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    Daniele Mazzone: “Siena c’è, abbiamo ritrovato le nostre sicurezze”

    Di Roberto Zucca

    Avere trent’anni, per Daniele Mazzone, significa entrare in una dimensione fatta di certezze, consapevolezze, di somme e sottrazioni, di bilanci e obiettivi. Parlare con Daniele è sempre stato, per chi scrive questo colloquio, un motivo per uscire dalla canonica intervista di cartello, per confrontarsi con ciò che si è diventati e con le dinamiche degli eventi che hanno portato ad essere altro rispetto al passato. Daniele racconta la pallavolo molto bene, ma analizza anche se stesso rispetto al farne parte. E lo fa senza risparmiarsi la sua proverbiale sincerità e la trasparenza che magari, agli occhi di molti, non sempre paga:

    “Mentalmente l’ingresso nei trent’anni mi ha dato la possibilità di mettere sul tavolo tutto. Sono certamente cambiato rispetto a colui che pensava di avere solo il sacro fuoco della pallavolo. Non sono più solo quello, e francamente la pallavolo non è più così una questione di vita o di morte. Prima le Olimpiadi erano il traguardo di una carriera, ora col non averle raggiunte ci ho anche fatto pace. Iniziando a pensare alla carriera, a una progressione rispetto a quegli anni, e a nuovi obiettivi. Ho anche pensato a cosa sarà il dopo, con mio fratello ho buttato giù delle idee, di cui non posso ancora fare menzione, ma nelle quali penso di buttarmi una volta che vorrò cercare altro, oltre quello che ho attualmente“.

    Foto Lega Pallavolo Serie A

    Le dirette su Twitch con suo fratello Paolo raccoglievano centinaia di appassionati.

    “Mazzo Talks è stato un progetto divertente, finché abbiamo avuto entrambi la passione e il tempo per seguirlo. Poi Paolo ha cominciato a lavorare con assiduità nel mondo della preparazione atletica e io non avevo più il tempo di stare dietro a tutto. Avevamo sviluppato un format nel quale parlavamo dello sport che entrambi praticavamo, Paolo infatti ha giocato a Santa Croce, trattando anche il contorno, come la preparazione fisica, con l’aiuto di esperti del settore. Ci siamo divertiti“.

    Lei dà l’idea di essere un perfezionista. Non è il pallavolista da cazzeggio.

    “Me lo concedo e parlo anche parecchio, come avrà notato. Però quando c’è da lavorare o da fare le cose seriamente, non mi tiro indietro. Forse è quello che mi ha tenuto in piedi, ovvero il fare tutto con la massima professionalità e mettendo il 300% di me stesso in ciò che facevo“.

    Un periodo per lei che coincide con alcune importanti affermazioni di Siena contro Piacenza, Cisterna e Padova. Siena c’è?

    “Siena c’è. Vincere è sempre bello, perché torni in palestra la settimana successiva con la voglia di continuare. È chiaro che magari non sarà sempre così. Come si suol dire, dobbiamo ancora fare legna. Ma certamente agli scontri salvezza dobbiamo arrivare con la consapevolezza di dover dare il massimo possibile“.

    Foto Lega Pallavolo Serie A

    L’esonero di Montagnani è stato uno spartiacque?

    “Farei studiare a qualche analista quanti esoneri coincidono con una vittoria la domenica successiva. È un fenomeno interessante, forse perché spiega la naturale conseguenza dell’avvertire il cambiamento o il semplice cambio di rotta. Diciamo che la prima vittoria contro Piacenza è stato un deterrente. Poi siamo tornati a lavorare anche in palestra e certamente abbiamo cominciato a lavorare diversamente, come si fa ogni volta che si cambia rotta e si ha una nuova guida. I risultati sono arrivati. Quindi significa che questa squadra può portare dei buoni risultati“.

    Si è chiesto perché una squadra così facesse fatica a vincere la domenica?

    “Te lo chiedi e alle volte fatichi a trovare le risposte. Sulla carta hai degli elementi ottimi, persone che hanno una bella esperienza alle spalle e che fuori dalla stagione di Siena, hanno fatto molto bene. Quando perdi tanto, anche se hai una decina di anni di esperienza alle spalle in Superlega, perdi un po’ tutte le sicurezze. Le stiamo ritrovando, e penso si sia anche visto“.

    Ora tutte hanno paura di trovarvi sulla propria strada.

    “Non so se questo spaventa, ma certamente sanno che, se vogliamo, la partita ce la giochiamo assolutamente“.

    La vera pecca è stato l’infortunio di Giulio Pinali. Mi dice che cosa si prova nel momento in cui si vede un compagno di squadra subire qualcosa di quel tipo? C’è immedesimazione?

    “Non è un discorso semplice da affrontare. Ovviamente il sentimento che provi è un enorme dispiacere, soprattutto perché la gravità dell’infortunio era evidente da subito. D’istinto non sono andato a togliergli il respiro, perché credo che in quel momento un giocatore debba restare solo con il suo dolore. Ho cercato poi di sdrammatizzare, dicendo che deve sempre usare le cavigliere come quelle che uso io. Poi nei giorni successivi ci siamo scritti. Non mi appartiene il fatto di scrivere messaggi social per augurare a Pino una pronta guarigione. Preferisco ritagliarmi un momento per sentirlo in privato, e dire ciò che dovrà fare per tornare nella condizione di prima. Giulio tornerà quello che era, ne sono certo“.

