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    Tai Aguero, eterna campionessa: “Sono i miei bambini a tenermi in forma”

    Di Francesca Ferretti
    Due ori olimpici e due mondiali con Cuba, due successi agli Europei con l’Italia, due scudetti, cinque Coppe Italia, una Coppa delle Coppe, una Coppa CEV: Taismary Aguero, per tutti Tai, è una vera e propria leggenda del volley italiano. Anche per la longevità della sua carriera, che l’ha vista protagonista di ben 19 stagioni in Serie A: l’ultima ancora in corso, con la maglia dell’Exacer Montale. A intervistarla in esclusiva per Volley NEWS è un’altra campionessa come Francesca Ferretti, che ha vissuto con lei tante esperienze in azzurro (e una anche nelle squadre di club, nel 2001-2002 a Perugia).
    Innanzitutto come stai? Ho visto che sei ritornata in campo dopo il brutto infortunio al tendine d’Achille. Sei davvero un esempio di tenacia e volontà…
    “Diciamo che ci vuole coraggio dopo un infortunio così grosso. Sono contenta, perché ancora mi diverto e quando mi capita di vedere qualche partita in TV mi vengono dei bei ricordi“.
    Quanto ti manca Cuba? Riesci a tornare ogni tanto, almeno in periodo pre-Covid?
    “L’Italia è il mio paese adottivo sono già 20 anni che sto qua, poi c’è mio marito, i bimbi e altre persone a me care… Ma Cuba è la mia terra, ci sono i miei fratelli e i miei nipoti, che non vedo l’ora di riabbracciare“.
    Due ori olimpici, solo a pensarci vengono i brividi. Che ricordi ti porti dietro di quelle medaglie e di quella squadra di fenomeni che eravate?
    “Credo di aver giocato con e contro le giocatrici più forte al mondo già per me quello era una vittoria. Poi aver vinto tanti ori, non solo olimpici ma anche mondiali, ha completato il mio sogno… semplicemente fantastico!“. 
    La Despar Perugia è il primo club italiano in cui hai giocato e la prima città italiana che ti ha accolta (abbiamo anche fatto un anno insieme nel 2001). Cosa significa questo luogo per te?
    “A Perugia devo tanto, devo tanto a Barbolini, Carlo Iacone e Alfonso Orabona che mi hanno accolta in squadra dopo aver lasciato la nazionale cubana. Una vera famiglia, che mi ha preso a cuore e che ancora adesso mi vuole bene. Poi è stato bello giocare con te, quante risate e quante vittorie con una grande squadra e contro tante avversarie forti“.
    Hai fatto la scelta di giocare per il nostro paese (e noi ancora ti ringraziamo) aiutandoci a portare a casa due ori europei e una World Cup. Proprio in Giappone ti sei ritrovata a giocare contro la tua Cuba. Quali sensazioni hai provato? È stato difficile?
    “Giocare nella nazionale italiana è stato bello, eravamo un bellissimo gruppo, e avere delle persone che ti stimavano mi ha aiutato tanto. Anche contro Cuba mi sentivo protetta, ma provavo tante emozioni allo stesso tempo“.
    Hai due splendidi bimbi, Pietro e Rafael. Ma la tua passione per la pallavolo e la voglia di andare in palestra non si ferma mai: qual è il tuo segreto? Dove trovi le energie e le forze per far conciliare tutto?
    “Sono proprio Rafael e Pietro a tenermi viva, non mi stanco mai e questo è un bene, perché mi aiutano a tenermi in forma non solo fisicamente ma anche mentalmente“.
    Parliamo del presente: sei la bandiera della Pallavolo Montale da due anni. Hai tante giovani intorno a te, da far crescere e per le quali essere d’esempio. Che campionato è quello attuale di A2?
    “Diciamo che il campionato di A2 è  tanto impegnativo come quello di A1: non c’è una grandissima differenza, ci sono sempre 3-4 squadre più forti e poi grande equilibrio tra le altri. Con le giovani devo dire che mi sono trovata sempre bene: è la mia specialità far sì che loro crescano e migliorino sempre in tutti i fondamentali“.
    Cosa ne pensi dell’attuale nazionale italiana? Alle prossime Olimpiadi potrà essere una delle candidate al podio?
    “Penso che le ragazze della nazionale possano vincere le Olimpiadi. Basta rimanere con i piedi per terra!“. LEGGI TUTTO

