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    Aleksandra Uzelac, astro nascente della Serbia: “Sono competitiva dentro e fuori dal campo”

    Di Alessandro Garotta Non abbiamo mai ben capito come definire il talento nella pallavolo, né come misurarlo: è qualcosa di vago, astratto, ci sfugge dalle mani come se provassimo ad afferrare un’anguilla. È equivoco, perché quando diciamo che quella giocatrice è un talento, potremmo riferirci a una certa idea di raffinatezza stilistica, alla continuità di prestazioni, oppure alla presenza di un qualche istinto naturale che guida il libero nella difesa prodigiosa, la centrale a muro e la schiacciatrice in attacco. Questo perché il talento è spesso descritto attraverso le sensazioni che suscita in chi lo guarda, piuttosto che una serie di attributi dello stesso: è perciò un concetto altamente soggettivo. Ecco perché parlare di Aleksandra Uzelac oggi come la next big thing della pallavolo mondiale può esporci al rischio di un’euforia che potrebbe sgonfiarsi e scemare già tra qualche settimana, o mese, lasciando il ricordo un po’ imbarazzante di quella volta che non ci siamo saputi controllare. Eppure, questa schiacciatrice serba – classe 2004 – dell’OK Železničar, inserita anche da Daniele Santarelli nelle sue convocazioni per la nazionale maggiore, sembra essere davvero un diamante, neppure troppo grezzo, pronto a rivelarsi in tutta la sua brillantezza. Aleksandra, raccontaci come hai iniziato a giocare a pallavolo. “Dato che mio fratello e mia sorella praticavano sport fin da piccoli, all’età di 3 anni ho iniziato a fare danza. Più tardi, a 10 anni, sono andata al mio primo allenamento di pallavolo ed è stato amore a prima vista: in quell’occasione ho capito cosa avrei voluto fare per il resto della mia vita. Per un po’ ho praticato anche l’atletica ma, siccome crescevo molto velocemente in altezza, ben presto ho deciso di dedicarmi solo al volley“. Quando hai capito che stavi migliorando velocemente? “Ho capito che stavo iniziando a migliorare quando a 13 anni sono stata chiamata per la prima volta nelle nazionali giovanili; successivamente, sono arrivate convocazioni in tutte le varie categorie. Così, con tanto lavoro e grande dedizione sono riuscita a bussare alle porte del grande volley, fino a ritrovarmi ai collegiali della nazionale maggiore della Serbia“. Foto Volleyball World Qual è stato il momento più bello della tua carriera finora? “Lo sport regala a chi lo pratica momenti indimenticabili, tanto che è sempre difficile sceglierne soltanto uno. Probabilmente, ho vissuto uno di questi momenti in occasione della Supercoppa di Serbia che abbiamo vinto ad inizio stagione contro l’Ub: una partita molto equilibrata e combattuta, in cui ho segnato 24 punti“. Come ti descriveresti come giocatrice a chi magari non ha mai visto una tua partita? “Innanzitutto, mi descriverei come una persona che dà la parte migliore di sé nella pallavolo, la cosa a cui tengo di più al mondo. Mi piace molto allenarmi e mettermi alla prova in nuove sfide ed esperienze; amo le partite più incerte ed equilibrate, quelle in cui è necessario dimostrarsi coraggiose. E io lo sono veramente! Ho grande fiducia e consapevolezza dei miei mezzi, e punto a raggiungere i traguardi più importanti“. Hai un idolo o un modello di riferimento nella pallavolo? “Non è mai facile individuare un idolo pallavolistico quando ci sono tante giocatrici forti in circolazione, soprattutto nella nostra nazionale. Comunque direi Ana Bjelica, che è stata un punto di riferimento quando abbiamo giocato insieme (nella stagione 2020-2021, n.d.r.). E naturalmente anche Tijana Boskovic e Maja Ognjenovic“. Che cosa pensi quando vieni descritta come un astro nascente della pallavolo o come la speranza per il futuro della nazionale serba? “È davvero bello sentire che si parla di me in questi termini: è motivo di grande soddisfazione e allo stesso tempo una spinta a fare sempre meglio. In generale, sono una persona a cui piace sentire complimenti, ma per arrivare a questo punto mi sono dovuta impegnare molto“. Foto Volleyball World La scorsa estate hai esordito con la nazionale maggiore in VNL. Com’è stato? “Innanzitutto la convocazione è stata la conseguenza di un percorso fatto di duro lavoro e tanti sacrifici. Come la maggior parte delle pallavoliste, considero giocare in nazionale un sogno, perciò ricevere quella chiamata è stato un onore. Ho provato la sensazione che qualcuno credeva nelle mie qualità e voleva lavorare con me, e questo mi ha dato ulteriori motivazioni per continuare a migliorarmi. L’esperienza in VNL è stata grandiosa, anche perché ho avuto l’opportunità di affrontare giocatrici che vedevo solo in tv. Sicuramente il match con gli Stati Uniti è stato il momento clou e, nonostante la sconfitta, siamo riuscite a fare del nostro meglio e opporre resistenza alla squadra che poi avrebbe vinto l’oro alle Olimpiadi. Sono contenta di aver concluso quella partita come top scorer con 16 punti“. È da poco terminato il tuo secondo anno all’OK Železničar. Come descriveresti questa esperienza? “Durante questa esperienza ho vissuto tanti momenti piacevoli, dentro e fuori dal campo. Andare a giocare in questo club mi ha permesso di crescere velocemente, sia fisicamente sia mentalmente, e alzare il mio livello di gioco. In generale mi è sempre piaciuto allenarmi, ma farlo in un ambiente familiare come quello dell’OK Železničar è ancora più bello. Inoltre, sento la fiducia della dirigenza del club, che sta investendo molto sulla nostra crescita. La mia seconda annata è stata di grande importanza: ora mi sento più sicura in campo, anche grazie ai consigli delle giocatrici più esperte e del mio allenatore preferito, Branko Kovacevic, senza il quale non sarei mai diventata la giocatrice che sono oggi. Cerco sempre di imparare il più possibile da loro“. Quest’anno l’OK Železničar ha trionfato in Supercoppa ed è andato vicino alla vittoria in Coppa di Serbia e campionato. Che stagione è stata? “Come detto, la Supercoppa è stata una delle mie migliori partite in stagione. Invece, nei playoff di campionato abbiamo perso per alcuni dettagli, nonostante avessimo lottato e lasciato tutte le nostre energie in campo. In Coppa di Serbia penso sia stato decisivo l’impatto mentale: la Stella Rossa ha giocato una grande partita quel giorno“. Foto Volleyball World Quali sono i tuoi piani per quest’estate? E per la prossima stagione? “Ovviamente i miei piani estivi prevedono di competere al massimo livello possibile. Sono contenta di aver ricevuto la chiamata dalla nazionale maggiore: ora c’è un nuovo allenatore (Daniele Santarelli, n.d.r.) di cui ho sentito parlare molto bene e mi piacerebbe conoscere la sua opinione sul mio gioco e sulle mie qualità. Inoltre, ci sono tre competizioni con le nazionali giovanili – Europei Under 19, Eyof, Balkanijada – a cui vorrei prendere parte per mostrare quello che so fare. Spero che vada tutto per il meglio. Il tempo per le vacanze e il riposo sarà piuttosto breve, quindi probabilmente quest’anno non andrò al mare, ma sono felice all’idea di trascorrere la mia estate a lavorare e migliorare. Nella prossima stagione, vorrei continuare a crescere, far vedere i miei progressi e dare il mio contributo affinché la squadra vinca e ottenga grandi risultati in tutte le competizioni“. Chi è Aleksandra Uzelac fuori dal campo e quali sono i suoi hobby preferiti? “Anche fuori dal campo sono molto competitiva, voglio essere la migliore in tutto quello che faccio: insomma, amo vincere! Nel tempo libero mi piace trascorrere momenti spensierati con i miei amici e fare nuove conoscenze, mentre il mio hobby preferito è cucinare. Come ogni atleta sa bene, l’alimentazione è un elemento importante ed ecco perché, tenendo conto della mia dieta, mi piace provare a fare ricette nuove ogni giorno“. Foto Volleyball World Qual è il tuo sogno per il futuro? “Il mio sogno è di vincere medaglie d’oro in tutte le competizioni, dagli Europei ai Mondiali, dalle Olimpiadi alla Champions League. Vorrei diventare una delle protagoniste della mia nazionale e mi piacerebbe andare a giocare in Italia o in Turchia“. LEGGI TUTTO

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    La Cina di Filippo Lanza: “Attendiamo all’infinito un campionato che non c’è”

