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    Caos F1, tutto il peggio visto in un solo gran premio

    “È finita così. Senza un vero perché”. Bisogna ricorrere a Little Tony per dare un senso ad una Formula 1 che a Suzuka mette sul palco tutte le sue inefficienze. Con il “perché” della canzone che trova risposta in una FIA impegnata a trasformare la crescente complessità delle regole, tecniche e sportive, in un caos ingestibile. I cui effetti hanno finito per generare la crescente discrezionalità che ha caratterizzato la stagione.

    E così a Suzuka Max Verstappen prende atto di aver conquistato il suo secondo mondiale da un intervistatore al quale, poco prima, lo stesso pilota aveva espresso il rammarico per dover rimandare l’appuntamento con il titolo. Allo stesso modo i tempi lunghi che a Singapore hanno posticipato la classifica finale, in Giappone si contraggono a pochi secondi quando si tratta di applicare la sanzione a Charles Leclerc. Poco importa che nelle qualifiche il comportamento di Max Verstappen che solo per un caso non ha avuto drammatiche conseguenze, si sia risolto con un tenero rimbrotto del direttore di gara. E non bastano gli “occhi di Tigre” di Matteo Binotto, rintanato a Maranello per concentrarsi sulla monoposto del 2023, a cambiare la situazione. Una scelta discutibile per una squadra che può contare su piloti e monoposto efficienti ma soffre per una direzione incerta. I cui effetti si traducono in una progressiva perdita di rispetto da parte delle istituzioni sportive. Quel rispetto di cui gode la Red Bull e il cui valore sembra prezioso per far fronte senza troppi danni alle accuse relative al possibile sfondamento del budget cap. In compenso nessuno ha avuto il coraggio, con l’eccezione di Gasly, di mettere sotto accusa una organizzazione così efficiente da mettere in pista un trattore mentre ancora i piloti, sia pure con bandiera rossa esposta, si stavano rimettendo in fila dietro la Safety Car. Un episodio reso ancora più drammatico dalla pioggia e dalla conseguente mancanza di visibilità. La stessa situazione che sullo stesso circuito, il 5 ottobre del 2014, sarebbe costata la vita a Jules Bianchi.

    Ed è stata propria la pioggia a condizionare una gara che sospesa per quai due ore, ha finito per condensarsi in poco più di 45’. Una lunga attesa che al contrario delle canoniche due ore, ha regalato una corsa serrata, priva di pause, ricca di episodi capaci di far trattenere il fiato agli spettatori. Prezioso suggerimento per il futuro. LEGGI TUTTO

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    Domenicali: “Più probabile un meteorite che una donna in Formula 1 in cinque anni”

