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    Musetti, una trasferta in America Latina da dimenticare. Che sia una spinta per ripartire

    Lorenzo Musetti

    Inutile girarci intorno, la prima volta di Lorenzo Musetti sulla terra battuta in America Latina è stata una vera e propria delusione. C’era molta curiosità nel rivedere il talento di Carrara sull’amato “rosso” dopo i grandi passi avanti nel gioco mostrati lo scorso autunno sul sintetico, risultati eccellenti che l’avevano issato tra i migliori 20 giocatori al mondo. Purtroppo il responso del campo è stato chiaro: tre tornei, quattro partite giocate, una vittoria a Buenos Aires (nel primissimo match disputato) contro Cachin, poi tre sconfitte nette. Un bilancio troppo brutto per essere vero, amplificato dall’aver perso i tre match senza nemmeno vincere un set e, purtroppo, contro avversari buoni ma non certo trascendentali come il peruviano Varillas a Baires (6-4 6-4), il cileno Jarry a Rio (6-4 6-1), e ieri sera lo spagnolo Munar (6-4 6-4). Pur partendo nettamente favorito per classifica, Lorenzo ha vinto la miseria di 21 games in tre partite. Risultati che francamente nessuno si attendeva alla vigilia della trasferta.
    La partita persa ieri a Santiago contro Munar è lo specchio di come sia andata (male) l’avventura del toscano tra Argentina, Brasile e Cile. L’iberico è un buon giocatore, solido, uno che picchia la palla ed è rapido in campo, non ti regala mai la vittoria con propri errori ma ha precisi limiti tecnici e schemi assai ripetitivi. Musetti ha ben altre armi, velocità di palla, fantasia e capacità di cambiare ritmo e muovere lo scambio. Purtroppo Lorenzo ha disputato una partita incolore, bloccato, con poca energia (soprattutto nelle gambe), finendo per ritrovarsi la maggior parte del tempo a contrastare il pressing monocorde di Jaime invece di spostare l’avversario, aggredire la palla e cambiare ritmi ed angoli. Non ha sfruttato nessuna delle sei palle break ottenute, finendo in quel vertice perverso di frustrazione – esternata visibilmente in campo – senza riuscire a trasformarla in energia per una reazione fisica ed emotiva necessaria a invertire le sorti di un match brutto, e alla fine perdente.
    Cosa è andato male in queste settimane latine? Un po’ tutto. Fisicamente non è parso brillante, forse imballato da tanto lavoro fisico (e questo in fondo non sarebbe malvagio vista la lunga stagione che l’aspetta…). I suoi colpi non sono stati così fluidi e penetranti come l’autunno scorso, quando la sua reattività, anticipo e velocità di palla avevano incantato e portato grandi risultati. Al servizio non è riuscito a fare la differenza, ma soprattutto è sembrato titubante, poco incisivo, come crollato nuovamente in quell’attendismo e posizione un po’ arretrata che proprio non ci aspettavamo e non avremmo mai e poi mai voluto rivedere nel suo gioco. Fu proprio il cambio di passo sull’anticipo, sulla velocità nell’entrare nella palla col diritto l’aver trovato una posizione in campo più avanzata che fecero esplodere il suo talento elevando in modo esponenziale le sue prestazioni. Questa trasferta a sud dell’America ha come di colpo cancellato tutte queste novità, restituendoci un Musetti incerto e poco incisivo.
    Impossibile pensare ad una regressione, questo assolutamente no. Sicuramente qualcosa non ha funzionato nel rapporto tra preparazione, cambio di superficie e magari qualche schema o situazione “da terra” provata che, evidentemente, non ha funzionato. Non ha avuto buone sensazioni, fiducia, e tutto è crollato. Brutto, ma può capitare, non c’è da farne un dramma. Anche la scorsa stagione le prime settimane di tour non furono esaltanti, con i soli quarti a Rotterdam a spiccare in mezzo a troppe prestazioni così così. Musetti è ancora un giocatore che riesce a dare il suo meglio quando “sente” che il suo gioco funziona, vive e cavalca sensazioni positive: quando il feeling non è positivo, per qualsiasi motivo, il suo braccio è meno fluido, le gambe meno reattive, gli schemi difensivi. C’è solo una strada per superare questa situazione: lavoro, esperienze, campo, partite. La maturazione e la consapevolezza si raggiungono sempre con un percorso a scale, non è mai un processo lineare ed immediato. Sicuramente questa fase negativa sarà un’esperienza su cui lavorare e riflettere.
    Speriamo che Lorenzo e coach Tartarini analizzino a fondo la situazione e riescano velocemente a rialzare il livello nei prossimi tornei, c’è spazio per crescere ulteriormente in classifica nelle prossime settimane, oltre che nel gioco, ma occorre assolutamente ritrovarlo questo gioco, quello ammirato a Napoli, Firenze, Sofia, Parigi lo scorso autunno. Un tennis bello e vincente, quello di “Muso”, che ci piace da impazzire. Dispiace invece aver visto un Musetti così sotto tono, quando tutti ci aspettavamo che brillasse sulla terra battuta. Non è il caso di criticare la scelta di aver optato per i tornei in America Latina. Sulla carta continuo a ritenere che sia stata una decisione corretta: con le novità tecniche inserite e metabolizzate nella seconda parte del 2022, il gioco dell’azzurro anche sul “rosso” può essere fantastico, ancor più incisivo e difficile da contrastare. Serve però quell’energia, intensità, decisione e rapidità di esecuzione che, purtroppo, nelle ultime settimane sono mancate. Forza Lorenzo!
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    Nadal dopo Indian Wells uscirà dalla top10 dopo quasi 18 anni di presenza ininterrotta

