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    Strade Bianche, dove vedere la gara di ciclismo in tv e streaming: gli orari

    È il giorno della corsa toscana, con partenza e arrivo a Siena dopo 215 km e 15 settori di strade sterrate. Al via tante stelle, tra cui il vincitore uscente Pidcock, Pogacar, Alaphilippe, Mohoric, gli azzurri Bagioli, Formolo e Bettiol. In diretta dalle 14 su Eurosport 2 (canale 211 del telecomando Sky), visibile anche sull’app SkyGo 
    STRADE BIANCHE: STORIA E ALBO D’ORO

    Tutto pronto per la 18^ edizione della Strade Bianche, prima corsa UCI WorldTour italiana dell’anno e considerata ormai al livello delle altre Classiche monumento del calendario (Milano-Sanremo, Parigi-Roubaix, Giro delle Fiandre, Liegi-Bastogne-Liegi e Giro di Lombardia). Percorso rinnovato e grandi stelle nella start list per la gara toscana, soprannominata “La classica del Nord più a sud d’Europa” perché unisce le caratteristiche della Roubaix con i suoi oltre 70 km in sterrato alla difficoltà dei “muri” che ricordano quelli del Fiandre. Il recordman di vittorie è Fabian Cancellara con tre successi (2008, 2012 e 2016). Moreno Moser l’unico corridore di casa nostra capace di conquistare l’ex Eroica, nel 2013. 

    Il percorso 
    Fino al 2013 la partenza era stata situata a Gaiole in Chianti, nel biennio 2014-2015 prese il via da San Gimignano e dal 2016 la corsa inizia dalla Fortezza Medicea (in piazzale della Libertà) e finisce nella iconica Piazza del Campo di Siena, che ha sempre ospitato l’arrivo della gara. Allungata rispetto agli anni passati: 215 km con 15 settori e 71 km di sterrato, con l’introduzione di un circuito finale da ripetere due volte. Percorso molto mosso e ondulato sia sul piano planimetrico che altimetrico, privo di lunghe salite, ma costellato di strappi più o meno ripidi. 

    I settori sterrati

    Al Km 14: VIDRITTA (lunghezza 2.1 km)
    Km 21.3: BAGNAIA (5.8 km, pendenza massima 15%)
    Km 33.4: RADI (4.4 km, 12%)
    Km 44.1: LA PIANA (6.4 km)
    Km 76.8: LUCIGNANO D’ASSO (11.9 km)
    Km 89.7: PIEVE A SALTI (8 km, 11%)
    Km 112.7: SAN MARTINO IN GRANIA (9.5 km, 12%)
    Km 131: MONTE SANTE MARIE (11.5 km, 18%)
    Km 161.3: MONTEAPERTI (0.6 km, 16%)
    Km 165.7: COLLE PINZUTO (2.4 km, 15%)
    Km 171.9: LE TOLFE (1.1 km, 18%)
    Km 175.4: STRADA DEL CASTAGNO (0.7 km)
    Km 189.2: MONTECHIARO (3.3 km)
    Km 195.9: COLLE PINZUTO (2.4 km, 15%)
    Km 202.2: LE TOLFE (1.1km, 18%)

    I favoriti
    Il numero 1 sarà sulle spalle di Thomas Pidcock, trionfatore nel 2023. Le Crete Senesi vedranno l’esordio stagionale di Tadej Pogacar, dominatore dell’edizione 2022, in un cast che vede la presenza – tra i vincitori – di Julian Alaphilippe (2019) e Michal Kwiatkowski (2014, 2017). Tra le stelle più attese anche Valentin Madouas, Richard Carapaz, Kasper Asgreen, Christophe Laporte, gli azzurri Andrea Bagioli, Davide Formolo, Alberto Bettiol, Simone Velasco. E poi Matej Mohoric, già a segno alla Volta a la Comunitat Valenciana a inizio stagione.

    Strade Bianche femminile
    Al via sempre sabato la 10^ edizione della Strade Bianche Woman: percorso identico a quello riservato agli uomini, con partenza anticipata della gara femminile di un paio d’ore. Speranze italiane affidate a Elisa Longo Borghini, l’unica italiana a trionfare a Siena (nel 2017). Al via anche Lotte Kopecky e Demi Vollering, vincitrici – rispettivamente – nel 2022 e 2023.

    Dove vedere la Strade Bianche in tv e in streaming
    La 18^ edizione della corsa è in programma sabato 2 marzo, in diretta dalle 14 su Eurosport 2 (canale 211 del telecomando Sky), visibile anche sull’app SkyGo.