    Nei momenti difficili come questi, gli amici contano?

    “Sei solo, ma avere qualcuno con cui confrontarsi e con cui pensarla allo stesso modo, in questo mondo, aiuta“.

    foto Emma Villas Volley

    Chi la pensa come lei?

    “Ivan Zaytsev, Micah Christenson, Totò Rossini. Sono amici, sono stati amici oltre ad essere compagni di squadra. Con loro mi fa piacere avere un confronto su tanti aspetti della carriera, anche perché abbiamo una visione molto simile della pallavolo“.

    Mi dice a che punto della sua carriera è arrivato?

    “Un punto in cui mi piacerebbe costruire qualcosa di più dell’essere un giocatore di pallavolo professionista. Mi piacerebbe trovare una donna con cui costruire una famiglia, con cui condividere una vita fatto di aspirazioni diverse ma concrete. Una persona con cui confrontarmi sul futuro e con cui condividere questo momento personale“. LEGGI TUTTO

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    Nicola Zonta: “Ho viaggiato e cambiato tanto, ma a Fano sono sereno”

    Di Roberto Zucca

    Immaginate un treno, che dalla stazione di Gemona, parte alla volta di Cuneo. Nicola Zonta, su questo treno, c’è salito con tutto se stesso e con la spensieratezza dei 15 anni, intenzionato a visitare un vecchio tempio del volley, e ad avverare il sogno di costruirsi una carriera nella pallavolo. Oggi, alla Vigilar Fano, è un apprezzato regista, che gioca forse la stagione più impegnativa della sua carriera:

    “Siamo una squadra giovane, ma desiderosa di fare molto bene in questa serie A3. Finora siamo stati capaci di tenere testa a Pineto, che partiva per essere una esperta corazzata. Noi di nostro ci abbiamo messo tutte le energie e tutta la voglia possibile per fare sì che, tra tutte le squadre del nostro girone, fossimo una buona antagonista per loro“.

    Forse è proprio nell’essere tutti lì per la stessa cosa, ossia per crescere, a fare di una squadra come Fano una corazzata?

    “Ci troviamo nello spirito, negli obiettivi e anche anagraficamente. Credo anche io che avere percorsi e obiettivi di carriera molto simili, possa creare una bella chimica all’interno di un gruppo. In generale è un collettivo molto coeso, lavoriamo molto bene e la società è molto felice dei risultati ottenuti fino a questo momento“.

    Foto Virtus Fano

    Lei è stato riconfermato. Segno che aveva voglia di alzare l’asticella quest’anno?

    “La società e il coach Maurizio Castellano hanno riposto grande fiducia in me e questo ha fatto sì che scegliessi di proseguire il sodalizio con Fano. Di mio sono un pochino scaramantico, e non amo parlare di obiettivi a lungo termine, quindi non voglio andare troppo oltre la fine del girone di ritorno. Dico solo che all’obiettivo play off teniamo molto. Poi ciò che succederà nella seconda fase, si capirà più avanti. Anche perché dobbiamo prima guadagnarci l’accesso ai play off sul campo e sarà una lotta dura, visto che ci sono molte squadre come noi che desiderano chiudere la stagione nel migliore dei modi“.

    Ma lei si aspettava di giocarsi la testa della classifica? Sia sincero.

    “No, non mi aspettavo un girone così positivo. Sono molto felice di questo“.

    Da qualche settimana è arrivato Partenio ad infoltire la rosa. Avere altri due palleggiatori è uno stimolo o non sente la competizione positiva durante la settimana?

    “No, non la avverto. Ognuno cerca di allenarsi al meglio possibile per meritare lo spazio della domenica. Io sono per il risultato del gruppo, non per la prestazione del singolo atleta“.

    Foto Vigilar Fano

    Quanto è cambiata la sua vita dagli esordi al Club Italia?

    “Molto. Ho viaggiato, soprattutto, ho cambiato luoghi e città, così come amicizie e rapporti umani. Ma questa è la vita che ho scelto di fare da quando mi arrivò la chiamata di Cuneo. Ho deciso di accettare senza pensarci molto. I sacrifici sono stati parecchi, in primis quello di lasciare la famiglia“.

    È stata una scelta sofferta?

    “Per me lo è stata parecchio, tanto che il distacco l’ho avvertito perché ero molto giovane. Ma dovevo farlo se volevo progredire nello sport. Mi sono ritrovato dall’essere un calciatore da piccolo, al voler trovare uno sport più nelle mie corde, al vivere di questo. Non è stato semplice“.

    Come palleggiatore, invece, è cambiato parecchio dagli anni delle giovanili?

