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Adrian Newey, il genio dell’aerodinamica e il mago dell’effetto suolo

C’è un altro vincitore oltre a Max Verstappen: Adrian Newey. Il progettista inglese colleziona l’ennesimo titolo iridato grazie alla sua ultima creatura: la Red Bull RB16B-Honda. La vettura succede alle vincenti Red Bull RB6 (2010), RB7 (2011), RB8 (2012) e RB9 (2013), monoposto tutte motorizzate Renault.

Con il ritorno di più marcate monoposto ad effetto suolo, la Red Bull può giocare il proprio Asso nella manica: Newey, appunto.

Può sembrare scontato e banale, ma il Chief Technical Officer del team anglo-austriaco può incarnare quel “quid” in più rispetto alla concorrenza nella realizzazione delle vetture di Formula 1 2022.

Newey, infatti, ha vissuto e toccato con mano la prima era delle vetture ad effetto suolo, tanto a ruote coperte che “formula”. Un bagaglio tecnico e di esperienze impareggiabile, che pochi tecnici oggi operativi in F1 possono vantare.

I concetti alla base dell’effetto suolo sono i medesimi di 40 anni fa. Cambiano le variazioni sul tema, le tecnologie preposte al progetto, l’accuratezza delle gallerie del vento, ma le conoscenze e la impostazione di massima non sono mai mutate.

Le monoposto di F1 2022 appariranno assai più “semplici” delle attuali vetture, oggi caratterizzate da una aerodinamica complessa ed intricata, “irrazionale” e inutilmente contorta sotto certi aspetti. Vetture, quindi, concettualmente più affini alla tradizione delle monoposto “made in USA”.

Grazie all’aumento dei valori di deportanza generata dal fondo, infatti, sarà possibile realizzare — non solo per imposizioni regolamentari — vetture aerodinamicamente più “spoglie” ma verosimilmente più efficienti.

Gli esordi del giovane Newey nel motorsport internazionale risalgono al 1980. In quel periodo, opera in qualità di aerodinamico in seno allo Skol Fittipaldi Team, lavorando al fianco di un’altra celebrità della progettazione, Harvey Postlethwaite. La monoposto è la Fittipaldi F8-Cosworth DFV, la prima disegnata da Postlethwaite per la scuderia brasiliana.

È grazie alla March e a Robin Herd, tuttaviache la carriera di Adrian Newey può decollare. Poco più che ventenne, Newey si trova ad operare in due dei più importanti campionati internazionali: l’Europeo di Formula 2 ed il campionato statunitense IMSA (International Motor Sport Association).

Tra attività in pista al seguito di team e piloti e ore passate al tecnigrafo, Newey si cimenta nella realizzazione della March 83G, Prototipo di classe IMSA GTP. Si tratta, in realtà, di una versione riveduta e corretta della March 82G, vettura progettata da Max Sardou e per la quale Newey realizza il sistema di lubrificazione a carter sesso.

Realizzata in fretta e furia, la March 83G si dimostra sin da subito competitiva. Il Prototipo britannico debutta in occasione della Daytona Finale 3 Hours del 1982, condotta da Jim Trueman. Il 4° tempo in qualifica è solo un assaggio. Terry Wolters/Randy Lanier/Marty Hinze sfiorano il clamoroso successo alla 24 Ore di Daytona del 1983, conducendo al 2° posto assoluto la March 83G #1-Chevrolet V8 5800cc gestita dal Motorsports Marketing.

La March 83G — sebbene fortemente imparentata con la pur valida e moderna March 82G — si palesa quale versione migliorata della sua predecessora. Il muso — ancora a forma di chele di aragosta e provvisto di radiatore di raffreddamento motore al proprio interno — presenta una aerodinamica rivista, atta ad enfatizzare l’effetto suolo prodotto dai generosi Venturi. Questi ultimi, come tutto il retrotreno, sono stati ridisegnati. Inoltre, la 83G è più leggera della 82G grazie ad interventi sul telaio.

L’auto partorita da Newey, per certi versi più convenzionale rispetto all’ardito progetto di Sardou, si rivela più efficace e costante. La March 83G è un successo tecnico e commerciale e, anche azionata dal flat 6 Porsche Turbo, svetta nel campionato IMSA. La storia si ripete con la March 84G, variazione sul tema della contemporanea 83G: piovono successi e consensi.

In generale, le March 82G (successivamente modificate e aggiornate all’aerodinamica della 83G), 83G e 84G — nelle più svariate e disparate motorizzazioni e configurazioni — ben figurano nella IMSA Anni ’80. L’avvento della Porsche 962 spodesterà dal trono le March e darà nuova linfa alla classe IMSA GTP.

Terminata l’attività sulle March IMSA GTP, Newey viene incaricato di seguire un altro campionato di respiro internazionale: è il Championship Auto Racing Teams, più comunemente noto con il suo acronimo, CART.

Robin Herd incarica Newey di realizzare la nuova monoposto CART per la stagione 1985. Nasce la March 85C. Newey succede, pertanto, a Ralph Bellamy e alla sua March 84C. Di fatto, la March 85C CART è la prima vettura interamente progettata da Adrian Newey partendo da un foglio bianco.

Come ai tempi della IMSA, Newey si divide tra attività di progettazione in fabbrica e in pista. Segue, segnatamente, Bobby Rahal, pilota del team Truesports.

La March 85C è un classico esempio di monoposto CART di metà Anni ’80 nata attorno ad un telaio honeycomb di alluminio. Rispetto alla concorrenza — fatta di Lola T900, Eagle 85GC, March 83C e 84C — la nuova 85C presenta pance laterali più basse e snelle. Le configurazioni aerodinamiche variano a seconda dei tracciati, dei team e delle annate. In corrispondenza delle pance, sono ricavati i tunnel Venturi preposti alla realizzazione dell’effetto suolo.

Le vetture CART, infatti, sono a tutti gli effetti delle wing-car ma sprovviste di minigonne. La March 85C-Cosworth DFX è un successo. Al Unser (Team Penske) — pur vincendo una sola gara — si aggiudica il titolo CART PPG Indy Car World Series dopo un campionato più che mai equilibrato; Danny Sullivan (Team Penske) trionfa alla 500 Miglia di Indianapolis.

Di seguito, riportiamo due foto della March 85C-Cosworth DFX in azione: la prima ritrae Danny Sullivan in occasione della Indianapolis 500 del 1985, nella seconda, invece, vediamo Bobby Rahal impegnato nella Escort Radar Warning 200 sul circuito di Mid-Ohio. Da osservare le diverse configurazioni aerodinamiche.

Nel 1986, Newey sfodera la March 86C. In pista, invece, segue Michael Andretti, unico pilota del Kraco Racing. La March 86C mette in evidenza il lavoro di snellimento messo in atto da Newey, specie in corrispondenza delle fiancate (più basse e rettilinee) e del muso, quest’ultimo decisamente più appuntito e sottile. La vettura è interamente rivisitata rispetto alla 85C, anche conformemente ai nuovi regolamenti, i quali impongono una riduzione delle dimensioni dei Venturi del 30%.

La presa d’aria del singolo Turbo, ora, è collocata centralmente a valle del turbocompressore stesso ed è di tipo a periscopio. Il V8 Cosworth DFX di 2650cc, inoltre, è provvisto di due valvole waste-gate. Gli scarichi piatti di Turbo e waste-gate sono posti al di sopra dei tunnel Venturi e soffiano all’uscita degli stessi. Ciò consente di enfatizzare l’estrazione dell’aria attraverso i diffusori, richiamando, pertanto, aria più veloce e aumentando la depressione a beneficio della downforce.

Sulla March 85C, invece, la presa d’aria del turbocompressore era posta sul lato destro della carrozzeria motore, a filo con essa. Al contempo, il corto terminale di scarico che fuoriesce da Turbo e l’altrettanto corto condotto di scarico della singola valvola waste-gate sfociavano sul lato sinistro del cofano motore.

La March 86C, infine, è qualificata da un roll-bar appuntito e compatto, così da ottimizzare l’aerodinamica posteriore della vettura.

Anno nuovo, vettura nuova, stesso copione: la March fa incetta di vittorie. Bobby Rahal (Truesports, March 86C-Cosworth DFX) vince il titolo CART PPG Indy Car World Series 1986 ai danni di Michael Andretti. È sempre Rahal ad aggiudicarsi la corsa simbolo ancora sanzionata USAC, la Indy 500.

La March 86C è l’ultima wing-car da competizione progettata da Newey. Ritornando in F1 — dapprima nel Team Haas, quindi nuovamente come progettista alla March-Leyton House — lavora, infatti, su e a vetture a fondo piatto, sebbene dotate di profilo estrattore posteriore. Vetture a fondo piatto, ricordiamo, in grado di produrre effetto suolo.

Adrian Newey, dunque può mettere sul tavolo esperienze di prim’ordine in fatto di wing-car ad alte prestazioni.

Il genio di Adrian Newey è chiamato ad un’altra impresa.

Fonte: https://www.circusf1.com/2021/12/adrian-newey-il-genio-dellaerodinamica-e-il-mago-delleffetto-suolo.php


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