    Rafael Nadal, non giocherà in America le prossime settimane

    “Sono molto triste di non poter competere a Indian Wells e Miami”. Con queste poche parole, accompagnate da una clip che lo mostra in palestra durante un esercizio di riabilitazione, Rafael Nadal ieri sera ha annunciato il proprio forfait per la “sunshine double”, i due Masters 1000 statunitensi di primavera. È un fatto non da poco, poiché il super campione di Maiorca lo scorso anno arrivò in finale al torneo californiano (battuto da Taylor Fritz, dopo una semifinale durissima contro Alcaraz). Non potrà quindi difendere i 600 punti accumulati e quasi sicuramente – servirebbero alcuni incastri poco probabili – uscirà dalla top10 del ranking mondiale.
    L’uscita di Nadal dall’élite del tennis è un fatto storico: il pupillo di zio Toni infatti entrò per la prima tra i migliori dieci al mondo nel lontanissimo 25 aprile 2005 (fu n.7, scalando quattro posti dalla undicesima posizione), e… non è più uscito dalla top10! Attualmente Nadal conta 910 settimane di presenza consecutiva, quasi 18 anni, record all-time da quando il ranking è calcolato al computer. Ha rischiato fortemente di interrompere questa striscia tra giugno e luglio del 2015, quando per 7 settimane fu n.10.

    I am sad that I won’t be able to compete at Indian Wells nor Miami.Very sad not to be there. I’ll miss all my US fans but I hope to see them later this year during the summer swing. pic.twitter.com/v6dsf1ayTI
    — Rafa Nadal (@RafaelNadal) February 28, 2023

    Tra i tennisti in attività, la seconda striscia più lunga è quella di Djokovic con “sole” 220 settimane (uscì dai migliori nei suoi due anni difficili per problemi al gomito, 2017 e 2018).
    Questi sono invece i recordman all-time di settimane consecutive tra i top10:
    1° – Nadal – 910 settimane (arriverà sicuramente a 912)2° – Connors – 788 settimane3° – Federer – 7344° – Lendl – 6195° – Sampras – 565
    Dopo il 1000 di Indian Wells dovrebbe quindi chiudersi un’era “geologica” del tennis, con una striscia record che passerà in archivio e sarà davvero difficile da battere visto che Nadal è entrato in top10 molto giovane (non aveva ancora compiuto 19 anni) e vi è restato senza soluzioni di continuità fino agli attuali 36 e 9 mesi. Ironman!
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    Alcaraz di nuovo k.o.: nella finale di Rio una ricaduta dell’infortunio muscolare di gennaio. Troppi infortuni sul tour?

    Carlos Alcaraz (foto Rio Open)

