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    Ampliamento di Wimbledon, si inasprisce il confronto con la comunità locale

    La racchetta vuota al posto dei dirigenti dell’AELTC nell’incontro di ieri

    Una racchetta su di una sedia vuota, e un duro ammonimento della comunità locale riunita contro i piani di ampliamento del sito di Wimbledon: “Non lasceremo che il quartiere diventi una Disneyland tennistica”. Questi i fatti salienti di un movimentato incontro svolto ieri nel quartiere dove ha sede l’AELTC, alla presenza di autorità locali e due politici nazionali provenienti dall’area interessata, in merito al discusso progetto del club di ampliare notevolmente l’area predisposta al torneo, con ben 38 nuovi campi – in modo da poter svolgere anche allenamenti e le qualificazioni – e un nuovo stadio da 8000 posti. La zona scelta per le nuove strutture è quella del campo da golf vicino al club, già preso acquisito dall’All England Club da alcuni anni. Una volta svelato il faraonico progetto, che prevede una complessa riqualificazione del quartiere circostante con vari spazi lasciati alla comunità (a detta del club “migliorati”), i residenti di Wimbledon si sono immediatamente attivati per opporsi all’ampliamento. L’incontro di ieri, con 250 persone presenti, è un’altra manifestazione chiara del dissenso a questi lavori, considerati troppo invasivi e che rischiano di snaturare totalmente il quartiere ben oltre le tre settimane del torneo più antico del mondo.

    Il dialogo tra le parti interessate è a dir poco freddo, come dimostra l’invito rivolto alla dirigenza del club per l’incontro, totalmente disertato. Così la sedia vuota con la racchetta posta dai residenti dove speravano di trovare un direttore del club è diventata l’immagine del dissenso stesso.

    I due parlamentari di Putney e Wimbledon, il laburista Fleur Anderson e il conservatore Stephen Hammond, si sono nuovamente uniti contro un progetto che deve ancora essere formalmente considerato dai comitati di pianificazione comunale, quasi cinque anni dopo la ratifica del contratto di acquisto del campo da golf da parte dell’AELTC. Anderson ha descritto il piano come “uno sviluppo su scala industriale nel nostro parco” e ha criticato le consultazioni, dicendo che “il modo in cui sono state gestite è pessimo”. Ha chiesto al torneo di concentrare i propri sforzi sullo sviluppo del sito per le qualificazioni a Roehampton piuttosto che sul campo da golf attualmente presente. Proprio il “nodo Quali” sembra essere stato decisivo alla scelta del club di ingrandirsi, nessun altro Slam prevedere i match del tabellone cadetto altrove. Hammond ha suggerito che si torni al tavolo della progettazione e si trovi qualcosa di più accettabile: “È il progetto sbagliato, è troppo grande, non hanno bisogno di così tanti campi e di uno stadio da 8.000 posti sul Metropolitan Open Land. Semplicemente non è giusto”, ha affermato, per la soddisfazione dei residenti.
    Le numerose complessità legali legate alla richiesta di ampliamento sono state delineate nell’incontro dall’avvocato Christopher Coombe, il quale ha suggerito che gli statuti storici relativi al terreno potrebbero impedire la realizzazione di qualsiasi nuovo edificio. Nel corso degli interventi dei presenti all’incontro è stata sollevata la prospettiva di un’azione legale di crowdfunding contro qualsiasi approvazione del progetto.
    La posizione di Wimbledon è chiara: abbiamo il torneo più storico della disciplina, l’espansione è necessaria per mantenere la parità con gli altri Slam.
    L’incontro alla fine si è svolto con un nulla di fatto, vista l’assenza dei dirigenti del club, fermi sulla propria posizione di appoggiare a qualsiasi costo l’ampliamento su terreni già acquisiti. Tuttavia è improbabile che l’intero processo urbanistico di approvazione dei lavori venga risolto in tempi brevi. Importanti passaggi burocratici per l’esame della richiesta sono già scaduti senza una risposta precisa, anche se è possibile che una nuova udienza si svolga quest’anno. Dopodiché c’è la possibilità che il club venga convocato dall’ufficio del sindaco di Londra e potenzialmente dal Segretario di Stato, considerando la faccenda di interesse nazionale. C’è pure un fattore politico a peggiorare il quadro per il club: nel 2024 ci saranno le elezioni, insieme alle quelle per la Greater London Authority, l’eventuale ingresso di nuovi politici potrebbero complicare ulteriormente l’intera vicenda. Per questo il circolo di Wimbledon sta spingendo affinché l’iter burocratico possa terminare prima di questo passaggio elettorale, per non avere brutte sorprese o un cambio di rotta.
    L’amministratore delegato dell’All England Club, Sally Bolton, aveva precedentemente commentato: “Queste proposte sono state giustamente e opportunamente soggette ad un altissimo livello di valutazione e consultazione sia prima che dopo la loro presentazione. Ad oggi abbiamo ospitato 56 visite guidate nell’area dell’ex campo da golf e altri nove eventi in cui i residenti locali hanno avuto l’opportunità di parlare con i membri del team di progetto e per saperne di più. Siamo lieti che più di 4.600 partecipanti siano venuti a uno dei nostri eventi di consultazione, e la stragrande maggioranza è davvero entusiasta dei nostri piani“.
    Quindi solo 250 residenti “rumorosi” spalleggiati da due politici nazionali, oppure il club è fin troppo ottimista? Vista da lontano, sembra che anche nell’efficiente Inghilterra realizzare nuovi progetti non sia sempre così facile…
    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO

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    Il tour ATP torna in Cina, e per la prima volta i giocatori cinesi… “ci sono”

