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    Dakar 2022, Audi doppietta da urlo

    Erano già soddisfatti due giorni fa, al giro di boa della loro prima Dakar, i vertici di Audi: se le proporzioni sono quelle giuste, dopo ieri, salteranno dalla gioia. Alla terza tappa la prima vittoria, all’ottava la prima doppietta, realizzata con un rookie (su auto) come Mattias Ekström, che tiene ancora vivo il sogno di entrare nella Top 10 al debutto con il prototipo elettrico Audi RS Q e-tron.
    Dakar 2022, la scossa Audi accende il deserto
    Con lui su podio Monsieur Dakar, Stephane Peterhansel, arrivato a 49” dal compagno. Insomma, un altro passo nella storia completato dal quarto posto di Sainz con la terza Audi a trazione elettrica nei primi quattro classificati. Anche questo un record. In mezzo, solo il “guastafeste” Loeb con la sua BRX Hunter che continua a provare a dare noia al leader, il principe qatariota Al Attiyah, ieri 11° ma tranquillo (con quasi 38’ di vantaggio si può) sul suo Toyota Hilux.
    Il senso delle parole di Oliver Hoffmann (una discreta somiglianza con Russell Crowe), membro del board per lo sviluppo tecnico di Audi AG, rilasciate in un’intervista a Riyad solo sabato davano comunque la dimensione di quello che Audi ha fatto e sta facendo. Figuriamoci dopo il risultato di ieri e il podio di domenica di Ekstrom. “Quello che il nostro team ha dimostrato sino a oggi mi ha impressionato. Audi RS Q e-tron è stata sviluppata in tempi record. Nonostante ciò siamo già competitivi. Piloti, navigatori, meccanici, tutti i collaboratori attivi sul progetto Dakar hanno fatto un grande lavoro. L’innovazione tecnologica che abbiamo introdotto al rally raid più diffi – cile al mondo soddisfa pienamente le nostre aspettative”.
    Ad essere su una nuvola è proprio lui, il rookie delle auto, Mattias. Doveva essere il terzo anello, quello debole (si fa per dire), del Dream Team messo in piedi da Audi per la Dakar con Peterhansel e Sainz e invece sta mettendo in riga tutti. Anni 43, due titoli vinti nel DTM e un mondiale nel rally cross, in due giorni alla Dakar ha piazzato un secondo e un primo posto da sballo: “Davvero un fantastico feeling – ha raccontato a fine gara -. Quando mi chiamarono per partecipare al progetto, non mi sarei mai aspettato di poter vivere emozioni del genere, mi sembra un sogno, fatico a crederci. Anche perchè all’arrivo ero un po’ seccato per come avevo guidato male nella parte finale sulle dune. Ma il mio navigatore (Emil Bergqvist; ndr) mi ha sostenuto, dicendo che non è il caso di arrendersi ma di continuare a lottare. Mi sono reso conto di aver vinto solo quando me l’hanno detto i meccanici. Devo ringraziare molto Emil. Ha fatto una grande navigazione e mi ha aiutato a guidare veloce, oltre a sostenermi dal punto di vista psicologico. È stata una giornata lunga, dura fisicamente, soprattutto sulle dune. Vedo gli occhi dei ragazzi del team che dormono sempre meno per la fatica e lo stress e sono contento anche per loro”. Al prossimo record. LEGGI TUTTO

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    Dakar 2022, Laila Sanz e Maurizio “Jerry” Gerini: raddoppio vincente