    Quando si cerca una definizione breve per Stefano Domenicali, talvolta si incappa nella scorciatoia del “nuovo Ecclestone”. In realtà i due hanno in comune il fatto di essere stati alla guida della Formula 1, ma in tempi e modi diversi, essendo essi stessi persone agli antipodi. Oggi Domenicali gestisce il circus per conto della proprietaria (dal 2017) Liberty Media, che alla Formula 1 dà un’impronta americana, molto attenta allo show. Il risultato non è sempre una meraviglia, ma Domenicali va avanti anche con onestà intellettuale, ammettendo: «I giovani chiedono cose nuove e io devo fare scelte per la massima valorizzazione del Mondiale». Ergo: per aumentare la redditività del giocattolo. E sul punto si fa fatica a dargli torto. Intanto, alla vigilia della ripresa delle ostilità dopo la pausa estiva, ha parlato ad alcune testate decantando il «grande momento per la Formula 1» e l’«incredibile stato di salute di uno sport in prima fila per popolarità». Quanto al pezzo di campionato che ci aspetta ha anticipato – chissà quanto per intima convinzione e quanto per promuovere la merce sul banco – l’arrivo di meraviglie ed effetti speciali. Il primo messaggio – non è finita finché non è finita – lo ha porto anche col cuore, ché le sue radici sono ancora nelle profondità di Maranello. «Ottanta punti dividono Leclerc da Verstappen e sono tanti, ma in Formula 1 non si deve mai dire mai. Ricordo che nel 2007 (lui era in procinto di rilevare la guida della Scuderia da Jean Todt, ndr) Raikkonen a due gare dalla fine aveva diciassette punti di ritardo (col vecchio punteggio la vittoria ne valeva dieci, ndr), e batté Hamilton e Alonso di un solo punto. La Red Bull è molto forte, la Mercedes crescerà ma la seconda parte riserverà grandi sorprese. Errori, affidabilità, meteo… chi può dirlo? Intanto dal Belgio in poi i GP registrano l’esaurito: tutti vogliono vedere come andrà a finire». Le norme anti-saltellamento per il 2023 rimescoleranno i valori? «Non credo. Un anno fa tutti giuravano che quest’anno le macchine sarebbero state uguali fra loro. E invece ogni team ha saputo creare qualcosa di nuovo e originale». Porsche e Audi si avvicinano. «La piattaforma tecnica è credibile e protesa verso un futuro con motori sostenibili. Ribadiamo l’obiettivo dell’impatto zero carbon nel 2030, e tutto questo alle Case piace». Dagli Usa si dice molto interessato a entrare Mario Andretti. «Non abbiamo problemi di quantità né necessità di nomi pesanti. Conosco Mario e sono tutti benvenuti, anche suo figlio Michael, ma altri si stanno muovendo in silenzio, e rispettando i protocolli». Cancellato il GP Russia per l’invasione dell’Ucraina, non si pone il problema con la Cina che insidia Taiwan? «La nostra politica è chiara: portare nel mondo valori positivi. Tutte le leghe stanno cercando di capire cosa succederà e bisogna anche capire come evolverà la situazione delle chiusure per il Covid: non abbiamo tirato conclusioni». Nel 2023 avremo in calendario un GP africano? «Tutti lo vogliono e noi stiamo discutendo col Sudafrica per un accordo di lungo termine. Comunque puntiamo a un calendario con 23-24 gare, non di più». Davvero la Formula 1 rischia di perdere Spa? «La memoria corta impedisce di ricordare che pochi anni fa il Belgio non c’era… Dobbiamo scegliere per la massima valorizzazione del Mondiale. L’ideale per noi sarebbe avere un terzo del campionato in Europa, un terzo nelle Americhe e un terzo nel resto del mondo». Tra le gare storiche c’è in ballo anche Monza. «Grande rispetto per questi circuiti e per Monza che compie cent’anni, ma la storia non è abbastanza. Bisogna investire sulle strutture e sul futuro. E nessuno è garantito, non sarebbe corretto nei confronti di chi vuol entrare». La MotoGP vi copia le Sprint, ma rimane aperta la questione che chi si aggiudica la pole non necessariamente parte davanti nel GP. «Siamo pronti a discutere aggiustamenti ma se la gente è felice, i promotori e i media anche (i media non proprio, ndr), perché no? È bello che ogni giornata offra qualcosa di nuovo, i venerdì con le sole prove libere divertono solo gli ingegneri». Quando una donna in Formula 1? «Lavoriamo per dare loro il massimo delle possibilità di entrare, all’età giusta e con la macchina giusta. Devo però anche essere realista e dire che è più probabile l’arrivo di un meteorite sulla Terra che quello di una pilota nel Mondiale nei prossimi cinque anni». LEGGI TUTTO

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    Alonso: “Non sono in uscita. La Dakar mi può rendere mitico”

    Nello scontro generazionale tra piloti, lei è uno strano ibrido: qual è il segreto della sua freschezza?

    «Non lo so bene neanch’io. Si parla molto di questo avvicendamento, ma non mi sembra ci sia qualcuno in uscita, neanch’io lo sono. Finché sono competitivo e non patisco i viaggi, perché dovrei fermarmi?»

    Gli anni non le pesano.

    «Non solo, sono un vantaggio: conosco bene i circuiti e anche come varia il meteo nei diversi posti. E’ un dettaglio importante».  E nei suoi primi giri dopo il via sfodera i superpoteri. 

