetti, come abbiamo riportato nell’articolo di ieri, in risposta i numeri del greco non sono assolutamente al livello delle sue altre fasi di gioco, situazione che paga soprattutto contro i migliori.
    Per arrivare in vetta, servono anche i punti degli ATP 250: “Voglio scrivere il mio piccolo pezzo di storia su questo campo. È sicuramente un’ottima location per il tennis, il posto è bellissimo e il torneo funziona. Penso che la scelta di portare un evento in questa stagione dell’anno sia un’ottima idea” conclude Stefanos.
    Finora Tstistipas ha toccato come miglior ranking la terza posizione, il 9 agosto 2021, ma più volte è stato anche in lizza per issarsi in vetta alla classifica se avesse vinto uno Slam e con risultati non eccellenti dei rivali (Djokovic, Alcaraz) nel corso del torneo, situazione che non si è poi verificata.
    Tsitsipas è tornato ad allenarsi con Philippoussis dopo l’improvviso addio appena prima di Roland Garros. Dopo aver parlato apertamente della difficoltà nell’avere due coach (papà e l’australiano) e quindi dover mediare con idee non sempre univoche su come lavorare e comportarsi in campo, adesso Stefanos pare averci ripensato, forse anche dopo la sequela di risultati dell’ultimo periodo assolutamente al di sotto delle sue aspettative e potenziale. Dopo la finale agli Australian Open di gennaio infatti si pensava che “Stef” fosse pronto per vincere molti tornei, incluso i 1000 sul veloce e magari lo Slam che ancora gli manca. Purtroppo per lui la stagione su erba da poco conclusa è stata assai deludente (due sconfitte al primo turno, una al secondo e solo gli ottavi a Wimbledon, conquistati soffrendo terribilmente in ogni match); ma anche sull’amata terra rossa, nonostante risultati complessivamente buoni, non ha vinto tornei e soprattutto in tutto il 2023 non è ancora riuscito a battere un top10 (ha perso 2 volte contro Alcaraz, poi da Medvedev, Fritz e Djokovic a Melbourne). Numeri che evidenziano la necessità di un cambio di passo, di un salto di qualità, visto che i migliori hanno capito come metterlo in crisi, e ci riescono. Serve una contromossa, Stef…
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    Shelton, ostacoli e tensioni

    Ben Shelton (foto Getty Images)

    Chi si aspettava che Bel Shelton, dopo lo splendido Australian Open disputato a gennaio, fosse il vero “crack” pronto ad esplodere e travolgere di fisicità e prepotenza i piani alti del tour non aveva fatto i conti con l’aspetto più duro della crescita tennistica: quello che potremo chiamare “effetto scala”. Eccetto rarissimi casi, e proprio per questo epocali, arrivare tra i grandi della disciplina con un decollo rapidissimo in linea retta, senza cadute o momenti di incertezza, è quasi impossibile. Ancor più nel tennis del 2023, nel quale la componente agonistica e mentale è estremizzata da una competizione mediamente feroce.
    Torniamo ai fatti. Ben Shelton da diversi mesi fa notizia non per quel sorriso travolgente o schemi offensivi a tratti brutali per forza e velocità, ma per le sconfitte. Il 20enne di Atlanta infatti dopo lo straordinario AO23, suo primo torneo disputato al di fuori degli amati States, non ha confermato la stessa qualità e forza in campo, incappando in molte sconfitte e poche vittorie importanti. Da febbraio, non ha più vinto a livello ATP due partite di fila, deludendo soprattutto su erba e sintetico, le superfici dove per caratteristiche tecniche dovrebbe eccellere. Il miglior “scalpo” ottenuto da febbraio è quello di J.J. Wolf al Queen’s, poi diverse sconfitte contro avversari di buon livello, ma che teoricamente sembravano battibili.