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    Graziosi e Battocchio commentano a braccetto il derby tra Cantù e Bergamo

    Di Stefano Benzi
    Non capita più così spesso, soprattutto dopo una partita intensa, tesa e nervosa, che due allenatori chiacchierino amabilmente a fine gara tra di loro e si facciano intervistare insieme. Ma Libertas Cantù-Agnelli Tipiesse Bergamo è stata anche questo, uno 0-3 (23-25, 23-25, 23-25) bugiardo sotto l’aspetto dei valori che si sono visti sul campo perché raramente, soprattutto quest’anno, si è visto un risultato così netto con parziali così incerti. Una partita di rarissimo equilibrio, forse la più bella del campionato.
    È proprio Gianluca Graziosi, il coach che ha vinto, a “consolare” il collega Battocchio: “So bene che cosa significa perdere in questa maniera e posso soltanto fare i miei complimenti a Cantù per il suo livello di gioco. É una squadra che conosco bene e che ho visto giocare spesso… Ma mai come questa sera mi avevano messo in difficoltà e avrebbero forse meritato di più. Siamo stati scaltri, forse siamo più abituati a vincere e questo ci ha dato una mano. La partita è stata meravigliosa, una delle più belle a cui abbia avuto modo di assistere in questi ultimi anni“.
    Bergamo si è sempre trovata sotto ed è stata costretta a rimontare, con freddezza, pazienza e attenzione. E non sono sfuggiti alcuni momenti di nervosismo quando, soprattutto nel terzo set, Cantù è stata a un passo dal conquistare la frazione e cambiare le sorti dell’incontro. Finito il match tutto finisce e gli atleti giocano il loro terzo tempo sotto rete, chiacchierando, scattando selfie anche se per i brianzoli buttare giù l’amaro della sconfitta del genere è dura.
    “Brucia – ammette Matteo Battocchio – perché oggi abbiamo veramente giocato una grande partita e siamo stati molto bravi. Abbiamo avuto ancora difficoltà, ma abbiamo fatto di tutto per rendere loro la vita difficile. Ci sono mancati pochi dettagli in ognuno dei tre set, ma alla fine il dettaglio più importante è che loro sono oggettivamente più forti. Quando si fa sport questa è la prima cosa che devi riconoscere quando ti trovi di fronte un avversario del genere. Bergamo ha un grande futuro“.
    Se Cantù, ancora largamente incompleta, continua così, anche la Libertas ha tutte le potenzialità per concludere in crescendo. Con un ottimo Regattieri in regia al posto del palleggiatore estone Viiber che nel recupero non poteva giocare (la gara originariamente era precedente al suo ingaggio, siglato il 24 dicembre), Cantù ha molti rimpianti. Ma non riguardano la partita con Bergamo: “Se posso essere franco e un filino esplicito – dice Battocchio – sono davvero molto incazzato che ad alcune squadre sia stato concesso di recuperare le gare come volevano e a noi abbiano imposto di giocare ogni due giorni mandandoci al massacro. Così abbiamo buttato otto gare su ventidue, più di un terzo della regular season. È stata una cosa davvero inaccettabile“. LEGGI TUTTO

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    Alberto Cisolla, il futuro è in campo: “Mi diverto ancora troppo a giocare”