    Di Eugenio Peralta Nel celeberrimo romanzo “Il Deserto dei Tartari” di Dino Buzzati, il tenente Giovanni Drogo aspetta inutilmente per tutta la vita sulle mura della Fortezza Bastiani l’arrivo di un nemico che non riuscirà mai a vedere. Fatte le dovute proporzioni, una sensazione simile a quella che hanno provato quest’anno Filippo Lanza e Luca Vettori nella loro avventura in Cina con la maglia dello Shanghai: certo, l’attesa dei due giocatori italiani non sarà infinita (per fortuna), ma il senso di frustrazione per l’impossibilità di giocare un campionato continuamente rinviato è comunque fortissimo. Acuito ora, per giunta, dal rigidissimo lockdown che sta interessando la metropoli cinese. A raccontarci queste emozioni poco piacevoli, ma anche esperienze ben più positive e gratificanti che l’annata in Estremo Oriente gli ha riservato dentro e fuori dal campo, è proprio Filippo Lanza. La sua intervista parte dal racconto “in tempo reale” delle restrizioni in corso a Shanghai: “Stiamo vivendo una situazione inverosimile – sospira l’ex schiacciatore della nazionale – ma in realtà è un po’ la prosecuzione di quello che accade ormai da più di due anni. Il governo cinese sta combattendo contro questa nuova forma di Covid e dalla fine di marzo ha chiuso tutti in casa senza preavviso per il nuovo lockdown. La gente si è ritrovata in condizioni al limite del pensabile, perché nessuno era pronto a questa vicenda: la mancanza di cibo e di organizzazione sta mandando un po’ tutti in confusione. Nell’ultima settimana, comunque, il governo sta ‘liberando’ progressivamente alcune parti della città, dividendola in tre fasce di pericolosità in base al rischio di contagio: ora in periferia ci sono meno restrizioni e si può uscire almeno per andare al supermercato, un po’ come in Italia nel primo lockdown del 2020“. Foto Instagram Filippo Lanza Dove siete in questo momento tu e Luca? “Noi viviamo dentro il campus in cui ci alleniamo, una struttura che si raggiunge in circa un’ora e mezza dalla città e, diciamo, è un po’ un’isola felice. È un campus molto grande, con spazi verdi e anche un lago intorno a cui ci si può muovere; abbiamo 4 mense con disponibilità di cibo, quindi non ci manca nulla. Possiamo uscire dalle camere, facciamo allenamento due volte al giorno, insomma una vita ‘normale’ come quella che si può vivere in un ritiro della nazionale. Stiamo bene, facciamo tanti controlli e test giornalieri e ci atteniamo costantemente alle disposizioni del governo. Per noi i problemi del lockdown sono un po’ lontani, ma certo è una situazione pesante“. Prima delle ultime restrizioni, com’è andata la vostra esperienza in Cina? “Siamo arrivati a dicembre, e dopo i 14 giorni di quarantena a Tianjin ci siamo trasferiti a Shanghai e abbiamo cominciato a conoscere questa strepitosa città metropolitana. Una città gigantesca, abitata da 26 milioni di persone, che offre di tutto e di più. Il centro è molto lontano dall’idea che noi associamo al concetto di Cina: è una città internazionale, con grattacieli giganti e con tante abitudini ‘occidentali’. Abbiamo passato molto tempo a scoprirla, visto tanti quartieri diversi: vivevamo in un hotel-residence vicino al campus, ci allenavamo durante la settimana mentre il sabato e domenica, che solitamente erano liberi, ci trasferivamo in centro. La città è molto bella, suggestiva, con un sacco di particolarità: capita spesso di imbattersi in un tempio antico in mezzo a palazzi modernissimi, un contrasto che si nota in parecchi quartieri. Anche i cinesi stessi ci hanno stupito: pensavamo di trovare una popolazione molto chiusa nei confronti degli stranieri, invece tutti sono stati molto gentili e disponibili, anche chi non faceva parte del mondo sportivo“. Foto Instagram Filippo Lanza In palestra, invece, com’è stato l’impatto con il volley cinese? “Gli allenamenti all’inizio sono stati complicati, perché loro hanno una cultura completamente diversa dalla nostra, basata sulla quantità più che sulla qualità. C’erano sessioni di allenamento di 3 ore, 3 ore e mezza, che non capivamo e a cui non eravamo minimamente preparati. Siamo stati fortunati a trovare persone che hanno capito e studiato il nostro punto di vista e il nostro metodo di lavoro. Il nostro coach è un allenatore molto giovane (Qiong Shen, n.d.r.), che è stato giocatore e ha avuto anche diverse esperienze con la nazionale, e ha sperimentato metodi di lavoro diversi. Così abbiamo cominciato a dedicare la mattina ai pesi, mentre nel pomeriggio abbiamo aiutato i nostri compagni di squadra insegnando loro esercizi tecnici che noi facevamo in Italia e loro invece non conoscevano. Questo ci ha permesso di differenziare le sessioni di allenamento e lavorare su aspetti di gioco di cui la squadra aveva bisogno. È stato molto bello, perché abbiamo visto tanto interesse da parte loro nel cambiare abitudini: non solo per rispetto nei nostri confronti, ma proprio perché riconoscevano di poter migliorare“. Foto Instagram Filippo Lanza E veniamo al punto dolente: i continui rinvii dell’inizio della stagione. Come si prepara un campionato che non comincia mai? “La cosa più complicata, e che ancora oggi facciamo fatica ad accettare, è il fatto di essere comandati da un potere più alto di noi. C’è sempre qualcuno sopra di te, che sia un giocatore, un allenatore o il capo del campus; si attende sempre la parola di qualcuno più in alto. Questo ha influito tantissimo anche nella nostra attesa del campionato: all’inizio c’era una data, poi è stata modificata per la contemporaneità con le Olimpiadi invernali, poi è slittata ulteriormente perché la nazionale ha fatto un ritiro di un mese, togliendoci anche dei giocatori, e poi è tornato il Covid… È stato un continuo rimandare, non perché non si volesse fare, ma perché c’era sempre qualcuno di più ‘importante’ che prendeva queste decisioni. Per noi è stato terribile dover sempre riorganizzare la nostra mentalità e anche la programmazione fisica per arrivare pronti a un evento che ancora oggi non si sa se mai ci sarà e, eventualmente, in quali date. È stato un costante aspettare questo momento, sicuramente con preoccupazione, perché siamo venuti qua per giocare, ma anche con dispiacere, perché sappiamo che avremmo potuto ottenere degli ottimi risultati ed è stata un’occasione un po’ vanificata“. Previsioni per il futuro? “Difficile farne… Se il campionato non ci sarà, di certo proveremo a tornare. Ci mancano tanto l’Italia, la famiglia e gli affetti: è stato un anno molto bello pieno di nuove esperienze che ci ha fatto crescere sotto tanti punti di vista, però ovviamente casa nostra ci è mancata molto e non vediamo l’ora di riabbracciarla“. LEGGI TUTTO

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    Airi Miyabe: da Osaka a Minneapolis… e ritorno, nel segno del volley

