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    Simone Scopelliti: le ambizioni di Prata, la sua voglia di tornare in Superlega

    Leggendo il suo curriculum, laddove un datore di lavoro del volley volesse valutarne ambizioni e progressi, alla voce esperienza di Simone Scopelliti vengono delineate in primis una stagione stellare a Reggio Emilia, che tutta la A2 ricorda, culminata con una promozione in Superlega, e le successive tre stagioni alla Tinet Prata di Pordenone, nelle quali ha contribuito a creare un clima, uno spogliatoio, un affiatamento che oggi proiettano Prata ai vertici del campionato dopo oltre venti giornate. 

    Qualora venisse l’idea di chiedere a Scopelliti la ricetta di un percorso similare, basterebbe mostrare come sia Simone e cosa rappresenti oggi per la serie A2, ovvero un giocatore lineare, maturo, in grado di accettare responsabilità e soprattutto in grado di mettere sempre il proprio io dinanzi alle stesse.

    “Questa stagione è partita senza alcuna ambizione forzata. Le aspettative, inizialmente, erano quelle di affrontare un campionato tranquillo, poiché la società ha investito nei lavori di riadeguamento del palazzetto per poter tornare a giocare a Prata e di conseguenza le risorse sono state allocate sulla struttura. Ciò che è arrivato dopo è la conseguenza di un bel lavoro che abbiamo cominciato nelle scorse stagioni e che ha portato la squadra ad esprimersi come avete visto durante il campionato, tenendo testa alle squadre di vertice e riuscendo a raggiungere il primo posto in classifica dopo la ventiduesima giornata”.

    Playoff ormai matematici. Continui lei Scopelliti.

    “Sì, la matematica ci dice che siamo già qualificati alla seconda fase e se ragionassimo come all’inizio della stagione, entrare nei playoff dovrebbe essere già un risultato. Invece guardiamo avanti, settimana dopo settimana siamo riusciti a crescere e ad arrivare sempre più in alto e adesso dobbiamo continuare con questa costanza. So certamente per esperienza che i playoff sono un altro campionato, che alcune squadre potrebbero rinforzarsi e che i risultati al di là del piazzamento e della possibilità di giocare in casa alcune partite, si riazzerano. Quindi si può ancora scrivere la stagione per tutte le compagini che resteranno in gara. Siamo ad un punto in cui la strada fatta è tanta, ma c’è ancora tanta strada da fare”.

    Un pensiero ad una finalissima si fa?

    “Il pensiero lo faccio perché è naturale, ma nulla di più”.

    Si ricorda quella sera della finalissima a Reggio Emilia?

    “Credo sia stato l’anno più bello della mia carriera, nonostante poi la società non riuscì ad iscriversi al campionato di Superlega. Ricordo la finale di Coppa, la finalissima per l’accesso in A1. Dico anche che, dopo tre stagioni, sarebbe bello poter vedere Prata centrare un risultato simile”.

    Posso dire che sarebbe bello e giusto rivedere Scopelliti in Superlega? Me lo concede?

    “(ride n.d.r.) Mi piacerebbe molto. Sarebbe un riconoscimento per gli sforzi fatti in questi anni, oltre al desiderio di scontrarmi con una realtà che rimane impressa, perché anche gli anni di Sora o i miei inizi a Modena restano ricordi indelebili. È passato del tempo, ho completato gli studi in Ingegneria, ho un’età e un vissuto diverso. Misurarmi con il presente della Superlega è quantomeno una cosa curiosa”.

    Del Simone Scopelliti giocatore di Cinquefrondi cosa è rimasto?

    “Rimane il ricordo di casa, della mia famiglia che viene a vedermi alle partite. Impossibile non dire che non mi manchi o che non abbia pensato di riavvicinarmi un giorno a casa. Sarebbe bello riportare la pallavolo di alto livello nel territorio in cui sono nato e cresciuto. In fondo la pallavolo è una strada da percorrere e un percorso che ho fatto col massimo impegno possibile”.

    In questo percorso Prata rappresenta la strada più lunga. Perché?

    “Solitamente io sono sempre stato un giocatore da biennio, ossia dopo due stagioni al massimo ho sempre deciso di cambiare aria. Il fatto di crescere e maturare in questo progetto che eccelle sotto moltissimi punti di vista, sia dal punto di vista della società che dell’organizzazione, mi ha spinto a continuare. Se devo essere onesto, Prata è la società migliore in cui io abbia mai giocato”.

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    Giannotti esclusivo: la nazionale rifiutata, San Donà, Ngapeth e “quelle regole che rivendico”

    La prima e unica volta in cui lo intervistai fu in occasione di una Coppa Italia vinta con la maglia della Padova con cui Stefano Giannotti ha trascorso ben sette stagioni della sua carriera, in un anno che rappresentò il primo di tanti in cui il nome del forte opposto veneto è stato sinonimo di bel gioco e di qualità espressa. Un po’ la vita sceneggiatrice spericolata e un po’ le mancate occasioni del lavoro di entrambi hanno creato tra me e Giannotti un muro divisore, non voluto da nessuno, ma popolato da alcune leggende che oggi, dopo tanti anni, decido di sfatare o di confermare. 

    Giannotti dal troppo carattere, Giannotti l’ingombrante, Giannotti che fa sempre di testa sua. Ne ho sentite e ne ho schivate parecchie in questi anni, sempre pensando dall’alto del potermi specchiare nella vita di coloro che ci troviamo a raccontare, come molti di noi mestieranti fanno, che molto di ciò che ho sentito mi appartenesse. C’è un fattore che mi accomuna con orgoglio a Stefano, ed è il fatto di aver vissuto la carriera come volevamo noi, senza dover essere ciò che gli altri volevano per lui e senza dover sempre scendere a patti con la pallavolo. Il prezzo si paga, è doveroso ammetterlo, ma non se vivi tutto questo con la lucidità e la consapevolezza di Stefano, che oggi è ancora il punto di riferimento della serie A3, nonché, numeri alla mano, il miglior realizzatore del suo girone, oltre a detenere un primo posto in classifica con la Personal Time San Donà di Piave, che dice molto del suo presente.