    I tre assi del tennis cinese, Wu, Shang e Zhang

    嗨,欢迎回来! No, non siamo impazziti… I sinogrammi appena scritti sono probabilmente le prime parole che avranno ascoltato i tennisti appena sbarcati in Cina, “Ciao, Bentornati!”. Con gli ATP 250 di Zhuhai e Chengdou il tour maschile questa settimana torna nel gigante asiatico dopo 4 anni. La tempesta Covid e le durissime restrizioni imposte dal governo nazionale hanno impedito lo svolgimento dei tornei cinesi dal 2020. Quest’anno invece si disputano 4 tornei, a salire di importanza: dopo i due 250 appena scattati, ci sarà il 500 di Pechino e quindi il 1000 di Shanghai, un torneo che potrebbe risultare decisivo anche in ottica qualificazione per le ATP Finals di Torino.
    Sembra passato un secolo da allora, soprattutto perché in questi 4 anni il tennis cinese è finalmente decollato. Per anni c’è stato un abisso tra l’esplosione potente del movimento rosa, che con Li Na ha avuto anche un campionessa Slam e grandissimo personaggio insieme a molte altre tenniste di valore (inclusa la “povera” Peng Shuai, della quale si sono perse le tracce…), e le miserie del settore maschile, con giocatori relegati nelle retrovie, impantanati nei tornei minori e troppo indietro per capacità tecnica, fisica e mentale per esplodere ed imporsi agli occhi del miliardo abbondante di connazionali. Il Paese infatti viveva il tennis in modo marginale, distratto dalla forza delle discipline Olimpiche e altri sport, dal nascente movimento calcistico al basket, sport occidentale più amato grazie alla superstar Yo Ming. Le ottime prestazioni delle ragazze hanno iniziato a muovere l’interesse, ma si era ancora ai minimi termini nel 2019, quando gli ultimi tornei vennero disputati in Cina. Da allora, tutto è cambiato.
    Riproponiamo l’articolo dello scorso febbraio, quando per la prima volta la Cina ha brindato a due tennisti nella top 100 ATP, Yibing Wu e Zhizhen Zhang. Insieme alla novità del momento, nell’articolo trovate un reportage del 2019 in cui si tracciava la storia e un bilancio dei fortissimi investimenti nel tennis maschile, ancora senza risultati apprezzabili, con un’analisi dettagliata grazie a chi quel paese lo conosce e c’ha lavorato. A rileggerla oggi, si intuisce come alla fine soldi e lavoro abbiano portato risultati apprezzabili. Basta un secco confronto delle classifiche per rendersene conto.
    Al 30 settembre 2019, la Cina non aveva alcun tennista tra i primi 200 ATP. Il migliore Zhizhen Zhang (allora 22enne) al n.213, seguito dal 30enne Yan Bai (224) e altri connazionali già maturi a scendere, tutti senza risultati apprezzabili. Il 19enne Yibing Wu era impegnato nei Futures al n.490, ancor più dietro il promettente (a livello Junior) Jie Cui, n.625. In pratica, 4 anni fa il movimento maschile cinese era ancora in fase embrionale e con tutti i pasticci della pandemia nessuno credeva in un salto di qualità che invece c’è stato.
    Questa settimana la situazione del tennis maschile cinese è la seguente: Zhizhen Zhang n.60,  Yibing Wu n.98, il giovanissimo e promettente Juncheng Shang (18 anni) n.158, in rampa di lancio. Cresciuto assai anche Yuchaokete Bu, 21 anni, a n. 182. Zhang ha toccato un best ranking al n.52 quest’anno, ha raggiunto i quarti al 1000 di Madrid e semifinali ad Amburgo, battendo nell’anno gente come Norrie, Fritz e Sonego. Wu è stato n.54, ha vinto il suo primo torneo ATP a Dallas, una cavalcata memorabile che ha riscritto letteralmente i libri del tennis nel suo paese. Nel complesso una crescita notevolissima, che pone finalmente la Cina a pieno titolo nella “mappa” del tennis maschile, messa non peggio di tanti altri paesi con una storia ricca di successi (Austria, Brasile o India, solo per dirne qualcuno).
    Per questi motivi, c’è grande interesse nel vedere che cosa accadrà nei tornei maschili di quest’anno. Da più punti di vista. Intanto sarà assai curioso valutare se i risultati dei giocatori nazionali e la loro presenza muoverà il pubblico. Negli anni passati era stridente il contrasto tra l’efficenza di strutture moderne, davvero all’avanguardia, e i vuoti sugli spalti, con un discreto numero di spettatori solo a Shanghai nel weekend, qualcosa anche a Pechino se in campo c’era Federer o Djokovic, ma davvero poca roba rispetto a quel che si assiste mediamente nell’annata in giro per il mondo. La Cina non ha ancora il campione che “muove le masse”, ma di sicuro oggi di tennis nel paese se ne parla anche al maschile, e dopo qualche anno di assenza sarà possibile tirare una bilancio dell’interesse generato dai tornei, sia come presenze/pubblico, sia per l’impatto sui media nazionali che in passato snobbavano quasi bellamente i propri eventi… Se arrivavi a Shanghai e chiedevi a un taxista del torneo di tennis in corso, ti avrebbe guardato stralunato, del tutto ignaro dell’evento. Oggi le cose sembrano cambiate.
    Inoltre, cosa faranno in campo le tre stelle del tennis cinese? Avvertiranno di sicuro la pressione del giocare in casa, stavolta non con la simpatia di chi scende in campo con una bella wild card e niente da perdere, ma con il “peso” del dover confermare davanti al proprio pubblico quanto di bene fatto in giro per il mondo. Questa settimana Juncheng Shang è in tabellone a Zhuhai, insieme ad altre tre WC locali, mentre a Chengdu figurano nel draw solo le wild card Tau Mu e Jie Cui. Proprio il 18enne Shang ha parlato di questo al sito ATP. “Penso che sia una cosa davvero interessante il clamore suscitato dalla crescita dei tennisti cinesi. È una bella pressione ma allo stesso tempo una grande motivazione per andare avanti e fare meglio ogni giorno”.
    “Sono il tipo di giocatore che gestisce abbastanza bene la pressione nei momenti importanti”, continua Shang, “L’hype sul tennis cinese non mi ha mai infastidito, mi ha spinto verso allenamenti duri e partite difficili. I miei connazionali hanno un’energia incredibile. A New York l’altra settimana mi sembrava di giocare in casa, questo è stato molto utile, non vedo l’ora di scendere in campo in Cina”.
    Shang si è poi soffermato sul rapporto con i due connazionali più esperti, che hanno segnato i passi più importanti nella storia del tennis nazionale: “Io e Zhizhen in realtà abbiamo lo stesso nome, siamo entrambi ‘Jerry’. Lo chiamo Big Jerry, lui mi chiama Little Jerry. L’ho incontrato forse quando avevo nove o dieci anni, ricordo che era molto amichevole. Era una stella emergente in Cina. Era molto giovane, ma restava sempre molto positivo sul proprio futuro, è davvero interessante ora poter condividere dei momenti insieme in torneo. Con Wu, non ricordo la prima volta che l’ho incontrato. Penso di averlo visto giocare ad un torneo junior in Cina. Tutti lo conoscono come ‘diritto laser’. Probabilmente ha uno dei più grandi diritti del tour, è così che me lo ricordo guardandolo. Inoltre quella volta abbiamo fatto una foto insieme, subito prima che giocasse al China Open, fu una bella esperienza per me, ero un ragazzino. Sono molto più giovane di loro e sicuramente loro hanno più esperienza, penso di poter imparare da loro, dai loro errori, affinché io non li commetta. Parliamo e mi danno consigli su tante cose”.
    Ecco cosa pensa Shang sul giocare per la prima volta in carriera davanti al pubblico di casa: “Sarà bellissimo e tutto nuovo, mai ho giocato un torneo ATP in Cina. Ho sempre sognato che questo potesse accadere, ed eccomi qua. La gente ricorda soprattutto i successi di Li Na, quando lei vinceva gli Slam io ero piccolissimo… ma speriamo di poter fare altrettanto bene. Ci saranno grandi aspettative, speriamo di divertire il pubblico ma ci vorrà tanto lavoro e del tempo per provare ad avvicinare i risultati raggiunti da Li Na e le altre ragazze. Se oggi siamo qua, molto è anche merito loro, hanno aperto una strada, dobbiamo essere sempre riconoscenti per quello che hanno fatto”.
    Non una parola invece sullo scottante caso di Shuai Peng, di fatto scomparsa dopo aver rassicurato la WTA (per bocca di Steve Simon) sulle proprie condizioni. Questa è, purtroppo, un’altra storia… Difficilmente in questa Leg cinese se ne potrà parlare liberamente. Il tennis purtroppo pare stia facendo passi in avanti più rapidamente dei diritti civili.
    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO

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    Svajda il suo percorso diverso verso il mondo del tennis Pro

    Zachary Svajda

    Il 20enne statunitense Zachary Svajda la prossima settimana entrerà ufficialmente per la prima volta tra i top 200 del ranking mondiale, grazie ai quarti di finale raggiunti al Challenger di Cary. Non un fatto “clamoroso” per un giovane di discreto talento che quest’anno ha passato le qualificazioni a US Open, ma il sito ufficiale dell’ATP ha sfruttato l’occasione per interpellarlo e raccontare il suo diverso percorso da junior verso il mondo Pro. Infatti Svajda ha scelto insieme alla sua famiglia di non giocare praticamente alcun torneo junior dai 10 ai 15 anni per focalizzarsi totalmente sulla crescita tecnica e fisica, senza competere. Una decisione che potrebbe apparire bizzarra per molti esperti e coach, visto che formazione ottenuta nella competizione è considerata imprescindibile momento di crescita. Tuttavia a casa Svajda non sono esattamente dei profani o sprovveduti: la madre Anita e papà Tom sono infatti entrambi coach presso il Pacific Beach Tennis Club a San Diego, una struttura di tutto riguardo in California.
    “Ci pensavamo quando avevo nove, dieci anni. Semplicemente non vedevamo il motivo di giocare questi tornei junior ogni settimana”, racconta Svajda. “Abbiamo cercato di concentrarci sul miglioramento. So che è diverso perché il gioco nei tornei è sempre differente dall’allenamento. Oltretutto non potevamo permetterci di viaggiare in giro per il mondo giocando gli ITF o altro. Ci siamo detti: tentiamo una strada diversa e proviamo a migliorare ogni giorno, speriamo che entro i 15, 16 anni io possa diventare un buon giocatore e da lì partirò per i tornei”.
    Molti allenatori avrebbero storto il naso, sottolineando l’importanza della partita e dello stress della competizione in giovane età per acquisire esperienza. La famiglia Svajda ha trovato una sua soluzione, facendo allenare il piccolo Zachary ogni settimana con l’ex stella dell’Università di San Diego Uros Petronijevic, che ha vissuto con gli Svajda per due anni ed è stato fondamentale dalla crescita del piccolo. “Ovviamente è un po’ diverso dai tornei, ma è così che ho formato la mia esperienza di partita” ricorda Svajda.
    Un percorso originale, davvero diverso, ma che in fondo con lui ha funzionato. Svajda infatti ha vinto due volte i Campionati nazionali USTA Boys’ 18 a Kalamazoo (2019, 2021).
    La famiglia Svajda ha anche un secondo asso nella manica, il fratello minore Trevor, tre anni più giovane, che ha seguito lo stesso approccio di Zachary. Ad agosto, il diciassettenne Trevor è stato finalista a Kalamazoo e ha gareggiato nelle qualificazioni agli US Open. “Io gli dico sempre di non pensare a me, di seguire la sua strada” afferma Zack, “Qualunque cosa sia, non stressarti inutilmente. A Kalamazoo era nervoso dicendo di sentire la pressione di dover vincere perché io c’ero riuscito. Ho cercato di tranquillizzarlo e ha funzionato, visto che è arrivato in finale, è stato grandioso”.
    Zachary non ha un fisico imponente, il suo punto di forza sono impatti molto puliti da ogni posizione di campo e con ogni colpo, la conferma di quanto abbiamo lavorato sulla tecnica di gioco in giovane età. Colpisce anche per la sua calma e comportamento irreprensibile nel corso delle partite, non mostrando alcuna emozione sia nei momenti buoni che in quelli difficili. “Ogni partita, sia che vinca o che perda, tengo sempre lo stesso comportamento, non mi sento affatto frustrato. Fin da bambino sono sempre stato un tipo tranquillo dentro e fuori dal campo, magari anche per timidezza. Immagino che in un certo senso questo si sia tradotto nel lato tennistico. Non urlo mai niente o non esterno molto. Sto cercando di lavorare per mostrare un po’ più di energia positiva, ma ci vorrà del tempo perché è un comportamento che non mi appartiene. Mi piace semplicemente rimanere calmo e presente, passare al punto successivo. Forse è perché vengo da San Diego, un posto dove si vive in grande relax. Niente mi stressa davvero. Non riesco a ricordare l’ultima volta che ho alzato la voce“.
    Serenità e autocontrollo sono certamente due punti a favore per la sua crescita nel mondo del tennis. Seguiremo con curiosità i risultati di Svajda, a partire dai quarti di finale che lo vedono oggi impegnato a Cary contro il britannico Toby Samuel. Nel live ranking è già n.194 con 314 punti, in caso di vittoria odierna potrebbe avvicinarsi alla posizione n.185.
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    US Open: Shelton, serve una “Mission Impossible”