    Di Alessandro Garotta Tra Osaka, da dove proviene Airi Miyabe, e Minneapolis, sede della University of Minnesota, ci sono circa 9.900 chilometri di distanza in linea d’aria e, se esistesse un volo diretto a collegarle, il viaggio durerebbe più di 12 ore. Soprattutto, a separare la città giapponese da quella statunitense c’è un oceano enorme, il più grande al mondo. La giovane schiacciatrice, che recentemente ha terminato la sua esperienza in NCAA, lo sa, così come sa che l’oceano fra le due sponde del Pacifico non è solo geografico.  Infatti, non è facile adattarsi a un nuovo paese, a una cultura diversa. Cambiano tante cose. A volte, tutto. I suoni delle parole, gli odori della cucina, i piccoli gesti quotidiani, il modo in cui il sole avvolge le giornate o, magari, sembra scomparire del tutto. E poi ci sono le cose pratiche (a partire dalla lingua) e quelle legate alla pallavolo. Eppure Miyabe è riuscita a superare tutti gli ostacoli che le si sono presentati dinanzi e ora è finalmente pronta a tornare in Giappone per intraprendere il suo percorso da professionista – come ha raccontato in un’intervista esclusiva a Volley NEWS. Foto University of Minnesota Per iniziare, parlaci un po’ di te – le tue origini, la tua storia, i tuoi interessi. “Il mio nome è Airi Miyabe. Sono nata in Giappone da mamma nipponica e papà nigeriano; ho anche una sorella, che come me gioca a pallavolo. Da piccola amavo leggere e disegnare, mentre non mi piaceva giocare all’aria aperta. La mia famiglia non è il prototipo di ‘famiglia sportiva’, visto che i miei genitori lavorano nella moda, un settore che ha sempre attratto il mio interesse. Ora si capisce meglio perché da bambina preferivo stare in casa piuttosto che uscire a giocare. A livello scolastico ho seguito un percorso classico, in parallelo alla mia carriera sportiva. Tuttavia, dopo il diploma alla scuola superiore, ho coronato il sogno di andare a studiare e giocare negli Stati Uniti: prima ho frequentato un junior college in una piccola città dell’Idaho e poi mi sono trasferita alla University of Minnesota, dove mi laureerò tra poche settimane!“. Come è nata la tua passione per la pallavolo? “Ho iniziato a giocare quando avevo otto anni. Un’amica mi chiese di dare una mano alla sua squadra perché non c’era un numero di giocatrici sufficiente per la partita in programma quattro giorni dopo. Onestamente non volevo giocare a pallavolo, ma non potevo dirle di no. Così, accettai pensando di prendere parte giusto a un allenamento e a una partita. In realtà, poi per non mettere in difficoltà la squadra andai avanti a giocare… E ora eccomi qua: sto per intraprendere la mia carriera da professionista!“. Foto Instagram Airi Miyabe “Should I stay or should I go?“. Davanti al grande dilemma della tua carriera sportiva hai scelto di andare a giocare negli USA. Come mai? “Ho affrontato questo dilemma due volte. Nella prima occasione ero al penultimo anno di liceo e parlai con i miei allenatori dell’intenzione di andare negli Stati Uniti a giocare e diplomarmi. Nessuno era d’accordo, tranne i miei genitori. Anzi, mi risposero di non illudermi e che potevo aspirare a qualcosa di meglio. Così, piansi lacrime amare: non c’era altro che potessi fare… Affrontai di nuovo quel dilemma un paio di mesi dopo essermi diplomata ed andò diversamente, nonostante che ancora una volta l’allenatore e altre persone avessero cercato di convincermi a non andare via. Infatti, piansi di nuovo, ma a differenza della volta precedente decisi di lasciare il Giappone. Non ero del tutto felice, perché non avevo la garanzia che il mio percorso all’estero sarebbe stato un successo. Però, perché non provarci? Sarei andata in un posto dove nessuno mi conosceva o aveva aspettative smisurate su di me… Potevo essere semplicemente Airi. E soprattutto, volevo tornare a divertirmi quando giocavo a pallavolo“. In quali aspetti sei maggiormente migliorata nel tuo percorso al college? “Onestamente, sono migliorata più nella comunicazione che nel gioco: da straniera che non parlava la stessa lingua del resto della squadra, all’inizio era complicato comunicare in modo chiaro con le mie compagne, soprattutto in partita. Inoltre, ho imparato a gestire le mie emozioni al di fuori della mia comfort zone. Perciò, posso dire che, specialmente ad Idaho, sono cresciuta come persona e dal punto di vista mentale“. Foto Instagram Airi Miyabe Quanto sono state importanti per te le esperienze al Southern Idaho College e alla University of Minnesota? “Il Southern Idaho College è stato il luogo che mi ha ricordato quanto la pallavolo fosse divertente. E il primo posto degli Stati Uniti che ho potuto chiamare ‘casa’. Inoltre, l’incontro con Heidi e Jim mi ha davvero svoltato la carriera. Heidi era l’allenatrice nella mia prima stagione; purtroppo, poi è venuta a mancare ed è stata sostituita da Jim, suo marito e precedentemente vice-allenatore. Sono stati loro ad insegnarmi ad amare gli altri e a battersi per la propria gente. Per quanto riguarda la University of Minnesota, non posso che sottolineare quanto abbia apprezzato questa esperienza, che mi ha aiutato a diventare una persona e una giocatrice migliore. Devo ammettere che sono stati anni molto belli, ma anche difficili. Infatti, non mi era mai capitato di piangere in allenamento perché insoddisfatta: tutte le giocatrici qui sono davvero forti e talentuose, e qualche volta è capitato che l’autostima non fosse al massimo. Però, è stata proprio questa dinamica a farmi crescere e a rendermi migliore. E ovviamente sono stati importanti anche gli allenatori, che non hanno mai fatto mancare il loro sostegno. Perciò, nel complesso, darei un voto molto positivo ai miei cinque anni negli Stati Uniti: venire qui è stata la miglior decisione che abbia mai preso!“. Quali sono stati gli ostacoli più grandi che hai dovuto affrontare negli USA? “Come accennato prima, direi che la barriera linguistica è stata senza dubbio l’ostacolo più grande. Per superarla ho dovuto accettare di sbagliare ed essere ‘vulnerabile’. È stato davvero l’unico modo per poterne uscire. Un’altra difficoltà ha riguardato come comunicare agli altri il mio stato d’animo o le mie opinioni. Infatti, i giapponesi spesso sono troppo cordiali e tendono a non dire quello che pensano realmente perché non vogliono ferire i sentimenti altrui; ecco, negli Stati Uniti non funziona così. Perciò, ho lavorato molto su questo aspetto e ancora oggi sto cercando di migliorarlo“. Foto Instagram Airi Miyabe Nella stagione 2022-2023 inizierà un nuovo capitolo della tua carriera: quello da professionista. Quali sono le tue aspettative? “Onestamente, non so bene cosa aspettarmi. Sono eccitata per la nuova avventura ma allo stesso tempo nervosa: è una sensazione mista. Ho giocato negli Stati Uniti, dove la cultura sportiva è diversa, quindi sono un po’ spaventata per come sarò vista dalla gente. Inoltre, ho notato che negli ultimi cinque anni ci sono stati molti cambiamenti nel modo in cui interagisco e comunico in campo. Questo perché cinque anni è un intervallo di tempo lungo. Dunque, c’è un po’ di preoccupazione per lo shock culturale che affronterò tornando in Giappone… È anche vero, però, che sarò vicino alla mia famiglia e finalmente i miei cari avranno l’opportunità di vedermi giocare dal vivo: questo mi rende molto felice“. Come ti descriveresti come giocatrice? Hai un modello di riferimento in particolare? “Sono una giocatrice che porta energia positiva al proprio team. Magari, non sarò la più forte o quella di cui si parla di più, ma farei qualsiasi cosa per portare a casa il punto successivo o la partita. Posso giocare da opposto, da posto 4, come ricettrice, o essere una buona compagna di squadra. So bene che a volte non è facile gestire la competizione interna, ma darei qualsiasi cosa per trasmettere energia positiva e fare il massimo per la squadra, e non solo per me stessa. Non c’è una giocatrice che ammiro o considero come un modello soprattutto perché non mi interessa essere la copia di qualcuno, dentro o fuori dal campo“. Quali sono i tuoi sogni e obiettivi come giocatrice? “Non ho ancora individuato un obiettivo specifico, ma di sicuro mi piacerebbe andare a giocare all’estero! Al momento sono concentrata sulla mia tesi di laurea; poi, quest’estate, farò parte del roster della nazionale giapponese“. Una giovanissima Miyabe in campo contro l’Italia nel 2015 – Foto FIVB Il termine “hafu” – in italiano “metà” – si riferisce alle persone che hanno solo un genitore giapponese e in generale si usa per indicare la comunità multietnica in Giappone. Perché è così difficile essere “hafu”? Ti sono mai capitati episodi di discriminazione? “Ho parlato proprio di questo argomento nella mia prima tesi di laurea! Non è assolutamente facile essere ‘hafu’ e il termine stesso rivela che esiste una questione sociale. Quando viene usato ‘hafu’ in riferimento a noi della comunità birazziale, abbiamo la sensazione che vogliano ricordarci che non siamo completamente giapponesi, e quindi siamo gli ‘esclusi’. Qualcuno potrebbe ribattere dicendo che il significato reale del termine non è esattamente quello o quando è stato coniato non ci hanno pensato troppo, ma il problema del nostro paese è proprio questo! Le persone sono davvero poco consapevoli delle questioni etniche e religiose, e preferiscono non informarsi rifugiandosi nella formula ‘non sapevo che’. Personalmente, sono sempre stata presa in giro per il colore della mia pelle, i capelli e l’altezza. E sono certa che purtroppo questo tipo di razzismo, discriminazione e maltrattamento mi capiterà di nuovo quando tornerò in Giappone“. Eppure ci sono tante star dello sport nella comunità birazziale giapponese: dalla tennista Naomi Osaka al cestista dei Washington Wizards Rui Hachimura, dal pitcher dei Chicago Cubs Yu Darvish all’oro olimpico nel lancio del martello Koji Murofushi. Dunque, cosa può fare lo sport per superare le disuguaglianze sociali? “Prendere posizione, condividere la propria esperienza e cercare di sensibilizzare il Giappone alla tematica del razzismo: questo deve essere il primo passo. So cosa vuol dire sentirsi esclusi e avere difficoltà a sentirsi amati. Quindi, continuerò ad approfondire lo studio di questa tematica per averne una migliore comprensione, e un giorno spero di diventare un modello da ammirare per tutti gli atleti birazziali. Mi piacerebbe aiutarli a trovare un modo per amare se stessi perché è molto più difficile di quello che si possa pensare… Insomma, vorrei trasmettere loro una maggiore consapevolezza di quanto ognuno di noi è speciale!“. LEGGI TUTTO