    «Non sono superpoteri, ma qualità che mi porto dietro da quando avevo 25 anni. Da allora non sono cambiato in molte cose: l’atteggiamento generale, la ricerca un extra oltre la prestazione, la voglia di giustizia per decisioni dei commissari che non condivido. Il mio desiderio di rivincita è sempre vivo. Chi si avvicina ora alla Formula 1 si chiede forse perché questo quarantenne combatta tanto, ma la pacatezza non è da me».  Cos’altro porta con sé da quando era ragazzo? 

    «Competitività, esigenza nei confronti di me stesso, ricerca dell’eccellenza. Forse i miei colleghi si aspettavano che dopo Indy o Le Mans sarei tornato per puntare al novanta per cento. Io invece vivo ogni gara come un Mondiale».  Di cos’è particolarmente orgoglioso? 

    «Dei due anni al di fuori della Formula 1: competitivo a Indianapolis, vincitore del Mondiale endurance e due volte Le Mans, ho disputato la Dakar ad alto livello, tutto questo per me ha un valore altissimo. E poi, insomma: due titoli in Formula 1, ho corso per Ferrari e McLaren, team storici. Tra vent’anni potrò dire con orgoglio a mio figlio: non sono stato solo un pilota di Formula 1, che pure è sport difficile e molto specifico come stile di guida, ma un pilota totale».  Potrebbe tornare a correre altrove dopo la Formula 1. 

    «Certo! Il mio conto con la Dakar è rimasto sospeso: grande sfida dal punto di vista umano, bella gente. E’ l’esatto contrario dell’analitica Formula 1: se riuscirò a vincerla, farò qualcosa di irraggiungibile per i piloti del futuro».  Bizzarro che lei alla Dakar abbia un maestro che si chiama Carlos Sainz, e in Formula 1 un allievo con lo stesso nome. 

    «C’è tra noi un’amicizia molto bella, da tanti anni. Quando andavo a scuola Carlos padre era l’idolo di tutti. Avevamo le sue macchinine. A me in realtà piacevano i circuiti, ma papà Carlos era un riferimento; poi lo sono diventato io per suo figlio. Alla fine ce lo siamo conteso».  In che senso? 

    «Carlitos ammirava me, voleva diventare Alonso. Suo padre un giorno mi disse: “Parlaci tu con Carlos, lui è fissato con te, ma io vorrei che si dedicasse al rally”. Alla fine ho vinto io…»

    Sainz potrebbe arrivare a valere Charles Leclerc? 

    «Forse un giorno, ma dobbiamo dare tempo a entrambi perché hanno margini di crescita. Collaborano solo da un anno e mezzo e nel 2021 avevano una macchina non ancora competitiva. Quest’anno è al top: Charles si è adattato un po’ meglio, ma neanche lui è ancora al cento per cento. Ha vinto qualche gran premio in Formula 1 ma non è un campione del mondo, non ancora almeno».  Non mi dica che margini di crescita ne ha ancora anche lei. 

    «Ma certo! Ad ogni stagione imparo qualcosa. Quest’anno gomme ribassate, macchine nuove, magari non spettacolari e leggere come quelle dei primi anni Duemila. Ma l’intera Formula 1 è entrata in un’era diversa: nuovi fan, nuovo interesse, la crescita negli States, è un bel momento per il nostro sport. Non mi fermo anche per continuare a cavalcare quest’onda».  Quanti anni ancora?

    «Almeno altri due (a fine 2024 ne avrà 43; ndr), so di poter dare il meglio ma ogni decisione arriverà dopo l’estate».  Ocon è sotto contratto con l’Alpine fino al 2024 e Oscar Piastri è alla porta: sente di doversi guardare intorno, magari per cambiare squadra? 

    «No. Oscar è bravo ma il team è libero di metterci alla prova. Sanno cosa sto dando, abbiamo avuto molta sfortuna con un podio perso in Australia, siamo stati bersagliati dall’affidabilità con la penalizzazione per il quarto motore già in Spagna, ma insomma, non credo di dover dimostrare niente».  Sarebbe disposto a continuare con Alpine? 