    “C’è soddisfazione per il lavoro fatto dai miei ragazzi e la convinzione che arrivare fino in fondo sarebbe un bellissimo obiettivo da realizzare tutti assieme. Questo è un bel gruppo, nel quale, guardando bene, si trovano dei giovani che stanno disegnano una bella strada davanti a sé. Io sono uno di loro e i risultati individuali non arrivano solo per me perché tutti stiamo dando il nostro contributo”.

    Quando si parla di San Donà Giannotti dipendente, è un qualcosa per cui storce il naso o le fa piacere?

    “No, non mi fa piacere, anche perché non penso sia vero. Quando accetto un progetto ed entro in un gruppo non lo faccio con l’intenzione di diventare l’ago della bilancio, ma di fare la mia parte, che è la stessa di tutti gli altri, in egual misura. A me piace dare il mio contributo ed essere una garanzia. Cerco sempre di dare il mio meglio e voglio che anche gli altri facciano lo stesso, perciò gli sprono a fare altrettanto”.

    Il gioco espresso è di altissimo livello. Posso dire che lei e Bellucci siete una delle diagonali migliori della A3?

    “Io credo che una squadra sia forte quando ha un’identità. E San Donà ha una forte identità. Con Alessandro abbiamo costruito un rapporto in divenire dai tempi di Garlasco. All’inizio non ci siamo trovati, poi abbiamo trovato un punto di incontro e abbiamo fatto assieme un bel lavoro. Teniamo molto ad avere una buona intesa ed è merito del lavoro che si costruisce col tempo. I ragazzi si allenano molto e i risultati si vedono giorno dopo giorno”.

    foto Volley Savigliano

    Ci pensa alla promozione? So che per molti è un sogno, per lei si tratterebbe di un ritorno. 

    “Sarebbe bellissimo tornare in A2 e sarebbe importante farlo con questa squadra. Ma dove vuole che vada io, sono troppo vecchio! (ride n.d.r.)”.

    Trentacinque anni, diciassette stagioni in serie A. Guardandosi indietro, è felice del Giannotti pallavolista?

    “Me lo sono chiesto tante volte. Ripenso al passato con un grande sorriso, perché ho giocato delle stagioni ottime in campionati che alcuni hanno solo sognato. Rimprovero a quel Giannotti del passato solo alcune scelte che non ho fatto forse per paura. Rimprovero anche il fatto che non mi sono sempre sentito libero di fare delle scelte, perché la situazione del cartellino non è la stessa di oggi. Ma non entro nei dettagli. Detto questo, posso dire di aver giocato una gran bella pallavolo”.

    Mi dica i più forti con cui si è ritrovato a giocarsela.

    “I primi nomi che mi vengono sono Atanasijevic, Omrcen, Juantorena, Ngapeth. Ma l’elenco è lungo”

    Pistola alla tempia. Ne scelga solo uno.

    “Earvin. L’ho visto giocare all’apice della carriera con una Modena assoluta regina della Superlega. Non era tanto la forza dell’atleta, ma cosa era in grado di fare. Se decideva di vincere, non ce n’era per nessuno. Con Bruno erano in grado di fare delle magie incredibili in campo. Avevano una classe immensa”.

    Il compagno più forte?

    “A Monza ho giocato con i primi Dzavoronok e Plotnytskyi, giocatori che già dagli esordi risultavano determinanti. Posso anche dirle con chi mi è piaciuto molto giocare e ricordo un grande Mattia Rosso negli anni di Padova, che è stato un ottimo compagno di squadra”.

    In quegli anni si diffuse una leggenda, ossia che lei avesse rifiutato la nazionale. Sfatiamo o confermiamo?

    “(ride n.d.r) Me la faccia spiegare perché detta così resterebbe una leggenda. Sono stato chiamato per fare un mese e mezzo di nazionale e poi per andare ai Giochi del Mediterraneo. Quando mi sono reso conto che nemmeno ai Giochi avrei giocato, perché ero stato chiamato semplicemente per allenare gli altri, ho detto che preferivo declinare. Poi in realtà quell’anno mi venne una brutta tendinite, quindi alla fine tutto sommato è andata bene così”.

    Altra leggenda: dicono che lei sia un decisionista. O è semplicemente un leader?

    “Io dipendo dall’allenatore. Nel caso di San Donà ho una grande stima per il lavoro di Moretti. In partita mi arrabbio, mi capita di dare delle indicazioni, dei suggerimenti, sono uno che non fa passare certe cose. Però sono anche decisioni che vengono condivise col tecnico. L’unica cosa su cui ho avuto un pochino di libertà come capitano è che mi hanno lasciato fare il regolamento dello spogliatoio e lo rivendico da capitano con orgoglio (ride n.d.r.)”.

    foto Nicolo’ Scottà

    Giannotti, mi cade un mito.

    “Si ricordi che carota e bastone sono sempre essenziali”.

    Quando finirà di essere il giocatore forte che ho conosciuto, cosa vorrebbe fare?

    “Non le so rispondere. Ho studiato per fare l’elettricista. Può bastare?”

    Nell’ambiente della pallavolo come si vedrebbe?

    “Conoscendomi, quando finirò di giocare, vorrò provare a fare altre scelte. Anche se adesso è troppo presto per parlarne. Risentiamoci tra qualche anno”.