    Di Stefano Benzi
    È una regola un po’ fastidiosa: quando si vede un grandissimo talento estremamente giovane si chiede sempre se e quando farà il suo esordio. Quando ci si confronta con un giocatore veterano, con tante battaglie alle spalle, gli si chiede quando deciderà di smettere. Sembra che l’unica notizia che conta sia la pensione. E invece la notizia che riguarda Alberto Cisolla è che la pensione può attendere.
    Altra cosa spietata, si snocciolano i dati: a cominciare dagli anni. Per lo schiacciatore i prossimi sono 43 (a ottobre), più di trenta dei quali su un campo da volley, 26 a tempo pieno dalla giovanile della Sisley in poi. 17 stagioni in A1 (Treviso, Lube, Roma, Latina e Vibo) e 7 in A2 (Ortona e Brescia, dal 2015 a oggi). Quest’anno Cisolla festeggerà 25 anni di Serie A: esordio a Montichiari nella vittoria della Sisley Treviso per 3-1 della terza giornata, era il 13 ottobre 1996. Il suo allenatore era il mitico Kim Ho Chul e il rally point system ancora non c’era.
    Quasi 400 partite in Serie A (381 per quelli precisi) e 3844 palloni nel campo avversario. Ma anche migliaia di riscaldamenti ed esercizi di stretching; a occhio e croce più di 20mila ore di palestra, tonnellate e tonnellate di pesi. Il tutto con qualche infortunio a corollario di un curriculum vitae impressionante.
    Ma Alberto Cisolla non sente la fatica: “È un lavoro, o meglio, bisogna considerarlo e definirlo tale – dice lo schiacciatore – ma io mi diverto ancora troppo. La mia più grande passione è diventata il mio lavoro. E chi vorrebbe mai rinunciare a uno stato di grazia come questo? È bello tornare in palestra, stare con ragazzi più giovani di me, dare qualche consiglio e offrire il mio contributo. Sicuramente le trasferte pesano, ma alla fine il saldo è attivo e non ho alcuna intenzione di rinunciare a tutto questo“.
    Foto Reporter Zanardelli
    L’atteggiamento di Cisolla in campo è esemplare. Basta un cenno o uno sguardo per rincuorare i compagni: “Ho avuto la fortuna di trovare sulla mia strada persone che mi hanno aiutato e insegnato tanto, e che trent’anni fa mi hanno curato con la stessa attenzione. Bernardi, Gardini, Tofoli, Zorzi… È un patrimonio che fa parte del mio DNA, e come tale lo passo ai ragazzi più giovani che mi circondano“.
    Il primo che non vuole sentire parlare di possibile ritiro per Cisolla è il suo tecnico, Roberto Zambonardi: “Cisolla deve rassegnarsi, perché se dipende da noi starà in campo ancora per un bel pezzo. Brescia non gli dirà mai basta – dice l’allenatore della Gruppo Consoli Centrale del Latte – per noi è un campione. Ci offre un punto di vista, un’esperienza e un atteggiamento che sono diventati irrinunciabili. Dal punto di vista tecnico e tattico è ancora uno dei più forti, uno che può fare la differenza. Gli siamo riconoscenti e siamo solo felici del fatto che il nostro ambiente, per lui, sia ancora quello ideale“. LEGGI TUTTO

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    Elizabet Inneh-Varga, la grande speranza dell’Ungheria

    Di Alessandro Garotta
    La pallavolo ha una storia relativamente giovane, i movimenti nazionali che più l’hanno nutrita hanno avuto alti e bassi nei circa 120 anni della sua esistenza, ma quasi nessuno di loro è davvero scomparso. Quasi nessuno ha vissuto un declino tale da non poter essere più considerato competitivo per decenni in un torneo internazionale. Tra le pochissime eccezioni troviamo l’Ungheria. 
    Magari qualcuno ricorderà la selezione femminile ungherese di Ágnes Torma, Éva Sebők-Szalay e Gyöngyi Bardi-Gerevich a cavallo degli anni ’70 e ’80, proprio come si fa con le civiltà perdute e le epoche storiche così lontane nel tempo da risultarci indecifrabili. L’ultima volta che questa Nazionale si è qualificata alle Olimpiadi era il 1980 e non era stato ancora introdotto il sistema 5-1 (un solo alzatore); l’ultima volta che si è spinta fino al podio europeo era il 1983 e non era ancora crollato il muro di Berlino.
    Negli ultimi trent’anni, però, il paese ha praticamente smesso di produrre grandi talenti, come se avesse all’improvviso disimparato una cosa che gli riusciva con naturalezza. Ma oggi c’è una nuova speranza: si chiama Elizabet Inneh-Varga, è l’opposta del Fatum-Nyíregyháza e un giorno sogna di vestire la maglia dell’Ungheria per riportarla sulla mappa del volley mondiale. Prima, però, deve attendere che si risolva la contesa tra la Federazione magiara e quella della Romania, paese in cui è nata e che rivendica la sua nazionalità sportiva. Nel frattempo, la giovane giocatrice si è espressa in esclusiva ai microfoni di Volley NEWS. 