    “Mi sembra di portarmi a casa qualcosina in più ogni anno. Non imparo vedendo altri giocare, ma mi porto dietro ciò che maturo sulla mia pelle. Mi sento sempre in evoluzione e ho ancora tanto da migliorare“.

    Ora è felice?

    “Sono sereno. La felicità mi sembra un concetto talmente astratto e prematuro da raggiungere a 22 anni che non saprei dire se questa sia felicità o appagamento per ciò che ho ottenuto dalla pallavolo…“. LEGGI TUTTO

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    Andrea Truocchio: “La scuola di Modena mi ha insegnato disciplina e stakanovismo”

    Di Roberto Zucca

    Dietro al successo della Kemas Lamipel Santa Croce c’è un lavoro di squadra importante. Ci sono l’affiatamento giusto e l’unione che tengono insieme Andrea Truocchio e i suoi compagni anche fuori dal rettangolo di gioco. Ma c’è anche lo stesso Andrea, centrato, ambizioso, giovane ma esperto. Tanto da cucirsi addosso un campionato, quello di Serie A2, che veste perfettamente:

    “Santa Croce è una squadra unita, è vero. È una squadra che lavora assieme, fatta di giovani coraggiosi, che giocano una pallavolo spesso anche con l’incoscienza giusta che ti fa rischiare delle cose. Molto autentica, direi, forse perché la giovane età ti permette anche di affrontare determinati momenti per la prima volta e quindi senza troppi retropensieri“.

    Lei cosa ha portato dentro questa pallavolo? La sua scuola è quella di Modena.

    “Ha detto bene, è una scuola. Gli anni di Modena mi hanno insegnato la disciplina, e soprattutto lo stakanovismo. Si lavora sempre a 100 all’ora, si spinge sempre, anche in sala pesi. Ho cercato di portare qui la voglia di dare sempre e comunque il massimo, di non fermarsi di fronte a nessuno e di non arrendersi“.

    Foto Patrizia Tettamanti/Libertas Brianza

    I risultati la premiano. Siete una delle prime forze del campionato.

    “Siamo soddisfatti anche se abbiamo il rammarico dell’uscita ai quarti di Coppa Italia contro Cantù. Siamo riusciti, proprio con loro, a riscattarci la settimana successiva in campionato, ma ci sarebbe certamente piaciuto andare avanti nella competizione. Ora puntiamo a mantenere la zona alta della classifica in chiave play off. In quel caso il fattore campo conta molto“.

    A Santa Croce quanto conta?

    “(ride, n.d.r.) Molto! Il nostro è un palazzetto in cui ci si sente a casa e il fattore campo può risultare determinante. Ci sono squadre, penso ad esempio a Grottazzolina, che nelle gare in casa hanno macinato tantissimi punti. Sono e saranno avversarie sempre durissime nei loro palazzetti“.

    Il suo obiettivo personale? La Superlega?

    “Certamente mi piacerebbe rientrarci. Ricordo la bellezza di certi incontri quando ero aggregato alla prima squadra di Modena. Ho poi fatto la scelta di voler giocare e ho scelto di approdare in A2, ma sto lavorando affinché nei prossimi anni io possa tornare a respirare quell’atmosfera“.

    foto Kemas Lamipel Santa Croce

    I suoi ex compagni Rinaldi e Sanguinetti stanno cavandosela piuttosto bene.

    “Sono contento per Tommaso e Giovanni. Dalla terza alla quinta superiore ho condiviso con loro l’esperienza giovanile, e pur avendo preso strade diverse, mi complimento per i loro traguardi raggiunti“.

    Ha giocato con tanti giovani che ora sono protagonisti in Superlega o in A2. Chi le fa più piacere vedere e dove?

    “A Siena ho stretto amicizia con Panciocco, che ora sta facendo molto bene a Lagonegro. E anche Yuri Romanò, che ho avuto modo di conoscere sempre nell’anno senese“.

    Alla Toscana lei è legatissimo. Cosa ha ritrovato qui?

    “La famiglia, che mi ha innanzitutto permesso di fare la scelta, da giovanissimo, di inseguire il sogno di una carriera nel mondo della pallavolo. Partire a quindici anni non è una cosa permessa a tutti, ma loro mi sono sempre stati accanto, sia nelle scelte, sia venendo sempre a seguire il mio percorso. Ora, il pensiero di poter anche solo cenare con loro dopo gli allenamenti, o condividere qualche pensiero serale, è una cosa che mi fa stare bene“.

    Foto Lega Pallavolo Serie A

    Leggo dal suo Instagram che, oltre a Modena, nel suo cuore ci sono Montecatini e anche San Vincenzo.

    “Montecatini, o meglio, un paesino vicino Montecatini, Borgo a Buggiano, è casa. Poi c’è Pieve a Nievole, nel quale ho cominciato pallavolisticamente a muovere i primi passi. San Vincenzo è l’estate, il mare, il mio ritiro finita la stagione. È un luogo che mi rimette in pace col mondo, nel quale ho conosciuto anche Davide Giovannetti, il nostro palleggiatore. Ho iniziato ad andarci una volta che l’estate con i ritiri ad Acqua Acetosa con la nazionale giovanile, si sono conclusi“.