    «Mi trovo bene con questa squadra, ho passato metà della mia carriera tra Enstone e Viry e proseguire con loro fino alla fine avrebbe un senso. Però vediamo quali altre opzioni ci sono, ma l’ho detto: decisione dopo l’estate».  Cosa manca ad Alpine per un salto di qualità? 

    «Un passo avanti tra aerodinamica e motore, poi c’è da aggiustare qualche area del team. Nel management sono state prese decisioni importanti perché abbiamo in Luca De Meo un presidente al top, con le idee chiare e che crede nella Formula 1: un grande leader. Siamo comunque sulla strada giusta per crescere».  La Ferrari può vincere il Mondiale? 

    «Ha certamente la miglior macchina, vediamo se ha anche la miglior squadra».   Se lei guidasse un team, quali piloti sceglierebbe? 

    «Fernando Alonso e Lewis Hamilton, perché sono quelli con più esperienza».  Hamilton sta subendo da Russell l’assalto che lei subì da Hamilton nel 2007. 

    «Sicuramente, sei il campione e arriva un giovane che va spesso più forte di te, ti devi riorganizzare. Ma Lewis su di me aveva un vantaggio: lui esordiva in F.1 ma io in quella squadra, che per diversi anni lo aveva tirato su».  Il budget cap salva o mortifica il Mondiale? 

    «Lo salva, ne va del futuro del nostro sport: bisogna mettere in gioco più squadre possibile».  Alla fine, in sintesi: cosa le hanno lasciato i team in cui è passato? 

    «La Minardi un senso di famiglia e di passione, la Renault un senso di casa e di epica per la sfida ai grandi, la McLaren tecnologia e apprendimento profondo della Formula 1, la Ferrari i ricordi più belli e la condivisione di valori comuni, come la passione per lo sport. Correre con la Rossa dovrebbe essere un obbligo, per tutti». LEGGI TUTTO

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    Formula 1, altro errore pesante per Sainz: ora c'è da riflettere

    TORINO – Errore di Carlos Sainz nella seconda sessione di prove libere. Non il primo quest’anno. Lo spagnolo aveva sbattuto in qualifica a Imola (poi finì fuori nel primo giro, ma non per colpa sua). In  Australia, prima di Imola, la gara sua gara  concluse per un testacoda nelle fasi iniziali. Esiste un problema Sainz?

    CRONOMETRO – A giudicare dai tempi, verrebbe da dire no, anche ieri – quando ha sbagliato – era il più veloce in pista. E in gara ha mostrato la sua consueta solidità. Ma gli errori cominciano a essere tanti e certamente peseranno, se non altro nella sua mente E a livello di fiducia nei suoi mezzi.

    CONTRADDIZIONE – Sainz ha negoziato a lungo il suo rinnovo con la Ferrari, infine ha firmato, con piena soddisfazione sua o della squadra. Ma paradossalmente anziché “scaricare” la tensione, questo rinnovo è coinciso con l’aumento degli errori. E’ solo un caso? Certo, l’anno scorso sia lui sia Leclerc dovevano lottare con un’auto poso competitiva. Quest’anno la Rossa funziona bene, è veloce e vincente. E Leclerc, che ha classe istintiva, la interpreta alla perfezione. Che sia anche questo – ossia un paragone difficile da gestire – a creare difficoltà a Sainz? Lo spagnolo, sinora, ha dimostrato di sapere sempre reagire alle difficoltà e ai momenti critici. Ma ora si sta facendo davvero dura per lui. LEGGI TUTTO

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    Formula 1, Miami pista che non perdona: tanto lavoro al simulatore

    TORINO – Cosa dicono le prove libere di Miami, andate in scena nella tarda serata di ieri? Al netto del glamour, notevole (basta guardare la sfilata di star e i prezzi di posti o oggetti del merchandising), emergono alcuni dati. Il primo: la pista è severa e divertente, non tutti i piloti sono riusciti a capirla bene, in fretta e subito. Il secondo è che fa molto caldo (cosa che non è una sorpresa), ma certo influirà sul rendimento delle auto e delle gomme. Il terzo è che i valori in pista tra Ferrari e Red Bull sono più o meno sullo stesso livello delle gare precedenti, con la Red Bull che ha una maggiore velocità di punta e la Ferrari che una maggiore velocità in curva (specie sulle curve lente). Alla fine della giornata, tra i big è emerso Leclerc. Bene per la Rossa.