    L’aspetto più interessante che accomuna la maggior parte delle sue battute d’arresto – e che spiega a che punto della sua formazione sia – è l’incapacità di gestire la pressione del momento con una trama di gioco solida, non estemporanea o aggrappata a soluzioni a rischio troppo elevato, e quindi percentualmente perdente. L’esempio perfetto viene dalla sconfitta patita ieri al 500 di Washington, per mano del giovane cinese Jungchen Shang. Il giovanissimo asiatico trapiantato in Florida era in un’ottima giornata, sentiva bene la palla, serviva bene ed era piuttosto continuo; Shelton alternava fiammate micidiali e momenti di pausa. Terzo set, regge l’equilibrio, entrambi servono bene. Ben si ritrova a servire sul 4-3 per Shang. 30-15. Forza malamente un diritto, su di una seconda di servizio. 30 pari. Tensione massima. Shelton accelera la operazioni, troppo. Dopo aver tirato lunga di 30 cm buoni la prima di servizio, gioca subito la seconda, un gran kick, ma la palla non è in campo. Un doppio fallo mortale, che consegna al rivale la chance di andare a servire per il match. Ben torna al servizio, da sinistra, il suo angolo. Cerca una botta esterna, ma non entra di nuovo. La seconda stavolta è ben piazzata, può colpire da una posizione di vantaggio ma colpo successivo è largo, e non di poco. Un attacco tatticamente senza senso, che è sembrato più una fuga che un’aggressione a provocare un colpo difficile del rivale. Break, e addio partita. Non è la prima volta che Shelton lotta ma finisce per gestire male fasi del genere. E Sheng l’aveva affrontato la scorsa settimana ad Atlanta, quindi sapeva più o meno cosa aspettarsi.
    È questo un aspetto su cui il nuovo coach, papà Brian, dovrà lavorare tanto e bene. Soprattutto perché nel formidabile Australian Open giocato da Ben, primo Slam in carriera, e anche durante l’estate-autunno dell’anno scorso nei Challenger in America, Ben brillava proprio per la freddezza e sfrontatezza con la quale affrontava i momenti delicati. Proprio lì l’osservatore attento pensava “occhio, questo ragazzo ha qualcosa…”, perché giocarsi di petto, di forza, di cattiveria agonistica e aggressività ogni fase delicata è propria del campione, di quello che nella difficoltà moltiplica la forza fisica e mentale. Questo sembrava il vero “winner” di Shelton, non il servizio o altro. Da qualche tempo invece questa qualità straordinaria di affrontare i momenti clou sembra un po’ offuscata.
    Che succede quindi? Semplicemente Shelton sta affrontando e vivendo situazioni per lui nuove. Aspettative, degli altri e da se stesso. La necessità di vincere per salire ancora. Il dover affrontare avversari che ora ti conoscono e voglio battere uno dei possibile campioni del futuro. Una tensione diversa da quando giocava solo col sorriso e quella spacconeria giocosa che aveva fatto innamorare molti del suo gioco fisico, offensivo, a tratti spettacolare.
    Niente è perduto, anzi. È un passaggio obbligato. Solo pochi predestinati sono riusciti a saltare a piè pari queste situazioni, arrivando in un amen al banchetto dei migliori. Per gli altri giovani forti ma non così baciati dagli Dei, beh, sudore e lacrime dopo sconfitte che si potevano evitare.
    Nel frattempo, Shelton può apprendere dai suoi errori. Può accumulare dentro di sé momenti e situazioni che mille e più volte si ritroverà a gestire. Rivedere le partite, rivivere questi sentimenti, paure e tensioni, per incanalare nuove risorse in un gioco sì offensivo ma un filo meno spericolato. Meglio se abbinando varie migliorie tecniche, come il controllo col diritto in accelerazione, la risposta bloccata, uno slice di rovescio decisivo a portarlo verso rete. La crescita nel tennis è un processo a scale, e non tutti i gradini hanno la stessa altezza. Anche Ben avrà il suo bel da fare… ma la sensazione è che, mangiando polvere e riflettendo in modo positivo su correttivi e migliorie, arriverà.
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    Il Buenos Aires Lawn Tennis Club rinnova i diritti per l’ATP 250 per 10 anni e punta al 500 dal 2025

    L’impianto dell’ATP 250 di Buenos Aires (foto La Nacion)

    Arrivano interessanti notizie dall’argentina in merito ai tornei sudamericani e possibili sviluppi nel calendario ATP. Secondo quanto riporta il ben informato quotidiano della capitale La Nacion, il Buenos Aires Lawn Tennis Club, circolo più prestigioso del paese, e Tennium, società proprietaria dell’ATP 250 di Buenos Aires, hanno raggiunto un accordo per continuare insieme per 10 anni l’organizzazione del torneo nella capitale albiceleste, annunciando grandi investimenti nelle strutture che inizieranno già nei prossimi giorni, con l’obiettivo concreto di salire a categoria 500 già nel 2025.