    Con questa conclusione ha fatto pace?

    “Totalmente. Quando e se avrò maturato le competenze giuste e l’esperienza per giocare ancora con la maglia azzurra, sono certo che la chiamata arriverà. Mi tengo impegnato nel frattempo. Gioco in una bellissima squadra, studio Scienze Motorie. Sono una persona che guarda il bello di ciò che ha e non pensa a ciò che invece manca“. LEGGI TUTTO

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    Kamil Rychlicki: “L’Italia mi ha cambiato. La nazionale? Mi piacerebbe…”

    Di Roberto Zucca

    Il modo di porsi e l’essenza di sé, nello sport, racconta molto dei propri protagonisti. Nel caso di Kamil Rychlicki, le parole profetiche arrivarono da un suo ex compagno di squadra e amico, Jacopo Larizza, che disse di lui che il successo e la popolarità non lo hanno cambiato nemmeno di una virgola. Kamil è oggi uno dei volti più noti della Sir Safety Susa Perugia dei record, nonché del campionato italiano in generale. Ed è condivisibile il giudizio espresso non solo da Larizza, ossia che il forte opposto, da qualche giorno italiano, sia lo stesso degli esordi lussemburghesi:

    “È lodevole ciò che è stato detto da Jacopo, e mi fa piacere se traspare questo. Probabilmente essere cresciuto in una famiglia di pallavolisti ha fatto sì che respirassi quest’aria da subito e che quindi l’arrivo di questa popolarità, come lei l’ha definita, ha fatto sì che continuassi ad essere ciò che sono sempre stato, ossia un ragazzo che da giovane sognava di essere un pallavolista professionista e di arrivare lontano“.

    Foto Sir Safety Perugia

    Cosa è rimasto di quel Kamil cresciuto in Lussemburgo, e arrivato in Italia dal Maaseik?

    “Bella domanda. Ci ragiono assieme a lei, e le dico che probabilmente adesso sono tornato ad essere quel Kamil che gioca a pallavolo per amore e per divertimento. Durante la costruzione di un sogno, credo ci sia un momento in cui si affronta la pesantezza che esso porta con sé, ossia le responsabilità, la pressione, il pensare di dovercela fare. Ora che il mio sogno di giocare in Italia, di diventare un professionista della pallavolo si è avverato, affronto tutto con più serenità. Esattamente come quando ho iniziato“.

    È diventato italiano da qualche giorno. In cosa si sente più italiano?

    “Questo paese, che è casa mia da cinque anni, mi ha dato la possibilità di aprirmi, di investire nei rapporti umani e nelle relazioni. Dell’Italia ho sempre amato il modo di dimostrare apertura e di essere accoglienti anche con chi non si conosce. Sin dai primi giorni trascorsi in questo Paese, mi sono trovato a dover superare la mia apparente freddezza, che in realtà era anche la timidezza di essere nuovo, di non conoscere bene la vostra lingua, ma ho trovato di fronte a me la bontà d’animo e la disponibilità delle persone. Questo mi ha cambiato“.

    Foto Sir Safety Perugia

    Non mi deluda e mi confessi che è anche diventato bravo a cucinare le pietanze italiane.

    “(ride n.d.r.) Cucino poco, ma mangio tanto! All’aspetto legato al cibo pensa più la mia ragazza, che è decisamente più brava di me. Devo però ammettere che sulla cottura della pasta sono decisamente migliorato, ed ora so anche preparare una buona carbonara“.

    Veniamo alla curiosità di tutti: alla nazionale italiana ci pensa? Immagino abbia letto le parole di De Giorgi.

    “Sì, ho letto. Ha ragione sul fatto che non sono ancora eleggibile per poter giocare con la maglia azzurra. Se è un discorso che mi interessa? Diciamo che è un sogno di ogni atleta far parte della nazionale. Quindi ci ho pensato, mi piacerebbe. Anche se adesso la mia priorità è pensare a Perugia“.

    Foto Sir Safety Perugia

    Perugia. Un anno per ora da record.

    “(ride, n.d.r.) Non ci pensiamo troppo e non parliamone troppo di questi record, altrimenti qualcuno ci può gufare. Comunque sì, la stagione si è aperta nel migliore dei modi e nelle scorse settimane è arrivato anche il titolo Mondiale, che è stata davvero una grande soddisfazione. Siamo soddisfattissimi, è chiaro, ma chiunque abbia esperienza in questo sa anche che le stagioni possono essere riscritte con i playoff. Non bisogna cullarsi sui successi e andare avanti“.

    Quali sono le ragioni del successo di Perugia?

    “La serenità con cui giochiamo. Funzioniamo, ci piace giocare assieme. Siamo una squadra ampia, non fatta solo da chi scende in campo ma anche da chi non parte titolare. Mi piace l’atmosfera che c’è in questa società, non solo quella che circonda noi compagni di squadra ma anche nello staff che lavora con noi tutti i giorni“.

    E poi il gioco che esprimete.