    CARLOS FATICA – Rimanendo in casa Ferrari, c’è un altro dato sul quale riflettere: Carlos Sainz è incappato in un altro errore, non certo il primo quest’anno (a parte di Imola dove è stato spinto fuori pista da Ricciardo).

    SIMULATORI – La sensazione è che la strada verso le qualifiche sarà ancora molto, molto lunga. Bisognerà lavorare sui dati raccolti ieri, molto verrà fatto in loco, ma molto verrà svolto al simulatore, nelle sedi delle squadre (tutte in Europa). I piloti collaudatori (per la Ferrari è Antonio Fuoco) saliranno idealmente in auto e cominceranno a girare a oltranza (per questo non ci sono restrizioni regolamentari). Loro non hanno orari, non c’è differenza tra giorno e notte, devono solo guidare. Poi, suggerimenti e idee, verranno trasferiti in Florida, per essere testati nelle “libere-3”.

    DIFFICOLTA’ – La Red Bull, che magari oggi sarà in palla, ieri ha avuto delle difficoltà evidenti, legate al raffreddamento e al circuito idraulico. Ha pagato dazio più Verstappen che Perez, forse ai box della squadra dell’olandese non si aspettavano un inizio tanto difficile.

    RISALITA – Chi sta risalendo – e in fondo c’era da aspettarselo, visto la storia degli ultimi mondiali – è la Mercedes. I tecnici di Brackley sono intervenuti su ali e fondo, la monoposto migliora. Chissà se l’attesa sia già finita a Miami o se ci sarà da attendere ancora. L’attesa per stasera è molto, molto elevata. Verrebbe da dire: fantastico. LEGGI TUTTO

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    U-Mask Model 3, in Formula 1 scelgono la mascherina sostenibile

    U-Mask, la mascherina biotecnologica, presenta la sua ultima versione, Model 3, che fa alzare il livello dell’innovazione. Quali sono le sue caratteristiche? Si tratta di un dispositivo FFP2 riutilizzabile, lavabile, sostenibile ed ergonomico, in grado di proteggere contro le microparticelle inquinanti grazie ad un nuovo strato di nanofiltrazione. Ma ha anche un design sempre più confortevole ed elegante. U-Mask Model 3 è disponibile in tre taglie e in tre colori, e va ad aggiungersi agli altri modelli, già distribuiti in 129 paesi, che hanno riscontrato il favore dei campioni di Formula 1 e di tanti altri sportivi.Guarda la galleryU-Mask Model 3, la mascherina sostenibile scende in pista
    Protezione dal virus e dall’inquinamento
    Nonostante le restrizioni allentate, il virus è ancora in circolazione e le mascherine FFP2 sono in cima alla lista delle raccomandazioni degli immunologi, specialmente nei luoghi al chiuso. U-Mask Model 3 è certificata FFP2 RD dall’organismo notificato italiano ed è dotata della biotecnologia del Biolayer, uno degli strati interni del filtro che previene la proliferazione batterica all’interno della mascherina. Grazie a queste caratteristiche è utile sia per difendersi da virus e batteri ma anche da smog, inquinamento e polveri sottili. Secondo lo studio pubblicato dall’Organizzazione mondiale della Sanità (OMS), infatti, il 99% della popolazione mondiale respira quotidianamente aria inquinata, con effetti negativi sulla salute.
    Basso impatto ambientale
    U-Mask Model 3 ha anche un impatto ambientale bassissimo e aiuta a contrastare l’inquinamento dovuto alla dispersione di mascherine usa e getta (circa 3,4 miliardi di mascherine non riciclabili al giorno finiscono nella spazzatura, più tutte quelle che vengono disperse nell’ambiente): è infatti riutilizzabile e lavabile.
    Materazzi si vendica di Ibra: al Gp d’Australia porta a Binotto la maglia dell’Inter LEGGI TUTTO