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    Ciclismo
    Strade Bianche: storia, favoriti e albo d’oro

    Alla prima edizione vinse Kolobnev, nel 2023 il successo di Pidcock. Il recordman della classica toscana è Cancellara con tre sigilli, soltanto un italiano è stato capace di conquistare l’ex ‘Eroica’: ricordate chi è stato? Storia, favoriti del 2024 e albo d’oro della corsa, in programma sabato dalle 14 in diretta su Eurosport 2 (canale 211 del telecomando Sky), visibile anche su SkyGo

    EROICA

    In principio era l’Eroica, un omaggio ai pionieri del ciclismo e alle loro imprese sulle terrribili strade sterrate del Novecento. Il nome della corsa cambiò dalla terza edizione, per quella che ormai viene ribattezzata la ‘sesta’ classica monumento del calendario: Strade Bianche, quelle tipiche della campagna senese. Oggi è considerata da molti al pari delle cinque Classiche Monumento (Milano-Sanremo, Parigi-Roubaix, Giro delle Fiandre, Liegi-Bastogne-Liegi, Giro di Lombardia)

    CAMBIO DI STAGIONE

    La prima edizione è stata vinta nel 2007 dal russo Aleksandr Kolobnev (nella foto della premiazione con Paolo Bettini e Fiorenzo Magni). Fu l’unica autunnale: dall’anno successivo venne spostata a inizio marzo, prima della Tirreno-Adriatico e della Milano-Sanremo. La Strade Bianche è anche soprannominata “La classica del Nord più a sud d’Europa”, perché unisce le caratteristiche della Roubaix con i suoi oltre 70 km in sterrato alla difficoltà dei “muri” che ricordano quelli del Giro delle Fiandre

    PIAZZA DEL CAMPO

    Fino al 2013 la partenza era stata situata a Gaiole in Chianti, nel biennio 2014-2015 prese il via da San Gimignano e dal 2016 la corsa inizia e finisce nella iconica Piazza del Campo di Siena, che ha sempre ospitato l’arrivo della gara. 

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    Strade Bianche, l’albo d’oro della gara di ciclismo: curiosità e favoriti

    Alla prima edizione vinse Kolobnev, nel 2023 il successo di Pidcock. Il recordman della classica toscana è Cancellara con tre sigilli, soltanto un italiano è stato capace di conquistare l’ex ‘Eroica’: ricordate chi è stato? Storia, favoriti del 2024 e albo d’oro della corsa, in programma sabato dalle 11:15 in diretta su Eurosport (canale 210 del telecomando Sky) LEGGI TUTTO

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    Ciclismo, Trofeo Laigueglia: vince il francese Lenny Martinez

    Lenny Martinez, 20enne francese, si è imposto nella 61^ edizione del Trofeo Laigueglia. Al secondo posto Andrea Vendrame, che ha regolato un gruppetto formato da 4 corridori. Completa il podio Juan Ayuso. Si tratta del terzo successo da professionista per il corridore della Groupama-FDJ, dopo le vittorie lo scorso anno nella Mont Ventoux Denivelè e nella Classic Var a inizio stagione. LEGGI TUTTO

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    Sagan, intervento al cuore: “Sto bene, nei prossimi giorni torno in bici”

    Peter Sagan ha subito oggi un intervento al cuore per curare un’aritmia. “Peter sta bene. Tornerà in bici tra una settimana con lo stesso programma che aveva originariamente. Tutto è sotto controllo”, ha detto un rappresentante del suo staff, come riporta l’ANSA. Lo slovacco di 34 anni, tre volte campione del mondo su strada e sette volte vincitore della maglia verde al Tour de France, è stato operato ad Ancona, in Italia. Con un post su Instagram, ha voluto rassicurare i suoi tifosi: “Ciao ragazzi, solo un breve aggiornamento. Tutto sotto controllo e tra pochi giorni torno sulla mia bici!”. Sagan ha detto addio al ciclismo su strada lo scorso autunno dopo 121 vittorie in carriera e ora punta a difendere i colori della Slovacchia ai Giochi Olimpici di Parigi nella specialità mountain bike, sport da cui tutto aveva avuto inizio. Sagan aveva avuto un episodio anomalo di tachicardia durante una corsa di Mtb domenica scorsa, quando aveva superato i 200 battiti al minuto.  LEGGI TUTTO

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    Marco Pantani, la ricostruzione delle inchieste sulla morte il 14 febbraio 2004