    “Abbiamo tante opzioni in attacco, siamo vari e variegati. È bello far parte di questo gruppo, mi creda. Vogliamo e dobbiamo continuare così“. LEGGI TUTTO

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    Luca Presta: “Il segreto di Castellana Grotte? Non esistono titolari e riserve”

    Di Roberto Zucca

    La gioia per la qualificazione ottenuta per le semifinali di Del Monte Coppa Italia A2 è palpabile dalle parole di Luca Presta, che inaugura la nostra intervista celebrando il traguardo più significativo ottenuto dalla sua BCC Castellana Grotte a cavallo del nuovo anno:

    “Non nascondiamo la gioia per la qualificazione alle semifinali della Coppa Italia, anche perché era un obiettivo nostro e della società. Giocavamo con Porto Viro, contro la quale lo scorso anno venimmo eliminati, quindi quest’anno la gara aveva naturalmente il sapore della rivincita“.

    Foto Lega Pallavolo Serie A

    Sogniamo con una domanda da fantavolley. Contro chi vorrebbe giocare la finale di Coppa Italia?

    “Partiamo da un dato oggettivo, ossia dal fatto che prima della finale, dobbiamo affrontare una semifinale. Però, se dovessi scegliere oggi un’avversaria, sceglierei Vibo Valentia“.

    Vibo è parte della sua storia.

    “Lo dico per questo. Perché è un’avversaria che conosco e della quale ho vestito la maglia per alcune stagioni, partendo proprio dalle giovanili. Quindi sarebbe bello, soprattutto se, come si è paventato, le finali dovessero davvero giocarsi proprio in Calabria, la mia terra“.

    Veniamo a Castellana. Una delle teste di serie del girone di andata.

    “Siamo soddisfatti di come siamo riusciti a disputare questa prima parte del campionato. Mi sono reso conto sin dalle prime settimane di preparazione che questa è una squadra che in campo avrebbe potuto dare molto. Siamo un bel gruppo di amici e compagni di squadra, che combattono per arrivare lontano e che lavora bene in palestra, oltre a trascorrere molto tempo insieme fuori dal campo“.

    Foto Lega Pallavolo Serie A

    Giocatori come lei, Zamagni, Tiozzo, solo per citarne tre, giocano una stagione ambiziosa.

    “La squadra è formata non solo da noi, ma da elementi di grande esperienza. Giochiamo con la voglia di centrare un obiettivo ambizioso, questo è vero. E forse il valore aggiunto di elementi come quelli che ha citato è di conoscere questo campionato molto bene. Questo ci fa affrontare le partite con il ritmo e le chiavi di lettura giuste. Molti giocatori della Superlega che si sono trovati a disputare la A2 mi hanno confermato che si fa fatica, soprattutto il primo anno, ad adattarsi alle dinamiche di un campionato così diverso da quello di vertice“.

    Quarta stagione qui. Perché ha scelto di disputare la sua intera carriera al Sud?

    “Perché sono sempre stato bene e perché ho imparato a giocare al Sud. Militare e giocare in una squadra del Sud Italia è un’esperienza bellissima che bisogna imparare a fare“.

    Castellana è storia della pallavolo. Presta è storia di Castellana?

    “Sono benvoluto e ho un ottimo rapporto con i tifosi. Rispetto ad una squadra del Nord, qui sei conosciuto e capita di parlare di pallavolo nella quotidianità assieme agli appassionati. Il volley è seguito, e quando le cose vanno bene è sempre una festa. Quando le stagioni non vanno come vorresti, vivi con un pochino di pressione, ma è la passione della gente che la domenica viene a vederti e a riempire il palazzetto, a guidare tutto. E a me questo aspetto piace molto“.

    Foto Lega Pallavolo Serie A

    Il differenziale di Castellana?

    “La squadra. Siamo tutti intercambiabili. Non esistono i titolari e le riserve ma con quelli che non partono dall’inizio si potrebbe tranquillamente costituire un’altra squadra di A2. Il livello del roster è altissimo“.

    Lei è un veterano della serie A. I più forti con cui ha giocato?

    “Guardi, spero non si offenda nessuno perché sono troppi. Se mi chiede dei nomi i primi che mi vengono in mente sono Urnaut e Farina. Ma l’elenco non è esaustivo perché ce ne sono decine. Ho avuto la fortuna di imparare molto da ognuno di loro. Io poi sono stato uno che sin dalle giovanili si è messo a disposizione e ha cercato di carpire i segreti, dagli allenamenti all’alimentazione di persone come Farina, solo per fare un esempio, con cui si è ritrovato a giocare“.

    Gli amici di una vita?

    “Davide Marra, Davide Quartarone e Mario Ferraro. Tre compagni di squadra ma soprattutto tre grandi amici fuori dal campo“.

    Tiene molto al ritorno in Superlega dopo tutti questi anni di esperienza?