    Ci racconti qualcosa di lei. Chi è Elizabet Inneh Varga? 
    “Sono una ragazza di 21 anni, nata a Budapest, e cresciuta tra la capitale ungherese e Oradea in Romania. Sono un po’ timida con le persone che non conosco, ma allo stesso tempo molto cordiale. Cerco di essere sempre diligente e dare il massimo in tutto quello che faccio, soprattutto per quanto riguarda la pallavolo“. 
    Come ha scoperto il suo talento per il volley? 
    “Ho iniziato a giocare a 11 anni, dopo aver provato un sacco di altri sport, come l’atletica, la pallamano e il basket; però, il volley aveva qualcosa di speciale e mi piaceva di più. Da quel momento la mia passione è diventata più grande giorno dopo giorno. Ricordo bene i miei primi tornei, la prima volta a vedere una partita delle ‘grandi’ di A2 al palazzetto, ma soprattutto ricordo che non mi perdevo le partite trasmesse in TV per nulla al mondo: ammiravo quelle giocatrici e il mio sogno era di diventare brava come loro. Così ho cominciato a prendere la pallavolo molto seriamente e non mi sono mai fermata“. 
    È considerata un grande talento: per lei è uno stimolo a fare sempre meglio? 
    “Sicuramente fa piacere questa buona considerazione, ma io cerco sempre di dare tutta me stessa indipendentemente dalla partita o dagli stimoli esterni“. 
    Come mai non è ancora stata convocata nella selezione ungherese? C’è una ragione particolare? 
    “Il mio percorso come giocatrice è iniziato in Romania e al momento la mia Federazione di Origine è quella rumena; tuttavia, spero presto di avere l’onore e l’opportunità di rappresentare il mio paese natale, l’Ungheria“.  
    Qual è la sua migliore qualità quando è in campo? E dove crede di poter migliorare?
    “Sono una persona molto positiva, quindi cerco sempre di sostenere e aiutare le mie compagne, mettendo la squadra prima di tutto. Penso di avere grandi margini di miglioramento in tutti i fondamentali, senza dimenticare che l’aspetto mentale è altrettanto importante: a volte, mi capita di innervosirmi troppo prima delle partite, ma per fortuna sto imparando a gestire queste situazioni“. 
    Questa è la sua quarta stagione al Fatum Nyíregyháza. Come si trova e quali sono le sue sensazioni dopo questa prima parte di campionato ungherese? 
    “Sono molto contenta di far parte di questo club: qui ho trovato una seconda famiglia e vissuto tanti bei momenti. Per quanto riguarda il campionato, abbiamo avuto un buon avvio e siamo al secondo posto, avendo perso solo una volta. In generale, c’è grandissimo equilibrio, con tante squadre dello stesso livello: ogni partita è interessante e avvincente“. 
    Qual è stato il momento più bello della sua carriera finora? 
    “Conservo nel mio cuore tanti ricordi positivi legati alla pallavolo, ma se proprio dovessi sceglierne qualcuno direi le vittorie della Coppa di Ungheria con la mia squadra nel 2018 e nel 2019. In quelle occasioni ho provato emozioni indescrivibili“. 
    Dove si vede tra cinque anni? 
    “Ora è difficile da dire, ma senza dubbio farò del mio meglio per fare più strada possibile nel prosieguo della mia carriera“. 
    Un sogno nel cassetto? 
    “Il mio sogno più grande è arrivare a giocarmi un titolo in una fase finale di una competizione internazionale o un campionato importante“.  LEGGI TUTTO

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    Gianluca Graziosi tiene a bada l’Agnelli Tipiesse: “Sono giovani molto affamati”