    La tragica fine di Marco Pantani coincide con l’inizio di un iter giudiziario intensissimo ed ancora in corso. Sono tre le inchieste che riguardano la sua morte, l’ultima iniziata lo scorso anno ed ancora in corso. Alle quali si somma quella della Procura di Forlì per i fatti di Madonna di Campiglio del giugno 1999. Una salita impervia quella affrontata da mamma Tonina, che non si è mai arresa davanti all’archiviazione delle prime due inchieste riminesi, con la Procura romagnola sempre convinta che non si trattò di omicidio quella notte di San Valentino del 2004 nella stanza D5 del residence Le Rose, sito nel controviale del lungomare riminese, ma di morte causata da abuso di un mix di farmaci e cocaina. Quella che Pantani aveva acquistato dagli spacciatori Veneruso e Miradossa, che abitavano in un appartamento situato dall’altro lato della strada rispetto al residence, proprio prima del decesso. La prima indagine, quella successiva alla morte e al suo clamore mediatico, fu gestita dal pm riminese Paolo Gengarelli. Che a distanza di anni sottolinea come le indagini si basino esclusivamente su fatti concreti e prove evidenti, sempre mancanti anche nelle inchieste successive, confermando però anche la legittimità dei dubbi sulla morte del Pirata. Perché il ritrovamento del corpo e della stanza non possono non farne sorgere. Alcune tumefazioni sul volto e sulle braccia di Marco, il totale disordine trovato in stanza, col lavandino del bagno staccato dal muro, lo specchio del bagno appoggiato per terra, l’armadio del salotto piazzato davanti alla porta d’ingresso, chiusa dall’interno, cocaina per terra e inserita in un bolo di mollica ritrovato di fianco al cadavere. E ancora: le chiamate di Pantani in reception “denunciando” rumori e gente che gli stava dando fastidio, anche se quando poi gli inservienti dell’hotel si presentarono a bussare Marco li mandò via senza permettergli di entrare. I rumori sentiti dai vicini della D5, e coi quali Marco aveva in precedenza avuto un breve e pacifico colloquio. Le telecamere di sorveglianze non funzionanti davanti all’ingresso del retro dell’albergo, al quale si poteva accedere anche dal piano garage senza quindi dover passare davanti alla reception. I due giubbotti invernali che Pantani si portò a Rimini da Milano, da dove era partito nei giorni precedenti al decesso dopo l’allontanamento dall’appartamento della sua manager, Manuela Ronchi, dalla quale aveva pernottato per qualche giorno nei primi giorni del febbraio 2004, mai ritrovati all’interno del residence Le Rose. Dubbi e perplessità che hanno portato all’apertura di una seconda indagine, nel 2014. L’ipotesi era omicidio, l’accusa contro ignoti. Col titolare, Paolo Giovagnoli, che prima ammette la riapertura del caso e poi, a distanza di mesi, ne chiede una nuova archiviazione. Nonostante una perizia di parte del professor Avato smentisse la precedente, successiva al decesso, del professor Fortuni, e ulteriori tematiche, anche relative agli errori commessi dagli inquirenti durante la prima inchiesta, fossero venute a galla. Secondo Giovagnoli, che basava il suo giudizio anche sulla perizia svolta dal professor Tagliaro, perito terzo chiamato in causa proprio dagli inquirenti, non erano emersi elementi nuovi che facessero pensare ad un omicidio. 

    L’inchiesta sui fatti di Campiglio
    Nel frattempo, e in parallelo, a Forlì si indagava nuovamente anche sui fatti di Campiglio. Dopo la rapida archiviazione dell’inchiesta del ’99 a Trento, nel 2016 la pm Lucia Spirito apre un nuovo fascicolo sull’ipotesi di associazione per delinquere finalizzata alla frode e truffa sportiva. Alla base le dichiarazioni di Renato Vallanzasca dal carcere, informato da ambienti vicini alla Camorra che “il pelatino” (Pantani) non vincerà il Giro del 1999. Cosa sportivamente impossibile, visto che Pantani a due tappe dal termine aveva un vantaggio abissale nei confronti del secondo in classifica, ma poi realmente accaduta. L’ematocrito analizzato dai tre medici nell’albergo di Madonna di Campiglio che ospitava Pantani e la Mercatone Uno nella notte precedente alla penultima tappa di quel Giro, era superiore a 50 (51.9 per l’esattezza), quota ritenuta limite per la sicurezza della salute degli atleti. Limite superato che non gli permise di concludere quel Giro, oltre a gettarlo moralmente in quell’abisso dal quale non sarebbe poi più uscito. Secondo Vallanzasca quella provetta, neanche scelta da Pantani che invece ne aveva diritto, era stata “taroccata”. In pratica, visti poi i valori ematici, ci potrebbe essere stata una deplasmazione del sangue presente. Si toglie una parte volatile che si trova sopra il plasma prelevato, e come conseguenza la densità del sangue stesso cresce fino a sforare i limiti. Prove ne sarebbe stata la drastica diminuzione delle piastrine, crollate in quel test ad un valore da persona gravemente malata, non certo di chi ha dominato tre settimane di massacranti saliscendi per l’Italia, montagne comprese. E il fatto che un professionista come Marco non avesse sotto controllo i suoi livelli ematici da primissimo in classifica, con la certezza quindi di un controllo, e a due giorni dalla fine del Giro è onestamente non credibile. Dubbi enormi quindi, decisamente maggiori rispetto alle altre indagini. Ma anche in questo caso, nonostante il rinvio degli atti alla Procura antimafia di Napoli, è arrivata una nuova archiviazione per l’inchiesta, disposta dal gip Monica Galassi, fermata stavolta dalla prescrizione del reato ipotizzato.