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    Rinaldi tra presente e futuro: “Modena è stata, è e sarà la mia squadra”

    Non c’è una volta in cui non mi comporti con lui da padre orgoglioso che lo ha visto crescere. Sarà quel candore e quell’eterna aria adolescenziale che emana, sarà che la prima volta che l’ho visto in campo ricordo non solo la sua età, ovvero quindici anni, e lo stesso volto, ovvero la stessa espressione, gli stessi occhi, lo stesso sguardo esageratamente ambizioso e severo, ma Tommaso Rinaldi per me resta sempre quello che mi ha fatto pensare quanto la pallavolo possa essere vicina a Giambattista Vico e ai corsi e ricorsi storici. Vedi in Rinaldi non tanto suo padre, quanto gli anni ’90 e il Classicismo del volley, non il passato ingombrante, quanto la nostalgia per l’esecuzione, i gesti, la tecnica. 

    Oggi vedo Tommaso a Modena e penso quanto sia Panini, Las Daytona, Cimone. Quanto passato c’è dentro quel ragazzo moderno che oggi è diventato, a mio modestissimo parere, il simbolo della rinascita, del nuovo ciclo. Rinaldi come Totti, lui gongolerà, già lo so, ovvero colui che cresce e poi sposa non solo il progetto di una società e di una città ineguagliabile nel panorama del volley, quanto ne indossa le sembianze, ne veste la maglia e i valori con colori unici:

    “Il simbolo di questa Modena? È un onore sentire queste parole e mi prendo la responsabilità di esserlo per la squadra. Questa è la città, la società e il posto in cui ho scelto di crescere e Modena è stata, è e sarà la mia squadra”.

    La Modena di Rinaldi. Il cuore, la casa, l’anima della sua vita.

    “Qui ho i miei amici, la mia famiglia, la mia vita. Questo è il luogo in cui amo stare bene”.

    foto Modena Volley

    Non vedevo questo Rinaldi da tanto tempo.

    “Lei dice?”

    Sembra aver preso una squadra sulle spalle perché si è liberato le spalle da un recente passato impegnativo.

    “È stato un anno molto difficile a livello mentale, perché arrivavo da una ruota che non smetteva mai di girare. Ho trascorso cinque mesi in nazionale, non ho fatto pause e poi la scorsa stagione non è stata la nostra migliore stagione. Abbiamo avuto l’esonero dell’allenatore e il nostro pubblico che è una forza che guida tutto, non ci dava più l’energia di cui si sente bisogno al Palapanini”.

    Arriva l’esclusione da Parigi. 

    “Ho staccato completamente e riavvolto il nastro dopo il primo mese e mezzo di nazionale. Ho resettato, ho rivisto il film dei miei ultimi sei anni. Sono tornato in palestra con una carica incredibile. Abbiamo lavorato al massimo, la preparazione con Modena è stata ottimale, perché ci siamo presi il tempo di preparare questo campionato”.

    Foto di Fipav

    In fondo, se consideriamo globalmente la carriera, lei ha vinto sempre negli ultimi anni.

    “Sì, a parte quest’anno, ho vinto qualcosa ogni anno. Quando ho ripercorso questo ultimo periodo della mia vita, mi sono chiesto a quanti capiti una fortuna del genere e la risposta è che non capita a tanti. Capirlo ti regala la serenità con cui affronto questo momento a Modena”.

    Che Modena è quella di Rinaldi, Sanguinetti, De Cecco, Anzani?

    “Una squadra con un livello veramente alto che ha avuto un pochino di sfortuna all’inizio e che semplicemente doveva prendere le misure con tutto. Il risultato è stato quello di lasciare qualche punticino qua e là, ma di aver già incrociato tutte le squadre di vertice, quindi ora il focus è solo rivolto alla crescita sotto tutti i punti di vista”.

    Qualche incontro speciale nelle prime partite? So che è molto legato a tanti compagni di nazionale.

    “Con Michieletto nella gara contro Trento ci siamo scambiati sorrisi per tutta la partita. Siamo avversari, quando siamo in campo cerchiamo di dare il massimo come facciamo in azzurro, ma resta la persona con cui sono cresciuto nelle giovanili e a cui riconosco degli anni e dei progressi incredibili. Stesso discorso con Yuri Romanò nella gara contro Piacenza. Non vedevo l’ora di riabbracciare forte lui, Marta, sua figlia. Ero in camera con Yuri il giorno in cui Marta gli ha comunicato di essere in dolce attesa. Io sono una persona che se ti vuol bene, te ne vorrò sempre al 100%. Romanò è uno di quei compagni e amici che si meritano questa versione di Tommaso”.

    Anche lei ha una compagna. Dove è arrivato il suo percorso personale sotto questo punto di vista.

    “Non sono ancora pronto per avere un figlio. Ora ci siamo laureati, io in economia aziendale e lei in ingegneria gestionale. Siamo focalizzati entrambi sul nostro rapporto, ma anche sulla costruzione di un futuro lavorativo, lei completa la magistrale e io sono concentrato sulla pallavolo. Per me questo è un punto importante e dolente, nel senso che avendo vissuto la separazione dei miei, è importante sentirsi davvero pronti per costruire un progetto di vita con i tempi e i luoghi giusti”.

    Foto Instagram @tommaso_rinaldi90

    La famiglia cosa è per lei Tommaso?

    “Un pensiero bellissimo”.

    Il futuro lavorativo?

    “Mi piacerebbe restare nell’ambiente, anche se è davvero precoce parlarne. Però il pensiero di essere un giorno il DG di una squadra di volley non mi dispiacerebbe. Ovviamente è davvero un futuro lontano”.

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    Davide Cester, Acqui e… sapone: “Alla carriera ho anteposto il rispetto per me stesso”

    Capita ad entrambi, da ormai due anni, che quando chiudiamo la conversazione, poi finiamo col pensare dove fossero le domande e quali fossero soprattutto le risposte. Mi capita perché con Davide Cester mi confronto, non domando, creando una sorta di flusso di coscienza mia e suo che ci porta poi a parlare di pallavolo, di vita, di noi.