    Di Stefano Benzi
    Una squadra che è reduce da un periodo complicato, con il trasferimento a Cisano Bergamasco e la fusione tra due sponsor. Un progetto che non si è ridimensionato ma ha semplicemente cambiato contesto e cerca di stare a galla in un momento complicatissimo con tanti costi, sponsor sempre meno disponibili e un campionato estremamente competitivo.
    Bergamo, la città più colpita dalla prima ondata del Covid-19, ha reagito alla pandemia con il consueto pragmatismo. Il club femminile ha cercato di proseguire il suo percorso riducendo al minimo i costi e trovando un grande sostegno anche da parte dei tifosi, che hanno contribuito con una sottoscrizione a pagare le spese di iscrizione e il cui marchio – Nobiltà Rossoblù – compare anche sulla maglia del club. L’Agnelli Tipiesse, invece, si è trasferita in provincia, nel piccolo comune di Cisano, seimila abitanti. Ha incassato con soddisfazione la fiducia di alcuni sponsor, ha ridotto i costi e si è concentrata intorno al piccolo PalaPozzoni, un impianto messo a disposizione al Comune.
    Gianluca Graziosi, tecnico riconfermato, ha costruito una squadra giovane e ambiziosa con qualche eccellenza è un paio di individualità di spicco ma, soprattutto, con una determinazione feroce, che sembra essere perfettamente ritagliata su quelle che sono le caratteristiche del luogo e della sua gente. La vittoria di mercoledì contro Taranto è arrivata al termine di una partita a muso duro, condotta con ferocia agonistica.
    Graziosi spiega così il carattere della sua squadra: “È un bel gruppo che sta dimostrando molto attaccamento al lavoro e una grande determinazione. Lavorano sodo, si trovano bene, si fanno coraggio a vicenda e soprattutto non hanno paura di nulla. Sotto l’aspetto competitivo è una di quelle squadre che di tanto in tanto devo anche tenere un po’ a freno. Sono giovani, anche in allenamento basta buttargli lì un po’ di esca e sono pronti a sbranarsi, tanto che a volte devo intervenire per dar loro una calmata. Ma va bene così perché sei in un gruppo c’è ambizione e competizione, soprattutto in un campionato come il nostro, non puoi chiedere di meglio“.
    L’anima della formazione è Juan Ignacio Finoli, palleggiatore argentino già visto a Catania. Due mani precise e il carattere di chi ha giocato un po’ ovunque e non si tira dietro davanti a nulla. In campo sollecita i compagni anche a muso duro quando serve. E ogni tanto serve. In diagonale con lui Andrea Santangelo, opposto di potenzialità fisiche impressionanti, lo scorso anno in Corea del Sud. Un gigante buono ma con un polverizzatore al posto del braccio destro: quando Finoli lo scatena fa paura.
    Graziosi si gode la lenta crescita di una squadra interessante: “Da quello che sto vedendo, considerando tutte le difficoltà di un avvio di stagione estremamente complicato, credo che tutto questo gruppo abbia un margine di miglioramento ancora notevole. Santangelo è la nostra arma in più, è sicuramente un giocatore di grande importanza, anche se fino ad oggi non è stato fortunato. É stato colpito dal Covid in modo molto forte e sta impiegando del tempo per tornare in forma. Ha bisogno di calma, di tranquillità e di giocare molto“.
    Ma l’elemento in assoluto più interessante di Bergamo è quello che forse fa meno notizia degli altri: si chiama Francesco D’Amico, gioca libero, ha soltanto vent’anni e si conferma uno dei talenti più giovani e interessanti della A2 dopo due stagioni alla Golden Plast Potenza Picena e una a Civitanova in A3 lo scorso anno. LEGGI TUTTO

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    Jenny Barazza: “Mi emoziona ancora vedere mia figlia in palestra”