    Preoccupano le condizioni di Carlos Alcaraz. Il 19enne spagnolo, più giovane n.1 della storia del tennis maschile, durante la finale dell’ATP 500 di Rio persa contro Norrie si è di nuovo infortunato. Carlos infatti stava conducendo una partita lottata, nervosa, più ricca di errori che di vincenti. A un certo punto il suo calo fisico è stato evidente, ha lottato sino alla fine, ma ha perso 7-5 al terzo set. Non è particolarmente grave la sconfitta in sé, quanto il fatto che Alcaraz fosse appena rientrato sul tour dopo uno stop di quasi quattro mesi per due infortuni muscolari consecutivi: quello patito lo scorso autunno a Parigi Bercy in campo contro Rune, che gli ha impedito di giocare alle Finals di Torino da n.1; quindi il secondo a gennaio, appena prima della partenza per l’Australia e che l’ha costretto a rinunciare al primo Slam del 2023. Nelle ultime due settimane, tornato in competizione, ha vinto a Buenos Aires ed è arrivato alla finale di Rio, persa stanotte. Un match sfortunato, segnato dal nuovo “crack” che probabilmente lo costringerà a un nuovo stop, con l’ATP di Acapulco che scatta oggi e soprattutto la doppietta Indian Wells-Miami alle porte, con una montagna di punti da difendere (lo scorso anno vinse a Miami e si arrese a Nadal in semifinale in California).
    Dalle sue parole, raccolte dal collega Alexandre Cossenza dopo la partita su puntodebreak, il nuovo infortunio sembra una ricaduta del problema muscolare sofferto a gennaio in allenamento presso l’accademia del coach JC Ferrero, quando si fece male nel banale tentativo di recuperare una smorzata in un set di allenamento contro un giovane che si allena presso la struttura.
    “Il calendario è molto impegnativo, gioco al massimo livello da 15 giorni, senza mai fermarmi” afferma Alcaraz. “Giocando partite come quella di oggi, vengono i problemi e ti accorgi delle cose. Per prevenire, chiami il fisioterapista e ti fasciano la gamba, ma ho sentito dolore allo stesso muscolo dove ho avuto l’infortunio il mese scorso. È difficile… ho cercato di giocare nel miglior modo possibile nonostante questo problema”.
    “Quando hai subito un infortunio, questo penalizza il tuo gioco perché se non ti senti a posto finisci per fare qualcosa di diverso rispetto a quel che si dovrebbe fare, rischi più del necessario. Ho cercato di essere più aggressivo e finire i punti più velocemente, ma contro un avversario come Norrie, che è un rivale molto tosto, è difficile vincere se non giochi il tuo miglior tennis. Prendendo così tanti rischi, finisci per fare molti errori e questo mi ha influenzato molto” confessa Carlos.
    “Fisicamente non sono riuscito a finire come avrei voluto, ma questo è quello che serve per competere in un calendario così impegnativo. Ora penso solo a recuperare. Acapulco? In questo momento non lo so, ho terminato la finale mezz’ora fa ed è qualcosa che dobbiamo valutare con il mio medico e il mio fisioterapista. Dobbiamo vedere la gravità dell’infortunio al bicipite femorale e vedere se posso giocare ad Acapulco senza correre troppi rischi. Voglio davvero giocare lì. Farò tutto il possibile per recuperare e poter giocare”.
    Alcaraz quindi di nuovo in difficoltà fisica, a soli 19 anni e venendo da 4 mesi di stop. Lui afferma, poco velatamente, che il calendario è molto “esigente” e ti costringe a giocare tanti match ravvicinati al massimo livello. Tutto vero, ma farsi di nuovo male nella stessa parte del corpo appena rientrato dopo un stop piuttosto lungo pone seri interrogativi. Il rientro forse è stato anticipato? Era meglio curare il fisico più a lungo e aspettare qualche settimana prima di tornare in torneo? Era corretto giocare due eventi uno dopo l’altro se le sue condizioni non erano ancora così perfette?
    Domande legittime. Tuttavia è corretto anche affermare che il dover competere più settimane consecutive è la normalità, è nell’ordine delle cose del tennis Pro da sempre. Può essere anche semplice sfortuna, e auguriamo a Carlos una prontissima ripresa. A ma a 19 anni, è “normale” farsi male così? Tre infortuni muscolari nel giro di 4 mesi? Forse la lente va puntata altrove. Magari sul suo modo di giocare così strappato e al limite da sottoporlo a stress muscolari tanto intensi da mandarlo k.o., nonostante un fisico apparentemente formidabile. E allargando il tiro, sono tantissimi i giocatori di vertice che si infortunano con frequenza preoccupante, è una tendenza che vediamo in continua crescita. Questo tennis attuale così fisico, tanto estremizzato sul piano dello sforzo, si sta forse avvicinando a un punto di rottura? Quanto è positivo per la disciplina stessa convivere con continui stop delle proprie stelle, bloccati da infortuni frequenti? Forse chi governa lo sport, dovrebbe interrogarsi su questi temi, e magari pensare a come abbassare l’asticella della competizione fisica, premiando maggiormente la tecnica di gioco, con condizioni che agevolano una conclusione più rapida dei punti.
    Vedremo quale sarà il responso degli accertamenti a cui si sottoporrà oggi Alcaraz, e se lo spagnolo sarà in grado di giocare in Messico o almeno a Indian Wells. Il tennis di vertice ha bisogno della qualità, intensità e gioco spettacolare di Carlos Alcaraz.
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    200 match ufficiali per Sinner, è al quinto posto per percentuale di vittorie tra i tennisti in attività

    Jannik Sinner (foto ATPtour.com)

    La finale disputata (e purtroppo persa) all’ATP 500 di Rotterdam è stato il match n.200 di Jannik Sinner sul tour Pro.
    Il 21enne di Sesto Pusteria vanta un bilancio di 138 vittorie e 62 sconfitte, con una percentuale di successo del 69% sul totale degli incontri giocati. È un dato statistico estremamente positivo: infatti se andiamo vedere la percentuale di successi  dei tennisti in attività con almeno 200 match giocati, Jannik si piazza al quinto posto assoluto, davanti a giocatori come Zverev, Tsitsipas, Ruud.
    Molto bene anche Matteo Berrettini: il finalista a Wimbledon 2021 infatti staziona all’ottavo posto di questa classifica di rendimento, con un ottimo 65,3% di successi nei 225 match giocati finora in carriera sul tour maggiore.
    Riportiamo la top 10 questo ranking particolare, ma assolutamente interessante:

    1° Djokovic – 83,5% (1249 match, 1043 W – 206 L)
    2° Nadal – 82,9% (1288 match, 1068 W – 220 L)
    3° Murray – 75,4% (954 match, 719 W – 235 L)
    4° Medvedev – 69,8% (397 match, 277 W – 120 L)
    5° Sinner – 69% (200 match, 138 W – 61 L)
    6° Zverev – 68,8% (497 match, 342 W – 155 L)
    7° Tsitsipas – 68,4% (383 match, 262 W – 121 L)
    8° Berrettini – 65,3% (225 match, 147 W – 78 L)
    9° Kyrgios – 64,5% (318 match, 205 W – 113 L)
    10° Ruud – 64,4% (267 match, 172 W – 95 L)
    Poco sotto staziona Andrey Rublev, con il 63,8% di vittorie sugli incontri disputati (la stessa di Dominic Thiem, oggi crollato in classifica al n.96 ma “forte” di un passato molto vincente), più staccati gli altri top10 Fritz (56%) e Felix Auger-Aliassime (60,8%). Buono invece il dato di Roberto Bautista Agut (62,4% su 612 match giocati) e soprattutto di Marin Cilic (64% su 909 incontri ufficiali).
    Eccellente la percentuale di vittorie di Carlos Alcaraz: attualmente è al 75,2%, ma è ancora lontano dalle 200 partite giocate (ne ha disputate “solo” 125). Sarà curioso vedere dove si posizionerà il più giovane n.1 del ranking ATP tra 75 match, quindi molto probabilmente nella prima parte del 2024.

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    Nakajima (ex Nike) “Nessun tennista ha l’immagine di Roger. Lasciare che abbandonasse Nike per Uniqlo è stata un’atrocità”

    Roger Federer a Wimbledon

    Sono passati diversi anni, ma nello mondo dello sport business non si è ancora spenta l’eco del clamoroso passaggio di Roger Federer da Nike a Uniqlo. Ne ha parlato Mike Nakajima, l’ex direttore del settore tennis alla Nike, all’interno di un libro da poco uscito, chiamato “The Roger Federer Effect”, temo ripreso anche in un’intervista alla CNN.
    Così come i tennisti, anche i principali manager operanti nel mondo tennis affittano una casa vicino all’All England Club durante Wimbledon per tenere riunioni e accogliere i loro atleti. “Lì, gli atleti hanno un rifugio sicuro”, afferma Mike Nakajima, direttore del tennis alla Nike per 29 anni. “Possono venire e stare in giro e nessuno chiede foto o li disturba. Nel 2016 avevamo una casa con la piscina coperta e avevamo anche un campo da tennis sul retro. Era davvero in pessimo stato, abbiamo deciso di rimetterlo un po’ posto perché volevamo restare in quella casa, lo abbiamo decorato con lo swoosh Nike. La ‘casa Nike’ è diventata la seconda casa dei Federer durante quell’edizione. Mirka (la moglie di Federer) e una delle tate sono andate a nuotare con i bambini e Roger ha giocato a tennis con loro sul nostro campo”.
    “Dalla mia camera da letto, potevo vedere il campo da tennis”, continua Nakajima. “Così ho visto Roger dare le palle ai suoi figli. È stato quasi imbarazzante vedere Roger Federer, il più grande giocatore, giocare a tennis su uno dei peggiori campi da tennis che io avessi mai visto! Più tardi, mi ha detto che uno dei ragazzi gli ha detto: “Papà, puoi uscire dal campo così noi possiamo giocare?”. Gli ho chiesto: “Ehi, Rog, quand’è stata l’ultima volta che sei stato buttato da un campo?” Si è limitato a sorridere. Deve essere divertente stare in giro per i suoi figli”.
    “Roger sarebbe stato sicuramente famoso anche da solo. Anche se fosse stato testimonial per qualsiasi altro marchio. Ma è diventato molto più grande grazie alla macchina di marketing di Nike. L’esposizione che Nike può fornire a un atleta è straordinaria. Ovviamente, devi avere successo in campo, cosa che ha avuto Roger”.