    L’edizione 2023 del torneo è stata assai fortunata, con la presenza e vittoria del formidabile n.1 Carlos Alcaraz. Il giovane iberico ha confermato agli organizzatori la volontà di tornare a Baires per difendere il titolo nel 2024, felicissimo dell’esperienza vissuta e convinto della crescita della “leg” sudamericana.
    L’ATP per permettere il salto di categoria ha richiesto una serie di importanti migliorie all’impianto del club capitolino, fornendo così un importante assist a Tennium, società entrata nel torneo nel 2017 con l’idea di “modernizzare l’evento” e portarlo al massimo livello possibile. BALTC insieme a Tennium ha già approvato molti lavori all’impianto: gli spogliatoi saranno ridisegnati con accesso diretto al campo; verrà realizzata una nuova sala VIP, di circa 500 mq; verranno installati nuovi impianti di refrigerazione; saranno ristrutturate le zone relax e commerciali per il pubblico con nuovi servizi e aree ristorazione, come le pavimentazioni esterne dello stadio e le cabine di trasmissione per i media. Sarebbe importante anche ampliare la capienza del secondo campo, ma su questo al momento non sono state fornite comunicazioni.
    I lavori dovrebbero iniziare già lunedì prossimo e dureranno circa cinque mesi, quindi l’edizione 2024 del torneo, che scatterà il prossimo 12 febbraio 2o24, dovrebbe già presentare la struttura ridisegnata. Prima, sempre al BALTC come sede, è confermata la Coppa Davis tra Argentina e Lituania (16 e 17 settembre), ma i lavori in corso non dovrebbero essere un ostacolo. Invece il WTA 125 di Buenos Aires, anch’esso organizzato da Tennium, è in programma il prossimo novembre ma si giocherà al Tenis Club Argentino, nel quartiere Palermo della capitale.
    L’accordo a lungo termine tra il club e la società proprietaria della data ATP è decisivo per puntare alla crescita gerarchica: passare ad ATP 500. Non ci sono stati annunci in merito, ma se ne parla da moltissimo tempo e il via libera ai lavori di ampliamento lascia supporre che l’upgrade si possa realizzare già nel 2025, visto che l’ATP punta decisa ad avere in calendario due tornei di quella categoria in America Latina il prima possibile, per attirare i migliori giocatori in Sud America a febbraio e così ampliare visibilità e mercato in un’area considerata strategica per la disciplina. Un nuovo 500 in Argentina affiancherebbe quello di Rio di Janeiro.
    In realtà, molti in Argentina sognano un Masters 1000, un torneo che possa far tornare davvero in auge il tennis albiceleste a livello organizzativo e mediatico, ma la situazione è discretamente complessa ed arrivarci a breve sembra un’utopia. Infatti da un lato ci sono enormi pressioni dai paesi arabi per aver un evento di massima categoria, con impianti di fatto già pronti ad ospitarlo (Dubai o Doha potrebbero passare a 1000 senza alcun problema strutturale), a meno che i ricchissimi fondi sauditi non puntino direttamente ad organizzare le Finals quando scadrà l’accordo con Torino; dall’altro lato i problemi sono anche finanziari – i costi per organizzare un M1000 anche a livello di garanzie bancarie sono altissimi – e tecnici, poiché portare un “mille” sulla terra in America Latina vorrebbe dire “costringere” tutti i migliori a parteciparvi, con poche settimane dopo la doppietta Indian Wells – Miami sul sintetico, tornei che al momento sembrano impossibile da spostare in calendario. A meno di una vera e profonda rivoluzione, con il “sunshine double” spostato all’inizio dell’autunno, in barba ai tornei asiatici. Tutto molto, molto complicato.
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    Wimbledon, finale maschile: prevarrà la solidità di Djokovic o l’esuberanza di Alcaraz?