    “Il salto lo vorrei fare. Ci penso, è vero. Spero che in questa stagione a Castellana si possa scrivere un bel finale. Non lo dico solo per me ma per il valore dell’intero gruppo“. LEGGI TUTTO

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    Antonino Suraci: “Ho scelto di restare perché Reggio Emilia è una famiglia

    Di Roberto Zucca

    Avete presente quelle interviste nelle quali le scalette vengono stravolte dalla narrazione, e l’atmosfera si fa più intima domanda dopo domanda? Antonino Suraci ha preso il registratore e la conversazione tra le mani e mi ha condotto in un mondo bellissimo, fatto di famiglia, di sogni e di un linguaggio della pallavolo e della vita emotivamente coinvolgente. Che alla Conad Reggio Emilia ha trovato la sua consacrazione:

    “Quando parlo di Reggio Emilia, non posso non utilizzare la parola famiglia. Condurre una squadra a gestione famigliare significa immergersi in una realtà, nella quale col tempo si scordano le distanze da casa, le famiglie vere che mancano. Per lasciare spazio ai rapporti che nascono, come quello con Vincenzo Mastrangelo o con la dirigenza della società, e che, nel momento in cui si presentano alla porta altre offerte, decidi di non lasciare“.

    Perché si sceglie di restare?

    “Molti di noi dopo lo scorso anno hanno ricevute delle chiamate interessanti, perché, credo di dire una cosa scontata, chi vince il campionato e la Coppa Italia ha un buon valore di mercato per la stagione successiva. Io ho scelto di restare, di investire. Ho scelto di costruire ancora qualcosa qui a Reggio Emilia. Mi sono sentito in dovere di restituire a questo società un po’ di quello che sono riuscito ad ottenere vestendo questa maglia“.

    Foto Lega Pallavolo Serie A

    È difficile vivere col fantasma del natale precedente, per usare un’espressione del periodo?

    “Non è semplice. Veniamo da una stagione unica per la storia di questo club, e nel cuore delle persone resta un pochino il registro dei ricordi. C’è da dire che se non avessimo avuto un inizio così difficile, forse lo spauracchio non si sarebbe presentato. Io però, sono uno che guarda sempre il bicchiere mezzo pieno“.

    Mi spieghi meglio.

    “Sono consapevole del fatto che abbiamo avuto numerosi infortuni. Ci stiamo rimettendo in piedi infatti in queste settimane. La vittoria contro Cuneo è un bellissimo e allo stesso tempo piccolissimo segnale. Abbiamo trascorso alcune giornate ad allenarci in otto, e non è semplice giocare la domenica con una settimana così. Però dico proprio per questo, che abbiamo raccolto le energie per affrontare adesso tutti assieme il ritorno con una consapevolezza diversa. Pensando che, riprendendo il discorso del bicchiere mezzo pieno, se questa cosa fosse successa nel girone di ritorno sarebbe stato peggio“.

    L’andata è stata strana. Basta vedere la classifica.

    “Non c’è stata una squadra come Vibo che doveva vincere sulla carta tutte le partite. Ci sono dieci squadre nel giro di sei punti. Ci sono delle realtà che come Bergamo hanno risalito la classifica nelle ultime settimane o squadre come Grottazzolina che hanno costruito dei fortini casalinghi da cui è difficile uscire con dei punti. Posso dire che in A2 l’andata non ti restituisce mai una fotografia nitida di come sarà il proseguimento della stagione. Si riscrive poi tutto. Noi, ad esempio, lo scorso anno, eravamo forse al quinto o sesto posto alla fine della prima parte di campionato“.

    Foto Lega Pallavolo Serie A

    A che punto del percorso di carriera è arrivato Antonino Suraci?

    “Un punto in cui mi sento molto responsabile per ciò che porto in campo. Avendo preso la decisione di restare qui, credo mi abbia reso più consapevole di ciò che devo ottenere. Sono uno che tenta di tenere il morale alto in squadra e soprattutto mi sento capace di circoscrivere ogni partita, nel bene e nel male. Ogni partita ha una storia a sé. Sono in grado di ripartire, di ritagliare ciò che voglio portarmi dietro da ogni episodio. Credo sia una questione più di maturità ed esperienza che di consapevolezze, perché qualche insicurezza ti resta ancora“.

    Il sogno?

    “La Superlega. Da quando giocavo a Malnate“.

    Cosa si porta dietro di quel ragazzino?

    “I sogni. Gli amici trovati per strada. La famiglia. Soprattutto la certezza che mamma ha sempre creduto in me ed è stata fondamentale“.

    Foto Volley Tricolore

    Quando in particolare?

    “Quando ad esempio è stata lei a spingermi per acquistare il mio cartellino dalla società in cui ho giocato le giovanili a Malnate. Fu lei a dirmi di chiamare il mio procuratore per dire che avremmo fatto l’investimento. Lei mi ha sempre dato la spinta più per credere che ciò che sognavo da ragazzino un giorno sarebbe arrivato. Ha posto solo una condizione“.

    Quale?

    “Che prenda la laurea. Infatti quando ho scelto di iscrivermi all’Università dell’Insubria in Comunicazione e Società, è stata molto felice della scelta“.

    Suraci è pallavolo, metodo, studio. Poi?