    La terza inchiesta sulla morte
    E ancora, nel 2021, una terza inchiesta sulla morte di Marco. Sempre a Rimini, sempre su iniziativa di mamma Tonina: che mai si è arresa e mai lo farà. Nuove testimonianze, una ventina, nuovi approfondimenti che però anche in questo caso non sembrano portare ad un finale diverso. Molte le imprecisioni riscontrate nei racconti e nelle testimonianze, alcune poco credibili o addirittura inventati. Oltre ad una tempistica, a quasi vent’anni dal decesso, che non aiuta. In un iter giudiziario complesso e lungo vent’anni. Proprio come il ricordo, che al contrario non avrà mai archiviazione, del campione di Cesenatico. LEGGI TUTTO

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    Chi era Marco Pantani: resta per sempre il simbolo del ciclismo

    Sono passati  venti anni da quel tremendo 14 febbraio 2004: quel giorno morì Marco Pantani. Ma il “Pirata” resta vivo più che mai: è e resta il ciclismo, la sua fatica, la sua sofferenza e le sue imprese mitiche

    Vent’anni sono tanti o non sono nulla. Il tanto può essere riferito a quel lasso di tempo che intercorre dalla data…14 febbraio 2004. Il nulla riguarda il valore personale del ricordo e quello pubblico delle sue imprese. Se torno a quella maledetta data di venti anni fa e che celebra la festa degli innamorati, non è altro che un brivido lungo la schiena, lo stesso che avevo quando, con mani basse sul manubrio, Marco Pantani scattava appena la strada saliva. Ora quel brivido e urlo di letterale gioia mi si strozza in gola, diventa un macigno, un vero e proprio uragano, un maledetto vortice emotivo di immane tristezza ed angoscia. Quel giorno facemmo “nuda cronaca” quando invece volevamo solo piangere. Una giornata, serata, passata a dare informazioni, all’epoca Sportime, il primo tg di SkySport, senza sosta e senza soluzione di continuità vista la gravità dell’episodio. Quel giorno raccontammo, annientati dal dolore, tutte le sue vittorie, tutte le sue gesta, tutti i suoi momenti ripercorrendo passo dopo passo la sua vita, assai breve e per certi versi triste e drammatica come epilogo. 

    Le tante domande
    Così si è celebrato il campione, così si è omaggiato il personeggio con mille domande sulla sua fine. Un turbinio di emozioni e sensazioni che frullano nella testa nel bene e nel male. Ora è indubbio che si è detto, scritto, visto e non visto anche troppo. Di considerazioni e ragionamenti ve ne sono ed eccome ma di Marco Pantani è bello e doveroso ricordare altro. Certo è che tra inchieste, processi, sentenze, appelli, indiscrezioni, verità nascoste, scoop o simili, rilievi, pareri, confessioni, rivelazioni, ipotesi e tanto ma tanto altro ci hanno inondato, sommerso e troppe volte annientato. E ancora, avvocati, famiglia, manager, sostenitori, denigratori, amici o finti tali, fans, tifosi, malavitosi, ergastolani, corrieri, fidanzate, parenti, psicologi, criminologi, esperti, tuttologi e…non so chi altro sono intervenuti con perenni dichiarazioni, supposizioni, congetture e deduzioni. Un vero mistificante frullato del nulla. Non voglio dire che non bisogna arrivare alla verità o rispondere ai tanti perché, ci mancherebbe…ma ne sono uscite troppe, mai chiare e francamente poco edificanti per la sua Memoria, maiuscolo. 