    C’è tutto quello che desidero in Davide, c’è tutto ciò che spero nel Cester attuale: le origini in una scuola di vita, il successo, la caduta, la rinascita, la redenzione. Non posso non essere un sostenitore di un ragazzo come lui che non gioca nelle squadre che magari supporto per motivi logistici e geografici, ma che ho la fortuna di vedere dal vivo fare un percorso che lo ha portato a vivere una montagna russa importante e impegnativa.

    Una delle ultime domeniche, Davide ha totalizzato 20 punti contro la blasonata Belluno, giocando una partita che non colloca né lui né Acqui Terme in serie A3. Cester in particolare ha scelto delle soluzioni d’attacco da veterano, e ha concluso il suo personale con la soddisfazione di chi sta ritornando ad essere ciò che voleva essere e ciò che vorrebbe fosse questa nuova Acqui.

    “Sono contento della prestazione della squadra contro Belluno. Badi bene, non parlo della mia prestazione, ma di quella di tutti noi. Mi è piaciuta molto una cosa, ossia la reazione avuta dopo la trasferta contro Sarroch, nella quale nonostante ci fossimo allenati bene, non siamo riusciti ad esprimerci come volevamo. Questa può essere una cosa molto frustrante, quindi una volta tornati ad Acqui con Totire abbiamo lavorato su ciò che non era andato e nella gara contro Belluno abbiamo dimostrato ad esempio di essere anche noi una formazione d’attacco”.

    Diciamo anche che ad Acqui sono arrivati Iacopo Botto e Michal Petras. Sente la competizione del reparto?

    “No, assolutamente. Penso sia giusto che ci spartiamo i palloni e che un regista faccia le sue scelte in base al gioco su cui lavoriamo in settimana. Io ci sono, lavoro molto con Bellanova da questo punto di vista e cerchiamo di capire sempre come poter dare sempre il nostro massimo. Devo anche spezzare una lancia per i nostri centrali che stanno facendo un ottimo lavoro. La squadra è in generale un progetto in cui personalmente credo molto”.

    Cosa è cambiato rispetto alla scorsa stagione?

    “Penso che sia cresciuto il senso del professionismo. Con elementi che hanno conosciuto altri ambienti e livelli di gioco diversi, ci siamo subito trovati molto bene. Trovo forse una coralità migliore nel percepirsi squadra. Ognuno lavora per il bene del gruppo, senza individualismi”.

    Terzo anno ad Acqui. Sembra che il centro della vita di Cester si sia spostato dall’amato Veneto.

    “Sono arrivato qui quando Acqui Terme si affacciava con ambizione nel campionato di B. Sono sceso dalla A3 perché volevo ricominciare a credere nella serietà di un progetto, senza considerare altri aspetti come ad esempio il prestigio della serie in cui giocavo. Se ho rinnovato anno dopo anno, è perché credo ancora nella bontà di questo impegno e nel successo di questa società. Poi la vita può portarti anche altrove, la nostra carriera è fatta di spostamenti. Io non ho mai avuto l’ossessione di tornare in Veneto ad esempio”.

    Al canto delle sirene quindi, lei non risponde?

    “(ride n.d.r.) Capiterà di rigiocare nella mia terra per qualche squadra vicino a casa, anche se realtà come Treviso o Motta non sono più in serie A. Per ora sto molto bene qui”.

    Cester è un soldato della serie A3.

    “Io lavoro per prendermi sempre ciò che mi spetta. Qui ad Acqui vedo che il pubblico e la società percepiscono quando un atleta si esprime con impegno e garantendo una buona qualità del proprio lavoro. So quello che posso dare e cerco di farlo ogni giorno in palestra”.

    Una delle persone a cui si è più legato è Alessandro Graziani. Mi dica se sbaglio.

    “Non sbaglia, è un amico a cui sono molto legato”.

    Lei e Graziani in questi anni siete sembrati desiderosi di rivalsa. 

    “Siamo due pallavolisti che hanno lottato per le proprie idee e hanno messo davanti alla propria carriera il rispetto per noi stessi. Ci siamo incontrati e qui ad Acqui Terme forse abbiamo cominciato a risalire la china. Sono contento di poter fare questo pezzetto di strada assieme a una persona come lui”.

    Si ha l’idea che quest’anno Acqui Terme potrebbe vincere più per la squadra che per gli ottimi singoli.

    “Non sbaglia. È una squadra molto unita”

    Da chi dovrete guardarvi le spalle.

    “Ci sono due o tre formazioni veramente forti, penso a Belluno, San Donà, ma anche Mantova che lo scorso anno ha fatto così bene, deve solo partire. Penso anche a tutte le altre, comprese Savigliano o Sarroch. Ci sarà da combattere con tutte. Sarà durissima”.

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    Ma come sta giocando Federico Crosato? “Sono testardo e voglio onorare questa maglia”

    La partenza è di quelle che lasciano il segno. Anche perché le manifestazioni di stima non arrivano solo dall’interno, bensì da allenatori titolati che quest’anno in particolare, esprimono (l’ultimo in ordine di tempo è Anastasi che parlando di Padova ha ammesso il fatto che giochi una bellissima pallavolo) giudizi lodevoli nei confronti nella nuova Sonepar, nelle cui fila ha cominciato ad intravedersi sempre con più insistenza un certo Federico Crosato.

    Non è un caso che proprio dopo quattro stagioni, Crosato sia definitivamente sbocciato e a soli 22 anni rappresenti una delle novità più interessanti della nostra Superlega. Il percorso è stato duro e costituito da un’importante gavetta che oggi lo fanno affacciare sulla scena con una serie di sicurezze mica da ridere e una maturità non scontata alla sua età.