    La partnership con Nike si espanse presto in nuovi territori. “Roger è entrato nella moda, incontrando Anna Wintour di Vogue, facendo servizi fotografici per GQ”, ha detto Nakajima. “Federer ha fatto di Wimbledon, il Santo Graal del tennis, la sua passerella. Ha camminato lì con un cardigan della vecchia scuola, un blazer bianco o pantaloni bianchi lunghi. Portava anche accessori abbinati. Era fantastico”.
    Federer è diventato il tennista con più introiti extra campo di tutti i tempi, guadagnando oltre $ 100 milioni all’anno al suo picco attraverso contratti pubblicitari, secondo Forbes.
    “Ha una grande commerciabilità”, continua Nakajima. “Ha un’immagine fortissima, superiore a qualsiasi altro tennista, per come gioca in campo e per come si è sempre comportato fuori. L’ho visto parlare quattro lingue in una singola intervista e cambiare lingua proprio così, in un attimo. Le persone tendono a gravitare verso qualcuno disposto a condividere se stesso. È in grado di attrarre qualsiasi pubblico. E la gente lo ascolta qualunque cosa Roger dica. È totalmente credibile”.
    “Ho avuto il privilegio di incontrare tanti atleti di livello mondiale. È uno dei primi nella mia lista. Il punto di svolta resta la sua gentilezza come persona. Sì, ha molti più soldi e molto di più di tutto. Ma non è cambiato. Il denaro e la fama cambiano molto le persone. Il denaro cambiat il modo in cui si vedono le cose, in cui la gente agisce e parla con le persone. Roger non l’ha mai fatto, per questo è unico e la gente lo percepisce”.
    Per tutti questi motivi e il suo successo in campo, quando Federer ha lasciato Nike nell’estate del 2018 dopo 24 anni, passando alla catena di vendita al dettaglio di abbigliamento giapponese Uniqlo con un contratto di 10 anni da 300 milioni di dollari, è stato uno shock per Nakajima.
    “Non sarebbe mai dovuto succedere. Per noi lasciare andare qualcuno del genere è un’atrocità. Roger Federer è stato un uomo Nike per tutta la sua carriera. Proprio come Michael Jordan, LeBron James, Tiger Woods. È proprio lì con i più grandi atleti Nike di tutti i tempi. Sono ancora deluso. Ma è successo. Non è stata una mia decisione, non ero più lì”.
    Infatti Nakajima ha lasciato Nike all’inizio del 2017 per avviare un’attività in proprio, fondando la società BaseLine Performance Finance, che lavora con atleti e organizzazioni sportive. Parlandone ora a freddo, dopo alcuni anni, così riflette l’ex direttore tennis di Nike: “Roger starà bene, sono felice per lui. Probabilmente avrei fatto la stessa cosa se fossi stato sulla stessa barca. Chi avrebbe potuto rifiutare un contratto da 30 milioni di dollari all’anno? Ma la situazione non sarebbe mai dovuta arrivare a quel punto. Nike sta ancora vendendo milioni e milioni di paia di Jordan. Quando è stata l’ultima volta che ha giocato Michael? Sono passati molti, molti anni. Avrebbero potuto fare la stessa cosa per Roger. Negli anni a venire avrebbero potuto creare scarpe con il logo RF e sarebbero andate a ruba”.
    Cosa farà d’ora in poi lo svizzero? Nakajima ha le idee chiare: “Commentatore? Non riesco a immaginare una cosa del genere. Si, ho letto che c’è una possibilità per Wimbledon, ma sono sicuro che sta pensando anche ad altro. È un ragazzo così esperto e sveglio. Se sei un’azienda, chi non vorrebbe che qualcuno come Roger lavorasse con te? Penso che si espanderà in altre cose, investirà in vari settori e potrà sorprendere. Il suo nome vivrà per sempre come uno dei migliori atleti di tutti i tempi”.
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    Alcaraz: “Segreti? Penso al coraggio con cui gioco”