    Carlos vs Novak, la finale di Wimbledon 2023

    La migliore finale possibile. Sfogliando stamattina la stampa internazionale e i siti tennistici più autorevoli, Djokovic vs. Alcaraz è considerata all’unanimità la sfida più attraente per il match più importante della stagione, la finale di Wimbledon 2023. Non solo perché si affrontano i primi due tennisti in classifica, ma perché questa partita potrebbe essere molto importante anche per il proseguo della loro nascente rivalità. Tutti ci ricordiamo come è andata a Roland Garros un mese fa: grande intensità, una lotta testa a testa fino al crollo del giovane iberico, in preda ai crampi per troppa tensione. Può capitare, ancor più quando hai un tipo di tennis così esplosivo e spinto al limite da far bruciare al tuo corpo una quantità di energia spropositata, superiore allo sforzo energetico necessario alla competizione stessa. Sicuramente Carlos ci starà lavorando col suo ottimo team, perché se vuoi battere il tennista più forte e “duro” dell’epoca moderna in uno Slam devi essere consapevole che la tua prestazione al massimo – o molto vicino – deve durare a lungo, almeno tre ore, quasi quattro. Mentalmente è stata un’esperienza assai formativa, quindi non mi aspetto alcun crampo per Alcaraz oggi. Ma tipo che partita potrebbe essere? Su cosa si giocherà il match?
    Fisico e testa saranno decisivi, come sempre in una finale con l’asticella della competizione posta ad un nuovo record del mondo, da siglare con una prestazione top. Difficile pensare ad una partita in tre set, con un dominio netto di uno dei due. Novak nel torneo è stato spesso al limite della perfezione, con rarissimi cali di tensione e la sensazione che in diverse partite abbia spinto proprio poco, al massimo a un 70% delle sue potenzialità. Qualche momento di calo l’ha invece vissuto Carlos, come per esempio il terzo set della semifinale. Non potrà assolutamente permetterselo, perché se esiste al mondo un tennista capace di resistere “sotto”, approfittare del primo spiraglio ed entrare nella testa dell’avversario è esattamente “Nole”. Un killer sportivo come poche altre volte abbiamo ammirato nella disciplina.
    Vista l’estrema solidità di Djokovic, la serenità mostrata in tutto il torneo forte della vittoria a Parigi, la voglia arrivare allo Slam n.24 impattando così il record all-time di Margaret Court nel femminile, e pure ottavo Wimbledon come Roger, beh, è lui il favorito. Se dovessi spendere un pronostico per il match odierno, Djokovic in 4 set, magari con uno o due tiebreak. Tuttavia Alcaraz non parte affatto battuto. Per assurdo l’aver perso a Roland Garros sarà un suo punto di forza. Pochi giovani imparano così in fretta come l’allievo di JC Ferrero. È una spugna per come assorbe informazioni e migliora. L’anno scorso sui prati era una sorta di pesce fuor d’acqua. Nella sconfitta patita contro il nostro Sinner era in palese difficoltà negli appoggi, nel gestire i tempi di gioco, nel tarare la forza dei propri colpi e degli attacchi, facendo una discreta confusione. Quest’anno sta giocando con tutt’altra sicurezza e ordine. Sull’erba giocare ordinati è fondamentale. Creare sì, improvvisare no, devi riuscire ad alternare soluzioni e giocate con un’idea dietro non relativa al punto in sé ma all’andamento del match. Sorprendere l’avversario per fargli cambiare schemi che funzionano e posizione in campo nella quale governa i suoi ritmi. Esattamente come sta facendo Djokovic: scambia a medio ritmo, ma quando è in gestione e vince i punti, alza il ritmo per far sì che il rivale non trovi la contro misura a quella velocità. Poi viene a rete, proprio quando aveva alzato i ritmi, per abbassarli di nuovo e spezzarli all’avversario. Non sono mai cambi causali, è tutto orchestrato alla perfezione. È una delle sue forze. È uno dei motivi per il quale è fortissimo, imbattuto nel torneo dal lontanissimo 2017…
    Dal punto di vista tecnico, tanti sono le fasi di gioco importanti, ma ce n’è una che prevale su tutto il resto e sarà determinante: il servizio di Djokovic vs. la risposta di Alcaraz. I numeri del torneo sono chiari: Novak ha vinto l’82% di punti con la prima di servizio, dato migliore nel torneo; Carlos ha vinto il 34% di punti in risposta sulla prima dell’avversario, dato migliore del torneo. Chi vincerà questa battaglia, vincerà la partita. Tutto il resto è contorno, tutto il resto ruoterà intorno a questa situazione. Se Alcaraz riuscirà a trovare risposte così potenti e continue da strappare molte palle break e convertirle, allora vincerà. Se Novak riuscirà a tenere la massima parte dei suoi game, Carlos non ha chance.