    “Dopo tre anni di contratto con Padova, mi è stato proposto il rinnovo e ho accettato con entusiasmo perché ho creduto sin dal primo giorno al progetto di questa società. Il mio credo sia stato un percorso in crescendo, dove il primo e il secondo anno sono stati un po’ il periodo della crescita e della conoscenza del campionato e delle sue dinamiche, mentre lo scorso anno ho cercato di dimostrare quanto volessi giocarmi il posto in una squadra in cui mi sono sempre trovato bene. Sono testardo e ho voluto insistere nella speranza di proseguire con il mio percorso e in queste prime giornate devo dire che sono soddisfatto del mio rendimento personale e della resa della squadra”.

    Trovi lei una descrizione per l’inizio.

    “Suddividiamo le avversarie, così facciamo prima. Posso dire che con Grottazzolina e Taranto c’è davvero tanto da giocarsi, perché sono le dirette avversarie per la salvezza. Sono partite intensissime, io le chiamo partite di nervi, perché sono sempre messi alla prova. Spesso non sono partite bellissime dal punto di vista del gioco, ma per noi diventano fondamentali. Con Piacenza e Civitanova ci siamo tolti anche qualche soddisfazione”.

    foto Lega Volley

    Chi ha scritto che è la miglior partenza di Padova degli ultimi anni?

    “Non montiamoci la testa! Diciamo che non è stata male. Credo che nell’ambiente ci fosse il pregiudizio delle partenze che sono sempre state un po’ a due velocità, magari non perfette dal punto di vista iniziale. Sono felice di aver sfatato il mito che Padova sia una piazza dove ultimamente si facessero punti facili. Quest’anno, se qualcuno lo ha pensato, ha sbagliato, perché daremo il nostro meglio”.

    Cosa è cambiato rispetto ai suoi primi anni?

    “Rispetto al mio arrivo, sorrido per il fatto che sono l’unico ad essere rimasto! Per ciò che riguarda lo scorso anno invece, è rimasto un gruppo nutrito che ha costituito l’ossatura della nuova Padova e si è andato ad affiancare ai nuovi arrivi con i quali si è subito creata la giusta alchimia. Aggiungo che ovviamente i risultati arrivati nelle ultime settimane rendono il lavoro in palestra e durante la settimana più gratificante. Andare al palazzetto ed essere felice di ciò che stiamo affrontando è davvero una bella sensazione”.

    Si capisce che lei questa sensazione la stia vivendo anche in campo.

    “Padova mi ha dato una gran bella opportunità. Devo onorare questa maglia con tutto l’impegno. Sto dando tutto ciò che ho e i risultati mi stanno ripagando. È un dare e avere molto piacevole!”.

    foto Lega Volley

    Lei ha dato molto anche alla nazionale giovanile. Mi dica se il pensiero di rientrare nella seniores non la fa dormire la notte.

    “No, butto l’occhio, questo è vero, anche se sono consapevole del fatto che ci sono degli elementi fortissimi nel mio ruolo. I miei genitori e i miei nonni mi dicono in veneto tu fai che le cose prima o poi arrivano. Credo sia il motto che spiega il mio approccio al tema della nazionale e in generale della filosofia del mio lavoro”.

    Con chi le piacerebbe rigiocare tra gli amici delle giovanili?

    “Con Paolo Porro. È un amico e parte del percorso della nazionale lo abbiamo fatto sempre assieme. Con lui vorrei ritrovarmi in azzurro”.

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    Trevor Clevenot ad Ankara per continuare a crescere: “Voglio mettere tanto di me stesso”

    Sapendo della sua timidezza, della sua straordinaria diplomazia (assai diversa dalla mia), non ho pensato di metterlo naturalmente a suo agio, ma ho esordito dicendo che dopo ogni pallone che ha attaccato con quella splendida tecnica che si ritrova e che ha consentito alla Francia di ottenere il secondo oro olimpico consecutivo, il mio commento dinanzi al commensale di turno era pressochè il medesimo: come mai siamo stati così stolti da lasciar partire Trevor Clevenot? Come mai con tutti gli stranieri che mettiamo sotto contratto ad occhi chiusi, non li abbiamo aperti per fargli firmare la pensione in Italia? Come mai, in un mondo che spesso trova scarni esempi di brand identity, un’immagine come la sua non abbiamo pensato di metterla nella voce dei ricavi?

    Lui nella nostra lunghissima chiacchierata Italia-Turchia ha riso e si è imbarazzato spesso perché non sei uno dei più forti posti quattro del mondo così a caso, dato che non sei consapevole di esserlo e di non avere quell’immenso potenziale:

    “La ringrazio molto per gli apprezzamenti. Io sono partito da Piacenza dopo un anno molto complesso, le ricordo che era l’anno della pandemia e ho scelto di espatriare in Polonia per andare in Plusliga e vivere un’esperienza di tre anni bellissima, nella quale ho fatto un percorso di crescita, e nella quale mi sono impegnato tanto per conseguire dei buoni risultati”

    Lei, lo ricordiamo, oltre alle due medaglie d’oro olimpiche, è riuscito a vincere anche con il club.

    “Al di là delle vittorie, che sì, come dice lei, ci sono state ad esempio con Jastrzębski Węgiel, ho avuto modo di trascorrere tre anni in un campionato che è cresciuto molto ed è diventato interessante al pari di quello in cui ho giocato in precedenza”

    Si è detto che quest’anno ha avuto la possibilità di rientrare in Italia. Mi dica che è vero, così da assolvere parzialmente le società che l’hanno contattata.

    “(ride n.d.r.) Sì, c’è stato qualche contatto come è normale, alla fine della stagione e nel momento in cui ho deciso di lasciare il campionato polacco. Ho scelto di accettare la sfida di Ankara e l’opportunità di trasferirmi in Turchia. È stato un cambio significativo e anche in questo caso è stato un modo per mettermi alla prova e tentare una nuova esperienza”.

    Foto Instagram @ziraatvolley

    Lo Ziraat, vedendo la comunicazione fatta sinora, ha trasformato Trevor Clevenot in un uomo immagine.