    Alcaraz posa con il quotidiano “La Nacion” (foto Filipuzzi – LaNacion)

    Scatta oggi l’ATP 250 di Buenos Aires, con Fabio Fognini e Lorenzo Musetti al via per i colori azzurri. C’è molta attesa per vedere il toscano tornare sulla terra battuta dopo i grandi miglioramenti apportati nel suo gioco nella seconda parte del 2022, con un balzo in classifica che gli consente di essere terzo nel seeding in Argentina e quindi già al secondo turno (attende il vincente di Monteiro – Cachin). Tuttavia il pubblico albiceleste non vede l’ora di ammirare sul rosso di Baires l’ex n.1 più giovane dell’Era Open, Carlos Alcaraz, sbarcato per la prima volta – come Musetti – nella capitale argentina. Il fortissimo allievo di JC Ferrero torna finalmente sul tour dopo ben 4 mesi. Il suo ultimo match infatti risale al k.o. sofferto all’indoor di Bercy lo scorso autunno, quando un problema muscolare lo costrinse a saltare le ATP Finals e la Davis. Brutta fine, ma peggior principio… Infatti nemmeno il 2023 di “Carlito” è iniziato bene, visto che un nuovo infortunio muscolare rimediato in allenamento appena prima della trasferta in Australia gli ha fatto perdere anche il primo Slam della stagione. Alcaraz adesso sta bene, e scalpita. Ha tantissima voglia di tornare in campo, giocare e vincere. Il suo obiettivo è chiaro: tornare lassù, al n.1 del mondo, conseguenza di tante vittorie. Tuttavia nell’intervista rilasciata a La Nacion (quotidiano di Buenos Aires), afferma che forse lo scorso anno è arrivato in cima fin troppo presto, con ancora molte cose da migliorare e imparare. Riportiamo alcuni interessanti passaggi dell’intervista di Carlos.
    “Questo sarà il mio primo torneo dopo Parigi-Bercy. Sono passati quasi quattro mesi, ma quando entro in campo penso sempre a vincere, non ad altro” afferma Carlos. “So che non sarà facile dopo tanto tempo senza giocare ai massimi livelli, ma sono venuto qualche giorno prima per allenarmi con buoni giocatori e riprendere quel ritmo”.
    “La verità è che il paradiso (n.1 del ranking, ndr) è arrivato molto più velocemente di quanto pensassi. Dico che ho toccato il cielo con le mie mani, in base ai risultati che ho ottenuto, ma forse non sono arrivato al vertice in termini di livello di gioco o altri aspetti. Insomma, devo continuare a crescere, come giocatore, come persona, è importante crescere in tutti i settori. Sono già salito al vertice ma devo continuare a maturare. I migliori nella storia del tennis, come Rafa, Roger e Novak, non sono mai rimasti fermi e sono migliorati costantemente nel tempo. Spero di fare quei piccoli salti e migliorare il mio tennis, fisicamente e mentalmente”.
    Interessante il passaggio in cui analizza le proprie qualità: “Credo che la fiducia in se stessi sia estremamente importante. Ero convinto di poter ottenere molto presto un buon risultato in un Grande Slam. Ho detto che avrei vinto e grazie a Dio ce l’ho fatta. Ho molta fiducia nella mia squadra, ho molta fiducia nel mio lavoro e in me stesso, e nel livello che stavo mostrando. In generale non fallisci se fai un buon lavoro, se giochi con un buon livello e una buona mentalità. Alla fine i risultati arrivano. Potrebbero arrivare prima o poi, ma arrivano. E a me è accaduto agli US Open 2022. Segreti? Penso al coraggio con cui gioco. Non ho paure, non importa chi sia il rivale. È stato la base per ottenere i risultati che ho già raggiunto. Ho sempre preso tutto in modo naturale per affrontare i migliori. Quell’ambizione mi ha reso quello che sono adesso”.
    Altrettanto importante quest’analisi riguardo al suo modo di giocare. Il fatto di possedere una certa varietà lo rende un tennista con schemi diversi e quindi più difficile da affrontare: “Penso che la creatività sia molto importante perché l’avversario non può prevedere cosa farai. Ci sono giocatori che finiscono sempre per fare lo stesso schema e questo non va bene per arrivare in alto. Oggi studiare le partite e i rivali è importante, e quando ti studiano se sanno che farai sempre più o meno sempre lo stesso, è più facile per loro metterti in difficoltà. Ecco perché la creatività e riuscire a fare un po’ di tutto è un’arma in più. Nel mio caso ho un gioco che mi permette di poter attuare molti schemi, è fondamentale e mi rende imprevedibile“.
    Alcaraz crede che l’esser cresciuto in un contesto tranquillo l’hai aiutato a diventare quel che è oggi: “Venire da una zona tranquilla, da un paesino dove tutti ti conoscono, dove uscivo con i miei amici e dove ci conosciamo praticamente tutti, aiuta. Aiuta a non andare troppo lontano, in modo che la fama non ti dia alla testa, a non fare cose che non ti fanno bene. In generale ho gestito tutto molto bene, con la mia famiglia, con i miei amici, con il mio team… sono persone molto serie, professionali. Ed è anche per questo che sono sulla strada giusta. Considero la fama come qualcosa di naturale, ma alla fine conduco una vita normale, anche se è vero che sono un po’ più famoso di prima. Sono molto vicino alle persone e mi piace continuare così, perché vedo come mi incoraggiano”.
    Un piccolo rimpianto Alcaraz ce l’ha, non aver giocato contro Federer: “Sì, la verità è che mi sarebbe piaciuto tantissimo giocare contro Roger, sarebbe stato un sogno. Ho giocato contro Rafa e contro Novak, non sono riuscito a giocare con Federer. È un peccato. Amavo il suo tennis. Mi piaceva guardarlo giocare. Sono cresciuto guardando le sue partite, giocava in modo incredibile”.
    Alcaraz potrebbe trovare come primo avversario Fabio Fognini se il ligure batterà al 1° turno Laslo Djere. Un’eventuale sfida con Musetti invece potrebbe avvenire solo in finale, visto che Lorenzo è nella parte bassa del tabellone. Tutti abbiamo ancora in mente la straordinaria finale di Amburgo 2022, dove il carrarino superò lo spagnolo regalandosi il successo finora più importante in carriera. La speranza, anche per lo spettacolo che questo incrocio può potenzialmente regalare, è che le sfide tra Carlos e Lorenzo possano diventare un “classico” sulla terra battuta. E non solo.
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    La diversità dei tennisti USA. Gilbert: “I nuovi giovani sono tutti diversi. Finalmente…”

    Sebastian Korda a Melbourne (foto Getty Images)