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    Valentina Diouf si rimette in gioco: “La Polonia, una scelta che rifarei”

    Di Alessandro Garotta La carriera di una giocatrice, purtroppo o per fortuna, non è praticamente mai lineare. Ci sono svolte, ostacoli, interruzioni e novità che modificano ogni parvenza di copione. Bisogna, dunque, avere la lucidità di comprendere che rimettersi in gioco non vuol dire fare un passo indietro, bensì essere proiettata verso orizzonti più limpidi. Valentina Diouf ha dimostrato di credere in questo mantra, come testimoniato dalla decisione di lasciare la Bartoccini Fortinfissi Perugia a metà stagione per trasferirsi in Polonia, precisamente all’LKS Commercecon Lodz, dove ha ritrovato continuità, punti e sorrisi. Ecco le dichiarazioni dell’opposta, intervenuta in esclusiva ai nostri microfoni. Valentina, ad inizio stagione c’era grande attesa per il suo ritorno in Italia. A gennaio, però, il divorzio dalla Bartoccini Fortinfissi Perugia. Come si è giunti a questo epilogo? “C’era tanta attesa anche da parte mia. Ero contenta di poter tornare a giocare in Italia e quella di Perugia mi sembrava un’ottima occasione, visto che la società aveva ambizioni importanti e puntava a fare bene. Tuttavia, non sempre c’è il lieto fine e non sempre i matrimoni si concludono nella migliore maniera possibile… Chi pensa che sono andata via per soldi si sbaglia, anche perché questa scelta mi ha causato un danno economico non indifferente. Inoltre, la chiusura del rapporto con Perugia è arrivata quando la finestra di mercato in Italia era ormai chiusa. Evidentemente, ciò che mi è successo e mi ha spinto ad andare via era veramente qualcosa di pesante. Comunque, non rimpiango la mia decisione: rifarei la stessa scelta altre centomila volte“. Foto Maurizio Lollini/Bartoccini Fortinfissi Perugia Si è ritrovata in un vortice di polemiche. Cosa le ha fatto più male nei giorni dell’addio? “Onestamente non mi aspettavo un post di incitamento all’odio da parte della società. L’ho trovato veramente pessimo e per nulla elegante. Anche perché la gente non poteva sapere cosa fosse successo perché non era tutti i giorni in palestra con me. Poi, come sempre, c’è qualcuno che si diverte a sguazzare nelle difficoltà altrui… Ma, ormai sono abituata e sinceramente non mi soffermo troppo sui messaggi degli haters“. Invece, quali sono i messaggi di solidarietà o vicinanza che le hanno fatto più piacere? “Coloro che mi conoscono e che mi seguono sui social sanno benissimo che non avevo mai preso una decisione del genere o piantato in asso una squadra a metà stagione. Perciò, ho apprezzato molto le persone che perlomeno si sono fatte qualche domanda“. Qual è oggi il suo sentimento per la parentesi di Perugia? “La considero un’esperienza come altre, anche se sicuramente non è stata positiva a livello umano. E non faccio riferimento alle mie compagne – con cui mi sento ancora adesso – o alla città che mi ha accolto bene. Però, ci sono stati dei meccanismi che veramente non sono accettabili“. Foto LKS Commercecon Lodz Com’è nata l’occasione di andare all’LKS Commercecon Lodz e cosa l’ha spinta ad accettare questa sfida? “È partito tutto da una fake news fatta uscire da un componente della società di Perugia, secondo cui avevo firmato con l’LKS Commercecon Lodz ed ero addirittura già in Polonia. Così, il presidente dell’LKS ha chiamato il mio procuratore per chiedere spiegazioni. In quel momento, però, stavo solo cercando di rescindere il contratto con Perugia e nessuno aveva la minima idea di cosa stesse succedendo. È stato in quel momento che il presidente del club polacco ha richiesto informazioni per ingaggiarmi – tenendo presente che il loro opposto si era infortunato – e ha fatto un’offerta. Mi erano arrivate anche due offerte dalla Turchia e altre due dalla Polonia. Alla fine, ho ritenuto che Lodz fosse la soluzione migliore, anche perché è una squadra che punta al titolo. Quindi, mi sono detta ‘Perché no?’“. Qual è il bilancio della sua esperienza in Polonia fino a questo momento? “È bellissimo giocare in Polonia, un paese che mi ha piacevolmente sorpreso e che ha accolto calorosamente me e il mio compagno. A livello sportivo, ho trovato una società professionale e una squadra competitiva. Ad inizio stagione aveva dovuto far fronte a diverse problematiche e all’infortunio dell’opposto, perdendo un po’ la bussola. Tuttavia, con il nuovo allenatore abbiamo trovato un equilibrio straordinario e concluso la regular season al terzo posto. Inoltre, trovo davvero divertente giocare con la palleggiatrice brasiliana – argento alle Olimpiadi di Tokyo – Roberta Ratzke“. Quali sono gli obiettivi per il finale di stagione? “Puntiamo a vincere il campionato, perciò stiamo spingendo al massimo sia in allenamento sia in partita. Mi piace molto il nostro spirito di squadra e soprattutto stiamo andando tutte nella stessa direzione“. Foto Tauron Liga Nell’ottica del suo percorso, cosa le sta dando questo capitolo? “È un’esperienza molto stimolante e sono veramente felice di essere venuta qui. Mi fa ridere chi pensa che il livello in Polonia sia basso: probabilmente non ha mai visto una partita di questo campionato e forse non segue nemmeno la Champions League… La pallavolo mi sta dando la possibilità di girare il mondo, crescere, mettermi continuamente in discussione. Ed è proprio bello misurarsi con altre culture e filosofie pallavolistiche“. Al di fuori del campo, come procede? Che tipo di città è Lodz? “Łódź è una città molto europea nella concezione, non molto distante da Varsavia. Stanno facendo grossi investimenti per ristrutturarla e riqualificare tante zone. Perciò, è tutta da scoprire, così come il resto della Polonia. Inoltre, per me che sono vegana qui è facilissimo trovare da mangiare e posso avere una vasta gamma di scelte. Da questo punto di vista, a Perugia avevo qualche difficoltà in più“. In chiusura, come vede il suo futuro nella pallavolo? E quali sono i suoi sogni nel cassetto? “È da un po’ che sto cercando una risposta a questa domanda… Penso che giocherò ancora qualche anno per cercare di togliermi delle soddisfazioni e fare più avventure possibili. Vorrei anche concludere i miei studi e laurearmi in Marketing Digitale. E chissà che magari un giorno non possa aprire una mia agenzia“. LEGGI TUTTO

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    Sarah Wilhite pensa in grande: “Voglio i Mondiali e le Olimpiadi con gli USA”