    Già, perchè due come Laia Sanz e Maurizio Gerini con le moto ci sono nati e cresciuti e sarà difficile tenerli lontani per sempre dal loro primo amore. Anche se Laia, catalana di Corbera de Llobregat, con le due ruote a motore sembra avere un conto da regolare. Ci è praticamente nata sopra, quando il papà a soli due anni le mise tra le mani la sua Beta. Da quel momento sono passati altri 34 anni e lei non ha mai smesso di correre e vincere: 14 titoli mondiali vinti nel trial (e 10 europei), 6 nell’enduro, 11 Dakar all’attivo con le moto, oltre questa che sta vivendo a bordo di un’auto. Tre volte di fila vincitrice della classifica femminile, 6 volte su 11 all’arrivo e come miglior risultato nella generale, il 9° posto del 2015. Insomma, un fenomeno, forse anche per quel cognome che richiama l’idolo di generazioni di ragazzi spagnoli, ovvero Carlos Sainz Senior. I due però non hanno una goccia di sangue in comune, ma la passione e il talento, sicuramente sì. Al punto che Carlos l’ha voluta accanto a sè nel team Acciona-Sainz del campionato di Extreme-E, per poi spingerla con vigore al salto del fosso verso l’auto nella sua ex squadra, quella Mini appunto.
    Dakar 2022, la scossa Audi accende il deserto
    La spinta giusta al momento giusto, perché Laia era in crisi con il suo amore per la moto: “Era il momento di cambiare dopo l’ultima Dakar nella quale non mi sono divertita – ha raccontato -. Pensavo più al rischio che a correre forte. Magari fossimo stati ancora in Sudamerica, con l’impronta più “enduristica” della Dakar, avrei fatto sicuramente una fatica enorme a lasciare le moto. Ma qui, in Arabia è tutto molto più veloce e divertente. Alla fine ognuno sceglie la sua strada quando si sente di fare determinate scelte. Non è mai facile ma bisogna trovare la forza e così è successo a me: forse ha influito anche aver dovuto superare il morbo di Lyme dopo la puntura di una zecca, proporio alla Dakar”.
    E qui scatta il “colpo di fulmine” con Maurizio Jerry Gerini, 36 anni di Chiusanico, cioè Imperia. Anche lui motoclista convinto già 4 Dakar alle spalle a bordo della sua Husqvarna. In realtà, i due già si conoscevano e stimavano reciprocamente da tempo. Poi quando Laia ha avuto in mano l’offerta della Mini sono arrivati i primi segnali social, poi un paio di whatt’s app e infine la proposta indecente.
    “La colpa è tutta sua – ammette Maurizio – perchè quando mi ha detto ‘Dai Jerry, abbiamo questa opportunità, non perdiamola…’, io avevo già un accordo in tasca. Poi ci ho pensato bene, sono andato da chi aveva avuto fiducia in me, che ha capito la situazione e mi ha lasciato decidere liberamente e lo ringrazio. In un paio di giorni parlando con le persone a me vicine mi sono reso conto di tutto. Quando mi sarebbe ricapitata una fortuna del genere…? Detto questo, tagliare il cordone ombelicale con le moto sarà difficile. L’anno scorso ero uscito orizzontale in barella a causa di un incidente con un… cespuglio (dopo aver salvato la vita al pilota indiano Santos Chunchunguppe Shivashankar con un massaggio cardiaco nda) e penso che qualcosa sulle due ruote la farò ancora”.
    Dopo la sesta tappa, i due “piccioncini” sono ventiseiesimi nella classifica generale, subito dietro, guarda un po’ l’Audi RS Q e-tron del mentore Carlos Sainz, ma la Mini di Laia e Jerry è di vecchia generazione… Seguiteli, vi sorprenderanno.
    Per la cronaca, il Ministro degli Esteri francese Le Drian in un’intervista ha chiesto agli organizzatori della Dakar di sospendere l’evento per rischio di terrorismo dopo l’esplosione di una vettura di assistenza del team Sodicars Racing lo scorso 30 dicembre a Jeddah, che ha coinvolto e ferito 6 persone, una delle quali ha perso le gambe. La risposta degli organizzatori è stata negativa anche se sono state rafforzate le misure di sicurezza.  LEGGI TUTTO

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    Dakar 2022, la scossa Audi accende il deserto