    “Prima della questione dell’immagine, vorrei dirle che di una società come lo Ziraat apprezzo la grande professionalità dimostrata dal primo giorno, l’organizzazione eccellente e il fatto di potermi cimentare con il campionato, ma anche con la coppa turca e la CEV, quindi riaffacciandomi in Europa con la squadra. Per ciò che riguarda la sua domanda, cerco di migliorare questo aspetto di me e penso di aver fatto dei passi da gigante, perché prima nelle occasioni pubbliche ero un pochino più in imbarazzo”.

    Clevenot e Anderson. Bellissimi, vincenti, magnetici. Non mi dica di no.

    “(ride n.d.r.) Avere Matt in squadra è uno stimolo per tutti noi. È un giocatore fenomenale, dal punto di vista mentale è pazzesco e da giocatori c’è sempre qualcosa da imparare. Un grande professionista, poi dal punto di vista dei tifosi, certamente ne ha più di me!”

    Per ora una sola sconfitta. Cosa vuole vincere allo Ziraat in questa stagione?

    “Le dico cosa voglio fare, ossia mettere tanto di me stesso in questa avventura. Il livello che metteremo decreterà poi i risultati. Ogni giorno in palestra mi ripeto questa frase, in modo da poter dare sempre il massimo”.

    Parigi è distante due mesi. Lei vogliamo dire che ha fatto un’Olimpiade eccezionale?

    “Giochiamo da anni assieme, il segreto di questa Francia è che ci accettiamo tutti con le nostre diversità. La differenza è il nostro punto di forza, la fiducia il nostro valore”.

    Lei e Brizard giocate in maniera mnemonica.

    “Ci conosciamo da quando abbiamo quattordici anni. Abbiamo condiviso ogni cosa e sappiamo ognuno tutto dell’altro. Basta uno sguardo per capire e basta un’occhiata per sapere quando l’uno ha bisogno dell’altro in campo”.

    Foto Instagram @trevor_clevenot

    L’emozione quando l’ha sentita?

    “Durante l’inno. Avevo gli occhi lucidi. Ero lì nel mio paese, nell’Olimpiade della Francia, davanti alla mia famiglia, con i miei amici fuori dal campo e i miei amici in campo. Indescrivibile”.

    Ci diamo appuntamento a Los Angeles Trevor?

    “La voglia c’è”.

    Come si fa a voler vincere ancora dopo due ori olimpici e dopo aver vinto nel proprio Paese?

    “Possiamo vincere ancora e ogni Olimpiade è un torneo a parte. Ognuno avrà una propria motivazione. Io ho quella di vincere tre medaglie d’oro ed entrare nella storia!”.

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    Tutto il mondo di Galassi: amore e amici, vittorie e sconfitte, Nazionale, Piacenza… Simon

    Che fosse il 7 o il 9 agosto, forse i giorni peggiori del suo 2024, io avevo un solo pensiero, ossia preoccuparmi che reggesse l’urto. Nel primo caso e anche nel secondo, Gianluca Galassi ha fatto ciò per cui scrivo da anni che reputarlo il miglior pallavolista italiano della sua generazione, nonché uno dei miei pallavolisti preferiti di sempre, non è un abbaglio. Galassi c’è.

    Eccomi, accerchiatemi, offritemi alla pubblica piazza, incarceratemi, ma lasciate stare i miei compagni di viaggio. Lo fa con una lucidità estrema, senza trasparire alcuna emozione positiva o negativa, andando persino a consolare quel Romanò con cui condivide il suo presente a Piacenza e che in quella occasione ha retto meno di Gianluca l’emozione di un momento.

    This is Galassi. Cuore e anima, mente e corpo, bianco e nero del volley sentimentale che in milioni tifiamo soprattutto durante il periodo olimpico. Una leva, un appiglio, un porto sicuro di tutto un gruppo azzurro che nel centrale di soli 27 anni crede ora, e crederà sempre. Identità possente, spalle larghissime, maturità non certo di una generazione che cade e crolla spesso. Lui resta, patisce, ma poi torna a ruggire, speciale come sempre, eterno come pochi.

    foto Fipav/Tarantini

    “Ma ho avuto bisogno di fuggire anche io, mi creda. Io e Laura, la mia compagna, abbiamo provvidenzialmente prenotato un viaggio che è cominciato poche ore dopo la fine di Parigi. Ho pensato di essermi salvato grazie a quello, perché un’Olimpiade come la nostra fai fatica a superarla senza che qualcuno ti porti via da quei momenti e ti proietti subito in una dimensione salvifica”.

    Cosa l’ha salvata a Bali?

    “I posti, i colori, la gente, la spiritualità, e soprattutto Laura. Ho avuto bisogno di staccare da tutto, dimenticare, ricaricarmi. Avevo poco tempo perché il mio lavoro in questi casi non permette pause lunghe, anche se alle volte ci vorrebbero mesi per riprendersi fisicamente e mentalmente. Dovevamo entrambi rientrare in Italia, incominciare davvero un nuovo capitolo della mia carriera e della nostra vita insieme in un posto nuovo”.

    Si parla già di Los Angeles 2028.

    “Io non sono capace di resettare e pensare così rapidamente ad un nuovo capitolo così impegnativo. Se dopo Tokyo, vedevo Parigi così vicino, adesso il pensiero di un’Italia impegnata in un’Olimpiade tra quattro anni con tutti gli impegni che ci sono di mezzo, non riesce ad essere così nitido. Preferisco parlare di Piacenza e affrontare il mio impegno con questa maglia”.

    Una sfida nuova, molto sentita e molto annunciata.

    “Quello a cui più tenevo era che si ricreasse rapidamente il clima magnifico che ho respirato in squadra negli ultimi anni a Monza. Credo che mi abbiano e ci abbiano aiutato molto. Ho ritrovato due amici come Scanferla e Romanò, persone con cui esiste un bellissimo rapporto fuori dal campo e con cui le nostre compagne si trovano molto bene. I rapporti umani li vivo sulla mia pelle ed è un aspetto a cui tengo parecchio”.