    Ben Shelton (foto Getty Images)

    Il mondo del tennis aspetta con grande curiosità la prima semifinale di US Open che oppone il super campione Novak Djokovic alla novità di dirompente della stagione, Ben Shelton. Qualche numero spiega il divario abissale di esperienza tra i due: Novak è alla 47esima semifinale Slam, ha vinto 30 match consecutivi contro tennisti statunitensi (Querrey a Wimbledon 2016 l’ultimo a batterlo), è in una striscia di 10 vittorie di fila dopo la sconfitta nella finale di Wimbledon, punta a raggiungere la finale in tutti gli Slam della stagione per la terza volta in carriera (c’è riuscito nel 2015 e 2021, quando arrivò proprio a NY ad un passo dal completare il Grande Slam, superato da Medvedev in finale). Se guardiamo alla casella di Shelton, c’è praticamente un vuoto, per il 20enne di Atlanta è tutto nuovo, è alla prima semifinale Slam – è passato Pro solo 13 mesi fa -, è al primo confronto diretto contro il 23 volte campione Major serbo. Domani sarà il compleanno n.21 per l’americano, potrebbe farsi un regalo inimmaginabile se mai riuscisse a battere Djokovic e volare in finale. Sarebbe il primo tennista di casa a farcela da 20 anni, quando Roddick sorprese tutti a furia di servizi micidiali e vinse contro JC Ferrero in finale il suo primo e unico Slam in carriera. Corsi e ricorsi storici? Beh, c’è qualche affinità tra A-Rod e Ben in effetti.
    Tennisti potenti, dotati di un servizio killer come arma trainante del proprio gioco, un tennis muscolare e non così “fine”, una netta propensione offensiva, un carattere forte e un po’ sfacciato nel senso positivo del termine, gente che non si tira indietro e crede fortemente nei propri mezzi riuscendo a superare lacune tecniche a furia di mazzate ed energia. La differenza più grande tra la situazione di Roddick nel 2003 e quella di Ben quest’anno è… chi si trova al di là della rete in semifinale. Andy venti anni fa rimontò due set di svantaggio (con più di una polemica per qualche chiamata dubbia nel terzo set) a David Nalbandian, grandissimo talento argentino ma non esattamente la solidità fatta persona e tennista ancora giovane, infatti pagò non poco il contesto “caldo” del centrale, tutto ovviamente schierato alla parte di Roddick. Ben stasera a NY dovrà affrontare Mr. Record Novak Djokovic, l’uomo che a furia di un tennis percentuale limato in modo certosino sta riscrivendo i record moderni della disciplina. Quindi, pronostico chiuso a favore del serbo? La testa dice sì, Novak è nettamente favorito, ma per fortuna il tennis è uno sport che regala spesso sorprese, che non finisce mai di stupire. Cosa dovrà fare Shelton per provarci, per tentare l’impresa suprema?
    Il suo mantra è quasi scontato: servizio, servizio e ancora servizio. Tonnellate di peso su prima e seconda palla, alternando potenza e angoli, per cercare di non mettere in ritmo la miglior risposta sul tour dai tempi di Andre Agassi, anzi, forse meno esplosiva ma ancor più continua ed efficiente. Se Ben non riuscirà a servire almeno un 70% di prime palle in campo ricavando almeno il 75% di punti, o meglio l’80%, non ci sarà partita. O ci sarà solo se Djokovic sarà una versione sbiadita di se stesso, e a questo a meno di eventuali infortuni, non crediamo affatto. Roger Federer ha vinto moltissime sfide contro Djokovic, chiudendo la carriera quasi in parità negli head to head. Lo svizzero ha un tennis diverso da Shelton, assolutamente più completo, ma in pratica i numeri dicono che ogni volta nella quale è riuscito a battere il serbo ha avuto un rendimento al servizio di quel tipo, almeno il 70% di prime in campo vincendo 3 punti su 4. Se ha un tennis brillante ed offensivo e non riesci in questo, e non hai una solidità e resilienza da fondo “nadaliane”, no match.
    Servire bene non sarà nemmeno sufficiente a Shelton. Nello scambio sembra davvero difficile che il quasi 21enne figlio d’arte possa reggere il pressing continuo, asfissiante del rivale, che come nessun altro è bravo a spostare l’avversario con i suoi tempi di gioco, portarlo a giocare in posizioni scomode fino a sfinirlo, oppure infilarlo dopo averlo lavorato ai fianchi. Per farcela in risposta e mettere problemi al rivale Ben sarà costretto a tenere un’atteggiamento super offensivo, a limite del masochismo. Anche se Djokovic dovesse trovare con facilità il passante, Shelton dovrebbe continuare a pressare, attaccare, alternando bordate a tutta col suo diritto sul rovescio di Novak (e già reggere questa diagonale sarà complesso…) e quindi attaccarlo facendolo correre a destra, dove non sempre il passante del serbo è perfetto. Inoltre Novak negli anni, dal lavoro iniziato con Becker e affinato con Ivanisevic, ha costruito l’ultima parte mancante nel suo gioco, un gran servizio, poco appariscente ma terribilmente preciso. Non sarà facile per Ben rispondere bene e riuscire a mettere pressione all’avversario.
    La sensazione è che Shelton abbia davanti un’impresa quasi impossibile. Oltre al servizio, un asso nella manica potrebbe essere la sua terribile fisicità, il riuscire a spingere come un forsennato da ogni posizione del campo, magari sospinto da un pubblico che mai come oggi sarà davvero ostile a Novak, e magari innervosirlo.
    Sono davvero tanti i tasselli da incastrare alla perfezione per risolvere un puzzle davvero difficile, probabilmente troppo anche per un giovane senza niente da perdere e con il fisico, mentalità e talento di Shelton. A meno che i corsi e ricorsi storici non siano così forti da sospingerlo verso un’impresa e una finale che all’inizio del torneo sembrava un’ipotesi quasi assurda. New York è lo Slam delle sorprese. È quello dove negli anni recenti più novità sono esplose. Nelle ultime tre edizioni è stato consacrato un nuovo campione Major. Ben dovrà aggrapparsi alla battuta e un po’ anche alla cabala…
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    Wilander: “La rivalità con Alcaraz rende Djokovic un giocatore migliore”

    Mats Wilander

    L’ex n.1 svedese Mats Wilander ai microfoni di Eurosport ha parlato della rivalità tra Alcaraz e Djokovic, il fatto più importante dell’estate tennistica 2023. Due grandissime partite, la finale di Wimbledon, già entrata per la porta principale nella storia della disciplina, quindi l’altrettanto emozionante finale di Cincinnati. Una vittoria a testa, livello di gioco stellare, tanto che la prospettiva di un nuovo scontro nella finale di US Open elettrizza il quarto Slam stagionale. Molti pensano che Alcaraz sia una sorta di “guastafeste” per il serbo, un rivale fortissimo che gli impedisce di dominare incontrastato il tour. Wilander vede la situazione in modo diverso: a suo dire, la presenza di un avversario così forte e competitivo, rende Djokovic un tennista migliore. Ecco le parole del 7 volte campione Slam.
    “Dopo tutti questi anni, sapendo quale sia la visione e l’ambizione di Novak per la sua eredità nel nostro sport, penso che lui la accolga con favore la nuova rivalità, perché lo rende un giocatore molto migliore”, ha spiegato lo svedese. “Penso che essendosi reso conto che questo è il livello a cui deve giocare per battere questo ragazzo, penso che lo aiuterà quando giocherà contro gli altri avversari”.
    Wilander è rimasto sorpreso dalla durezza della battaglia di Cincinnati e ritiene che ciò costituisca un’impostazione perfetta per avvicinare gli US Open. “Sono sorpreso, devo dirlo, anche se nella finale di Wimbledon abbiamo visto una partita incredibile. Ero un po’ preoccupato che questa potesse essere una delusione, che uno dei ragazzi – molto probabilmente Novak in questa situazione – forse non volesse arrivare fino in fondo dando tutto in campo”, riflette lo svedese. “Forse non voleva rimontare dopo aver perso il primo set perché puoi arrivare a pensare che la ferita del perdere una partita del genere quando stai facendo del tuo meglio, rimarrà con te e si ripresenterà nel caso di una loro prossima sfida agli US Open. Ma ovviamente entrambi mi hanno sorpreso in questo senso con la loro professionalità. Ancora stento a credere che Novak sia stato in grado di farlo, voglio dire, è pazzesco. La partita di Cincinnati è stata così bella e così combattuta che entrambi sicuramente hanno pensato’Sai una cosa, è come con la finale di Wimbledon’. È troppo divertente. Lo spirito della partita era quello”.
    Mats tuttavia non si è sbilanciato sul proprio favorito per US Open. E se fosse un terzo incomodo a guastare i piani dei primi due giocatori al mondo? Ricordiamo, come già analizzato qualche giorno fa in questo articolo, che nelle ultime tre edizioni lo Slam di New York ha battezzato il successo di un nuovo campione Slam, e che l’ultimo a fare doppietta a Flushing confermando il titolo è stato Roger Federer nell’ormai lontano 2008.
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    I 10 vincitori più giovani agli US Open

    Pete Sampras a US Open 1990

    Con le qualificazioni già in corso, il count down per gli US Open, quarto Slam stagionale, è già scattato. Cresce l’attesa per l’edizione di quest’anno, sia per i tennisti azzurri che per i grandi del panorama internazionale. Jannik Sinner nel 2022 si è fermato nei quarti di finale, al termine di una partita clamorosa (la più bella della stagione) nella quale non è riuscito a trasformare un match point contro il futuro campione Carlos Alcaraz. Se avesse trovato un vincente in quel momento, chissà… Oltre alla curiosità di ritrovare Matteo Berrettini nel torneo dove segnò il suo primo exploit Slam, e osservare le prestazioni degli altri italiani, c’è grandissima attesa per i due tennisti più caldi dell’anno, recenti finalisti a Cincinnati: Novak Djokovic e Carlos Alcaraz. Dopo quella bellissima di Wimbledon, molti si aspettano (o sperano) di poter assistere ad un nuovo capitolo di questa rivalità. Alcaraz sarà chiamato a difendere il titolo conquistato a Flushing Meadows lo scorso anno, suo primo Major in carriera, grazie al quale ha stabilito anche il record assoluto di n.1 ATP più giovane. Tuttavia per pochi giorni non è stato il campione di US Open più precoce. Approfittiamo dell’avvicinamento al torneo della “Grande Mela” per andare a scoprire i 10 vincitori più giovani a New York.

    1. Pete Sampras – 1990 – 19 anni e 15 giorni
    Pete Sampras vinse a New York il primo dei suoi 14 Slam, appena dopo aver compiuto 19 anni, sconfiggendo in finale Andre Agassi (6-4 6-3 6-2). Il successo del campione californiano arrivò a sorpresa, perché nella super covata di talenti a stelle e strisce di quell’epoca era più atteso un successo di Agassi, che invece arriverà solo a Wimbledon 1992, e anche dopo il primo Slam di Jim Courier. Sampras ha tenuto il record di più Slam vinti nell’era Open fino al 2009, quando Roger Federer toccò quota 15 a Wimbledon. Fu una cavalcata impressionante quella di Sampras a US Open 1990: della dodicesima testa di serie, Pete sconfisse Ivan Lendl nei quarti di finale, John McEnroe in semifinale e Agassi in finale, con un servizio mai così efficacia. Il marchio di fabbrica di una carriera straordinaria.