    Di Alessandro Garotta C’è un concetto che viene spesso associato, a volte anche in modo arbitrario, alle personalità di potere, ed è quello della “forza tranquilla“; si dice che a coniare l’espressione sia stato il politico francese Léon Blum. Un modo di dire diventato ormai celebre al punto di farne uno slogan: di solito, quando questo avviene, è il momento in cui il concetto inizia a perdere di efficacia, ma per fortuna non è questo il caso.  Sarah Wilhite-Parsons, schiacciatrice statunitense che gioca nel campionato giapponese con le NEC Red Rockets, in campo è questo: nella sua pulizia tecnica, nella consapevolezza dei propri mezzi acquisita per mezzo di una gavetta perfino più lunga di quello che sarebbe dovuta essere. Una forza tranquilla, che i flutti delle esperienze in giro per il mondo non possono spostare. Foto Jun Tsukida/NEC Red Rockets Partiamo dalla tua esperienza in Giappone. Come ti trovi? È stato difficile adattarsi alla vita e alla cultura nipponica? “La mia esperienza in Giappone è stata positiva, finora. È una stagione resa un po’ strana dalla variante Omicron e dai numerosi rinvii, anche se comunque mi trovo bene con la squadra e mi sono ambientata in poco tempo. È vero che c’è una barriera linguistica importante, ma per fortuna ho un interprete che mi aiuta ogni giorno. Le persone sono davvero molto gentili e accoglienti. Purtroppo, non ho potuto esplorare più di tanto il Giappone per via delle restrizioni per il Covid-19; tuttavia, sono riuscita ad assaggiare un sacco di piatti tipici e non vedo di provarne altri prima della fine della stagione“. Come stanno andando le NEC Red Rockets in campionato? “Attualmente stiamo lottando per restare nella Top 3: infatti, quest’anno solo le prime tre classificate si giocheranno la vittoria del campionato. Il nostro obiettivo principale è di vincere e credo che potremo raggiungere questo traguardo con tanto lavoro e buoni allenamenti. Come detto, nell’arco della stagione molte partite sono state cancellate o rinviate, quindi ora la maggior parte delle squadre deve giocare tre partite a settimana. Perciò, è molto dura sia fisicamente sia mentalmente, ma tutta la squadra si sta impegnando per dare il massimo e ottenere il miglior risultato possibile!“. Sei soddisfatta delle tue prestazioni finora? C’è qualcosa in cui puoi fare meglio? “Non potrei mai dire di essere completamente soddisfatta delle mie performance. C’è sempre margine per migliorare in un modo o nell’altro! In Giappone, la tecnica per la ricezione e il controllo palla è diversa rispetto a qualsiasi altro posto in cui abbia giocato. Però, sto imparando tanto dalle mie compagne e dalle avversarie, e voglio continuare a crescere in questo aspetto. È una bella sfida anche in fase offensiva, dato che lo sviluppo del gioco e le tattiche delle squadre sono diverse rispetto ad altri campionati: spesso si trovano muri più bassi con forti difensori dietro, quindi ci vuole un po’ di creatività per fare punto. Alcune partite sono più difficili di altre, ma in generale penso che questa esperienza sia utile alla mia crescita“. Foto TVF Quali sono le differenze principali tra la pallavolo giapponese e quella degli altri paesi in cui hai giocato? “In Europa, negli Stati Uniti e in Brasile trovi giocatrici con maggiore fisicità, molto forti in attacco e a muro. In Giappone, poiché le giocatrici non sono così alte, devono puntare di più sulla loro abilità in difesa e sulla resistenza. Perciò, qui gli scambi sono sempre molto lunghi. Inoltre, ogni squadra può avere una sola giocatrice straniera, mentre in Europa ce ne possono essere tante“. Le aspettative per le giocatrici straniere in Giappone devono essere piuttosto alte… “Sì, nei confronti della straniera c’è una maggiore pressione rispetto agli altri campionati. Tuttavia, nella mia squadra la dinamica è un po’ differente perché abbiamo tante giocatrici giapponesi forti, alcune delle quali anche in nazionale. Così, puntiamo ad avere un attacco equilibrato che coinvolga tutte le giocatrici in campo, e questo allenta un po’ la pressione su di me“. Cosa farai al termine del campionato? “Una volta terminata la stagione con il mio club, mi aggregherò al gruppo della nazionale statunitense. Per me far parte di questo programma è un grande motivo d’orgoglio: considero un privilegio indossare la maglia degli USA e adoro giocare al fianco di grandi top player“. Stai già pensando ai Campionati Mondiali 2022? “È uno dei miei obiettivi partecipare ai Mondiali. L’estate 2021 è stata incredibile per gli USA e mi piacerebbe dare il mio contributo alla crescita e a nuovi successi della squadra. Ci saranno tante sfide, perciò non vedo l’ora di vedere quali traguardi riusciremo a raggiungere nel 2022“. Fonte: Volley USA Nella tua carriera hai giocato in Italia, Germania, Brasile, Turchia e ora Giappone. Non avresti preferito una maggiore “stabilità”? “In realtà, non ho mai pensato che alla mia carriera mancasse stabilità. Ogni anno ho deciso dove andare a giocare in base alle opportunità che mi venivano presentate e a quelle che erano le migliori soluzioni per me e mio marito: così, sperimentando campionati e culture diverse, ho potuto accrescere il mio bagaglio di esperienze. In futuro, mi piacerebbe tornare in alcuni dei posti dove ho giocato, se dovesse esserci la possibilità“. Possiamo dire che nella stagione al Nilüfer Belediyespor hai fatto il salto di qualità? “È stata davvero positiva la mia esperienza al Nilüfer, dove ho avuto l’opportunità di mettermi alla prova sotto tanti punti di vista. Ero il terminale offensivo principale della squadra e questo mi ha permesso di migliorare in attacco. Inoltre, confrontarmi con molte squadre forti in un campionato importante ha fatto crescere la fiducia nei miei mezzi: in Turchia ho capito di poter competere con le migliori“. C’è un momento della tua carriera che consideri indimenticabile? “Non sono stata convocata per le Olimpiadi di Tokyo, ma comunque ho preso parte al percorso di avvicinamento a questo evento. Non dimenticherò mai il lavoro che abbiamo fatto per permettere al Team USA di vincere il suo primo oro olimpico. È stato un onore potermi allenare con la squadra fino al momento della partenza per Tokyo e sono molto orgogliosa dell’impresa che hanno fatto le mie compagne“. Quali sono i tuoi sogni per il futuro? “Vorrei continuare a migliorare stagione dopo stagione. Sogno di partecipare ai Campionati del Mondo 2022 e alle Olimpiadi 2024. E mi piacerebbe anche giocare in un top club europeo e confrontarmi con le sfide più grandi. Penso che sia importante coltivare i propri sogni e obiettivi a lungo termine, ma ci vuole tanto lavoro quotidiano per trasformarli in realtà“. LEGGI TUTTO

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    Rachele Morello: “Sono pronta per la A1 e voglio conquistarmela sul campo”