    Si crea una famiglia, lei è un po’ questo, ossia un aggregatore.

    “Cerchiamo di fare delle cene e dei momenti di convivialità perché penso che facciano bene a tutti. Lo stare insieme crea gruppo, anche in nazionale passiamo tanto tempo assieme e provare a costruire dei rapporti di fiducia, stima e affetto aiutano a rendere il nostro lavoro più piacevole, soprattutto perché quando in squadra hai bisogno di condividere dei momenti positivi o negativi, tutto risulta più semplice e risolvibile”.

    foto Lega Volley

    Tutti dicono che lei sia andato a Piacenza come prima cosa per vincere.

    “La stupirò. Non abbiamo obiettivi, nel senso che non ragioniamo nel lungo termine, ma nel brevissimo. Lavoriamo nel quotidiano e lavoriamo per la singola partita, per l’immediato presente, cercando di affinare e migliorarci con il tempo”.

    Il secondo motivo si chiama Simon.

    “Non dico che sono venuto qui per lui, ma dico che allenarmi con lui è qualcosa che ho desiderato per molto tempo. È un giocatore incredibile, io gli ripeto ogni giorno che sembra fatto di un materiale diverso rispetto a noi. Fa un altro ruolo ed è di un altro pianeta. Giocandoci insieme ne sono sempre più convinto. Mantiene un livello di predominanza incredibile e su di me è una leva fortissima, perché sono continuamente spronato dal suo gioco. In allenamento ho chiesto espressamente di poter fare gli esercizi contro di lui perché è un modo per fare di più e arrivare a lavorare come lui. Ma in questo, le dico, sono stato molto fortunato, perché gli anni di Perugia li ho fatti con Podrascanin, che considero un altro mostro sacro. Qualitativamente parlando è altissimo in molti fondamentali”.

    foto Gas Sales Bluenergy Piacenza

    Si sente nel posto giusto, attualmente.

    “Assolutamente sì. Piacenza l’ho scelta con tanta consapevolezza di ciò che avrei potuto pretendere da questa società e da me stesso. Sono molto felice della scelta fatta”.

    Quest’estate lascia Monza. Si è capito che sarebbe stata dura chiudere un capitolo così importante.

    “Le racconto una cosa per farle capire il sentimento che provo per Monza. In gara due della finale playoff per me si è trattato di una settimana difficilissima, vissuta pensando che quella avrebbe potuto essere l’ultima volta che avrei giocato con quella maglia in quel palazzetto. Non è stato semplice. Ho lasciato persone che sento tutti i giorni, amici come Di Martino e Gaggini con cui mi distraggo sulle cose più futili e a cui voglio un gran bene, a Beretta e Cachopa che dal punto di vista professionale mi sono stati molto vicini e mi hanno aiutato tanto”.

    foto Vero Volley

    Voglio essere provocatorio: lei è il Beretta della nazionale?

    “Thomas è un leader in grado di lavorare sullo spogliatoio e spendersi come ho visto fare da pochi altri. Per me è un grande complimento se qualcuno dovesse riconoscermi queste doti”.

    Tornarci è stato difficile?

    “È stato speciale. Ho trascorso più di un’ora dopo la partita a parlare con tutte le persone che sono venute a salutarmi. Significa che qualcosa di buono devo averla fatta”.

    Lei non si rende conto di essere speciale per questo mondo, vero? Sui social si vedono centinaia di monzesi guardarla con gli occhi di chi ha perso qualcosa di importante.

    “Non mi rendo conto che la gente mi considera questo. Mi fa sicuramente piacere fare le foto e fermarmi a parlare con tutte quelle persone. Mi emoziona molto sentire la gratitudine che i ragazzi e le ragazze del nostro movimento provano e mi comunicano”.

    A Piacenza pare si sia riacceso l’entusiasmo.

    “La società si è molto spesa e arriva da un anno in cui l’obiettivo era ottenere qualcosa di più. Io sono felice del fatto che la gente dal primo giorno sia venuta a vedere gli allenamenti e alla fine ci abbia detto che sono felici di vederci così. C’è una bella atmosfera, un bel clima. Lo devo ammettere”.

    foto Instagram Gianluca Galassi

    2026. Lei e Laura Fanali vi sposerete. In questi anni ho scritto molto di lei e del suo essere circondato da tantissimo amore. Quanto le è servito per diventare questo Gianluca Galassi?

    “Moltissimo. Lei ha giocato per tanti anni e ha capito come starmi al fianco, permettendomi di dare il mio meglio. È fondamentale ogni giorno. Qui a Piacenza siamo io, lei e Rey, che è come se fosse un figlio. Sono molto fortunato ad avere tutto questo”.

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    Louati ricomincia da Milano: “L’affiatamento che si è creato mi ricorda quello della nazionale”

    L’Italia è il Paese che amo, disse nel primo discorso del 1994 il politico più influente della storia della Seconda Repubblica. Se dovessi fare una campagna elettorale nel mondo della pallavolo, oserei dire che Yacine Louati è invece il pallavolista francese e la Francia che amo. 

    La piacevolezza, il candore, la meraviglia che si prova infatti di fronte a un plurimedagliato (d’oro, n.d.r.) che vive la pallavolo come Yacine, ossia con emozione, sensibilità, responsabilità e impegno civile, è sorprendente. Louati, dal canto suo, si è innamorato di noi, gente fintamente non alleata, pallavolisticamente parlando, dei cugini francesi, da cui abbiamo attinto alcuni dei giocatori più talentuosi degli ultimi anni e li abbiamo cresciuti con lo stesso amore (leggi Earvin Ngapeth ad esempio) che abbiamo riservato al trentaduenne schiacciatore della Allianz Milano.