    Cambiare non e? mai facile. Ci vuole coraggio, determinazione e un po’ di denaro. Questo almeno la vita delle persone normali. Se trasferiamo tutto nel mondo del business, il denaro necessario solitamente diventa una quantita? industriale. Figuriamoci in un universo come quello dell’auto dove il sistema ideativo e produttivo e? nato all’inizio del secolo scorso. Eppure l’auto sta cambiando, un po’ per scelta consapevole, un po’ per l’obbligo imposto dalle normative, soprattutto europee, che prevedono lo stop alla vendita di vetture con motore endotermico e ibrido a partire dal 2035. Gli analisti valutano che al 2030 gli investimenti dei costruttori nell’elettrificazione della mobilita? si aggireranno intorno ai 500 miliardi di dollari. Mostruoso.
    Cosi?, inevitabilmente, anche l’anima sportiva del prodotto auto sta seguendo questa metaformofosi: Formula 1, endurance, fino alla Formula E, dall’ibridizzazione all’elettrico puro, il percorso e? stato avviato. E a questo sommovimento generale non poteva sottrarsi nemmeno la Dakar. Entro il 2030 – in tutte le categorie – dovranno partecipare solo veicoli a bassissime emissioni. Ancora prima, dal 2026, la partecipazione dei piloti e?lite, cioe? i top driver di auto e moto, sara? ammessa solo a bordo di prototipi rigorosamente green. E allora tanto valeva portarsi avanti col lavoro.
    Cosa che Audi, che all’avanguardia della tecnica c’e? di default, ha fatto alla sua maniera portando sulle dune una vettura, cioe? un’astronave, rivoluzionaria da qualsiasi parte la si rivolti come l’Audi RS Q e-tron. Un debutto doppio alla Dakar e con una trazione puramente elettrica che segna una svolta epocale. Qualcuno si sta meravigliando che la RS Q e-tron stia incontrando qualche problema di gioventu? nel deserto. Ma l’errore e? madornale. Intanto, perche? gia? a meta? Dakar 2022, sono state centrate la prima storica vittoria con Sainz al terzo stage e altri due podi. Risultati pazzeschi, considerando che il progetto, non la macchina, ha appena un anno di vita, che la prima accensione dell’astronave risale appena al 30 giugno 2021 con poco piu? di 180 giorni per testare le tre vetture affidate al dream team costruito intorno a Peterhansel, Sainz (17 Dakar vinte in due) ed Ekstrom.
    Non a caso, l’Audi RS Q e-tron non ha partecipato ad altre gare prima della Dakar,. Insomma, per i miracoli bisogna rivolgersi da qualche al- tra parte. Anche perche?, l’Audi RS Q e-tron e? davvero un capolavoro di ingegneria meccanica ed elettronica. Quattro motori, tre elettrici, 2 MGU, una per asse dedicati alla trazione, un’altra a fungere da ricarica per la batteria ad alto voltaggio da 50 kWh (e 350 kg) coadiuvata in questo senso dal quarto motore un 2.0 TFSI quattro cilindri turbo a iniezione diretta di benzina, perche? nel deserto (come in citta?) non e?… facile trovare wallbox o colonnine per la ricarica. Una scelta d’avanguardia, quella portata avanti dagli ingegneri di Ingolstadt come da tradizione. Tecnicamente, la sintesi perfetta di tutte le gloriose esperienze sportive di Audi. Dai successi nei rally con la trazione quattro, a quelli nell’endurance con il primo ibrido vittorioso a Le Mans e senza dimenticare i successi a emissioni zero in Formula E. Un’avanguardia gestita peraltro dal team piu? vincente di sempre alla Dakar il Q Motorsport di Sven Quandt. L’avanguardia, proprio in quanto tale, deve pagare un prezzo con la complessita? di tutto il progetto trasferito nel deserto. Una potenza di sistema di 680 cv, necessita di protezioni dello stesso livello per evitare che i piloti possano avere problemi (eufemismo) con l’alta tensione su cui sono seduti a guidare. Dentro l’abitacolo ci sono 4 chilometri di cavi, sei sistemi di raffreddamento e un elabatorissimo sistema di protezione, che diventa tripla nel sottoscocca a difesa della batteria. Senza contare la tutela del powertrain e dei piloti che a bordo hanno 8-9 display tra cui uno, il Monitor ISO che li avverte real time di eventuali sbalzi della tensione.
    Un’astronave dal peso di 2 tonnellate. Non una piuma sul deserto, insomma. Ma dopo questo intelligente debutto, siamo sicuri che l’anno prossimo l’Audi stupira? con qualche altro effetto speciale, sicuramente piu? leggero. Cambiare il mondo, anche nel deserto, non e? facile e soprattutto non e? gratis. LEGGI TUTTO

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    Dakar 2022, Petrucci a sorpresa: la quinta tappa è sua

    ROMA – Danilo Petrucci trionfa nella tappa numero cinque della Dakar 2022! Il pilota di Terni vede la sua posizione in classifica cambiare dopo che la Direzione di Gara ha penalizzato il due volte campione Toby Price. L’australiano avrebbe infatti commesso un’infrazione legata all'”eccesso di velocità”, che gli è costata sei minuti. L’italiano, arrivato sul traguardo dopo soli quattro minuti, si vede dunque assegnare la vittoria, dopo il terzo posto sfumato ieri. “Sto piangendo come un bambino non riesco a scrivere”, ha detto su Instagram, dove ha ricevuto i complimenti, tra gli altri, di Johann Zarco, Joan Mir e Jonathan Rea.
    Fattore spensieratezza
    Petrucci era partito in Arabia Saudita portandosi in valigia anche una microfrattura alla caviglia, cosa che non gli ha impedito di prendere prima confidenza con la sabbia imprevedibile del deserto e di sfoderare poi prestazioni convincenti. Vale infatti la pena ricordare che “Petrux” è un esordiente non solo alla Dakar, ma, in generale, in questo tipo di competizioni, cosa che rende ancora più preziosa la sua vittoria. “Non pensiamo al risultato”, ha spesso sottolineato il laziale, che sembra quasi sospinto dalla spensieratezza e dall’assenza di aspettative, cosa che starebbe contribuendo alle sue prestazioni in una competizione pericolosa ed estenuante. LEGGI TUTTO

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    Dakar 2022, Petrucci vince la quinta tappa: penalizzato Toby Price

    ROMA – Danilo Petrucci vince la quinta tappa della Dakar 2022. Il pilota di Terni vede la sua posizione in classifica cambiare dopo che la Direzione di Gara ha penalizzato il due volte campione Toby Price. L’australiano avrebbe infatti commesso un’infrazione legata all'”eccesso di velocità”, che gli è costata sei minuti. L’italiano, arrivato sul traguardo dopo soli quattro minuti, si vede dunque assegnare la vittoria, dopo il terzo posto sfumato ieri. “Sto piangendo come un bambino non riesco a scrivere”, ha detto su Instagram, dove ha ricevuto i complimenti di Johann Zarco, Joan Mir e Jonathan Rea, solo per citarne alcuni.
    Caviglia dolorante
    Petrucci era partito in Arabia Saudita portandosi in valigia anche una microfrattura alla caviglia, cosa che non gli ha impedito di prendere prima confidenza con la sabbia imprevedibile del deserto e di sfoderare poi prestazioni convincenti. Vale infatti la pena ricordare che “Petrux” è un esordiente non solo alla Dakar, ma, in generale, in questo tipo di competizioni, cosa che rende ancora più preziosa la sua vittoria. “Non pensiamo al risultato”, ci ha tenuto a precisare più volte l’italiano, che sembra spinto da un genuino desiderio di divertirsi e di dare il massimo in una competizione prestigiosa e complicata. LEGGI TUTTO

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    Dakar 2022, la prima vittoria di Sainz Senior è elettrizzante

    La prima volta non si scorda mai. In amore, come correndo tra le dune. Soprattutto se il primo bacio (metaforicamente) arriva già nella stagione del debutto, appena alla terza tappa e dopo una partenza tutt’altro che incoraggiante in un deserto che continua a non perdonare la minima sbavatura, a tutti i livelli. La prima volta, la prima vittoria di Audi, della RS Q e-tron alla Dakar è una pennellata d’autore, magari quello meno atteso, ma che sempre autore resta.
    Carlos Sainz padre, alle soglie dei 60 anni, si toglie lo sfizio di regalare a Ingolstadt la prima gioia dopo l’avvio complesso (eufemismo) del team con l’incidente a Monsieur Dakar, Stephan Peterhansel, ieri comunque terzo, mentre l’altra Audi guidata da Ekstrom ha chiuso quinta. Ed è un regalo doppio, oltre che storico: perché la prima vittoria di Audi coincide con il primo successo di una vettura a trazione completamente elettrica, pur con la batteria alimentata da un motore termico alla Dakar.  
    Peterhansel, la sfida del signor Dakar: “Con Audi nel futuro”
    El Matador ne fa 40
    Questo, senza dimenticare che trattasi della vittoria di tappa numero 40 per “El Matador”, lui che di Dakar ne ha vinte tre dopo i due titoli mondiali conquistati nel Wrc. E ora Carlos senior ha una convinzione tutta sua: “No, non sarà l’unica vittoria Audi a questa Dakar”, ha detto dopo aver tagliato il traguardo di Al Qaisumah.
    Il primo pensiero è andato a tutte le persone che hanno lavorato al progetto. “È molto emozionante, abbiamo faticato dodici mesi per completare in tempi-record quest’auto e vederla correre. Sinceramente, due mesi fa non avrei mai creduto di stare qui oggi a festeggiare una vittoria di tappa. E’ un giorno speciale perché la prima volta ha sempre un sapore particolare. Soprattutto dopo quello che è successo nel giorno d’apertura. È un risultato storico e sono contento di aver dato il mio contributo. Siamo ancora più motivati a continuare a correre, e a vincere”.
    Dakar 2022, Akeel e Al-Obaidan: due principesse al di là del deserto
    Felice anche il figlio, il ferrarista Carlos Sainz junior, che ha pubblicato un tweet orgoglioso: “Vittoria numero 40 e la prima per una vettura elettrica! So che questa è speciale per lui. Un grande e duro lavoro dietro le quinte. Complimenti”.
    Difficile dire adesso se Sainz, Peterhansel e tutto il team Audi abbiano chance per tornare in corsa per il successo finale (difficile). Ma alla Dakar nulla è impossibile. Ieri, ad esempio, il leader Al-Attiyah (Toyota Hilux) ha rischiato la squalifica per non aver collegato la scatola nera alla centralina Magneti Marelli che registra le prestazioni. Se l’è cavata con una multa da 5.000 dollari, ma in caso di recidiva l’esclusione diventerà automatica. LEGGI TUTTO

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    Dakar 2022, Akeel e Al-Obaidan: due principesse al di là del deserto

    Così, trovare alla Dakar 2022 due donne pilota arabe senza il velo del niqab o il burqa, accompagnate per giunta da navigatori uomini, è un passo avanti sconvolgente da queste parti, per quanto possa essere normale dalle nostre. Tenendo sempre in considerazione che le donne arabe sono state autorizzate per legge a guidare – come a prendere autobus, treni e taxi – solo dal 24 giugno del 2018!
    Per quanto parziale e limitata, vedere i volti felici e sorridenti di Mashael Al-Obaidan e Dania Akeel, le “principesse del deserto”, al volante dei propri mezzi durante queste prime due tappe della Dakar 2022 (sono rispettivamente 26ª e 14ª nei prototipi leggeri), che proprio in Arabia si disputa, è una vittoria storica. Certo, nessuno si illude con questa presenza di aver risolto il problema della discriminazione femminile in Arabia Saudita, visto l’evidente inferiorità della posizione della donna nella società saudita, regolarmente nelle ultime posizioni di tutti i misuratori internazionali in materia, a partire dal valore della parola (due volte più basso rispetto a quello dell’uomo, elemento chiave nei processi) e senza dimenticare tutte le altre limitazioni tra istruzione, casa, figli, matrimoni, conti correnti (non possono averne…). Ma le rivoluzioni da qualche parte devono pur cominciare.
    Peterhansel, la sfida del signor Dakar: “Con Audi nel futuro”
    Eroine rivoluzionarie
    Si rendono conto loro stesse del ruolo fondamentale che ricoprono. Mashael e Dania hanno la stessa età, 33 anni, e vengono da famiglie di alto livello. La prima ha studiato alla Loyola University di Los Angeles, la seconda è laureata in storia e politica moderna alla Royal Holloway di Londra e, non a caso, è stata la prima donna araba a conseguire la licenza per gareggiare in circuito, dopo aver iniziato a guidare un quad a soli otto anni, più o meno la stessa età in cui la collega Mashael l’ebbe in regalo dal padre: “Sono consapevole – ha detto Dania nei giorni scorsi – di contribuire a un processo importante. Sto aprendo molte porte e allo stesso tempo abbattendo barriere con quello che farò in una vetrina mondiale come la Dakar. Io e Mashael stiamo costruendo una strada a donne come noi, che avessero voglia di comprendere il viaggio che abbiamo avviato e magari seguirci nel nostro stesso percorso”.
    Già, un primo passo, ricordando che l’obiettivo era e resta mettere insieme un team fatto di sole donne pilota saudite, come proponeva il progetto “Shero” (“Eroine”), a cui si è lavorato a lungo, prima che fosse accantonato (momentaneamente?). 
    Accanto a Mashael c’è il navigatore, l’italiano Jacopo Cerruti, comasco, con all’attivo cinque Dakar in moto. Di fatto, una tendenza. Perché anche la veterana del raid, la spagnola Laia Sanz, alla 12ª partecipazione di fila dal 2011, ha nella sua Mini All4 un navigatore italiano, un altro esperto centauro, Maurizio Gerini. Come se non bastasse, la stessa Camelia Liparoti, italiana impegnata tra i prototipi leggeri, schiera al suo fianco Manuel Lucchese, un altro “dakariano” convinto con le sue tre presenze al raid, versione moto. 
    Rebecca Busi, orgoglio tricolore
    Complessivamente, la pattuglia rosa al raid più famoso del mondo conta ben 19 elementi (5 tra le moto, 3 in auto, 7 con prototipi leggeri, 3 nelle Side By Side e 1 con i camion, oltre le 27 impegnate con la Dakar Classic) e per l’Italia spicca la figura di Rebecca Busi. Già detentrice di due record: è al debutto assoluto non solo alla Dakar, ma proprio in una gara ufficiale. E, con i suoi 25 anni, è l’italiana più giovane di sempre ad affrontare l’avventura più complicata seguendo le orme del papà. 
    Tornando all’Arabia Saudita e al messaggio di speranza che la presenza in gara di Mashael e Dania lancia a tutto il mondo in tema di discriminazione femminile, c’è chi come Bloomberg Economics ritiene che l’apertura delle donne arabe alla guida, quindi ai motori, macchine o moto che siano, abbia anche un suo valore commerciale. Che secondo stime precise potrebbe generare valore per 90 miliardi di dollari al 2030. Hai visto mai si recuperino le perdite per la crisi del petrolio proprio grazie alle donne… LEGGI TUTTO

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    Peterhansel, la sfida del signor Dakar: “Con Audi nel futuro”

    Peterhansel, scusi, ma dopo tutto ma dopo tutto quello che ha conquistato in carriera, dove trova la voglia, la pazienza, le motivazioni e le energie di rimettersi al volante della nuova Audi RS Q e-tron per partecipare per la 33ª volta alla Dakar? Chi glielo fa fare?
    “Sarebbe facile per me – risponde ridacchiando al telefono – dirle che è la passione a muovermi. E forse all’inizio è stato questo. Perchè ché guidare nel deserto, aff rontare tutte le sue insidie e difficoltà è davvero impossibile senza avere passione. Ho inseguito a lungo un sogno e l’ho raggiunto, trasformato in realtà. Ora però, è tutto diverso. Per me è avere motivazioni è quasi naturale. Non mi costa fatica e mai mi è costata, com’è naturale prepararmi tutto l’anno per questo appuntamento. Lo faccio da solo, alla mia maniera, con molta bici e tanta mountain bike, senza preparatori nè nutrizionisti. Mi alleno e mangio come ho sempre fatto. E poi so che verrò ripagato da quei panorami unici che riesco a godermi anche quando sono in gara. La verità è che sono un uomo fortunato…”.
    Quindi non è una questione di affrontare nuove sfide come quella che le ha proposto Audi che, dopo i trionfi nei rally, nell’endurance e in Formula E, vuole vincere nel deserto con un prototipo a trazione elettrica dotato di un motore termico come caricatore delle batterie?
    “Sono un grande fan dei rally raid, ma seguo anche le altre discipline del motorsport. Negli anni, non ho potuto che ammirare l’impegno di Audi nei rally, sin dai tempi delle vetture nel Gruppo B. Si è distinta per una peculiarità difficile da trovare in questo ambiente: qualunque fosse la competizione, su qualsiasi terreno, l’obiettivo è sempre stato vincere. È così anche oggi che affrontiamo la Dakar per la prima volta. E questo coincide con la mia identità di pilota. Per questo sono orgoglioso di far parte di questo team”.
    Dica la verità: se solo cinque anni fa le avessero detto che si sarebbe schierato al via della Dakar su un prototipo a trazione puramente elettrica, come avrebbe risposto?
    “Non ci avrei creduto e avrei sorriso. Non l’avrei mai presa sul serio una proposta così. Non avrei mai pensato che questo tipo di tecnologia potesse regalarmi un simile piacere di guida, qualcosa di mai provato prima. È stato sufficiente salire per la prima volta a bordo dell’Audi RS Q e-tron per capire quanto mi sbagliavo e ora non ho più dubbi: la trazione elettrica nel tempo conquisterà un pubblico sempre più vasto anche nell’uso quotidiano, non farà più rimpiangere i sistemi tradizionali”.
    Su quali basi ha costruito questa sua convinzione?
    “L’Audi RS Q e-tron ha una prontezza di erogazione eccezionale, superiore a qualsiasi altra spinta da motore termico. La coppia arriva in maniera praticamente istantanea e non dovendo pensare a cambiare o innestare le marce, posso concentrarmi totalmente sulla guida. Bisogna solo abituarsi al suono, il 4 cilindri TFSI a benzina che funziona da range extender (ricarica le batterie che danno energia ai tre motori elettrici; ndr), non reagisce in maniera lineare, diretta alle pressioni sull’acceleratore”.
    Che consigli ha dato al Team Audi nelle fasi di sviluppo?
    “Audi conosce benissimo la trazione elettrica grazie alle esperienze accumulate negli anni nell’endurance e in Formula E, allo stesso tempo noi piloti della Dakar ci siamo costruiti la nostra esperienza tra le dune e sappiamo cosa è necessario per vincerla. Così il nostro input principale è stato quello di non concentrarsi sulla velocità, sul limare il decimo di secondo, ma piuttosto ricercare la massima affidabilità”.
    È stato difficile per lei dialogare con una realtà al debutto in un gara nel deserto?
    “No, anzi, uno degli aspetti straordinari di questa avventura sta proprio qui: tutti sanno esattamente cosa fare. Audi non si poteva far cogliere impreparata quando ha deciso di sviluppare una certa vettura. Il team Q Motorsport di Sven Quandt da 25 anni lavora e coglie successi nel deserto. E il suo apporto è già stato importante in tre delle mie vittorie alla Dakar. Con Sainz senior poi, ho un ottimo rapporto, basato sulla fi ducia, condividiamo idee, opinioni, soluzioni. Lo stesso Mattias Ekstrom, anche se è un rookie nel mondo marathon, vanta una carriera notevole in circuito ed è stato campione del mondo di rallycross. Senza dimenticare che conosce Audi Sport alla perfezione. È un mix davvero eccezionale”.
    Dall’anno scorso condivide l’avventura alla Dakar con il navigatore Edouard Boulanger, dopo tanti successi con Jean Paul Cottret. Cosa l’ha convinta a cambiare in un ruolo così delicato?
    “Eduard proviene dal settore moto, nel quale ho iniziato anch’io. E da molti anni si cimenta nelle marathon. È abile, calmo, curioso, professionale. Non fosse stato così non avremmo mai potuto vincere insieme la Dakar dello scorso anno. Sono felice di averlo, ci completiamo”.
    Senza l’incidente di domenica, l’Audi RS Q e-tron avrebbe competere per la vittoria?
    “Non abbiamo fatto raid di preparazione, solo tanti test, in Germania, Spagna e soprattutto in Marocco. E quello che affrontiamo è qualcosa di davvero difficile. La Dakar 2022 è stata concepita su uno percorso in gran parte differente rispetto al 2021, quando il terreno era prevalentemente roccioso. Ora ci attendono le dune del Quarto Vuoto, il più grande deserto di sabbia del mondo. Qualcosa che mi ricorda da vicino i tempi delle Dakar africane. La difficoltà sta nel fatto che non ci sono città, strade che possano fare da riferimento. Se lì ti succede qualcosa, non ne esci facilmente e senza danni. Dovremo evitare tutte le trappole che si potranno incontrare tra le dune. Il primo obiettivo adesso è arrivare al traguardo. Come primo anno sarei stato felice di chiudere tra i primi cinque. Ciò non toglie che, malgrado il ritardo accumulato, guiderò per vincere. Come ho sempre fatto”.
    Non avevamo dubbi, “Monsieur Dakar”. LEGGI TUTTO