    Una cosa è certa. Marco Pantani quel giorno è morto. Marco Pantani non c’è più da quel 14 febbraio del 2004. Marco Pantani, quell’omino con la testa luccicante al sole, che diventa un gigante sulla bici non è mai morto. Come tutti i grandi, le leggende e i miti, Marco Pantani corre sempre nei ricordi e nella memoria di tutti. Mi ha fatto un gran piacere i recenti paragoni che hanno avvicinato la popolarità di Sinner ad Alberto Tomba, Valentino Rossi e… Marco Pantani. Ecco perché non manca, è sempre lì mani basse smorfie all’ultimo tornante e poi il colpo di pedale, quello con cui staccava tutti diveniva più soffice e morbido sotto lo striscione dell’arrivo. Marco Pantani è ed era il ciclismo, quell’eroe che si esalta solo al vedere in lontananza la montagna. Una sfida infinita: “Vado così forte in salita per abbreviare la mia agonia”. Ecco chi era Pantani. Abbiamo tutti presente che cosa ha fatto con la maglia Carrera e qualche capello in testa o con i colori della Mercatone di Luciano Pezzi con bandana ed orecchino. Giro e Tour. Ha vinto poco o molto per troppo poco tempo…inizi da giovane gregario e spalla di campioni come Chiappucci poi libero di interpretarsi con pezzi di autore, poi i tanti incidenti le tante ripartenze i regolamenti e la lotta con sé stesso. Il suo vissuto è una sorta di continuo saliscendi e in questo si inserisce anche il nostro racconto. Ci ha portato ed accompagnato su tante strade, ha fatto tifare tutta l’Italia senza distinzione di età, ci ha fatto scoprire il concetto dell’impresa, della sofferenza, della solitudine del numero Uno. Ecco chi era Pantani, attore protagonista di un film con ragazzo innamorato della bici. Il suo cavallo alato che lo liberava dalle sue angosce era un ragazzo libero quando cavalcava la sua bici. Si aspettava Marco Pantani, dalla Tv le immagini uscivano con la voce rotta di Adriano De Zan e di un giovane esordiente Davide Cassani, un racconto di esaltante epopea di un quasi antico ciclismo. Record di ascolti e di presenze agli arrivi e sulle strade. Ecco chi era Marco Pantani. I suoi gesti, il suo rituale era la preparazione a quello che attendevi…scatti e controscatti per stroncare chiunque, il popolo ciclistico in visibilio, il suo autografo per il ricordo perenne. Ecco chi era Marco Pantani. Il suo sguardo sfuggente ed impaurito quando aveva intorno troppa gente mi è sempre presente. Il suo sorriso liberatorio ad occhi chiusi e braccia larghe sotto i traguardi è stampigliato nella mia memoria. La rabbia per l’ennesima rinascita e i pugni al cielo sono per me indelebili. Strade, salite, strappi, discese, curve e tornanti, ogni metro percorso sono i suoi lasciti. “Per vincere Pantani non ha bisogno del Doping, ha bisogno delle salite”, diceva in terza persona, quanto è vero Marco. Mi permetto di passare al tu per quelle volte che abbiamo pedalato insieme e per le tante che ti ho raccontato anche nel finale di quel pantano della vita reale. Immagini, foto, maglie raccontano il piccolo grande uomo. 20 anni che non cambiano le nostre emozioni.
    Ecco chi era Marco Pantani.

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    Ciclismo
    Le vittorie di Pantani a Giro e Tour

    A vent’anni dalla sua morte, ricordiamo le imprese del ciclista romagnolo sulle strade del Giro d’Italia e del Tour de France, vinti con una storica doppietta nel 1998. Dalle scalate dell’Alpe d’Huez al miracoloso recupero di Oropa, dai successi a Les Deux Alpes e all’Aprica fino agli ultimi acuti sul Ventoux e Courchevel, ecco le immagini che hanno fatto la storia del Pirata

    1994, MERANO E APRICA: IL MONDO CONOSCE MARCO PANTANI

    L’esuberanza di Marco Pantani si palesa al mondo alla prima vera occasione: il 24enne romagnolo fa impazzire l’Italia vincendo due tappe al Giro 1994 con gli arrivi a Merano e all’Aprica, salendo anche sul podio al 2° posto dietro alla maglia rosa Berzin 

    1998, COMINCIA LA SCALATA ALLA CLASSIFICA A PIANCAVALLO

    Piuttosto in ombra nei giorni precedenti, Pantani comincia la sua rincorsa alla vetta della classifica generale e alla maglia rosa, indossata dallo svizzero Zulle: il Pirata vince la 14^ tappa a Piancavallo

    LA PRIMA VITTORIA IN MAGLIA ROSA A PLAN DI MONTECAMPIONE

    Già in maglia rosa, il Pirata certifica di fatto il successo in quel Giro con l’arrivo in solitaria a Plan di Montecampione nella 19^ frazione

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    Pantani, quel 5 giugno 1994: la nascita del mito che tenne insieme nonni e nipoti

    5 giugno 1994: Marco Pantani, dopo il successo il giorno prima a Merano, si impone nella tappa con arrivo ad Aprica dopo aver scalato Stelvio, Mortirolo e Santa Cristina. Fa quasi saltare il Giro d’Italia e irrompe nel cuore di tifosi e appassionati di ciclismo, unendo nonni e nipoti. Quel giorno come una rivelazione: niente fu come prima. Anche per un mito come Charly Gaul. Un racconto personale ma che riguarda, in fondo, almeno tre generazioni

    I pomeriggi tra maggio e giugno, profumo di primavera, giornate che si allungano. Tanta voglia di diventare grandi, di crescere in fretta. A 13 anni ogni cellula del tuo corpo vuole esplodere, entrare il prima possibile nel mondo degli adulti. Stavo preparando, stancamente, gli esami di terza media in quel giugno 1994. Da un lato, il sogno di avere già 14 anni per avere il primo motorino, dall’altro un attaccamento all’infanzia inconsapevole e tenace. La bicicletta come strumento di scoperta e di libertà: simbolo del rapporto padre-figlio. Papà che t’insegna ad andare senza rotelle: diventerà un ricordo dolce. Ma a 13-14 anni vuoi la libertà e con la bici ti spingi proprio dove i tuoi genitori ti vietano, superi quei confini che i tuoi ti hanno indicato come limite invalicabile. Cerchi la tua strada. E siccome a 13 anni si pensa di essere già grandi ma si è ancora bambini, ti identifichi con i corridori. Chiappucci e Bugno che sfidano Indurain. Avevo una polo rosa e quando la indossavo mi piaceva immaginarmi di essere il Diablo. Ogni cavalcavia dell’hinterland diventava per me un Mortirolo in cui staccavo Indurain. Quando incontravo stradoni lunghi (all’epoca senza rotonde) sognavo a occhi aperti di essere Bugno che finalmente superava a cronometro il fenomeno spagnolo. E poi c’è il nonno. Il rito irrinunciabile era guardare con lui le tappe del Giro e del Tour, in pomeriggi che scorrono dolcemente e per fortuna lentamente come quelle salite in cui vorresti esserci, a bordo strada. Il cerimoniale era più o meno sempre identico. Andavo da mia nonna e le chiedevo: «Dov’è il nonno? Di là, sta per cominciare la diretta della tappa». E mia nonna solitamente rispondeva, in veneto: «Xe drìo dire el rosario in garage». Sì, perché mio nonno, come molti altri, era un operaio in pensione che passava i pomeriggi a costruire e riparare nel suo garage-officina, e ogni tanto, anzi ogni spesso, qualche improperio in dialetto diciamo che gli scappava, con quel particolare rapporto che tanti veneti hanno con la blasfemia. Tutte le mie biciclette le ha costruite lui: era uno di quegli operai capaci di «fare i baffi alle mosche», così si diceva per descrivere la maestria della nostra mitica classe operaia. E soprattutto, come tanti altri nonni, era un grande appassionato di ciclismo. Era anche stato un corridore in gioventù, poi la guerra e una pleurite ne avevano spento le velleità agonistiche. Sapeva leggere le tappe e i protagonisti in modo preciso e risoluto. C’è una data che più di altre resta impressa nella mia memoria: il 5 giugno 1994. Il giorno prima al Giro aveva vinto un giovane corridore della Carrera, un certo Marco Pantani. Aveva un ciuffo che gli dava dieci anni in più di quelli che aveva: se lo sarebbe tolto più avanti, diventando il Pirata. 

    ©Getty

    La ‘pazza’ discesa di Merano
    Aveva sorpreso tutti a Merano grazie alle sue capacità da discesista, qualità che a noi ragazzini costò più di una sbucciatura di gomiti e ginocchi, pantaloni e magliette distrutti, nel tentativo di imitarlo ovunque la strada scendesse in picchiata. Come scendeva lui, con quel modo di mettere il sedere fuori di sella, spericolato e al tempo stesso micidiale come un motociclista in pista al mondiale. Se per gli addetti ai lavori il talento di Pantani era già noto, noi ragazzini e semplici spettatori ancora non sapevamo. Era un’epoca senza social, senza internet e senza quella miriade di informazioni di cui oggi disponiamo in modo totalizzante. Per fare un esempio: che Sinner avrebbe vinto uno slam ce lo hanno previsto con anni di anticipo, Pantani quando apparve a noi, il famoso pubblico a casa, non si sapeva chi fosse. Pensammo che fosse un exploit di un giovane talento e nulla più. Noi che tifavamo Bugno e Chiappucci, i due alfieri italiani che tentavano disperatamente di battere il moloch spagnolo, quel concentrato di doti fisiche e capacità serafica di gestire le corse che era Miguel Indurain, non potevamo sapere. 

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    Ciclismo
    “Pantanissimo”, un eroe sempre in prima pagina

    Con le sue gesta straordinarie, Marco Pantani ha stregato il mondo del ciclismo e non solo. A vent’anni dalla sua morte, vogliamo ricordarlo nelle sue numerose imprese a Giro e Tour, testimoniate dai titoli e dalle prime pagine dei più importanti quotidiani sportivi dell’epoca

    IL MITO DI MARCO PANTANI SULLE PRIME PAGINE DEI QUOTIDIANI SPORTIVI

    Dal 1994 al 2000, il Pirata ha fatto innamorare il mondo del ciclismo. A vent’anni dalla sua morte, vogliamo ricordarlo nelle sue numerose imprese a Giro e Tour, testimoniate dai titoli e dalle prime pagine dei più importanti quotidiani sportivi. In un’epoca in cui i social ancora non esistevano, ecco come veniva celebrato il campione di Cesenatico sui media

    3 AGOSTO 1998: MARC DE TRIOMPHE

    La Gazzetta dello Sport celebra la vittoria di Pantani al Tour 1998 con un geniale “Marc de Triomphe”, con la foto del Pirata festeggiato da Felice Gimondi, ultima maglia gialla italiana prima di lui nel 1965

    3 AGOSTO 1998: PANTANISSIMO

    L’Equipe conia un superlativo in ricordo del grande Fausto Coppi (Campionissimo) per descrivere la vittoria di Marco Pantani al Tour del 1998. Un grande onore per il ciclista romagnolo

    Tappa da brivido: Stelvio e Mortirolo
    Lo avremmo scoperto proprio quel 5 giugno. La tappa era di quelle da brivido: Stelvio, Mortirolo, Santa Cristina e arrivo ad Aprica. Non pensavamo che quel Pantani avrebbe bissato il successo del giorno prima, mai avremmo immaginato che lo avrebbe fatto con una prova di estrema maturità e talento assoluti. Mai ci saremmo immaginati che avrebbe quasi fatto saltare il Giro, spazzando via i piani di Berzin, Indurain e Chiappucci. Mio nonno guardava la tappa e per una volta lo vidi meno tranquillo, si agitava sulla poltrona come mai prima. Lui tendeva a smorzare i miei entusiasmi con commenti tecnici quasi sempre infallibili. Quel giorno, invece, si lasciò andare a un entusiasmo fanciullesco. Pantani è stato questo, per la mia generazione: l’unione di nonni e nipoti. Noi trovammo, come un’epifania, una rivelazione, l’idolo che ci avrebbe fatto restare bambini ancora per un po’, che ci avrebbe fatto sbucciare ancora gomiti e ginocchi, che ci avrebbe tenuto lontano dai motorini e ancora fedeli ai pedali. I nostri nonni respirarono l’aria dei campioni per cui avevano trepidato da giovani. Coppi, Bartali e un altro, che italiano non era. Mio nonno me lo disse mentre Pantani, sul Mortirolo, scattava e dava quelle sparate che lo avrebbero reso celebre. “Mi ricorda Charly Gaul”. Non sapevo chi fosse e quindi lui, paziente, mi raccontò chi era stato, “L’Angelo della Montagna”.

    L’Angelo della Montagna e il Pirata
    Anni ’50, e due scalatori che resteranno per sempre nel mito: Gaul, appunto, e lo spagnolo Bahamontes, “L’Aquila di Toledo”. Amici e rivali. Con il lussemburghese che entrò nella storia l’8 giugno del 1956. Monte Bondone, tappa di quasi 250 km corsa nella neve e nel gelo, corridori congelati. Si narra che il direttore sportivo di Gaul, Learco Guerra, durante la fuga del suo corridore lo fece fermare in una baita: bagno caldo, divisa ad asciugare al fuoco, poi di nuovo in sella. Degli 86 corridori partiti ne arrivarono meno della metà, molti già quasi in ipotermia. Gaul taglia da solo al traguardo, gli occhi azzurri persi nel vuoto, spiritati dopo un’impresa tremenda, quasi tragica e per questo eroica. Mio nonno non sapeva che Gaul, dopo varie peripezie e drammi interiori, la depressione e l’alcolismo, proprio tra gli anni ’80/’90 si stava riprendendo ed era stato assunto al museo del ciclismo in Lussemburgo. E che avrebbe ritrovato un po’ di entusiasmo e passione per il ciclismo grazie a Marco Pantani. Lo considerava il suo vero erede. Si fece rivedere nell’ambiente proprio per via del Pirata. Una delle sue ultime uscite pubbliche fu al funerale di Marco in quel terribile febbraio 2004. Era presente, a onorare un suo pari, un sodale di fatiche e imprese. Mi piace pensare che anche per Gaul fosse stata così stupenda l’apparizione sulla scena di Pantani. Guardare quel volto dallo sguardo malinconico, altra caratteristica del Pirata, ma con quel sorriso buono, accogliente, di un animo fragile e gentile. Una volta Gianni Mura chiese a Marco: «Perché vai così forte in salita?» e lui gli rispose: «Per abbreviare la mia agonia». Forse è in questo che gli scalatori si riconoscono fra loro, si “annusano” l’un l’altro, si capiscono anche a distanza. Ed è per questo che siamo ancora così tanti a essere appassionati di ciclismo. Riconosciamo lo sforzo, perché sappiamo quanto è difficile pedalare, quando la strada inesorabilmente sale. C’è una “democrazia della fatica” che in altri sport manca: applaudiamo il primo che passa al Gran Premio della Montagna con lo stesso entusiasmo con cui incitiamo l’ultimo. Abbiamo rispetto per l’impegno profuso in qualsiasi condizione, caldo soffocante, pioggia a dirotto, il gelo di bufere improvvise in quota. Mi piace immaginare che anche Gaul fosse davanti al televisore quel 5 giugno del 1994. 

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    Niente fu come prima
    Scollinato il Mortirolo, solo il Santa Cristina divide Marco Pantani dal traguardo dell’Aprica, dopo una tappa di quasi sette ore corsa all’attacco ma anche con intelligenza. In via Roma ci arriva da solo, braccia al cielo e quel ciuffetto di capelli che svolazza al traguardo. Il banco non salta ma poco ci manca, perché in quel Giro Marco si piazzerà secondo in classifica generale, dietro la maglia rosa Berzin e davanti a Indurain. Quel 5 giugno 1994 fu l’inizio, niente sarà più come prima: ci innamorammo perdutamente di Pantani, quel giorno. Non era ancora il Pirata, non sapevamo che avrebbe avuto davanti tanta sfortuna: investito da un suv alla Milano-Torino, il gatto nella discesa di Chiunzi a tagliargli la strada al Giro. Avremmo aspettato quattro anni per vedere quella splendida doppietta: Giro e Tour, 1998. In maglia gialla, un italiano 33 anni dopo Felice Gimondi. Quel 5 giugno 1994 ci ritrovammo, nonni e nipoti, uniti da quegli scatti indelebili, da quella capacità di “attaccare” la montagna, da quel modo di sorridere che ci conquistava, da quegli occhi lucidi di intelligenza e sofferenza. Ci riconoscemmo in quella fatica, nelle sue difficoltà e nella sua capacità di rialzarsi. Almeno tre generazioni unite in modo pressoché plebiscitario: eravamo tutti trepidanti per il Pirata o, come lo chiamava Mura, Pantadattilo. Un soprannome perfetto perché collocava Pantani in un mondo fantastico, riaccendendo l’epica di un ciclismo di epoche mitiche, perché lo estraniava dalle dinamiche spazio-temporali. Una sorta di fossile che riprendeva vita e forma, forza e presenza. Quanto amore Marco ci ha dato. Glielo abbiamo restituito, sempre. Chissà se ha mai avuto la consapevolezza di quanti nonni e nipoti tenne incollati alla tv, ad aspettare il suo scatto micidiale, formidabile, devastante. Verso la vittoria, verso l’impresa. Legando per sempre generazioni ed epoche, sotto una bandana immaginaria che ci teneva – e ci tiene – tutti uniti.

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    Ciclismo
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