    Di Francesca Ferretti
    Con Jenny Barazza ho condiviso gli anni più belli e vittoriosi della nazionale Seniores. Silenziosa ma presente, pungente, cinica e sempre pronta nel momento che conta, oggi Jenny è anche mamma della splendida Luisa e di questo (ma non solo) abbiamo parlato nella nostra intervista!
    Partiamo dal presente: da 3 anni hai scelto di tornare a “casa” in Sardegna e continuare a giocare in Serie A2 con l’Hermaea Olbia. E’ stata stata una scelta di vita?
    “Diciamo di sì, visto che, concluso il mio contratto con Conegliano, ho deciso di iniziare un nuovo percorso di vita a Olbia, dove avevo costruito casa e dove mia figlia avrebbe iniziato la prima elementare. È arrivata, subito dopo, la proposta di giocare nell’Hermaea Volley Olbia, che ho accettato con molto entusiasmo, sicura di poter conciliare al meglio la carriera sportiva, quella di mamma e quella di collaboratrice nella nuova azienda di mio marito“.
    Nel 2010, poco prima del Mondiale in Giappone, hai scoperto di essere incinta. Cosa ricordi di quei momenti?
    “È stato sicuramente un momento indimenticabile carico di emozioni. Una sorpresa bellissima che ha reso me e mio marito pazzi di gioia“.
    Quanto è stato difficile, una volta diventata mamma, conciliare il tutto, palestra, bimba e famiglia?
    “Come ogni mamma, ho semplicemente cercato di organizzare il mio tempo in funzione di mia figlia… Ho avuto una grossa mano da mio marito, che era sempre presente nonostante gli impegni, e poi da una fantastica babysitter, che mi aiutava soprattutto nei primi mesi in cui ho ricominciato a giocare. Non nascondo che sia stato molto difficile, soprattutto all’inizio, ma poi ho trovato il giusto equilibrio. Insomma, ho cercato di fare del mio meglio, come tutte le mamme!“. 
    Foto Instagram Jenny Barazza
    Che sensazioni ti suscita il poter abbracciare la tua bimba a bordo campo a fine partita, e soprattutto che lei veda la sua mamma giocare?
    “È sempre emozionante vederla sugli spalti. Ancora oggi i suoi sorrisi mi spiazzano sempre come se li vedessi per la prima volta“.
    Luisa sta seguendo le orme della mamma nello sport?
    “A Luisa piace stare in palestra ed è una grande tifosa, ma ancora non ha deciso quale sport intraprendere con costanza. La pallavolo per lei è il lavoro di mamma, non ancora una passione tutta sua“.
    Hai indossato la maglia della Foppapedretti Bergamo per 6 anni, vincendo 2 scudetti, 2 Coppe Italia, 1 Supercoppa, 1 Coppa CEV e 3 Champions League: forse gli anni più belli della tua carriera, che ti hanno consacrata a livello mondiale come una delle centrali migliori in circolazione. Cosa significa Bergamo per te?
    “Bergamo è stata una tappa importante e indimenticabile della mia carriera, non solo per i titoli vinti, ma per la possibilità di giocare, allenarmi e condividere momenti con giocatrici fortissime, da cui ho imparato tanto. Ho trascorso 6 anni in quella bellissima città, e non posso far altro che portarla nel cuore e mantenere i contatti con persone del luogo e tifosi bergamaschi che non hanno mai smesso di starmi vicino“.
    Dal 2013 al 2017 hai indossato la maglia dell’Imoco e anche lì hai ottenuto tantissimi successi: scudetto, Coppa Italia e Supercoppa. Com’è stato tornare a giocare e vincere a casa tua, dove tutto era partito, dalla piccola cittadina di Codognè?
    “L’esperienza con Conegliano è stata molto emozionante, perché giocavo a casa, tra la gente con cui sono cresciuta, e sentivo per questo una grande responsabilità. È stata una escalation di successi e io ho dato il mio contributo fin quando ho potuto esserne all’altezza“.
    Agenzia Uffici Stampa DirectaSport
    Hai fatto parte del ciclo vincente della nazionale di Barbolini. Qual è il ricordo più bello? E il rammarico più grande?
    “La parte della mia carriera in nazionale con Barbolini è quella che ricordo con maggiore gioia, perché abbiamo vinto tanto insieme, ma tutta quanta la mia esperienza con la maglia azzurra è stata fondamentale per la mia crescita come persona e come atleta. Sarà difficile dimenticare ogni secondo del primo Europeo vinto, e allo stesso tempo non potrò mai scordare quella maledetta partita delle Olimpiadi di Pechino contro gli USA“.
    Oltre a quella, esiste una partita che, se ci ripensi, ancora oggi fa male?
    “Non c’è una sconfitta che ricordi che non bruci ancora…“.
    Quali sono i tuoi progetti futuri? Sono sempre legati alla pallavolo?
    “Ce ne sono tanti, alcuni legati alla pallavolo, altri no. Ma di sicuro non potrò mai smettere di guardare una piccola pallavolista giocare senza emozionarmi e rivedere in lei la grande passione per questo sport che mi ha accompagnato in tutti questi anni“. LEGGI TUTTO