    Di Alessandro Garotta Per descrivere quella che, fino ad ora, è una stagione positiva per la Banca Valsabbina Millenium Brescia (ma per farla diventare perfetta servirà tenere duro fino alla fine) si possono allineare tante istantanee che rappresentano le molte vittorie, o sperticarsi in elogi verso quelle giocatrici che stanno trascinando la compagine di Alessandro Beltrami. In quest’ultimo elenco figurano spesso e volentieri i nomi di Marika Bianchini, miglior realizzatrice della squadra, di Lea Cvetnic, protagonista di una crescita verticale, o della ritrovata Rebecca Piva, fino a sottolineare la solidità garantita dalle centrali Michela Ciarrocchi e Silvia Fondriest. Come qualche volta accade, però, non si parla abbastanza dell’elemento che funge da collante della squadra, che si preoccupa di far girare tutti gli ingranaggi all’unisono: ci riferiamo a Rachele Morello, metronomo e leader emotivo delle “Leonesse”, che si è raccontata in un’intervista esclusiva ai nostri microfoni. Rachele, partiamo da una domanda semplice. Quando ha scoperto il suo talento per la pallavolo? “Ho iniziato all’età di cinque anni, però la passione è nata ancora prima perché mia mamma e mia zia giocavano a pallavolo; il sabato era appuntamento fisso per andare a vedere la partita e fare il tifo. Anche i miei nonni fanno parte della grande famiglia del volley da tanti anni… Perciò, possiamo dire che questo sport è parte del nostro DNA! Invece, ho capito di avere talento e poter fare strada quando ho ricevuto la chiamata dal Club Italia e le prime convocazioni nelle nazionali giovanili“. Come ha iniziato a giocare da palleggiatrice? E cosa le piace di più del suo ruolo? “Gioco da palleggiatrice sin dall’Under 13, quindi ho cominciato presto a sperimentare le dinamiche di questo ruolo così bello e pieno di sfaccettature. In realtà, non è stato semplice comprenderne subito le dinamiche perché da piccoli si preferisce attaccare, ma crescendo ho capito l’importanza di avere le redini della squadra nelle proprie mani, distribuire il gioco e confrontarsi continuamente con allenatore e compagne. Fare la palleggiatrice mi dà tanta soddisfazione“. Foto LVF Ha un modello a cui si ispira o un idolo da cui cerca di rubare qualche segreto? “Ammiravo moltissimo Eleonora Lo Bianco, che ho potuto affrontare da avversaria: è stato uno dei momenti più belli della mia carriera. Con il tempo ho imparato a prendere il meglio da tutte le migliori interpreti del mio ruolo; in particolare, mi piacciono Wolosz, Skorupa e Ognjenovic. Inoltre, mi capita spesso di seguire e prendere spunti anche dai palleggiatori della pallavolo maschile“. Lilliput Settimo Torinese, Club Italia, Igor Gorgonzola Novara, Olimpia Teodora Ravenna e ora Banca Valsabbina Millenium Brescia: quanto è cresciuta come giocatrice nel corso di queste esperienze? “Per ogni capitolo della mia carriera ci sarebbero un sacco di cose da dire… La Lilliput è la società in cui sono cresciuta e ho coronato il sogno di esordire in Serie A. Poi è arrivata la chiamata dal Club Italia: è stato il primo grande passo del mio percorso e ha cambiato la mia vita in poco tempo. Infatti, sono andata via di casa e ho iniziato a gestirmi in modo indipendente. Lì ho avuto la possibilità di giocare sia in A2 sia in A1, migliorando molto tecnicamente e tatticamente. La stagione che ho vissuto a Novara è stata altrettanto importante per la mia gavetta: confrontarmi con giocatrici forti ed esperte, in un club del genere, e poter crescere alle spalle di una grande palleggiatrice come Hancock, era proprio ciò che mi serviva dopo l’esperienza al Club Italia. A quel punto ho maturato la decisione di provare a gestire in prima persona il gioco di una squadra. È arrivata la chiamata di Ravenna in A2, dove ho fatto un ulteriore step in avanti. Infine, quest’anno sono passata a Brescia, una squadra che punta alla promozione in A1. Nel frattempo, ho intrapreso dei percorsi con una psicologa e un mental coach, che hanno dato la svolta alla mia crescita caratteriale. È un aspetto fondamentale per chi gioca da palleggiatrice perché è un ruolo che implica tante responsabilità, per cui è necessario avere una certa leadership“. Foto Volley Millenium Brescia Veniamo alla sua esperienza a Brescia. Come si trova e cosa le piace maggiormente di questa società? “A Brescia ho trovato una società seria con un’impronta da Serie A1, difficile da trovare in altre realtà della cadetteria. Fin dai primi colloqui ci è stato presentato un progetto con un obiettivo preciso: vincere il campionato. Dunque, non ci siamo mai nascosti e sono felice che ora stiamo effettivamente lottando per raggiungere questo traguardo. È stato importante anche trovare uno staff preparato e un allenatore che crede in me e mi sta dando tanta fiducia: ci diamo reciprocamente spunti su cui lavorare“. Si aspettava un campionato così positivo dalla sua squadra? Com’è il bilancio finora? “Fin dal primo giorno il nostro obiettivo era chiaro, ma è ovvio che dalle parole bisogna passare ai fatti. Perciò, il bilancio finora è sicuramente positivo perché abbiamo concluso la regular season nella posizione in classifica che volevamo e siamo in finale di Coppa Italia. Abbiamo la consapevolezza di essere un gruppo spettacolare, capace di andare oltre ai momenti difficili. Per esempio, il grave infortunio occorso ad Alice Tanase nell’ultima partita del girone di andata ha lasciato una ferita profonda nella squadra, ma sono felice di come abbiamo reagito e affrontato questa situazione avversa; ovviamente, è stato importante anche l’arrivo di Rebecca Piva, che ci sta dando una grande mano e sta facendo davvero bene. Potrei dire che siamo una macchina che funziona bene in campo, così come al di fuori. È proprio bello andare in palestra e lavorare in un gruppo coeso. Questo aspetto fa la differenza“. Foto Volley Millenium Brescia Saranno Brescia e Pinerolo ad affrontarsi nello spareggio promozione. Come vede questa serie? Quale sarà la chiave per avere la meglio delle vostre avversarie? “Innanzitutto sono contenta di poter giocare nel ‘mio’ Piemonte per la prima volta in stagione. Quella contro Pinerolo sarà una serie combattuta ed equilibrata: entrambe le squadre ci arrivano con pieno merito, dopo aver perso solo due partite e dimostrato le proprie qualità nel corso della regular season. Dalla nostra abbiamo tante risorse sia in campo sia in panchina, un buonissimo sistema muro-difesa e un efficace giro di battuta“. Viste le sue buone prestazioni quest’anno, ci pensa al grande salto in A1? “Certo, mi sento pronta a fare il salto nella massima serie e chissà che quest’opportunità non possa già arrivare nella prossima stagione. Adesso, però, voglio guadagnarmela sul campo con Brescia: abbiamo due possibilità per raggiungere la promozione… Sarebbe una bella soddisfazione!“. Foto Volley Millenium Brescia Che obiettivi si è posta per il suo futuro? “Il mio obiettivo per il futuro prossimo è di giocare in Serie A1 e tenere la categoria per tanto tempo. Inoltre, sarebbe un traguardo grandioso se dovessi ricevere delle convocazioni anche dalla nazionale maggiore. Al di fuori della pallavolo, vorrei completare i miei studi universitari in Economia Aziendale e un giorno costruire una famiglia“. In chiusura dell’intervista, ci racconta com’è Rachele Morello fuori del campo? Quali sono le sue passioni? “Mi definirei una persona solare e curiosa, che adora la musica e ama stare in compagnia, uscire con le compagne di squadra e gli amici, viaggiare e scoprire posti nuovi. Come detto, mi piace lavorare su me stessa: quelli con la psicologa e il mental coach sono appuntamenti settimanali molto importanti per crescere non solo come giocatrice ma anche come persona“. LEGGI TUTTO

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    Dana Rettke, nuova stella di Monza: “Sono nel posto migliore per crescere”