    La novità più interessante degli ultimi Australian Open è stata certamente il ritorno del tennis a stelle strisce. Alla fine il titolo è andato al più forte, Novak Djokovic, ma è indubbio che gli statunitensi dopo anni di vacche magrissime sono tornati protagonisti. Tommy Paul è giunto in semifinale, due giovani come Korda e il sorprendente Shelton nei quarti. Nonostante il deludente torneo di Taylor Fritz, considerato da molti alla vigilia uno dei possibili “underdog”, i tennisti americani hanno confermato la crescita generale del loro movimento che, anche a livello di quantità, è tornato ad essere importante. Nel ranking ATP di questa settimana infatti c’è un top10 (Fritz), altri due top20 (Tiafoe e Paul) e in totale ben 10 nei primi 50. Ancor più interessante il dato se rapportato all’età dei top50: eccetto il super veterano Isner (37 anni), gli altri sono tutti al massimo 25enni. 
    Oltre all’ottimo numero di giocatori a stelle e strisce nei piani alti della classifica, quello che è interessante sottolineare è la diversità degli stessi giocatori. Tutti tennisti piuttosto offensivi, dotati di un tennis aggressivo alla ricerca del punto vincente, ma con caratteristiche tecniche e peculiarità assai diversificate. Si va infatti dal gioco a tutto campo di Fritz a quello più estemporaneo di Tiafoe, continuando con la progressione di Paul, pulizia d’impatto ed eleganti geometrie di Korda, la continue variazioni “sotto ritmo” di Brooksby, la potenza dirompente di Shelton, la fantasia di Wolf, il super servizio di Opelka, la capacità difensiva e pressing di Nakashima. C’è davvero un po’ di tutto e questo non è affatto scontato per il tennis USA. Uno dei principali “problemi” che ha afflitto le ultime generazioni di giocatori statunitensi è stato proprio la mancanza di diversità, l’aver perseguito un solo modello di gioco: gran fisico, servizio potente e diritto pesante su palla alta. Stop. Un idealtipo che ha certamente funzionato qualche lustro addietro, quando il tennis si stava spostando verso un gioco sempre più aggressivo e di pressione da fondo campo, ma non più sufficiente dal nuovo millennio, quando i migliori giocatori al mondo sono diventati via via sempre più completi, rapidi, flessibili e pronti a passare da difesa ad attacco con un bagaglio tecnico mediamente piuttosto evoluto. Non è un caso da molti anni il tennis di vertice è Europa-centrico: tennisti cresciuti con scuole più reattive al cambiamento, con l’ausilio del tennis sul “rosso” che permette da giovanissimi di affinare meglio la tecnica dovendo affrontare situazioni di gioco meno uguali rispetto ai campi rapidi; con maestri e accademie che hanno maggiormente assecondato le peculiarità di ogni ragazzo, invece di forzarne la direzione tecnica verso un solo modello. Tutti tendono all’efficacia più che alla fantasia, ma lasciando comunque spazio alla differenziazione. Del resto, è la differenza e l’unicità che creano un crack. Un vantaggio competitivo.
    Proprio questo ha parlato Brad Gilbert, ex top10 poi coach e oggi stimato analista di tennistv. Il californiano ha confermato le parole di Shelton in merito alla sua capacità di giocare molto bene anche su terra battuta, e che mediamente i giovani tennisti statunitensi arrivati nei piani alti del ranking hanno un tennis più completo, moderno e soprattutto vario tra di loro.
    “Dopo molti anni, credo che nel 2023 e da qua in avanti potremo (tennis statunitense) fare bene anche in Europa in primavera sulla terra battuta. Prendiamo per esempio Ben: con quel servizio esplosivo, la sua forza nelle gambe e il suo movimento eccellente da fondo campo, Shelton potrebbe essere molto interessante sulla terra battuta”. afferma Gilbert.
    “Sono sicuro di una cosa, e non da oggi: i tennisti americani non sarebbero tornati ai vertici della disciplina finché non fossero diventati abbastanza bravi sulla terra battuta. Non è un discorso di vincere i tornei lì, ma per la qualità del gioco espresso. Troppi dei nostri ragazzi erano solo un servizio e un dritto. Da anni questo non basta più. Ora molti dei nostri ragazzi sono più atletici, quindi possono fare più cose. La cosa bella dei giocatori USA attuali è che giocano tutti in modo diverso. Non sono lo stesso tipo di giocatore, ed è interessante osservarli”.
    “Abbiamo avuto un lungo periodo in cui i nostri ragazzi hanno saltato quasi del tutto la stagione sulla terra battuta”, conclude Brad. “Diversi anni fa avevi forse uno o due ragazzi nei tabelloni dei maggiori tornei in Europa, erano exploit isolati. Credo che nessuno di loro si sentirà solo quest’anno, avrà altri connazionali in gara”.
    Un punto di vista interessante che conferma in pieno la nostra visione. Il tennis si è spostato sempre più verso atleti migliori, con poche debolezze importanti e capaci di rendere lungo tutto l’arco dell’anno. Per tornare ai vertici, anche il “gigante” USA ha dovuto rimboccarsi le maniche e studiare il lavoro fatto (bene) in Spagna, Italia, Francia, nelle migliori accademie e centri di allenamento di alto livello europei. Vedremo se in questa nuova generazione a stelle e strisce ci sarà finalmente un campione Slam, manca da venti anni (Andy Roddick – US Open 2003). Oltre a Fritz, è molto probabile che già alla fine di questa stagione altri tennisti statunitensi siano in top10 o a ridosso, e soprattutto protagonisti nei massimi appuntamenti.
    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO

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    Incredibile in Messico: i migliori tennisti del paese boicottano in blocco la Davis