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    Simone Parodi aspetta Ortona: “Stiamo bene, ma ci manca l’agonismo”

    Di Giovanni Saracino
    Salvo imprevisti delle prossime ore, domenica al PalaMazzola, a distanza di quasi un mese dall’ultima gara ufficiale disputata (25 ottobre contro Cantù), la Prisma Taranto tornerà ad assaporare il clima agonistico della partita vera, contro la capolista Sieco Service Ortona. “Stiamo bene, ci siamo allenati tanto, non siamo ancora al top ma abbiamo trovato una buona condizione fisica. Ci è mancato l’ agonismo, il ritmo partita, la tensione di una gara vera” afferma Simone Parodi, uno dei giocatori più attesi nella squadra pugliese, favorita per la promozione in Superlega.
    Ortona, forse, è l’avversario meno indicato per riprendere confidenza con l’agonismo…
    “Eh sì (sorride al telefono, n.d.r.). Diciamo che è una squadra che sta giocando molto bene, è in forma, sbaglia molto poco, regala quasi nulla, anche se accusa qualche assenza nello starting six (i martelli Shavrak e Sette, n.d.r.). E poi ha Cantagalli che sta dimostrando di essere un terminale offensivo importantissimo per i suoi compagni. Dobbiamo stare molto attenti“.
    Come pensate di poterli affrontare dal punto di vista tattico? Basterà arginare il solo Cantagalli?
    “Penso che se noi giochiamo bene, com’è nelle nostre potenzialità, siamo in grado di fronteggiare qualsiasi avversario. È probabile che pagheremo dazio nel primo set al fatto che ci manca un po’ il ritmo partita, ma siamo consci di essere una squadra forte. Dovremmo contenerli in attacco, battendo e murando bene“.
    In questo periodo in cui non avete giocato, hai avuto modo di vedere tante partite in tv o su internet?
    “Non le vado a cercare, se smanettando in tv ci sono, mi fermo a guardarle. Ultimamente ho visto qualche match di Superlega su RaiSport e la partita tra Brescia e Castellana“.
    Che campionato di A2 si è intravisto in queste prime giornate?
    “Sicuramente è un campionato molto equilibrato, di buon livello. Abbiamo incontrato squadre, come Brescia e Cantù, che giocano molto bene a pallavolo e che lottano sino all’ultima palla. Non esistono partite facili e per quanto ci riguarda dovremo giocare sempre al massimo delle nostre possibilità contro tutti“.
    Foto Lega Pallavolo Serie A
    Per recuperare le gare rinviate, presto potreste essere chiamati ad una sorta di tour de force, giocando ogni tre giorni. Vi sentite pronti?
    “A livello fisico speriamo di non fermarci più, perché non è semplice stopparsi e riprendere e viceversa; si vive un po’ alla giornata. Giocare a pallavolo è il nostro mestiere, le partite ravvicinate, le trasferte da affrontare non ci spaventano, purché si riesca a trovare una continuità nella programmazione“.
    Alla vigilia del campionato si sapeva che si sarebbe trattato di una stagione particolare. La realtà ha complicato ancor di più le cose..
    “Il torneo di A2 sapevamo che sarebbe stato difficile. Ora le cose si sono complicate per via di tutti questi rinvii che modificano continuamente la programmazione del lavoro in palestra di una squadra. Noi giocatori vorremmo scendere in campo al meglio delle nostre condizioni fisiche ed offrire una pallavolo di buon livello a chi ci segue. Ci rendiamo conto che sinora abbiamo giocato al di sotto dei nostri abituali standard, ma non possiamo far altro che adattarci a questa nuova situazione“.
    Pensate che il contatto con i tifosi possa essere surrogato dall’interesse suscitato dai vostri match in diretta su YouTube o dalla vostra presenza sui social?
    “Mi fa piacere che quando abbiamo giocato ci abbiano seguiti in tanti sul canale YouTube tematico della Lega Pallavolo Serie A. Quando scendiamo in campo cerchiamo di dare sempre il massimo e di divertire chi ci segue a distanza. Certo sarebbe meglio avere i nostri tifosi al palazzetto. Ci dobbiamo accontentare, per ora. Sui social qualche volta arrivano dei messaggi da parte dei tifosi che mi fanno tanto piacere. E’ un modo per stabilire un contatto ed è giusto utilizzarlo“. LEGGI TUTTO

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    Fefè De Giorgi, campione di sorrisi: “La gioia del gioco non si inventa”

    Di Stefano Benzi
    Non c’è alcun dubbio che il mondo dei social abbia completamente rivoluzionato il modo di percepire lo sport e i personaggi pubblici. Inizialmente i social network erano considerati uno strumento prezioso, utile a ridurre la distanza tra la personalità e il fan. Ma da tre, quattro anni a questa parte, quella che inizialmente era stata definita la reputation, ovvero la credibilità di un personaggio, si è trasformata in consideration: la sua potenzialità commerciale. Sui social network si vende: il cosiddetto product placement ha preso il sopravvento sui contenuti e qualsiasi star dei social è un venditore. A volte di oggetti, a volte di se stesso.
    Perdonate la lunga premessa che non ha nulla di narrativo, ma è utile a presentare un personaggio che gli appassionati dell’ultima generazione conoscono come allenatore credibile, autorevole. Persino un po’ serio. Ferdinando De Giorgi.
    L’aveste visto quando nella fase finale della sua attività di giocatore si prestava a fare le imitazioni, il comico, con il talento innato di chi così ci è nato, e non potrebbe mai esserlo a comando, avreste il quadro completo di una personalità che ha fatto molto bene alla pallavolo per la sua attitudine alla divulgazione e al coinvolgimento. Un istrione, un testimonial nato. Oggi sul campo gli toccano camicia bianca e cravatta e farlo sorridere non è facile: tuttavia, può bastare basta una domanda.
    Fefé, perché – indipendentemente dalla pandemia – oggi sembra che tutti si divertano un po’ meno e si fatica a trovare personaggi come lei, seri ma non seriosi? De Giorgi se la ride e si allenta la cravatta: “Prima c’era la stessa pressione che c’è oggi, magari anche di più, eppure si capiva lontano un miglio quanto ci divertissimo. Ogni squadra ha alchimie particolari che non possono essere ricreate artificialmente. Però forse un po’ è vero, anni fa, nonostante stress e pressione eravamo più comunicativi. D’altronde quando si gioca per grandi risultati lo stress è inevitabile e bisogna saperlo gestire”.
    Un paradosso: allora che non c’erano i social, un personaggio come De Giorgi era un comunicatore perfetto. E oggi ci tocca riscontrare che uno come lui, uno che sdogani lo sport come intrattenimento e divertimento anche fuori dai canali ufficiali, non c’è: “Sono tempi diversi, siamo persone diverse, dobbiamo goderci i giocatori che abbiamo oggi e che sono fenomenali indipendentemente dal fatto che magari non sanno scherzare davanti a una telecamera o strappare un sorriso con uno scherzo. È una questione di carattere e magari è anche l’ambiente che è cambiato. Oggi tutti sentono il peso del giudizio delle persone e del dover fare la cosa giusta, per la squadra, per lo sponsor, per l’immagine. Forse ai nostri tempi c’era un’altra leggerezza che oggi non si può costruire a tavolino. O c’è o non c’è. La gioia del gioco non si inventa, bisogna saperla esprimere: soprattutto in momenti come questo”.
    La gioia del gioco: una definizione meravigliosa quella di De Giorgi che ci trova del tutto d’accordo. Ecco cosa ci vorrebbe, ora più che mai, soprattutto adesso, che il distanziamento si definisce “sociale” e i social ci uniscono per finta in modo virtuale ma non virtuoso. Oggi ci occorrerebbero proprio un paio di scherzi di quelli di De Giorgi, come quella volta in cui… ma no. Questa è un’altra storia! LEGGI TUTTO