    2. Carlos Alcaraz – 2022 – 19 anni, tre mesi e 24 giorni
    Che Alcaraz fosse un predestinato era chiaro già da tempo, ma in pochi pensavano che il suo primo Slam sarebbe arrivato sul cemento. Sensazione questa fin troppo figlia di quella assonanza con Nadal che, in realtà, non ci azzecca più di tanto. Proprio a New York “Carlito” si rivelò al mondo con una bella cavalcata nell’edizione precedente (2021). Il fantastico 2022 di Alcaraz è culminato con il suo primo Slam a US Open, grazie alla soffertissima vittoria su Sinner nei quarti e quindi con la finale vinta su Casper Ruud (6-4 2-6 7-6(1) 6-3 lo score). Un titolo che gli regalò anche la prima posizione del ranking mondiale e il record di tennista più giovane a sedersi sul trono del tennis maschile. Netta la sensazione che quello 2022 sia solo il suo primo titolo a New York.

    3. Lleyton Hewitt – 2001 – 20 anni, sei mesi e tre giorni
    Questi “maledetti giovani…” Forse questo avrà pensato Pete Sampras dopo esser stato di nuovo nettamente sconfitto nella finale di US Open, dopo la batosta rimediata nel 2000 dall’altrettanto giovane Marat Safin. Lleyton Hewitt nel 2001 rimandò il quinto titolo nel torneo di casa per Pete Sampras, successo che arrivò nell’anno successivo. Hewitt sconfisse Sampras per 7-6(4) 6-1 6-1 in quello che fu il suo primo titolo Slam. “Rusty” è l’ultimo australiano ad aver vinto uno Slam (Wimbledon 2002).

    4. John McEnroe – 1979 – 20 anni, sei mesi e 12 giorni
    Un giovane e riccioluto John McEnroe alzò nella sua amatissima città il primo Slam in carriera, lanciandosi nell’Olimpo della disciplina. Con questo successo sorpassò il connazionale (e mai amico) Jimmy Connors in cima alla lista come il più giovane vincitore agli US Open, battendo in finale Vitas Gerulaitis (7-5 6-3 6-3 lo score). L’americano duellerà contro Borg in iconiche partite e vincerà altri sei tornei del Grande Slam in carriera, dominando la stagione 1984. Poi, la luce si spense.

    5. Marat Safin – 2000 – 20 anni, sette mesi e un giorno
    Nuovo secolo, nuovi campioni. Marat Safin impressionò il mondo della racchetta disputando un grande torneo e soprattutto brutalizzando in finale il super campione a stelle strisce Pete Sampras, battuto per 6-4 6-3 6-3. Il punteggio non rende l’idea di quanto il servizio di Sampras – forse il singolo colpo più forte della storia del gioco – sia stato disinnescato dalla risposta del russo. Marat alzò il suo primo Slam in carriera, diventato il secondo russo a vincere un Major dopo Yevgeny Kafelnikov. Peccato che il moscovita non riuscì esattamente a sfruttare a pieno il suo grande talento negli anni seguenti.

    6. Juan Martin Del Potro – 2009 – 20 anni, 11 mesi e otto giorni
    Quella 2009 fu un’edizione passata davvero alla storia, per molti motivi. Roger Federer puntava al record del sesto titolo consecutivo agli US Open, ma in finale si è imbattuto nell’argentino Juan Martin del Potro, che aveva estromesso Nadal in semifinale. Federer scese in campo mostrando la sua enorme classe, stava letteralmente volando, annichilendo un giovane argentino alla sua prima finale Slam. Avanti di un set e di un break, forse Roger per la prima volta in carriera peccò di superbia, o almeno, cercò una serie di colpi fin troppo spettacolari e difficili, provocando una reazione mentale di DelPo. L’argentino si scrollò di dosso ogni pressione, forse perché pensava di non poter rimontare, e iniziò a colpire diritti di una violenza inaudita. Le sue palle non uscivano più, rimontò Roger e vinse una finale ancora ben impressa nella memoria degli appassionati. JMDP trionfò per 3-6 7-6 (5) 4-6 7-6 (4) 6-2, in quello che purtroppo resterà il suo unico Major in carriera. Infortuni e peripezie continue l’hanno bloccato all’infinito. È stato l’unico Grande Slam che i Big Four (Federer, Nadal, Djokovic e Murray) non sono riusciti a vincere tra gli Australian Open del 2005 e gli Australian Open del 2014. Quando si dice “compiere un’impresa”….

    7. Andy Roddick – 2003 – 20 anni, 11 mesi e 26 giorni
    Quell’anno il tennis stava svoltando, Andy Roddick fu scaltro e rapido a vincere il suo primo e unico titolo del Grande Slam, battendo Juan Carlos Ferrero 6-3 7-6 (2) 6-3, appena prima della definitiva esplosione di Roger Federer, che da gennaio 2004 dominò il tennis per alcune stagioni. Andy rimane l’ultimo americano ad aver alzato la coppa di uno Slam. Se nessun connazionale farà il miracolo al prossimo US Open, saranno passati 20 anni senza vincitori Slam a stelle e strisce. Impossibile a quell’epoca immaginare una situazione del genere.

    8. Boris Becker – 1989 – 21 anni, nove mesi e 6 giorni
    Il nome di Boris Becker resterà per sempre legato a Wimbledon, dove nel 1985 il tedesco alzò il suo primo Slam a soli 17 anni, sette mesi e due giorni, restando tutt’ora il più giovane campione major di sempre. Tuttavia il tedesco è stato anche un giovane vincitore a New York nell”89, quando sconfisse in finale Ivan Lendl per  7-6(2) 1-6 6-3 7-6 (4). Becker resta l’ultimo tedesco ad aver vinto il titolo degli US Open (Stich si arrese ad Agassi in finale nel ’94, Zverev a Thiem nel 2020).

    9. Jimmy Connors – 1974 – 21 anni, 11 mesi e 26 giorni
    Quando quasi 50 anni fa Jimmy Connors sconfisse l’australiano Ken Rosewall nella finale degli US Open del 1974, divenne il giocatore più giovane a vincere il titolo a New York. Connors impiegò poco più di un’ora per battere l’ormai anziano Rosewall con il punteggio più severo mai visto nella finale del torneo: 6-1 6-0 6-1. Fu un’annata straordinaria per “Jimbo”, con i successi anche a Wimbledon e Australian Open.

    10. Roger Federer – 2004 – 23 anni e 22 giorni
    Grandissimo campione, ma non così precoce rispetto a diversi suoi colleghi. Nel 2004 Roger Federer due mesi dopo aver vinto il secondo titolo a Wimbledon, alzò il suo primo trofeo agli US Open, dominando Lleyton Hewitt in finale (6-0 7-6(3) 6-0 il netto score). È stato il primo di cinque titoli consecutivi per Federer a New York, imbattuto nel quarto Major stagionale fino al 14 settembre 2009, quando fu sorpreso dalla potenza di Juan Martin del Potro.

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    Il 2023 di Tsitsipas, senza vittorie su top10

    Stefanos Tsitsipas

    Stefanos Tsitsipas è uscito mestamente di scena negli ottavi del 1000 di Cincinnati, battuto in modo secco da Hubert Hurkacz. Perdere dal polacco sul veloce ci sta, quando il buon “Hubi” prende ritmo col servizio ed è poco falloso col diritto, è un avversario molto pericoloso. Il greco viene dal recente successo al 250 di Los Cabos, suo primo trofeo in stagione. Si pensava che una volta sbloccato, potesse fare molto bene nei due Masters 1000 nord americani, invece è incappato in una sconfitta sorprendente in Canada, battuto dal redivivo Monfils, e quindi un terzo turno a Cincy. Insomma, non proprio risultati da n.4 del mondo. 
    Criticare il 2023 di Tsitsipas, finalista agli Australian Open e a Barcellona, semifinalista a Roma e quarti a Roland Garros, potrebbe apparire ingeneroso. Tuttavia approfondendo i risultati della sua annata, è corretto esprimere alcune valutazioni. Nel 2021 e 2022 aveva vinto a Monte Carlo, due 1000, e ha disputato anche la finale a Roland Garros, a Roma, e lo scorso anno anche a Cincinnati. Quest’anno ha disputato un’annata discretamente solida, ma spicca un dato terribilmente negativo: non è ancora riuscito a sconfiggere un top10. Dato piuttosto grave, perché indica una netta difficoltà nel superare i migliori che, evidentemente, hanno capito assai bene come metterlo in crisi in campo.
    A Melbourne lo scorso gennaio, nel miglior torneo stagionale, il giocatore con classifica più alta battuto da Tsitsipas nella sua strada verso la finale è stato Jannik Sinner, allora n.16 al mondo, seguito da Karen Khachanov in semifinale (20). A Barcellona ha sconfitto altri due top20, De Minaur (19) e Musetti (2o), prima di cedere nettamente ad Alcaraz in finale. Altri due successi su top20 a Roma: di nuovo Musetti (19) e quindi Coric (16). Il film si è ripetuto a Los Cabos, con vittorie su Coric e De Minaur, altri due top20. Sipario. Un po’ poco per un giocatore così forte, ex n.3 ATP e potenzialmente numero uno, posizione che avrebbe potuto raggiungere nel recente passato se si fossero verificati alcuni incastri in un paio di settimane. L’ultimo top10 battuto dal greco è Medvedev, alle Finals 2022 di Torino, mentre in un torneo senza Round Robin è stato Rublev ad Astana, lo scorso ottobre.
    Stefanos ha ripreso a lavorare con Mark Philippoussis, “panchinando” papà Apostolos per provare nuove vie. È evidente che il suo tennis sia fermo da troppo tempo e lui ne sia ormai più che consapevole. Intanto la prossima settimana scivolerà al n.7, con la perdita dei punti pesanti della finale a Cincinnati, passato sia da Sinner che Rune, oltre che Ruud. Senza un salto in avanti, delle novità concrete che possano di nuovo alzare l’asticella del suo gioco, la strada per il greco sembra piuttosto in salita. A lui rilanciare, e sorprenderci.
    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO

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    Max Purcell, l’underdog che non ti aspetti (oggi sfida Alcaraz a Cincinnati)

    Max Purcell (foto Getty Images)

    Crederci sempre, focalizzando finalmente l’attenzione al 100% sulla carriera, con meno party e zero nottate perse in compagnia dello smartphone. Crederci, anche quando ti dicono che resterai nel limbo, un bel “doppista” semmai. Del resto, con quel gioco discretamente retrò, un po’ leggero e con quei tagli continui anche sul diritto, in un mondo di power-tennis dove pensi di andare… Non ci gira più intorno Max Purcell, quel limbo se l’è scrollato di dosso. Ora l’australiano ci crede eccome, con obiettivi sempre più alti e ambiziosi, perché ha capito che la sua diversità è un punto di forza, e che di qualità ne ha molte più di quelle che tanti gli hanno mai riconosciuto. Il 25enne di Sydney è certamente uno dei personaggi del Masters 1000 di Cincinnati, sbarcato per la prima volta in carriera nei quarti di finale di un torneo così importante in singolare, pronto a sfidare sua maestà Carlos Alcaraz nel pomeriggio degli States. Ma questo splendido e meritato risultato non è un exploit isolato, figlio della classica settimana in cui sportivamente cammini sulle acque e tutto ti riesce. Tutt’altro. Purcell sta vivendo un 2023 clamoroso, passato assolutamente sotto traccia, ma continuando così l’australiano già si candida a premio come giocatore rivelazione della stagione e/o più migliorato.
    Purcell è da anni un buon doppista sul tour, e ancora continua la sua carriera affiancato spesso ai connazionali Jordan Thompson o Marc Polemans (quest’anno ha vinto il 250 di Houston proprio con Thompson), ma nel 2023 è letteralmente esploso in singolare, passando in classifica dal n.220 all’attuale n.70, ma è già sicuro anche in caso di sconfitta contro Alcaraz di attestarsi al n.47, per la prima volta tra i migliori 50 al mondo. Una scalata splendida, iniziata dopo aver passato le “quali” agli Australian Open (nelle quale ha estromesso Cecchinato e Arnaldi), con una decisione importante già maturata nella off-season 2022: punterò sui Challenger in India e mi darò qualche mese per spingere a tutta in singolare, e vediamo come andrà. Beh… è andata oltre le più rosee aspettative! Tre tornei giocati, tre titoli consecutivi a Chennai, Bengaluru (battendo tra gli altri Nardi) e Pune, dove in finale si è ripetuto battendo di nuovo Nardi. Un filotto splendido, ottenuto giocando alla grande, dominando il campo a furia di attacchi, serve and volley, tagli continui anche col back di diritto che hanno mandato completamente fuori ritmo gli avversari. Il suo marchio di fabbrica quello di non darti punti di riferimento, pochissimo ritmo, attaccare all’improvviso. Con questa fantastica tripletta è entrato nella top100 al n,99, e non si è fermato lì. Ha raggiunto la semifinale al Challenger di Las Franqueses de Valles e quindi finale a Lille, con un altro best ranking di n.86. Prima di sbarcare a Roland Garros, altre due finali CH, in Corea.
    Col suo gioco così offensivo, ci si aspettava qualcosa in più sull’erba, ma è stato subito battuto al 250 di Maiorca (da Feliciano Lopez, all’ultimo ballo in carriera) e poi ai Wimbledon ha pescato male, Rublev al primo turno. Quindi è volato negli Stati Uniti, per entrare sul tour maggiore con forza. Difficile l’avvio, out subito a Newport, Atlanta e Washington, con qualche commento che già lo bollava come tennista “da Challenger”. Li ha zittiti subito con la doppietta dei 1000 nord americani. Ha passato le quali a Toronto, battendo l’idolo di casa Auger-Aliassime e lottando tre set contro Murray, fino al miglior torneo della sua vita a Cincy, dove ha passato le quali e quindi ha sconfitto Harris, Ruud (testa di serie n.5, miglior scalpo in carriera) e ieri Wawrinka. Non vittorie di “Pirro”, ha giocato assai bene Purcell, se l’è davvero meritate.