    “Sono uno che si circonda di passioni, hobby e quant’altro. Sono un grande appassionato di astronomia da qualche anno. Leggo decine di libri e mi informo su qualsiasi fenomeno. Non perché ne voglia creare un mestiere, ma semplicemente perché mi piace capire di più di stelle e pianeti“.

    Foto Piero Taddei/Volley Tricolore

    Un sognatore?

    “So tenere i piedi per terra“.

    È consapevole di essere un personaggio fuori dall’ordinario?

    “Alle volte me ne rendo conto. Ogni tanto mi prendo i miei momenti per uscire da questo mondo sportivo, ma sogno di poterci restare il più possibile. Anche dopo la fine della carriera ad esempio. Magari facendo una carriera da procuratore“.

    Chi sono i suoi amici nel mondo della pallavolo?

    “Matteo Maiocchi e Gianluca Loglisci, con i quali, ad esempio, siamo saliti su una macchina e andati in Bosnia al matrimonio del nostro ex compagno Ristic, perché ci mancava molto poter stare tutti assieme. Ma anche Riccardo Mian, e Diego Cantagalli qui a Reggio, o Mattia Cappellani che ora gioca in B a Mantova. O lo stesso Tim Held con cui ho condiviso tanto. Non mi sono mai fatto mai mancare l’amicizia nella pallavolo. Credo sia un fattore distintivo per vivere questa vita sportiva appieno“. LEGGI TUTTO

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    Dragan Travica: “Ogni cosa nella mia vita è arrivata al momento giusto”

    Di Roberto Zucca

    Quando squilla il telefono, Milo riposa. È mattino ad Atene, e a rispondermi non è il solito Dragan Travica, con cui abbiamo condiviso anni di chiacchierate su qualsiasi argomento, ma soprattutto sulla pallavolo nostrana. È il Travica dei 36 anni, quello che condivide la sua nuova vita greca con Giulia e il loro primogenito Milo, mentre veste i panni dell’uomo d’esperienza nell’Olympiacos Pireo di Alberto Giuliani:

    “Mi rendo conto che ogni cosa nella mia vita è arrivata nel momento giusto. Mia sorella mi aveva detto, nei miei anni da scapolo, che quando anche sarebbe arrivato l’amore della mia vita, avrei bruciato le tappe. Con Giulia ci conoscevamo da un po’ di anni. Ho capito di essermi innamorato di lei un anno e mezzo fa e anche Milo è arrivato subito, perché era qualcosa che desideravamo fortemente entrambi“.

    L’avventura greca l’avete scelta assieme?

    “Beh, sono cose che si decidono in due. Devo dire che all’inizio non è tutto semplicissimo, anche perché io e Giulia siamo arrivati qui da soli. Senza i nonni, o senza il pediatra di fiducia, all’inizio ti devi adattare. Ma con Atene è stato amore a prima vista. Quando a dicembre ad esempio, riesci a ritagliarti un pranzo al mare nel weekend, col sole e non con i tre gradi di Padova, rivaluti tutto. Poi la gente è molto gentile, presente, se vogliamo un po’ italiana. Ritrovi anche un po’ di casino come nelle nostre grandi città, o anche quel fare un po’ da Sud Italia. Quindi ti senti a casa“.

    Foto CEV

    Al primo posto della classifica e con Alberto Giuliani alla guida. Voleva questo?

    “Inevitabilmente siamo una squadra costruita per fare il meglio possibile. È un campionato lungo, una stagione fatta da moltissime partite, tra cui quelle della Challenge e quelle della Coppa di Lega, che qui è un torneo in più rispetto al campionato italiano. Quindi è bello impegnativo. L’obiettivo è di certo quello di vincere“.

    Vacanze di Natale italiane?

    “Giulia e Milo sono rimasti in Italia fino ai primi giorni di gennaio, io a Santo Stefano ero già in palestra. Trascorso i giorni precedenti al Natale con mia sorella, Sava e mia nipote, e il Natale con la famiglia di Giulia, abbiamo festeggiato il pensionamento del nostro professore di educazione fisica, il professor Roberto Devivo, al quale abbiamo fatto una sorpresa con una reunion dei compagni di scuola. È un regalo che mi sono voluto fare anche io. Forse è il tempo che passa a rimettere in fila le priorità“.

    L’Italia della pallavolo le manca?

    “Seguo quando posso, e ho visto che Perugia sta facendo davvero un campionato di altissimo livello. È una squadra che si è rinforzata ancor di più, io la conosco bene, e non nascondo che è sempre bello giocarsi certe partite come la finale del Mondiale. Io, proprio per il forte desiderio di continuare a giocare, ho detto di no al rinnovo. Detto questo, sono molto felice per loro perché è una squadra che tengo nel cuore, così come a livello umano, ho lasciato lì delle persone alle quali rimango legato“.

    Foto CEV

    Come a Padova?

    “Padova è casa mia. Resta la mia estate, il mio porto sicuro, e la mia seconda vita che è lo Spazio 21. A Padova e alla Kioene sono legati alcuni dei rapporti umani che ritrovo ogni estate, e che vorrei fossero parte della quotidianità. Parlo di Randazzo, Sperandio, Polo, Lazzaretto, Zorzi. Gente con cui ho giocato una parte della mia carriera importante“.