    Inoltre è molto interessante un’analisi su come Novak gestisce le palle break. Il risultato mostra la straordinaria forza mentale e tattica del più forte. Novak sulle palle break nelle quali serve a sinistra, non tira quasi mai forte. Sceglie percentualmente la traiettoria esterna per poi spingere a tutta sul diritto dell’avversario; oppure alterna un servizio non così rapido e profondo al corpo, che costringe il ribattitore  a fare un passo in diagonale in avanti (era a coprire lo slice esterno…) e difficilmente riesce a colpire con forza e trovare profondità. Appena inizia lo scambio, Djokovic sfida il diritto, a grande velocità. Perché lo fa? È matto? Tutt’altro! Sceglie di giocare contro il colpo mediamente più forte del rivale per due motivi: 1) stimola l’avversario a tirare “troppo forte” per fare il punto spaccando tutto – in questo Alcaraz dovrà stare particolarmente attento, visto che tende a sbracciare fin troppo in questa situazione, come il toro che vede rosso…. – 2) lo fa perché “Nole” è consapevole della sua forza nel contenere la bordata dell’avversario, che dopo aver colpito forte ha meno equilibrio, e viene pizzicato in corsa dal serbo dall’altro lato, quello meno forte, e costretto a colpire in una posizione scomoda, spesso fuori equilibrio. Colpire forte nel punto forte, spingere l’altro a tirar ancor più forte ma visto che non ti fa il punto, viene poi costretto a giocare in corsa dove è meno sicuro. Scacco Matto.
    Alcaraz al contrario sarà chiamato ad una partita terribilmente offensiva, su grande velocità, con una risposta super aggressiva la ricerca ossessiva del punto. Non può accettare di scambiare ai ritmi di “Nole”, ma nemmeno buttarsi avanti su ogni palla. Servirà energia, ma anche misura. Perché se concedi troppo, l’altro non lo batti mai.
    Molti altri sarebbero i temi da analizzare, ma è bello anche assistere a una finale del genere senza troppe altri informazioni, godendo di una partita che promette molto spettacolo per il netto contrasto tra di due, nello stile di gioco, nella personalità, nella tattica. Ci sono tutti gli ingredienti perché la finale di Wimbledon 2023 sia un match davvero interessante. Se Alcaraz vincesse, impedirebbe a Djokovic di puntare al Grande Slam stagionale e potrebbe trarne enorme fiducia per il resto delle loro battaglie, magari già a NY a settembre.
    Sarebbe stato bello aver Jannik in campo, purtroppo è andata male. La sensazione è che ci sarà un po’ meno da tifare, ma che ci divertiremo comunque. Buona finale a tutti.
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    Respira profondo e senti la bellezza che ti circonda, Jannik…

    Jannik Sinner (foto Getty Images)

    7-5 6-2. Il tabellone del Centre court più famoso al mondo segna questo score quando Jannik Sinner si siede sulla sua panchina, è in vantaggio di due set nei quarti di finale di Wimbledon 2022. Al di là della rete c’è semplicemente il più forte, il campione in carica, imbattuto nel torneo dal 2018, Mr. Novak Djokovic. Il mondo tennis è incollato alla tv, o aggrappato alle sedie del centrale, potrebbe accadere qualcosa di grosso, e totalmente inatteso. Con un tennis di una velocità, angolo e profondità formidabile, il 20enne azzurro è a un set dall’estromette dai Championships il migliore, soverchiato dalla quantità di accelerazioni di Jannik, tratti impotente, a tratti incredulo. Da sempre si respira qualcosa di magico su quel campo, solo chi ha avuto il privilegio di entrarvi lo può capire. Non solo vincere, ma anche il giocare o banalmente assistere dal vivo a un incontro nel “tempio” della disciplina è un’esperienza diversa da tutto quel che l’appassionato o professionista trova e prova nell’arco della lunga stagione, attraversando i 4 angoli del globo. L’atmosfera è elettrica.