    Maxing out @MaxPurcell98 at #CincyTennis:
    Reaches maiden Masters QF in second Masters appearance ✅
    Earns maiden Top-10 win over No.7 Ruud ✅
    Next: Alcaraz or Paul! pic.twitter.com/NIA1ntNbdQ
    — Tennis TV (@TennisTV) August 17, 2023

    Max è un tennista ancora poco conosciuto al grande pubblico, ma è anche un tizio divertente da vedere in campo, perché è diverso dal classico picchiatore col diritto, modello predominante sul tour. Dotato di un ottimo fisico, compatto ed esplosivo, riesce a coprire molto bene il campo, e con l’esperienza maturata in doppio ha nel servizio e nella risposta una base molto solida da cui impostare il suo gioco. Rivali molto potenti e che impongono un gran ritmo riescono a sbaragliarlo, ma Purcell ha nel cilindro l’antidoto ideale se non riesci a farlo correre in difesa facendogli perdere campo. Si chiama variazione, intelligenza tattica e visione del momento. Con i suoi tagli “sgonfia” le palle degli avversari, li porta a colpire senza ritmo e spesso da posizioni strane, angolate in avanti, forzandoli a chiudere o venire a rete. Inoltre quel back di diritto che spesso usa non te l’aspetti proprio e se non sei veloce nell’aggredirlo diventa poi difficile da tirare su e rigiocare profondo, ed ecco che il “canguro” fa un passo avanti e via spara un’accelerazione improvvisa o ti viene a rete, dove riesce a chiudere con ottima sicurezza. Insomma, è una discreta gatta da pelare…
    Purcell è la dimostrazione che al piano di sotto di talento ce n’è davvero tanto. La differenza viene da piccole grandi cose, come la testa, il focus, crederci e lavorare con obiettivi ambiziosi per spingerti oltre quelli che pensi – erroneamente – siano i tuoi limiti. L’ha descritto molto bene in un’intervista rilasciata al sito ATP qualche mese fa, dopo l’esplosione nei Challenger, nel quale si racconta e spiega come sia riuscito a fare il salto di qualità.
    “Come sono riuscito a vincere 15 match di fila nei Challenger? Ho scelto di smettere con le distrazioni fuori dal campo”, spiega Purcell. “Soprattutto in quelle settimane in India, volevo stare il più lontano possibile dal mio telefono. Volevo assicurarmi di avere più tempo tranquillo e assicurarmi solo di non portare nient’altro in campo durante le mie partite. Nessuna emozione extra o qualcosa del genere. Volevo solo essere il più calmo possibile e concentrarmi sulla mia missione, giocare al massimo in campo. Direi che ha funzionato davvero bene, e non voglio più cadere negli errori del passato. Anche quando stavo cercando di ridurre i tempi in cui mi distraevo l’anno scorso, mi ritrovavo comunque a parlare con gli amici su FaceTime, mi consumava la giornata e consumava energia perché passavo troppo lì incollato. Se dovevo uscire a cena con più tennisti, di nuovo era la stessa cosa. Ho cercato di limitare le distrazioni il più possibile, mi dicevo ‘Ora basta, stacca il telefono, resta in camera e rilassati che domani c’è una partita, c’è da lavorare”. 
    Nel 2022 Murray aveva fatto complimenti pubblici a Purcell per il suo modo di giocare così particolare. Max ringrazia e va avanti: “Murray è stato molto gentile, ma in effetti non vedo nessuno colpire i dritti tagliati come faccio io”, continua Purcell. “Non penso che ci sia una sola persona che gioca come me, quindi penso che sia piuttosto unico e questo può diventare un punto di forza perché non sei abituato ad affrontare uno come me. Sono cresciuto a Sydney, avevamo molti campi in erba sintetica, quindi ho usato molto lo slice quando ero giovane. Sapevo di poter sempre colpire con il diritto slice, ma gli allenatori mi dicevano continuamente che non era efficace. L’anno scorso sono stato senza allenatore per un po’, quindi ero tipo ‘Fanculo’, non mi interessa cosa pensano gli allenatori… inizierò a farlo. Ci ho creduto davvero e l’ho usato ottenendo buoni risultati. Quindi, perché snaturare il mio modo di essere?”.
    Quindi d’ora in poi, solo singolare? No, ma lo schedule non sarà facile, è un’altra sfida. “L’anno scorso mi sono bruciato… Non posso combinare totalmente due programmi separati, singolo e doppio. Nel 2022 ho partecipato a un torneo per sette mesi e mezzo, ogni singola settimana. A ripensarci sento ancora quella fatica nelle gambe e nella testa. Sicuramente negli Slam e magari qualche 1000 farò ancora singolo e doppio, ma vediamo, le cose cambiano rapidamente”. 
    Già, in meno di 8 mesi Purcell è passato dall’essere uno dei tanti che sgomitano a top50. Quanto conta nel tennis la testa, il focus, gli obiettivi.
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