    Di Alessandro Garotta La storia di tutti noi difficilmente segue un percorso lineare o anticipabile dalla mente umana. La sua traiettoria percorre strade strane, come un palloncino sfuggito dalle mani di un bambino e trasportato dal vento. A volte ti ritrovi di colpo, senza quasi accorgersene, dove mai avresti pensato. Allora lì, tutto d’un tratto, hai davanti il disegno completo di ciò che è accaduto, ed è come se tutti i pezzi di un puzzle si ricomponessero in un momento. E probabilmente deve essere proprio questa la sensazione che ha inondato la mente di Dana Rettke alla Nationwide Arena di Columbus lo scorso 18 dicembre. Mentre festeggiava con le compagne di Wisconsin la vittoria del titolo NCAA, la centrale statunitense appena arrivata alla Vero Volley Monza ha visto riposizionarsi le tessere di un mosaico che, dopo le sconfitte a un passo dal trionfo delle stagioni precedenti, sembrava essersi sgretolato, e finalmente ha assistito alla chiusura di un cerchio che 5 anni fa – quando indossò per la prima volta la maglia delle Badgers – il destino aveva iniziato a tracciare senza sapere dove sarebbe andato a finire.   In esclusiva ai microfoni di Volley NEWS, la centrale statunitense ha raccontato le sue emozioni per la vittoria del campionato universitario americano e tracciato un bilancio delle prime settimane nel nostro campionato. Foto NCAA Dana, partiamo dalla tua esperienza nel volley universitario con le Wisconsin Badgers. Quanto è stata importante per te? “I cinque anni a Wisconsin mi hanno cambiato la vita. Le compagne di squadra, lo staff, le amicizie, l’istruzione, gli insegnamenti e i campionati vinti resteranno sempre nel mio cuore. Non potrei essere quella che sono oggi senza le persone che ho trovato a Wisconsin. Onestamente, mi manca già un po’. Sono davvero contenta di essere una Badger e di avere al mio fianco questa grande famiglia. È un’esperienza unica e difficile da descrivere a parole. Ci sarà sempre un legame affettivo con quel posto e quelle persone“. Lo scorso anno hai guidato la tua squadra alla vittoria del titolo nazionale. Cosa hai pensato dopo aver raggiunto questo traguardo? Qual è stata la chiave vincente? “Riuscire finalmente a vincere quel campionato dopo anni di duro lavoro… è stata una sensazione incredibile! Farlo con quel gruppo ha reso il tutto ancora più bello. Alzando la coppa ho provato un mix di gioia, felicità, emozione, carica, e se vogliamo anche un po’ di sollievo. Penso che le chiavi per vincere la finale (contro Nebraska, n.d.r.) siano state l’ordine in campo e la resilienza. Non è stato semplice rimanere focalizzate su ogni singola azione, attraversando gli alti e bassi di una partita equilibrata e decisa al quinto set. Ma penso che alla fine questo abbia reso speciale la nostra vittoria. Non poteva esserci miglior lieto fine. È stato un momento magico per tutte noi“. Foto Vero Volley Monza A livello di college hai fatto incetta di riconoscimenti individuali. Cosa significano per te questi premi? E qual è il segreto del tuo successo? “I premi che ho vinto nella mia carriera universitaria sono qualcosa di notevole e di cui vado molto orgogliosa. Non sono sicura che esista un segreto, ma semplicemente ogni giorno sono andata in palestra e ho lavorato cercando di migliorare, anche solo dell’1%. Ci sono stati momenti grandiosi e altri più difficili, in cui però ho sempre cercato di dare il mio contributo: se magari qualcosa non andava per il verso giusto sapevo di poter aiutare la squadra in altri modi. Ho sempre voluto essere un elemento utile alla mia squadra e questo mi ha spinto a dare la parte migliore di me. Ovviamente non avrei mai potuto raggiungere traguardi importanti a livello di college senza le mie compagne e gli allenatori di Wisconsin“. Come mai la scorsa estate hai deciso di restare a Madison per la fall-season 2021, nonostante alcune offerte da oltreoceano? “Ho deciso di restare e giocare la mia quinta stagione con Wisconsin perché volevo avere un’ultima possibilità di vincere il campionato nazionale. C’erano delle offerte, ma il mio cuore mi diceva di restare a Madison. Era anche la mia ultima opportunità per stare negli Stati Uniti prima di intraprendere una lunga carriera da professionista all’estero. Non cambierei questa scelta per nulla al mondo: era il modo perfetto per concludere il mio percorso in NCAA“. La tua carriera da professionista ha appena avuto inizio dalla Serie A1 italiana. Come mai hai scelto questo campionato, e nello specifico la Vero Volley Monza? “Ho scelto di giocare nel campionato italiano perché è il migliore al mondo. Cercavo una bella sfida, in cui iniziare a crescere. E la Vero Volley Monza era l’ideale per me. È un club molto ambizioso che sta cercando di raggiungere grandi obiettivi: volevo essere parte di questo progetto. Sapevo che non sarebbe stato facile per una giocatrice proveniente dal college, ma ero pronta. Ho anche pensato che la città fosse perfetta per me, e devo dire che finora mi sono trovata davvero bene“. Foto LVF/Rubin Com’è stato per te il passaggio dalla NCAA alla pallavolo italiana? “Penso che il mio passaggio al campionato italiano sia stato relativamente tranquillo. Ovviamente è ancora un momento di assestamento, essendomi appena trasferita in un altro paese. Sto cercando di lavorare sul mio italiano, anche se per adesso non lo conosco ancora bene. Mi sto abituando a una pallavolo nuova: infatti, qui il gioco è molto più veloce rispetto alla NCAA e le giocatrici sono più fisiche. Naturalmente ci vorrà del tempo, ma ogni giorno cerco di fare uno step in più e finora sono contenta dei miei progressi“. Quali sono le tue impressioni dopo le prime partite? “C sono cose di cui sono soddisfatta e altre da sistemare. C’è ancora tanto lavoro da fare, ma so di essere nel posto migliore per crescere. Sono sicura che partita dopo partita il mio gioco possa continuare a migliorare e le mie performance possano diventare più costanti“. Foto LVF/Rubin Qual è l’obiettivo della tua squadra? E invece quello personale? “Essendo arrivata da poco tempo, per me è difficile definire cosa possa essere considerato come un risultato positivo per la squadra. E, in generale, credo che non si debba mai considerare una stagione come completamente fallimentare qualora non venissero raggiunti gli obiettivi prefissati. Comunque, sono convinta che questa squadra possa vincere la Champions League e il campionato, per cui adesso dobbiamo continuare a lavorare duramente e dare il nostro meglio. Invece, a livello personale, il mio obiettivo è di fare ulteriori passi in avanti nel processo di crescita“. Come ti trovi in Italia? Cosa ti piace fare nel tempo libero? “Mi sta piacendo molto vivere in Italia! Amo la cultura, la storia e lo stile di vita. Senza dimenticare il cibo e il caffè, che sono eccezionali. Sono davvero fortunata a trovarmi in un posto così meraviglioso. Nel tempo libero mi piace andare a prendere un caffè e godermi il bel tempo, oppure andare alla scoperta di Monza e Milano. Inoltre, nei giorni liberi ho avuto modo di visitare le Cinque Terre. Non vedo l’ora di continuare a esplorare l’Italia nei prossimi mesi!“. Foto LVF/Rubin La prossima sarà l’estate dei Mondiali. Ci stai facendo un pensierino? “Certo, è uno dei miei obiettivi: partecipare ai Campionati del Mondo e rappresentare gli USA! Ovviamente dovrò guadagnarmelo nei prossimi due mesi, ma sono impaziente di vedere cosa mi riserverà la prossima estate. Se dovessi ricevere una chiamata, mi farò trovare pronta“. Quali sono i tuoi sogni per il futuro? “Il mio sogno e obiettivo come pallavolista è di vincere la medaglia d’oro alle Olimpiadi. Ovviamente mi piacerebbe vincere anche la Champions League e il campionato italiano. Inoltre, nel corso della mia carriera vorrei provare a giocare anche in altri paesi, cercare di dare sempre il mio massimo e incontrare grandi persone“. Recentemente abbiamo raccontato la storia dell’amicizia tra le Wisconsin Badgers e la piccola Izzy. Che rapporto hai con lei? “La piccola Izzy è una delle mie amiche preferite! Ci siamo incontrate all’incirca 3 anni fa, quando ha festeggiato il suo sesto compleanno con la squadra di pallavolo di Wisconsin. Da allora, è nata una bella amicizia, per cui sarò sempre molto grata. Izzy è la più grande tifosa delle Badgers e segue anche le partite della Vero Volley! È una bambina molto speciale perché mi ispira in tanti aspetti della vita. Mi ha sempre trasmesso tanta positività vederla sugli spalti e, anche se non può venire a Monza, so che sta facendo il tifo dall’America. Siamo ancora in contatto e ci sentiamo almeno una volta al mese!“. LEGGI TUTTO

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    La nuova vita di Becky Perry: “Del volley mi manca la voglia di vincere”