    Djokovic si guarda svogliatamente intorno, non una smorfia. Infila dritto nella pancia dello stadio, toilette break. Dopo pochi minuti torna in campo, e inizia un film completamente diverso. Forse si è rinfrescato, forse si è solo guardato negli occhi davanti allo specchio degli spogliatoi e ha detto “cambiamo marcia”. Purtroppo per Sinner dall’avvio del terzo set la musica cambia. Novak alza il livello, non sbaglia più niente, ogni suo colpo diventa più profondo, più veloce, più efficace. Serve meglio annullando le ottime risposte dell’azzurro nei primi due set; comanda lo scambio e sposta Jannik a destra e a manca. Si prende palla dopo palla il campo e soprattutto la testa del giovane italiano. Tira su il cosiddetto “muro”, rimonta sino a vincere al quinto set, volando verso l’ennesima coppa di Wimbledon. Sinner esce sconfitto, per merito dell’impennata di qualità del fortissimo rivale, capace di migliorare sensibilmente ogni fase della sua prestazione, andando ad incidere su ogni minima incertezza e calo del giovane avversario. È anche una grande lezione per Jannik: se vuoi vincere uno Slam, devi essere in grado di tenere al massimo il tuo livello per tanto, tantissimo tempo. Non basta una partenza sprint o un allungo fantastico quando l’avversario è il più tosto e duro mentalmente.
    Perché ripercorrere quel che accadde un anno fa sul Centrale di Wimbledon per presentare la sfida n.2 ai Championships tra Jannik e Novak? Perché la funzione principale della storia è quella di ricordare e dare strumenti affinché le cose future possano andare diversamente, quando si è insoddisfatti di quel che accadde. O almeno provarci. Già, provarci… Jannik domani ci proverà di nuovo, con tutte le sue forze. Ha maturato un anno in più di esperienza ad alto livello, vinto grandi partite, viene da cinque vittorie consecutive nel torneo, ha modificato il servizio con risultati interessanti. Rispetto a dodici mesi fa ha inserito qualche novità nel suo gioco, conosce assai meglio le peculiarità dell’erba, dove il suo tennis di pressione sembra funzionare discretamente bene quando riesce a giocare sciolto e liberare la velocità del suo braccio. Le vittorie portano fiducia, andrà in campo senza niente da perdere. Tutti fattori positivi. Basteranno? La sensazione è che non solo Djokovic sia nettamente favorito, ma che servirà un suo “piccolo contributo” affinché l’azzurro riesca a compiere il miracolo, vincere ed issarsi in finale, quella che sarebbe la sua prima finale Slam. E la sensazione è che Novak stia così bene dal punto di vista fisico, tecnico e mentale che non avrà alcuna voglia di concedere niente a Jannik.
    Anzi, rivivere la storia potrebbe giocare proprio a favore del serbo. Se l’anno scorso entrò in campo non dico con sufficienza ma forse non temendo più di tanto Sinner, beh, stavolta non concederà nemmeno una briciola, è probabile che parta a tutta per far sentire subito la sua presenza. Avrà certamente visto e studiato Jannik nel torneo, e tirato la seguente conclusione: Sinner ha fatto meraviglie in vari fasi delle sue vittorie, ma appena si è irrigidito sentendo pressione, il suo miglior tennis è andato a gambe all’aria, perché solo producendo il massimo della spinta con braccio decontratto rende al massimo, “spacca” la palla con accelerazioni a velocità proibite e trova anche precisione. Criticare Sinner giunto in semifinale a Wimbledon può apparire ingeneroso, ma è corretto affermare che ha toccato un livello di gioco a tratti stellari reggendosi su equilibri ancora instabili. Lì passa la crescita, riuscire a gestire meglio i momenti “no”, le piccole fasi di down, cercando azzerarle o ridurle al minimo. Quando hai di fronte un Djokovic, non te lo puoi assolutamente permettere.
    Sinner per provare a vincere domani dovrà sfoderare la partita perfetta, a meno che Djokovic non sia per qualche motivo in cattiva giornata, o per assurdo senta lui la pressione (e difficilmente accadrà). Tenere almeno il 65% di prime in campo è il mantra per Jannik, altrimenti… no match. E altrettanto importante trovare il modo di rispondere tanto non solo per iniziare lo scambio. Questo è il punto tecnico più difficile, perché “Nole” sui prati grazie al lavoro con Boris prima e Goran poi ha messo su un servizio poco appariscente ma clamorosamente preciso. Con variazioni continue e zero punti di riferimento ha mandato k.o. un Federer stellare nel 2019, ha vinto quella mitica finale principalmente con questo. Jannik dovrà provare a bloccare, a tenere la palla bassa e non rendere facile per Novak il primo colpo dopo al servizio, quando l’equilibrio è ancora precario (e non sempre lui esce bene dal movimento del servizio). Bloccare e quindi alternare con una risposta ad alto rischio, incisiva, a costo di sbagliarne sì, ma per mettere pressione al servizio del rivale. Jan ha una buona risposta, ma domani dovrà eccellere. Come per la percentuale di prime, se risponde in modo conservativo o poco aggressivo, no match. Purtroppo.
    Non solo colpi d’inizio gioco. Djokovic è forte in tutto, non ha punti deboli. Ma anche lui ha limiti “umani” nei recuperi, quindi Sinner dovrà attaccare l’angolo, a costo di aprire il campo e subire delle infilate. Non ha molto senso starsene lì a tirare a campare, nessuno ha la resistenza a media velocità di Novak, pertanto meglio cercare lo scontro frontale, visto che la velocità di palla che può generare Sinner è notevolissima. Braccio sciolto, fiducia nel proprio rovescio, soprattutto quello lungo linea – e invece nel torneo ne ha rischiati pochi! – perché se c’è una fase tecnica nella quale Djokovic non è eccezionale è quando è costretto a correre a destra e tirare su palla molto bassa. Lì può farti il colpo eccezionale, e in quel caso… bravo lui, ma è un’esecuzione meno sicura di altre. Nel torneo Jannik ha trovato spesso delle bordate cross di diritto pazzesche per combinazione di angolo e velocità, questo colpo deve funzionare a tutta. È indispensabile. Altrettanto indispensabile che Sinner non vada in confusione tattica. Djokovic potrebbe esser così forte da non riuscire a “sfondarlo”, ma rischiare giocate per lui ancora a basse percentuali come le discese a rete potrebbe diventare un boomerang totale. Forse meglio la smorzata, fintando un attacco col diritto, ma senza esagerare perché “Nole” legge bene il gioco. “Nole”, purtroppo, è forte in tutto….
    Ci sarebbero anche altri aspetti che si potrebbero analizzare, ma meglio fermarsi qua. Sinner ha davanti l’impresa massima, pari al battere Nadal (sano) a Roland Garros. Molto difficile che ci riesca, Djokovic è davvero favorito, sta benissimo, ha da poco vinto lo Slam n.23, è sereno e focalizzato perché l’eventuale Grande Slam stagionale è ancora in piedi, e lui ne è pienamente consapevole. Speriamo di assistere ad una bella partita, e che Jannik giochi al suo meglio, senza paure, senza braccio bloccato, sfruttando tutta l’eccezionalità del momento. Divertendosi, come ogni giorno gli dice il suo coach Darren Cahill, perché giocare sul Centre court è un privilegio e non vale la pena buttare tutto alle ortiche sabotandosi per troppa pressione. Darren è uno che la vende lunga, conosce benissimo il gioco e ora anche Jannik. Ha capito alla perfezione che il nostro per eccellere deve sentirsi comodo in campo. Guarda le tribune Jan, guarda quell’erba sotto i tuoi piedi, respira profondo e senti la bellezza che ti circonda. Chiudi gli occhi e pensa solo a godertela. Chissà…
    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO

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    Una società ha analizzato i decibel degli “urlatori” in campo. Chi sono i più rumorosi?

    Maria Sharapova, una delle “regine” del grunting

    I tabloid britannici sono famosi per articoli a dir poco “particolari”. Stavolta dal Regno Unito arriva una storia che riguarda il mondo del tennis. Una società di betting (sicuramente per aver una discreta pubblicità) si è rivolta ad un gruppo di analisti di file audio passando loro ore ed ore di registrazioni di incontri tennistici degli ultimi anni, maschili e femminili, per rilevare quali siano i giocatori e le giocatrici che urlano più forte in campo.
    Perché i tennisti grugniscono? Non esiste una spiegazione univoca al “grunting”. Secondo alcuni tecnici e commentatori, i giocatori emettono delle grida dopo aver colpito la palla perché questo migliora la loro concentrazione, altri parlano di tecniche di respirazione, altri ancora di un rilascio di energia a fine colpo, come una molla che si scarica e quindi poi diventa più facile da ricaricare. I più maliziosi pensano che le urla dopo aver colpito siano solo una tecnica per distrarre gli avversari, con un impatto tecnico sul gioco praticamente nullo. Certamente molto dipende anche da “come” si grugnisce, e da quanto dura l’urlo. Nell’ultima edizione di Roland Garros, per esempio, in più partite ha colpito come Sabalenka, dopo l’impatto con la palla, arrivasse ad emettere delle grida talmente prolungate da continuare fino… all’impatto dell’avversaria! Fatto questo al limite del gioco disturbato.
    Jimmy Connors e Monica Seles sono stati considerati in passato una sorta di “inventori” del genere, ma in realtà ci sono sempre stati, con una tendenza all’aumento negli ultimi anni. Martina Navratilova era tra le più critiche a riguardo, con un’argomento tutt’altro che peregrino: “l’urlo dell’avversaria non mi permette di capire il suono della palla sulle sue corde, e quindi l’effetto conferito al colpo, questo non è sportivo” tuonava all’epoca la super campionessa di origine ceca, davvero attenta ad ogni dettaglio in campo, suoni inclusi.
    In passato proprio i grugniti di Monica Seles furono all’attenzione della critica e vennero già attentamente misurati, superando di poco i 90 decibel; Maria Sharapova nel suo periodo di massimo splendore agonistico la superò nettamente, arrivando a ben 103 decibel. Il record, o almeno quello più forte mai misurato, resta quello della portoghese Michelle Larcher de Brito, talento giovanile poi non mantenuto a livello Pro, con l’incredibile misura di  109 dB durante Wimbledon 2013, quando aveva solo 16 anni. Pazzesco.
    Ma chi sono oggi i più rumorosi (e, aggiungiamo quindi fastidiosi) in campo ai nostri giorni? La classifica del tabloid 365 è stata stilata sugli attuali top30 e per potenza – ma il dato numerico non è stato comunicato nell’articolo – e divisa tra il servizio e i colpi di scambio. Tra gli uomini, il super grugnito è quello di Carlos Alcaraz. Il più giovane n.1 della storia secondo la ricerca emette un urlo perfettamente udibile nel 100% dei suoi servizi e 4 volte su 5 nei colpi in scambio. Praticamente sempre. Seguono a breve distanza Borna Coric, Felix Auger-Aliassime, Taylor Fritz e Karen Khachanov. Curioso che non sia nella top5 Andrey Rublev, uno dei grugniti “top” dei nostri giorni (tempo addietro il sito ATP aveva girato una curiosa clip con i colleghi si burlavano di lui proprio per le sua urla…).
    Tra le ragazze invece domina proprio Aryna Sabalenka, con urla fortissime su ogni servizio e praticamente dopo ogni colpo di scambio. La segue, dietro di centesimi, la brasiliana Beatriz Haddad Maia, quindi Maria Sakkari, Veronika Kudermetova e Ons Jabeur. Del resto Sabalenka fu protagonista di una scena curiosa agli Australian Open 2018: nel corso di un suo match contro Ash Barty, le sue urla erano talmente forti da spingere – per ritorsione forse…- diversi spettatori a imitare i suoi grugniti, tanto che la giudice di sedia di quel match chiese gentilmente agli spettatori di abbozzarla per non peggiorare la situazione, tra le risate generali della Rod Laver Arena. Chi di urlo ferisce…
    Marco Mazzoni  LEGGI TUTTO