    Il percorso di Louati parte da Padova, dove ventiseienne trova Travica pronto a dirigere la sua classe in attacco e arriva poi a Monza, dove è Orduna a giostrarlo. Una lunga parentesi, da cui partiamo, gli ha fatto poi capire quanta mancanza provasse per la sua amata Italia:

    “In realtà sono anni, quelli all’estero, che mi sono serviti parecchio per ciò che è stato il mio percorso e la mia formazione. Sono andato a Wegiel per vincere il campionato polacco e quello stesso anno il destino ha voluto che conquistassi il mio primo oro olimpico a Tokyo. Gli anni turchi, nonostante Istanbul all’inizio sia stata una bella boccata di aria fresca perché avevo bisogno di staccare un po’ e di ritrovarmi, sono stati non certo la scelta migliore della mia carriera. A Resovia forse si poteva fare qualcosa di più, ma ho spinto tanto per poter tornare in Italia e ricominciare proprio da Milano”.

    foto Instagram @lauraheyrman

    Ci è mancato Louati. Noi le siamo mancati?

    “(ride n.d.r.) Assolutamente sì. Adesso vivo in Bicocca con Laura (Heyrman n.d.r) che gioca invece a Monza e a Milano ci troviamo molto bene”.

    Ho visto nelle prime partite un Louati forse galvanizzato da quello che ha vinto a Parigi.

    “Mi ha visto felice perché il gruppo mi piace molto. Viviamo molto bene la settimana e l’atmosfera e l’affiatamento che si è creato mi ricorda molto quello della nazionale. Faremo molte cose belle ne sono certo. Se poi mi chiede ciò che spero, dico che vogliamo fare bene la Champions, oltre a trovare un nostro ritmo in campionato. Sono obiettivi alti, lo sappiamo, e cerchiamo di impegnarci al massimo tutti quanti. Poi non dimentichiamo che in squadra abbiamo uno come Matej Kaziyski, che a 40 anni ci insegna ancora la pallavolo”.

    foto Lega Volley

    Ripeto, si nota l’entusiasmo che proviene da un’estate fantastica. Parigi cosa è stato?

    “Le due settimane più belle del 2024, sia per la pallavolo che per aver affrontato un torneo come quello olimpico nel mio Paese. È stato un viaggio bellissimo, culminato con una medaglia così importante vinta assieme alle persone che considero i miei fratelli. Un gruppo fantastico, che si meritava il bis dopo Tokyo 2021 e una Francia che si è unita attorno a noi”.

    Parliamo di due compagni di avventura. Un mese fa, proprio ai nostri microfoni, Brizard ha parlato del sentimento di fratellanza che vi lega.

    “Ringrazio la vita che mi ha donato un amico come Antoine. È una persona saggia, serena ed è un onore poter dire di essergli amico. Ci siamo conosciuti grazie alla pallavolo nel 2014 ed è un giocatore che è stato in grado di fare un percorso eccezionale. Poi se posso aggiungere sono anche zio dei suoi gatti!”

    foto Paris 2024

    Cosa prova quando trova Antoine dall’altra parte del campo?

    “Ne parlavo con Babar (Chinenyeze n.d.r.) quando abbiamo sfidato la Lube poche settimane fa. È particolare restare a guardarlo e vedere quanto è incredibile quando fa certe magie in campo e pensare che quelle stesse cose le ha fatto quando entrambi indossavamo la stessa maglia. Ci sono sguardi, complici, penso che ognuno di noi viva questa sensazione perché ci sono mesi in cui stiamo invece assieme per questo sport 24 ore al giorno”.

    Le manca giocare nel campionato italiano contro Earvin?

    “Molto. Earvin ha scritto pagine importantissime della nostra storia della pallavolo. Ha innovato, è stato un grande pioniere. Lui sa quanto lo ammiro. Vorrei rivederlo in Italia, certo”.

    Il suo rapporto con la Francia invece? Sogna di tornarci?

    “Certamente dopo la fine della carriera ci tornerò. Mi piacerebbe un luogo tranquillo, nel Nord o nel Sud. Mio fratello vive a Parigi e al di là della bellezza di vedere la città sotto l’Olimpiade, io cerco un posto più sereno e meno caotico”.

    foto Instagram @yacinelouati

    Suo fratello è un noto musicista. Si dice che anche lei sia in fondo un artista.

    “Ma solo perché ho studiato tromba e solfeggio per 14 anni. Ho suonato anche il pianoforte, ma a Tourcoing ho poi dovuto scegliere tra la musica e la pallavolo. Però è vero, la tromba la porto sempre qui con me e da circa cinque anni ho ripreso a suonarla”.

    Louati non è uno che però pubblicizza queste sue seconde vite sui social. Timidezza?

    “Ho bisogno della mia discrezione. Non ho il culto dell’esibirmi di fronte a un pubblico”.

    Diciamo che dopo l’Olimpiade in Francia avrà acquisito una bella popolarità.

    “Non pensi chissà quanto. Sono però felice che la pallavolo nel mio paese sia cresciuta tanto grazie al lavoro e ai successi di questa nazionale”.

    Popolarità in Italia fa rima con televisione. Ha visto le compagne di Laura a Ballando con le Stelle?

    “Sì, so che si sono divertite molto”.

    Dicono che lei sia bravissimo a ballare. Se chiamato, si cimenterebbe in un programma così in Francia?

    “Ma non è vero che sono bravo a ballare. Però sì, mi divertirei, anche se in Francia gli sportivi che fanno trasmissioni di questo tipo sono molto pochi. Però perché no. Ovviamente più avanti, ora devo mettere la testa nel progetto Allianz”.

    Foto Lega Pallavolo Serie A

    A Los Angeles 2028 troverò Louati.

    “Sarebbe bellissimo, fisicamente non sarebbe un problema. Ma non voglio ancora pensarci, è prematuro. Mi godo la medaglia conquistata due mesi fa”.

    Di Roberto Zucca LEGGI TUTTO