    Miguel Angel Reyes Varela e Santiago Gonzalez

    Tennis di alto livello & Mexico, due parole ormai agli antipodi da moltissimi anni. Sono passati secoli sportivi da quando Raul Ramirez era un tennista di vertice (n.4 nel 1976), o da quando Leonardo Lavalle a metà anni ’80 teneva “alta” la bandiera tricolore con l’aquila negli eventi del Gran Prix, stazionando in top 100. Poi quasi il nulla. Che il movimento tennistico messicano sia ridotto ai minimi termini da molti anni è fatto noto e consolidato. Nonostante il paese nord americano organizzi da anni uno degli ATP 500 più apprezzati ad Acapulco e da qualche stagione sia entrato anche un 250 a Los Cabos (vinto da Fognini, tra gli altri), e che vengano disputati molti Challenger di buonissimo livello nel paese, il movimento nazionale ristagna.
    Motivi? Molti, tutti negativi e concordanti. Innanzitutto gli scarsi investimenti della non certo ricca federazione locale, ben poco impegnata anche nel reperire sponsor e risorse per un rilancio e riorganizzazione del sistema, una mancanza di atleti di ottimo livello (dirottati in altri sport, soprattutto baseball e calcio), e pure una lega nazionale per club che recluta le poche discrete racchette e ben le paga, finendo così per impoverire ulteriormente il numero dei pochi talenti disponibili a sacrificarsi per tentare la scalata nel difficile mondo Pro. Una situazione sportivamente pessima e di difficile soluzione, tanto che dei tennisti messicani si è completamente perso traccia da molti anni. Il miglior messicano nel ranking è Ernesto Escobedo (n.320), nato negli USA e per anni sul tour come statunitense, poi passato al paese di origine dei genitori. Il secondo “miglior” tennista è addirittura al n.625 questa settimana, Alex Hernandez (23 anni). Solo qualche doppista riesce a restare nel tour maggiore. In pratica, un deserto degno di quello aridissimo di Sonora.
    A far tornare il Messico nel radar del mondo tennistico una clamorosa decisione dei migliori tennisti del paese: boicottare in blocco la Coppa Davis. L’ha comunicato via social e alla stampa Santiago Gonzalez, 39enne ancora a buon livello in doppio (attualmente n.27 ATP di specialità). Scrive il nativo di Cordoba: “Dichiarazione ufficiale ai media e al tennis messicano. In allegato i motivi per cui non parteciperemo alla Coppa Davis Messico vs Taipei cinese a Metepec, Stato del Messico, il 4 e 5 febbraio. Firmato: i giocatori della squadra messicana della Coppa Davis. 30 gennaio 2023”. Ecco il comunicato allegato.
    “Per noi è sempre stato un grande orgoglio rappresentare il nostro paese in Coppa Davis (…). Dopo una difficile consultazione tra di noi e diversi tentativi di dialogo con la Federazione messicana di tennis alla ricerca della migliore funzionamento della squadra rappresentativa e della stessa Federazione Messicana di Tennis, non è stata raggiunta alcuna conclusione positiva e, pertanto, abbiamo deciso di non partecipare alla sfida contro China Taipei a Metepec, Stato del Messico. (…). La mancanza di comunicazione, zero pianificazione con la squadra e mancanza di interesse nel migliorare le condizioni di gioco dimostrano che la situazione non è stata affrontata in modo corretto e che gli interessi personali hanno avuto la meglio su quelli strettamente sportivi. L’ITF cerca come priorità che le squadre che disputano la Coppa Davis abbiano i migliori elementi possibili, oltre a soddisfare gli standard ottimali per la più grande competizione sportiva mondiale di tennis per nazioni. È triste che la FMT non abbia gli standard minimi nel trattare e pianificare con i migliori rappresentanti nazionali. L’ITF è consapevole delle nostre ragioni per non far parte di questa serie. Il nostro unico desiderio è cooperare correttamente, lavorare tutti assieme tra giocatori, tecnici, federazione e organizzatori degli eventi. Siamo a disposizione per collaborare ad una programmazione futura degli eventi della nazionale”. Poi la firma di tutti i migliori, Escobedo, Gonzalez, Hernandez, Verdugo e via dicendo, singolaristi e specialisti del doppio. Tutti in pratica.
    Una presa di posizione durissima, con ben pochi precedenti così in blocco e totale del movimento Pro di un paese, che di fatto renderà impossibile – a meno di una mediazione last minute – lo svolgimento della sfida Messico – China Taipei il prossimo fine settimana presso il Club Deportivo la Asunción. A meno che non venga deciso di mandare in campo dei ragazzi per non perdere a tavolino.
    Al momento la federazione, sul proprio account Twitter, non ha commentato la dichiarazione e si è limitata a promuovere le partite, come se niente fosse. In pieno Mexican-Style, “canta che ti passa”… Purtroppo alla fine, i nodi vengono al pettine.
    Torneremo su questo tema parlando della situazione tennistica di un paese tanto bello quanto in difficoltà nel nostro sport.
    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO