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    Marco Pantani, la ricostruzione delle inchieste sulla morte il 14 febbraio 2004

    La tragica fine di Marco Pantani coincide con l’inizio di un iter giudiziario intensissimo ed ancora in corso. Sono tre le inchieste che riguardano la sua morte, l’ultima iniziata lo scorso anno ed ancora in corso. Alle quali si somma quella della Procura di Forlì per i fatti di Madonna di Campiglio del giugno 1999. Una salita impervia quella affrontata da mamma Tonina, che non si è mai arresa davanti all’archiviazione delle prime due inchieste riminesi, con la Procura romagnola sempre convinta che non si trattò di omicidio quella notte di San Valentino del 2004 nella stanza D5 del residence Le Rose, sito nel controviale del lungomare riminese, ma di morte causata da abuso di un mix di farmaci e cocaina. Quella che Pantani aveva acquistato dagli spacciatori Veneruso e Miradossa, che abitavano in un appartamento situato dall’altro lato della strada rispetto al residence, proprio prima del decesso. La prima indagine, quella successiva alla morte e al suo clamore mediatico, fu gestita dal pm riminese Paolo Gengarelli. Che a distanza di anni sottolinea come le indagini si basino esclusivamente su fatti concreti e prove evidenti, sempre mancanti anche nelle inchieste successive, confermando però anche la legittimità dei dubbi sulla morte del Pirata. Perché il ritrovamento del corpo e della stanza non possono non farne sorgere. Alcune tumefazioni sul volto e sulle braccia di Marco, il totale disordine trovato in stanza, col lavandino del bagno staccato dal muro, lo specchio del bagno appoggiato per terra, l’armadio del salotto piazzato davanti alla porta d’ingresso, chiusa dall’interno, cocaina per terra e inserita in un bolo di mollica ritrovato di fianco al cadavere. E ancora: le chiamate di Pantani in reception “denunciando” rumori e gente che gli stava dando fastidio, anche se quando poi gli inservienti dell’hotel si presentarono a bussare Marco li mandò via senza permettergli di entrare. I rumori sentiti dai vicini della D5, e coi quali Marco aveva in precedenza avuto un breve e pacifico colloquio. Le telecamere di sorveglianze non funzionanti davanti all’ingresso del retro dell’albergo, al quale si poteva accedere anche dal piano garage senza quindi dover passare davanti alla reception. I due giubbotti invernali che Pantani si portò a Rimini da Milano, da dove era partito nei giorni precedenti al decesso dopo l’allontanamento dall’appartamento della sua manager, Manuela Ronchi, dalla quale aveva pernottato per qualche giorno nei primi giorni del febbraio 2004, mai ritrovati all’interno del residence Le Rose. Dubbi e perplessità che hanno portato all’apertura di una seconda indagine, nel 2014. L’ipotesi era omicidio, l’accusa contro ignoti. Col titolare, Paolo Giovagnoli, che prima ammette la riapertura del caso e poi, a distanza di mesi, ne chiede una nuova archiviazione. Nonostante una perizia di parte del professor Avato smentisse la precedente, successiva al decesso, del professor Fortuni, e ulteriori tematiche, anche relative agli errori commessi dagli inquirenti durante la prima inchiesta, fossero venute a galla. Secondo Giovagnoli, che basava il suo giudizio anche sulla perizia svolta dal professor Tagliaro, perito terzo chiamato in causa proprio dagli inquirenti, non erano emersi elementi nuovi che facessero pensare ad un omicidio. 

    L’inchiesta sui fatti di Campiglio
    Nel frattempo, e in parallelo, a Forlì si indagava nuovamente anche sui fatti di Campiglio. Dopo la rapida archiviazione dell’inchiesta del ’99 a Trento, nel 2016 la pm Lucia Spirito apre un nuovo fascicolo sull’ipotesi di associazione per delinquere finalizzata alla frode e truffa sportiva. Alla base le dichiarazioni di Renato Vallanzasca dal carcere, informato da ambienti vicini alla Camorra che “il pelatino” (Pantani) non vincerà il Giro del 1999. Cosa sportivamente impossibile, visto che Pantani a due tappe dal termine aveva un vantaggio abissale nei confronti del secondo in classifica, ma poi realmente accaduta. L’ematocrito analizzato dai tre medici nell’albergo di Madonna di Campiglio che ospitava Pantani e la Mercatone Uno nella notte precedente alla penultima tappa di quel Giro, era superiore a 50 (51.9 per l’esattezza), quota ritenuta limite per la sicurezza della salute degli atleti. Limite superato che non gli permise di concludere quel Giro, oltre a gettarlo moralmente in quell’abisso dal quale non sarebbe poi più uscito. Secondo Vallanzasca quella provetta, neanche scelta da Pantani che invece ne aveva diritto, era stata “taroccata”. In pratica, visti poi i valori ematici, ci potrebbe essere stata una deplasmazione del sangue presente. Si toglie una parte volatile che si trova sopra il plasma prelevato, e come conseguenza la densità del sangue stesso cresce fino a sforare i limiti. Prove ne sarebbe stata la drastica diminuzione delle piastrine, crollate in quel test ad un valore da persona gravemente malata, non certo di chi ha dominato tre settimane di massacranti saliscendi per l’Italia, montagne comprese. E il fatto che un professionista come Marco non avesse sotto controllo i suoi livelli ematici da primissimo in classifica, con la certezza quindi di un controllo, e a due giorni dalla fine del Giro è onestamente non credibile. Dubbi enormi quindi, decisamente maggiori rispetto alle altre indagini. Ma anche in questo caso, nonostante il rinvio degli atti alla Procura antimafia di Napoli, è arrivata una nuova archiviazione per l’inchiesta, disposta dal gip Monica Galassi, fermata stavolta dalla prescrizione del reato ipotizzato.

    La terza inchiesta sulla morte
    E ancora, nel 2021, una terza inchiesta sulla morte di Marco. Sempre a Rimini, sempre su iniziativa di mamma Tonina: che mai si è arresa e mai lo farà. Nuove testimonianze, una ventina, nuovi approfondimenti che però anche in questo caso non sembrano portare ad un finale diverso. Molte le imprecisioni riscontrate nei racconti e nelle testimonianze, alcune poco credibili o addirittura inventati. Oltre ad una tempistica, a quasi vent’anni dal decesso, che non aiuta. In un iter giudiziario complesso e lungo vent’anni. Proprio come il ricordo, che al contrario non avrà mai archiviazione, del campione di Cesenatico. LEGGI TUTTO

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    Chi era Marco Pantani: resta per sempre il simbolo del ciclismo

    Sono passati  venti anni da quel tremendo 14 febbraio 2004: quel giorno morì Marco Pantani. Ma il “Pirata” resta vivo più che mai: è e resta il ciclismo, la sua fatica, la sua sofferenza e le sue imprese mitiche

    Vent’anni sono tanti o non sono nulla. Il tanto può essere riferito a quel lasso di tempo che intercorre dalla data…14 febbraio 2004. Il nulla riguarda il valore personale del ricordo e quello pubblico delle sue imprese. Se torno a quella maledetta data di venti anni fa e che celebra la festa degli innamorati, non è altro che un brivido lungo la schiena, lo stesso che avevo quando, con mani basse sul manubrio, Marco Pantani scattava appena la strada saliva. Ora quel brivido e urlo di letterale gioia mi si strozza in gola, diventa un macigno, un vero e proprio uragano, un maledetto vortice emotivo di immane tristezza ed angoscia. Quel giorno facemmo “nuda cronaca” quando invece volevamo solo piangere. Una giornata, serata, passata a dare informazioni, all’epoca Sportime, il primo tg di SkySport, senza sosta e senza soluzione di continuità vista la gravità dell’episodio. Quel giorno raccontammo, annientati dal dolore, tutte le sue vittorie, tutte le sue gesta, tutti i suoi momenti ripercorrendo passo dopo passo la sua vita, assai breve e per certi versi triste e drammatica come epilogo. 

    Le tante domande
    Così si è celebrato il campione, così si è omaggiato il personeggio con mille domande sulla sua fine. Un turbinio di emozioni e sensazioni che frullano nella testa nel bene e nel male. Ora è indubbio che si è detto, scritto, visto e non visto anche troppo. Di considerazioni e ragionamenti ve ne sono ed eccome ma di Marco Pantani è bello e doveroso ricordare altro. Certo è che tra inchieste, processi, sentenze, appelli, indiscrezioni, verità nascoste, scoop o simili, rilievi, pareri, confessioni, rivelazioni, ipotesi e tanto ma tanto altro ci hanno inondato, sommerso e troppe volte annientato. E ancora, avvocati, famiglia, manager, sostenitori, denigratori, amici o finti tali, fans, tifosi, malavitosi, ergastolani, corrieri, fidanzate, parenti, psicologi, criminologi, esperti, tuttologi e…non so chi altro sono intervenuti con perenni dichiarazioni, supposizioni, congetture e deduzioni. Un vero mistificante frullato del nulla. Non voglio dire che non bisogna arrivare alla verità o rispondere ai tanti perché, ci mancherebbe…ma ne sono uscite troppe, mai chiare e francamente poco edificanti per la sua Memoria, maiuscolo. 

    Una cosa è certa. Marco Pantani quel giorno è morto. Marco Pantani non c’è più da quel 14 febbraio del 2004. Marco Pantani, quell’omino con la testa luccicante al sole, che diventa un gigante sulla bici non è mai morto. Come tutti i grandi, le leggende e i miti, Marco Pantani corre sempre nei ricordi e nella memoria di tutti. Mi ha fatto un gran piacere i recenti paragoni che hanno avvicinato la popolarità di Sinner ad Alberto Tomba, Valentino Rossi e… Marco Pantani. Ecco perché non manca, è sempre lì mani basse smorfie all’ultimo tornante e poi il colpo di pedale, quello con cui staccava tutti diveniva più soffice e morbido sotto lo striscione dell’arrivo. Marco Pantani è ed era il ciclismo, quell’eroe che si esalta solo al vedere in lontananza la montagna. Una sfida infinita: “Vado così forte in salita per abbreviare la mia agonia”. Ecco chi era Pantani. Abbiamo tutti presente che cosa ha fatto con la maglia Carrera e qualche capello in testa o con i colori della Mercatone di Luciano Pezzi con bandana ed orecchino. Giro e Tour. Ha vinto poco o molto per troppo poco tempo…inizi da giovane gregario e spalla di campioni come Chiappucci poi libero di interpretarsi con pezzi di autore, poi i tanti incidenti le tante ripartenze i regolamenti e la lotta con sé stesso. Il suo vissuto è una sorta di continuo saliscendi e in questo si inserisce anche il nostro racconto. Ci ha portato ed accompagnato su tante strade, ha fatto tifare tutta l’Italia senza distinzione di età, ci ha fatto scoprire il concetto dell’impresa, della sofferenza, della solitudine del numero Uno. Ecco chi era Pantani, attore protagonista di un film con ragazzo innamorato della bici. Il suo cavallo alato che lo liberava dalle sue angosce era un ragazzo libero quando cavalcava la sua bici. Si aspettava Marco Pantani, dalla Tv le immagini uscivano con la voce rotta di Adriano De Zan e di un giovane esordiente Davide Cassani, un racconto di esaltante epopea di un quasi antico ciclismo. Record di ascolti e di presenze agli arrivi e sulle strade. Ecco chi era Marco Pantani. I suoi gesti, il suo rituale era la preparazione a quello che attendevi…scatti e controscatti per stroncare chiunque, il popolo ciclistico in visibilio, il suo autografo per il ricordo perenne. Ecco chi era Marco Pantani. Il suo sguardo sfuggente ed impaurito quando aveva intorno troppa gente mi è sempre presente. Il suo sorriso liberatorio ad occhi chiusi e braccia larghe sotto i traguardi è stampigliato nella mia memoria. La rabbia per l’ennesima rinascita e i pugni al cielo sono per me indelebili. Strade, salite, strappi, discese, curve e tornanti, ogni metro percorso sono i suoi lasciti. “Per vincere Pantani non ha bisogno del Doping, ha bisogno delle salite”, diceva in terza persona, quanto è vero Marco. Mi permetto di passare al tu per quelle volte che abbiamo pedalato insieme e per le tante che ti ho raccontato anche nel finale di quel pantano della vita reale. Immagini, foto, maglie raccontano il piccolo grande uomo. 20 anni che non cambiano le nostre emozioni.
    Ecco chi era Marco Pantani.

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    Ciclismo
    Le vittorie di Pantani a Giro e Tour

    A vent’anni dalla sua morte, ricordiamo le imprese del ciclista romagnolo sulle strade del Giro d’Italia e del Tour de France, vinti con una storica doppietta nel 1998. Dalle scalate dell’Alpe d’Huez al miracoloso recupero di Oropa, dai successi a Les Deux Alpes e all’Aprica fino agli ultimi acuti sul Ventoux e Courchevel, ecco le immagini che hanno fatto la storia del Pirata

    1994, MERANO E APRICA: IL MONDO CONOSCE MARCO PANTANI

    L’esuberanza di Marco Pantani si palesa al mondo alla prima vera occasione: il 24enne romagnolo fa impazzire l’Italia vincendo due tappe al Giro 1994 con gli arrivi a Merano e all’Aprica, salendo anche sul podio al 2° posto dietro alla maglia rosa Berzin 

    1998, COMINCIA LA SCALATA ALLA CLASSIFICA A PIANCAVALLO

    Piuttosto in ombra nei giorni precedenti, Pantani comincia la sua rincorsa alla vetta della classifica generale e alla maglia rosa, indossata dallo svizzero Zulle: il Pirata vince la 14^ tappa a Piancavallo

    LA PRIMA VITTORIA IN MAGLIA ROSA A PLAN DI MONTECAMPIONE

    Già in maglia rosa, il Pirata certifica di fatto il successo in quel Giro con l’arrivo in solitaria a Plan di Montecampione nella 19^ frazione

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    Pantani, quel 5 giugno 1994: la nascita del mito che tenne insieme nonni e nipoti

    5 giugno 1994: Marco Pantani, dopo il successo il giorno prima a Merano, si impone nella tappa con arrivo ad Aprica dopo aver scalato Stelvio, Mortirolo e Santa Cristina. Fa quasi saltare il Giro d’Italia e irrompe nel cuore di tifosi e appassionati di ciclismo, unendo nonni e nipoti. Quel giorno come una rivelazione: niente fu come prima. Anche per un mito come Charly Gaul. Un racconto personale ma che riguarda, in fondo, almeno tre generazioni

    I pomeriggi tra maggio e giugno, profumo di primavera, giornate che si allungano. Tanta voglia di diventare grandi, di crescere in fretta. A 13 anni ogni cellula del tuo corpo vuole esplodere, entrare il prima possibile nel mondo degli adulti. Stavo preparando, stancamente, gli esami di terza media in quel giugno 1994. Da un lato, il sogno di avere già 14 anni per avere il primo motorino, dall’altro un attaccamento all’infanzia inconsapevole e tenace. La bicicletta come strumento di scoperta e di libertà: simbolo del rapporto padre-figlio. Papà che t’insegna ad andare senza rotelle: diventerà un ricordo dolce. Ma a 13-14 anni vuoi la libertà e con la bici ti spingi proprio dove i tuoi genitori ti vietano, superi quei confini che i tuoi ti hanno indicato come limite invalicabile. Cerchi la tua strada. E siccome a 13 anni si pensa di essere già grandi ma si è ancora bambini, ti identifichi con i corridori. Chiappucci e Bugno che sfidano Indurain. Avevo una polo rosa e quando la indossavo mi piaceva immaginarmi di essere il Diablo. Ogni cavalcavia dell’hinterland diventava per me un Mortirolo in cui staccavo Indurain. Quando incontravo stradoni lunghi (all’epoca senza rotonde) sognavo a occhi aperti di essere Bugno che finalmente superava a cronometro il fenomeno spagnolo. E poi c’è il nonno. Il rito irrinunciabile era guardare con lui le tappe del Giro e del Tour, in pomeriggi che scorrono dolcemente e per fortuna lentamente come quelle salite in cui vorresti esserci, a bordo strada. Il cerimoniale era più o meno sempre identico. Andavo da mia nonna e le chiedevo: «Dov’è il nonno? Di là, sta per cominciare la diretta della tappa». E mia nonna solitamente rispondeva, in veneto: «Xe drìo dire el rosario in garage». Sì, perché mio nonno, come molti altri, era un operaio in pensione che passava i pomeriggi a costruire e riparare nel suo garage-officina, e ogni tanto, anzi ogni spesso, qualche improperio in dialetto diciamo che gli scappava, con quel particolare rapporto che tanti veneti hanno con la blasfemia. Tutte le mie biciclette le ha costruite lui: era uno di quegli operai capaci di «fare i baffi alle mosche», così si diceva per descrivere la maestria della nostra mitica classe operaia. E soprattutto, come tanti altri nonni, era un grande appassionato di ciclismo. Era anche stato un corridore in gioventù, poi la guerra e una pleurite ne avevano spento le velleità agonistiche. Sapeva leggere le tappe e i protagonisti in modo preciso e risoluto. C’è una data che più di altre resta impressa nella mia memoria: il 5 giugno 1994. Il giorno prima al Giro aveva vinto un giovane corridore della Carrera, un certo Marco Pantani. Aveva un ciuffo che gli dava dieci anni in più di quelli che aveva: se lo sarebbe tolto più avanti, diventando il Pirata. 

    ©Getty

    La ‘pazza’ discesa di Merano
    Aveva sorpreso tutti a Merano grazie alle sue capacità da discesista, qualità che a noi ragazzini costò più di una sbucciatura di gomiti e ginocchi, pantaloni e magliette distrutti, nel tentativo di imitarlo ovunque la strada scendesse in picchiata. Come scendeva lui, con quel modo di mettere il sedere fuori di sella, spericolato e al tempo stesso micidiale come un motociclista in pista al mondiale. Se per gli addetti ai lavori il talento di Pantani era già noto, noi ragazzini e semplici spettatori ancora non sapevamo. Era un’epoca senza social, senza internet e senza quella miriade di informazioni di cui oggi disponiamo in modo totalizzante. Per fare un esempio: che Sinner avrebbe vinto uno slam ce lo hanno previsto con anni di anticipo, Pantani quando apparve a noi, il famoso pubblico a casa, non si sapeva chi fosse. Pensammo che fosse un exploit di un giovane talento e nulla più. Noi che tifavamo Bugno e Chiappucci, i due alfieri italiani che tentavano disperatamente di battere il moloch spagnolo, quel concentrato di doti fisiche e capacità serafica di gestire le corse che era Miguel Indurain, non potevamo sapere. 

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    Ciclismo
    “Pantanissimo”, un eroe sempre in prima pagina

    Con le sue gesta straordinarie, Marco Pantani ha stregato il mondo del ciclismo e non solo. A vent’anni dalla sua morte, vogliamo ricordarlo nelle sue numerose imprese a Giro e Tour, testimoniate dai titoli e dalle prime pagine dei più importanti quotidiani sportivi dell’epoca

    IL MITO DI MARCO PANTANI SULLE PRIME PAGINE DEI QUOTIDIANI SPORTIVI

    Dal 1994 al 2000, il Pirata ha fatto innamorare il mondo del ciclismo. A vent’anni dalla sua morte, vogliamo ricordarlo nelle sue numerose imprese a Giro e Tour, testimoniate dai titoli e dalle prime pagine dei più importanti quotidiani sportivi. In un’epoca in cui i social ancora non esistevano, ecco come veniva celebrato il campione di Cesenatico sui media

    3 AGOSTO 1998: MARC DE TRIOMPHE

    La Gazzetta dello Sport celebra la vittoria di Pantani al Tour 1998 con un geniale “Marc de Triomphe”, con la foto del Pirata festeggiato da Felice Gimondi, ultima maglia gialla italiana prima di lui nel 1965

    3 AGOSTO 1998: PANTANISSIMO

    L’Equipe conia un superlativo in ricordo del grande Fausto Coppi (Campionissimo) per descrivere la vittoria di Marco Pantani al Tour del 1998. Un grande onore per il ciclista romagnolo

    Tappa da brivido: Stelvio e Mortirolo
    Lo avremmo scoperto proprio quel 5 giugno. La tappa era di quelle da brivido: Stelvio, Mortirolo, Santa Cristina e arrivo ad Aprica. Non pensavamo che quel Pantani avrebbe bissato il successo del giorno prima, mai avremmo immaginato che lo avrebbe fatto con una prova di estrema maturità e talento assoluti. Mai ci saremmo immaginati che avrebbe quasi fatto saltare il Giro, spazzando via i piani di Berzin, Indurain e Chiappucci. Mio nonno guardava la tappa e per una volta lo vidi meno tranquillo, si agitava sulla poltrona come mai prima. Lui tendeva a smorzare i miei entusiasmi con commenti tecnici quasi sempre infallibili. Quel giorno, invece, si lasciò andare a un entusiasmo fanciullesco. Pantani è stato questo, per la mia generazione: l’unione di nonni e nipoti. Noi trovammo, come un’epifania, una rivelazione, l’idolo che ci avrebbe fatto restare bambini ancora per un po’, che ci avrebbe fatto sbucciare ancora gomiti e ginocchi, che ci avrebbe tenuto lontano dai motorini e ancora fedeli ai pedali. I nostri nonni respirarono l’aria dei campioni per cui avevano trepidato da giovani. Coppi, Bartali e un altro, che italiano non era. Mio nonno me lo disse mentre Pantani, sul Mortirolo, scattava e dava quelle sparate che lo avrebbero reso celebre. “Mi ricorda Charly Gaul”. Non sapevo chi fosse e quindi lui, paziente, mi raccontò chi era stato, “L’Angelo della Montagna”.

    L’Angelo della Montagna e il Pirata
    Anni ’50, e due scalatori che resteranno per sempre nel mito: Gaul, appunto, e lo spagnolo Bahamontes, “L’Aquila di Toledo”. Amici e rivali. Con il lussemburghese che entrò nella storia l’8 giugno del 1956. Monte Bondone, tappa di quasi 250 km corsa nella neve e nel gelo, corridori congelati. Si narra che il direttore sportivo di Gaul, Learco Guerra, durante la fuga del suo corridore lo fece fermare in una baita: bagno caldo, divisa ad asciugare al fuoco, poi di nuovo in sella. Degli 86 corridori partiti ne arrivarono meno della metà, molti già quasi in ipotermia. Gaul taglia da solo al traguardo, gli occhi azzurri persi nel vuoto, spiritati dopo un’impresa tremenda, quasi tragica e per questo eroica. Mio nonno non sapeva che Gaul, dopo varie peripezie e drammi interiori, la depressione e l’alcolismo, proprio tra gli anni ’80/’90 si stava riprendendo ed era stato assunto al museo del ciclismo in Lussemburgo. E che avrebbe ritrovato un po’ di entusiasmo e passione per il ciclismo grazie a Marco Pantani. Lo considerava il suo vero erede. Si fece rivedere nell’ambiente proprio per via del Pirata. Una delle sue ultime uscite pubbliche fu al funerale di Marco in quel terribile febbraio 2004. Era presente, a onorare un suo pari, un sodale di fatiche e imprese. Mi piace pensare che anche per Gaul fosse stata così stupenda l’apparizione sulla scena di Pantani. Guardare quel volto dallo sguardo malinconico, altra caratteristica del Pirata, ma con quel sorriso buono, accogliente, di un animo fragile e gentile. Una volta Gianni Mura chiese a Marco: «Perché vai così forte in salita?» e lui gli rispose: «Per abbreviare la mia agonia». Forse è in questo che gli scalatori si riconoscono fra loro, si “annusano” l’un l’altro, si capiscono anche a distanza. Ed è per questo che siamo ancora così tanti a essere appassionati di ciclismo. Riconosciamo lo sforzo, perché sappiamo quanto è difficile pedalare, quando la strada inesorabilmente sale. C’è una “democrazia della fatica” che in altri sport manca: applaudiamo il primo che passa al Gran Premio della Montagna con lo stesso entusiasmo con cui incitiamo l’ultimo. Abbiamo rispetto per l’impegno profuso in qualsiasi condizione, caldo soffocante, pioggia a dirotto, il gelo di bufere improvvise in quota. Mi piace immaginare che anche Gaul fosse davanti al televisore quel 5 giugno del 1994. 

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    Niente fu come prima
    Scollinato il Mortirolo, solo il Santa Cristina divide Marco Pantani dal traguardo dell’Aprica, dopo una tappa di quasi sette ore corsa all’attacco ma anche con intelligenza. In via Roma ci arriva da solo, braccia al cielo e quel ciuffetto di capelli che svolazza al traguardo. Il banco non salta ma poco ci manca, perché in quel Giro Marco si piazzerà secondo in classifica generale, dietro la maglia rosa Berzin e davanti a Indurain. Quel 5 giugno 1994 fu l’inizio, niente sarà più come prima: ci innamorammo perdutamente di Pantani, quel giorno. Non era ancora il Pirata, non sapevamo che avrebbe avuto davanti tanta sfortuna: investito da un suv alla Milano-Torino, il gatto nella discesa di Chiunzi a tagliargli la strada al Giro. Avremmo aspettato quattro anni per vedere quella splendida doppietta: Giro e Tour, 1998. In maglia gialla, un italiano 33 anni dopo Felice Gimondi. Quel 5 giugno 1994 ci ritrovammo, nonni e nipoti, uniti da quegli scatti indelebili, da quella capacità di “attaccare” la montagna, da quel modo di sorridere che ci conquistava, da quegli occhi lucidi di intelligenza e sofferenza. Ci riconoscemmo in quella fatica, nelle sue difficoltà e nella sua capacità di rialzarsi. Almeno tre generazioni unite in modo pressoché plebiscitario: eravamo tutti trepidanti per il Pirata o, come lo chiamava Mura, Pantadattilo. Un soprannome perfetto perché collocava Pantani in un mondo fantastico, riaccendendo l’epica di un ciclismo di epoche mitiche, perché lo estraniava dalle dinamiche spazio-temporali. Una sorta di fossile che riprendeva vita e forma, forza e presenza. Quanto amore Marco ci ha dato. Glielo abbiamo restituito, sempre. Chissà se ha mai avuto la consapevolezza di quanti nonni e nipoti tenne incollati alla tv, ad aspettare il suo scatto micidiale, formidabile, devastante. Verso la vittoria, verso l’impresa. Legando per sempre generazioni ed epoche, sotto una bandana immaginaria che ci teneva – e ci tiene – tutti uniti.

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    Ciclismo
    Le vittorie di Pantani a Giro e Tour

    A vent’anni dalla sua morte, ricordiamo le imprese del ciclista romagnolo sulle strade del Giro d’Italia e del Tour de France, vinti con una storica doppietta nel 1998. Dalle scalate dell’Alpe d’Huez al miracoloso recupero di Oropa, dai successi a Les Deux Alpes e all’Aprica fino agli ultimi acuti sul Ventoux e Courchevel, ecco le immagini che hanno fatto la storia del Pirata

    1994, MERANO E APRICA: IL MONDO CONOSCE MARCO PANTANI

    L’esuberanza di Marco Pantani si palesa al mondo alla prima vera occasione: il 24enne romagnolo fa impazzire l’Italia vincendo due tappe al Giro 1994 con gli arrivi a Merano e all’Aprica, salendo anche sul podio al 2° posto dietro alla maglia rosa Berzin 

    1998, COMINCIA LA SCALATA ALLA CLASSIFICA A PIANCAVALLO

    Piuttosto in ombra nei giorni precedenti, Pantani comincia la sua rincorsa alla vetta della classifica generale e alla maglia rosa, indossata dallo svizzero Zulle: il Pirata vince la 14^ tappa a Piancavallo

    LA PRIMA VITTORIA IN MAGLIA ROSA A PLAN DI MONTECAMPIONE

    Già in maglia rosa, il Pirata certifica di fatto il successo in quel Giro con l’arrivo in solitaria a Plan di Montecampione nella 19^ frazione

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    Pantani, tutti i rivali della carriera: da Ullrich ad Armstrong

    Sono tanti i campioni con cui Pantani ha lottato. Memorabile il duello con Ullrich al Tour ’98, così come quelli con Indurain, Ugrumov, Berzin e Chiappucci a inizio carriera. Con Tonkov e Gotti le grandi sfide al Giro, contro Armstrong gli ultimi lampi di classe cristallina sulle amate salite francesi LEGGI TUTTO

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    Pantani, le vittorie al Giro d’Italia e al Tour de France. FOTO

    A vent’anni dalla sua morte, ricordiamo le imprese del ciclista romagnolo sulle strade del Giro d’Italia e del Tour de France, vinti con una storica doppietta nel 1998. Dalle scalate dell’Alpe d’Huez al miracoloso recupero di Oropa, dai successi a Les Deux Alpes e all’Aprica fino agli ultimi acuti sul Ventoux e Courchevel, ecco le immagini che hanno fatto la storia del Pirata LEGGI TUTTO

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    Marco Pantani, uno dei più grandi sportivi italiani di sempre

    Marco Pantani non è stato solo uno dei più forti corridori di sempre, è stato uno dei più grandi sportivi di sempre. La sua apparizione sulle scene rappresentò anche una ‘rivoluzione’ nel modo di vivere e raccontare il ciclismo. Oggi quel ciclismo non esiste più, ma molto è nato da lì
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    Ci sono modi e modi di raccontare o ricordare un campione. Se poi quel campione è Marco Pantani tutto diventa diverso. Perché, a distanza di vent’anni, si fa ancora fatica a non emozionarsi quando si parla o si scrive di lui. Perché Marco Pantani è stato il campione di tutti. Quello capace di rendere ancora più popolare uno sport che è da sempre nel DNA del nostro paese. Dai tempi di Coppi e Bartali, passando per la guerra e gli anni immediatamente successivi fino ad arrivare al dualismo Saronni-Moser. Solo per citare alcuni esempi. Ecco Marco Pantani non aveva un rivale italiano, ma è stata la miccia che ha fatto reinnamorare del ciclismo milioni di italiani. Soprattutto una generazione, quelli dell’inizio degli anni ’80, che aveva ricevuto in dono, per lo più dai nonni, la passione per uno sport che alcuni ritenevano per vecchi. Il ciclismo agli inizi degli anni 90’ non era quello di oggi. Ecco perché, provare a raccontare chi è stato Marco Pantani, per chi come chi scrive l’ha vissuto nella fase della fine dell’adolescenza, a chi è nato dopo il 2000 può essere un modo diverso di far capire di raccontare il Pirata. All’epoca le dirette integrali delle tappe erano un sogno. Ci si accontentava dei vari rotocalchi che precedevano il Giro e degli ultimi 40-50 km della tappa, raccontati dalla mitica voce di Adriano De Zan con il commento tecnico di Vittorio Adorni. Diretta preceduta dalla immancabile sigla Rai (“Nessun dorma”) cantata da Pavarotti. Quando partiva quella canzone era il momento di andare a svegliare nonno Felice perché “la corsa”, come la chiamava lui, stava per cominciare. Era un appuntamento fisso che si ripeteva ogni pomeriggio.

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    Una rivoluzione anche mediatica
    Ecco Pantani rappresentò una rivoluzione anche dal punto di vista televisivo. Perché per la prima volta. Nel 1993 il Giro non fu trasmesso dalla Rai, ma da Mediaset. E si trattò di una autentica rivoluzione. Perché Giovanni Bruno capo progetto di quei Giri riuscì a rovesciare completamente il modo di raccontare la corsa. Di fatto cominciò a nascere l’idea di creare “l’evento”, in cui l’attesa della tappa diventava parte integrante del racconto. E così quando Pantani si fece conoscere agli occhi del mondo, nella 15^ tappa del Giro 1994, la voce non era più quella di Adriano, ma di suo figlio Davide De Zan con Beppe Saronni al commento tecnico. 195 km da Merano ad Aprica con Stelvio e Mortirolo nel mezzo. Da quel momento, da quello scatto, da quell’arrivo in solitaria la Carrera non sarà più solo Chiappucci. Ma anche e soprattutto Marco Pantani.

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    “Pantanissimo”, un eroe sempre in prima pagina

    Con le sue gesta straordinarie, Marco Pantani ha stregato il mondo del ciclismo e non solo. A vent’anni dalla sua morte, vogliamo ricordarlo nelle sue numerose imprese a Giro e Tour, testimoniate dai titoli e dalle prime pagine dei più importanti quotidiani sportivi dell’epoca

    IL MITO DI MARCO PANTANI SULLE PRIME PAGINE DEI QUOTIDIANI SPORTIVI

    Dal 1994 al 2000, il Pirata ha fatto innamorare il mondo del ciclismo. A vent’anni dalla sua morte, vogliamo ricordarlo nelle sue numerose imprese a Giro e Tour, testimoniate dai titoli e dalle prime pagine dei più importanti quotidiani sportivi. In un’epoca in cui i social ancora non esistevano, ecco come veniva celebrato il campione di Cesenatico sui media

    3 AGOSTO 1998: MARC DE TRIOMPHE

    La Gazzetta dello Sport celebra la vittoria di Pantani al Tour 1998 con un geniale “Marc de Triomphe”, con la foto del Pirata festeggiato da Felice Gimondi, ultima maglia gialla italiana prima di lui nel 1965

    3 AGOSTO 1998: PANTANISSIMO

    L’Equipe conia un superlativo in ricordo del grande Fausto Coppi (Campionissimo) per descrivere la vittoria di Marco Pantani al Tour del 1998. Un grande onore per il ciclista romagnolo

    Un ciclismo inimmaginabile 
    Era un ciclismo inimmaginabile quello di allora per i ragazzi d’oggi. Le gabbiette per le scarpe avevano lasciato da poco tempo spazio alle tacchette. Le bici non erano leggere come oggi. Pensate che qualsiasi bici moderna fa apparire come un pezzo di antiquariato i top di gamma dell’epoca. Il carbonio sarebbe arrivato molti anni dopo. I telai erano in alluminio. Le ruote ad alto profilo non esistevano, al massimo per le crono si usavano le lenticolari. Ma nulla a che vedere con quello che si vede in corsa oggi. I freni a disco sono una scoperta degli ultimi anni. Le leve del cambio avevano già lasciato i tubolari per andare sulle leve dei freni. E va da sé che i cambi elettronici sembravano fantascienza. Stesso discorso per gps e computerini vari. Si iniziavano a vedere i primi cardiofrequenzimetri e le crisi, di fame e non, erano abbastanza comuni. I gel non esistevano e i corridori facevano il carico di carboidrati con la pasta a colazione, con panini di rinforzo, dolci e salati in corsa. Spesso in discesa per ripararsi dal vento utilizzavano dei giornali sotto la maglia. L’obbligo del casco per l’intera durata della corsa è arrivato solo nel 2003. Non a caso uno dei gesti tipici di Pantani, un must ormai, il simbolo dei suoi attacchi: era il lancio della bandana prima dello scatto in salita.

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    La sfortuna prima dei grandi successi
    Il Giro del 1994 fu solo l’inizio. In mezzo tanta sfortuna, ma nessuna voglia di mollare. Fino a quel giro 1998. La voce era tornata quella di Adriano De Zan con accanto un giovane Davide Cassani. La squadra di Pantani non era più la Carrera, ma la Mercatone Uno. Erano cambiati i rivali, su tutti, un altro russo: Pavel Tonkov. Corridore tosto, a cronometro come in salita. Con una resistenza allo sforzo incredibile. La tappa era la 19esima: Cavalese-Plan di Montecampione. Pantani appassionava ed entusiasmava tanto la gente che la diretta integrale della tappa stava per abbandonare l’ambito dell’eccezione, per entrare in quello della normalità. Tonkov non molla. Davanti alla tv c’è un Nazione intera a tifare per la maglia Rosa. Marco ha un vantaggio ristretto sul russo e alle porte c’è una cronometro, in cui Tonkov parte nettamente favorito. A 3km dall’arrivo, nella parte transennata, arriva l’attacco decisivo e vincente del Pirata. Una cavalcata stupenda segnata da tanta sofferenza anche per chi seguiva da casa.

    La doppietta Giro-Tour
    Pantani vince quel giro davanti a Tonkov e Guerini e va al Tour. All’epoca la doppietta Giro-Tour non era un azzardo come spesso viene visto oggi. Non a caso, la scelta di Tadej Pogacar di correre i due grandi giri per eccellenza quest’anno continua a fare discutere. Ma all’epoca non era così. Certo non era una passeggiata. Ma nemmeno una chimera. Per intenderci: Indurain riuscì a piazzare la doppietta nel 1992 e nel 1993. Quel Tour fu un Tour strano, caratterizzato dalla macchia del doping, dalle sirene delle gendermerie. Dalle minacce di sciopero dei corridori. Ma fu soprattutto il Tour di Marco Pantani. Il suo rivale era un tedesco: il capitano della Telekom. Uno che la Grande Boucle l’aveva vinta l’anno prima: Jan Ullrich. E se Tonkov era tosto, Ullrich lo era all’ennesima potenza. Ma Pantani era uno di quelli che non mollava mai. E il Pirata lo dimostra nella Grenoble-Les Deux Alpes. In una giornata infernale, sotto una pioggia torrenziale, sul mitico Galibier, a 50 km dalla fine, sulla penultima salita, Marco parte. “Un attacco annunciato” come lo definirà Cristiano Gatti, ospite della Rai. Perché ormai l’attacco di Pantani era parte dello spettacolo delle frazione di montagna. Qualcosa di atteso. Che vagava nell’aria. E così un uggioso pomeriggio di luglio francese entra nella leggenda grazie a Marco Pantani, che plana in discesa e va a vincere con 9’ di vantaggio su Ullrich. Una doppietta Giro-Tour che lo manda nell’Olimpo dello sport. Perché Pantani non è stato solo uno dei più grandi ciclisti di sempre. E’ stato uno dei più grandi sportivi di sempre. Uno capace da audience da finale di mondiali di calcio. Uno capace di entrare nel cuore delle persone. Un campione capace di far innamorare del ciclismo anche quelli che non avevano a casa un nonno capace di trasmettergli la passione per questo meraviglioso sport. Questo era Marco Pantani per chi è nato agli inizi degli anni ’80. 

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