    Di Alessandro Garotta “Non andare dove il sentiero ti può portare, vai invece dove il sentiero non c’è ancora e lascia dietro di te una traccia“. Questo aforisma dello scrittore, saggista e poeta americano Ralph Waldo Emerson calza perfettamente con la storia di Rebecca “Becky” Perry, ex giocatrice italoamericana di pallavolo indoor e Beach Volley, che nella sua carriera ha girato il mondo intero all’inseguimento di un pallone. Il suo percorso fatto di crocevia sportivi e culturali l’ha portata a vivere esperienze umane, ancora prima che pallavolistiche, fuori dal comune, che racconta in un’intervista esclusiva ai microfoni di Volley NEWS. Becky, per lei è iniziata una “nuova vita” dopo la fine dell’attività agonistica. Ce ne parla? “Nel 2019 ho fatto domanda per accedere alle lauree online presso l’University of Texas, a Dallas. Era il mio ultimo anno di pallavolo professionistica e la richiesta è stata accettata: così, di pari passo con l’attività sportiva, ho iniziato a studiare per ottenere due Master. Nel 2021 ho completato sia quello in Business Administration sia quello in Science in Information Technology, entrambi con lode. Ora sto mettendo a frutto i miei studi come partner manager: collaboro con una serie di aziende per fornire soluzioni software per altre attività“. Quando è nata l’idea di appendere le ginocchiere al chiodo? Come ha capito che era il momento giusto? “Ho sempre avuto tra i miei piani quello di giocare a livello professionistico fino al conseguimento dei miei Master. In questo modo, potevo sfruttare il tempo libero tra gli allenamenti per studiare e completare i compiti, invece di farlo durante il normale orario di lavoro. Tuttavia, i miei progetti sono cambiati quando nel marzo 2020 – durante il periodo in cui giocavo a Portorico – è scoppiata la pandemia. C’era molta confusione nel mondo dello sport. Come atlete, non sapevamo se i campionati sarebbero ricominciati nella stagione successiva e se i club sarebbero stati in grado di trovare un numero sufficiente di sponsor per pagare gli stipendi delle giocatrici, gli spostamenti per le trasferte e coprire tutti gli altri costi. Così, avendo comunque vissuto una carriera di quasi 10 anni, ho capito che era il momento giusto per smettere di giocare“. Foto Instagram Becky Perry Cosa le manca maggiormente della pallavolo? “Noi atleti professionisti dedichiamo tutta la nostra vita ad arrivare ai massimi livelli, sacrificando per questo momenti vissuti in famiglia o altre situazioni importanti. Perciò, c’è una profonda comprensione tra di noi. Inoltre, quelli che hanno giocato all’estero sanno bene cosa significa dare priorità a un sogno piuttosto che stare nella propria comfort zone. Quando uno di noi entra a far parte di quello che viene chiamato ‘mondo reale’, si ritrova in una realtà diversa, circondato da persone che lavorano perché alla fine del mese devono pagare le bollette e magari non riescono a dare il 100% in quello che fanno, perché quella professione non è la loro passione. Quindi, balza all’occhio come i colleghi abbiano diverse aspirazioni e non sempre gli obiettivi siano il successo e la realizzazione di se stessi. Ecco, della pallavolo mi manca proprio questo aspetto: sapere che quando vai ad un allenamento o ad una partita tutte le giocatrici hanno una ragione comune per cui sono lì, cioè vincere. Non conta nient’altro in quel momento. Non conta se io e le mie compagne abbiamo culture, lingue, religioni, colore della pelle, orientamento sessuale o convinzioni politiche diverse. Considero tutto questo come una forma di rispetto silenziosa, ma molto potente“. Facciamo un passo indietro e ripercorriamo la sua carriera da globetrotter del volley. Come è nato il suo amore per questo sport? “In America, di solito i bambini capiscono se amano lo sport e qual è la loro disciplina preferita quando sono alle scuole medie, all’incirca tra gli 11 e i 13 anni. È in quel momento che si inizia a giocare per la rappresentativa scolastica e a sfidare le altre scuole. Fino a quell’età io avevo sempre seguito le orme di mia sorella: volevo fare quello che faceva lei. Quando ha iniziato a fare la cheerleader, l’ho seguita; così come poi è successo per la ginnastica. Una volta arrivata alle medie, è tornata a fare la cheerleader e la sua prima esibizione era in occasione di una partita di pallavolo. È stato lì che ho scoperto il mio amore per questo sport. Chiesi immediatamente a mia madre di poter provare, trovammo una squadra e… il resto è storia!“. Foto Instagram Becky Perry Terminato il college, ha vissuto la sua prima esperienza da professionista a Portorico. Che ricordi ha di quel periodo? “Molte giocatrici americane dopo il college decidono di iniziare la loro carriera professionistica da Portorico. La motivazione è che, fino a poco tempo fa, il campionato era sempre in programma tra gennaio e maggio. Perciò, terminata la stagione NCAA a dicembre, una giocatrice poteva tornare a casa per le vacanze e giocare nel campionato portoricano nella seconda parte dell’annata. Inoltre, Portorico è un territorio degli USA, e così le squadre locali preferiscono ingaggiare giocatrici americane perché non è necessario il visto di lavoro. Poi l’isola è considerata un vero e proprio paradiso: per una giocatrice può essere la soluzione migliore per vivere e giocare all’estero senza provare troppa nostalgia di casa. Mi è piaciuto molto giocare a Portorico e trovo romantico che la mia carriera sia iniziata e terminata proprio lì“. Possiamo dire che il momento d’oro della sua carriera sia stato quello che ha vissuto in Europa (tra Turchia, Germania e Italia), dopo la parentesi in Corea del Sud? “Non è facile scegliere quali siano state le migliori stagioni della mia carriera. In termini di premi, probabilmente lo sono state le due annate in Germania (al Dresdner SC, n.d.r.), quando sono stata nominata MVP del campionato e abbiamo vinto il titolo; però, alla fine di quella stagione ho anche rotto il crociato. A Busto Arsizio siamo arrivate seconde in Champions League e ho vissuto un’esperienza che non dimenticherò mai. A livello di collettivo, sono state certamente queste le squadre più forti e divertenti in cui abbia giocato. Entrambe erano formate per metà da giocatrici locali e per metà da straniere, e secondo me questa è la formula vincente, che rende molto piacevole l’esperienza: da una parte c’è un numero di giocatrici locali che fanno capire a chi viene da lontano come funziona lì la vita, e dall’altra le straniere aggiungono un tocco di follia al mix“. Foto Wikipedia Tra lei e il nostro paese c’è un legame molto particolare. Cosa l’ha portata a richiedere e ottenere la cittadinanza italiana? “Quando il mio bisnonno italiano, Giovanni Pietro Di Fonzo, emigrò negli Stati Uniti, lo fece illegalmente. Lavorava su una nave mercantile che stava facendo la tratta Napoli-New York. All’arrivo, gli venne data un’ora di pausa per il pranzo prima del ritorno in Italia. Non tornò mai più. Di conseguenza, non dichiarò mai formalmente la sua cittadinanza italiana, anche se i suoi discendenti ne avevano diritto. A livello tecnico, avrei dovuto avere la cittadinanza italiana fin dalla nascita, ma ci sono voluti molti anni affinché mia madre rintracciasse tutti i documenti per dimostrarlo: era ormai il 2015. Quando nel 2009 mio nonno, Luigi Giovanni Di Fonzo, stava morendo di cancro, gli feci la promessa sul punto di morte che avrei imparato l’italiano. L’ho imparato all’università e quando ho avuto l’opportunità di giocare in Italia non potevo dire di no. Io e mia madre abbiamo anche visitato Campodimele, il borgo di origine della nostra famiglia, e abbiamo incontrato alcuni parenti lontani“. Come sono state invece le sue esperienze nel Beach Volley? La mancata partecipazione a Rio 2016 è uno dei suoi rimpianti più grandi? “Mi sono innamorata del Beach Volley appena ho iniziato a giocarci. In particolare, è stato Lissandro Carvalho, un allenatore davvero molto bravo, a mostrami la bellezza di questo sport. Se avessi avuto l’opportunità avrei continuato a giocare sulla sabbia fino alla fine della mia carriera. Per me non è un rimpianto la mancata partecipazione alle Olimpiadi di Rio, anche se per coltivare quel sogno avevo dato il massimo, anche in termini materiali… Avevo venduto la mia auto, i miei mobili e affittato camere della mia casa per pagare il mutuo. Naturalmente mi sarebbe piaciuto fare di più, ma senza un partner e il giusto supporto economico era impossibile. Così sono tornata alla pallavolo indoor“. Federvolley Dopo le ultime stagioni europee, ha giocato in posti più esotici: Filippine, Kazakhstan e Thailandia. Cosa le è rimasto di queste avventure? “Ogni paese in cui ho giocato ha qualità uniche e meravigliose. Nelle Filippine ho trovato le persone più appassionate di pallavolo che abbia mai visto: basta vedere anche solo quanti follower hanno in media i loro giocatori. Invece, l’aspetto di unicità della Thailandia riguarda l’incredibile umiltà e la grande cultura per il lavoro della gente. Anche l’esperienza in Kazakhstan è stata molto positiva, soprattutto grazie alle mie compagne di squadra, che erano persone davvero gentili e meravigliose“. Cosa porta nel proprio bagaglio una giocatrice che ha giocato in tutto il mondo? “Ci sono molti aspetti della vita da atleti professionisti che la maggior parte della gente non ha modo di sperimentare. Per esempio, trovarsi in un paese straniero costringe a crescere in fretta anche come persona: nelle mie esperienze all’estero, ho potuto conoscere me stessa in profondità, più di quanto le persone ‘normali’ conoscono se stesse. Si trascorre tanto tempo da soli e quei momenti danno l’opportunità di riflettere sulle cose più o meno positive della personalità o della vita. E non si può fuggire dal proprio giudizio perché in un posto lontano da casa ci sono meno distrazioni. Credo che tutto questo possa aiutare una persona a crescere e conoscersi meglio, e dia la possibilità di diventare la persona che si è sempre voluto essere“. Siamo in dirittura d’arrivo dell’intervista. Se le dovessi chiedere cosa cambierebbe della sua carriera? “Probabilmente prenderei più seriamente la gestione della forma fisica e la preparazione nel periodo estivo, tra una stagione e l’altra. Negli ultimi anni non sono riuscita a curare questi aspetti, dovendo fare un po’ il giocoliere tra infortuni, attività indoor e sulla sabbia. Perciò, il mio consiglio rivolto alle giocatrici più giovani è quello di investire in un personal trainer e seguire una preparazione specifica durante l’off-season, ovviamente se non si è impegnati in nazionale. Anche se si pensa ‘Sono giovane e sto bene’, il miglior investimento per un atleta sta nella cura del proprio corpo per mantenerlo al meglio il più possibile“. E invece qual è la scelta che non rimpiangerà mai? “Molti mi hanno giudicata per la scelta di giocare a Beach Volley. Altri mi hanno giudicata per essere cresciuta in America e aver scelto di giocare da italiana. Mi sono sentita presa di mira per i commenti che leggevo online e ho dovuto affrontare persino i pregiudizi degli addetti ai lavori. Eppure lo rifarei altre mille volte… Mi è stata concessa l’opportunità di rappresentare il paese che ha dato i natali alla mia famiglia e allo stesso tempo di inseguire un sogno che avevo fin da piccola. Non sono una persona che vive con il timore di prendere decisioni. E non cogliere quelle opportunità sarebbe stato qualcosa che non mi sarei mai perdonata. Probabilmente avrei passato il resto della mia vita a chiedermi cosa sarebbe successo. Anche se il mio sogno non è diventato realtà, ora vivo senza rimpianti“. LEGGI TUTTO