    Lei la carriera la vorrebbe chiudere lì?

    “(ride, n.d.r.) Questo non dipende da me, ma sarebbe bello. Certamente vorrei avere più tempo per stare con i miei amici e la mia famiglia. Non che qui non stia bene, anzi, sto benissimo. Ecco, posso dirle che non amo pensare alle cose in termini di ‘sliding doors’. Credo che aver condiviso il campo con quelli che sono diventati i miei amici, ma ce ne sono anche altri, sia un’esperienza irripetibile. È stato un bellissimo momento, ed è giusto che resti un ricordo. Anche perché ognuno ha preso delle strade differenti“. LEGGI TUTTO

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    Filippo Lanza sorride: “In Polonia sto bene”. E a marzo sarà ancora papà

    Di Roberto Zucca

    Risolta e risoluta è la sua anima. Rediviva la sua voglia di stupire ancora, anche fuori dall’Italia. È un Filippo Lanza felice quello con cui riusciamo ad entrare in contatto durante una trasferta dello Skra Belchatow, il club polacco che quest’anno si è aggiudicato le prestazioni e i capolavori di Super Pippo:

    “La stagione è iniziata nel migliore dei modi, non solo perché con la squadra sto lavorando molto bene e perché ho trovato un bellissimo ambiente in cui proseguire la mia carriera. Ma anche perché con Costanza abbiamo deciso di vivere insieme quest’anno in Polonia, anzi, lo abbiamo messo come condizione imprescindibile dopo l’anno a Shanghai“.

    Regalando anche un fratellino a Leonardo…

    “Saremo in quattro da marzo, è vero. Lo abbiamo desiderato tantissimo e soprattutto volevamo donare a Leonardo un fratellino con cui giocare. La famiglia allargata è un pensiero che abbiamo sempre avuto. Non poteva arrivare in un momento migliore“.

    Foto PlusLiga

    La Cina è un ricordo. Anno difficile quello di Shanghai?

    “Un anno in cui si è vissuto poco. Una stagione che di fatto non si è disputata. Volevo fortemente riprendere a giocare e prima di lasciare l’Italia di nuovo, ho posto come condizione che quello che mi avrebbe fosse un ambiente in cui poter stare in famiglia. Così è stato. La città è piccola, la società molto buona, Costanza e Leo si trovano bene. Abbiamo trascorso il Natale con le nostre famiglie qui a Belchatow ed è stato bellissimo“.

    Sono anni che la intervisto. È raro sentire un Filippo così. Finalmente.

    “(ride n.d.r.) Eh sì. Credo di aver fatto un percorso e di aver fatto le scelte giuste. Penso anche che la mia storia professionale mi terrà all’estero per un po’. È un’occasione, che consiglio, non tanto perché in Italia non si sta bene, ma perché arricchisce, plasma, forma, ed è capace di restituire il giusto peso a tutto“.

    Foto CEV

    Chi si allontana non fa un torto alla propria immagine?

    “Non mi è mai interessato particolarmente. Anzi, c’è stato un momento in cui i riflettori puntati addosso li ho sofferti. Qui è tutto molto diverso. Non sei un fenomeno o non ti cercano solo perché vinci una partita o solo perché fai parte di una squadra. Non si creano polemiche o pretesti per trasformare qualcosa in uno scoop giornalistico che si regge poi sul nulla. La gente ti viene a vedere, le squadre ti sostengono, la pressione è decisamente inferiore da noi. Forse avevo semplicemente bisogno di questo“.

    Con Kooy e Atanasjevic ha respirato un po’ di aria italiana?

    “Dick e Bata sono amici, è un piacere trovarli in squadra. In generale siamo un bel gruppo, ci troviamo bene tra di noi. Cercheremo di fare un girone di ritorno in cui proveremo a rosicchiare qualche punticino in più alla classifica. L’obiettivo è entrare nella seconda fase. Poi i playoff scriveranno un altro campionato. Ma ci sono squadre molto più attrezzate di noi, anche la dirigenza lo sa. Cercheremo di fare il meglio possibile“.

    Foto CEV

    La tv per guardare il campionato italiano la accende?

    “Capita, leggo e mi informo. Le cose vanno come sempre. Ma quando capita di sentire qualche ex compagno parliamo di altro, non di pallavolo. Ognuno gioca il proprio campionato e siamo anche altro oltre al volley“.

    Curiosità. Lei da alcuni anni è socio della Nine Squared. È difficile seguire il lavoro dall’estero?

    “Fortunatamente ho dei bravissimi collaboratori che mandano avanti l’azienda, che ha avuto una crescita esponenziale e ne siamo tutti felicissimi. Io sono il socio maggioritario e da qui in Polonia mi occupo di sviluppare eventuali aperture di canali su nuove squadre e nuovi mercati. È un bel lavoro e sono soddisfatto dei risultati raggiunti. È un po’ il mio futuro, almeno credo, che tra qualche anno, non ora, mi terrà occupato dopo la fine della carriera“. LEGGI TUTTO