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    F1, Motori Ferrari clienti: una sola vittoria in 70 anni. Ora serve il salto di qualità!

    Le statistiche e la storia della Formula 1 sorridono alla Ferrari. La Casa di Maranello può esibire un palmares a dir poco ricco e ancora ineguagliato: record di titoli Costruttori (16), di titoli Piloti (15), di vittorie (238), di pole-position (228), solo per ricordare i principali.
    Un dato, tuttavia, colpisce all’occhio: i pochi risultati ottenuti attraverso la vendita dei propri motori ad altre scuderie. I motori Ferrari hanno colto, dal 1950 al GP di Turchia 2020, ben 239 vittorie. Solo una, tuttavia, è stata messa a segno da una monoposto “non Ferrari”. A siglare questa impresa è la Toro Rosso STR3, vincitrice con Sebastian Vettel del GP d’Italia 2008.
    Nel corso di tanti anni di attività, i motori Ferrari hanno azionato — oltre alle monoposto realizzate a Maranello — altre 15 scuderie.
    Le prime monoposto “non Ferrari” motorizzate Ferrari apparse in F1 sono le inglesi Cooper. In occasione del GP degli USA 1960, Pete Lovely è al volante di una Cooper T51 (team Fred Armbruster) spinta dal 4 cilindri in linea Ferrari 107. Nel 1966, Chris Lawrence partecipa ai GP di Gran Bretagna e Germania al volante di una Cooper T73 (scuderia JA Pearce Engineering) azionata dal V12 Ferrari 168/62.
    Nel 1991, il Minardi F1 Team adotta i V12 Ferrari. La Minardi M191 si rivela monoposto più che sufficientemente competitiva: Pierluigi Martini termina al 4° posto i GP di San Marino e Portogallo. La fornitura dei motori Ferrari alla Minardi si esaurisce già a fine 1991.
    Nel 1992, un altro costruttore italiano si rivolge a Maranello. È la Dallara, le cui monoposto sono gestite in esclusiva dalla BMS Scuderia Italia. La Dallara 192 si dimostra vettura sincera, soprattutto in gara, piazzandosi in molteplici occasioni nei primi 10 classificati. I punti iridati, tuttavia, arrivano in soli due GP: Martini chiude al 6° posto i GP di Spagna e San Marino. Il motore impiegato è il V12 Ferrari 037.
    A fine 1992, la Dallara abbandona la F1. La BMS Scuderia Italia, nel 1993, gestisce in esclusiva le Lola T93/30, affidate a Michele Alboreto e Luca Badoer. Il motore è il Ferrari 040, il V12 di 65° (3500cc, aspirato) impiegato, nel 1992, a bordo delle Ferrari F92A e F92AT. La stagione, per le Lola, è un disastro: la zona punti è “accarezzata” solo a Imola, corsa che Badoer termina al 7° posto, benché attardato di 3 giri.
    Nel 1997, inizia il sodalizio con Sauber. La Sauber C16, dunque, è la prima monoposto del costruttore svizzero ad essere equipaggiata con i plurifrazionati di Maranello. Dal 1997 al 2005, le Sauber sono azionate dai V10 Ferrari (3000cc aspirati), ribattezzati Petronas nelle versioni SPE-01, SPE-01D, SPE-03A, SPE-04A, 01A, 02A, 03A, 04A e 05A. In questo arco temporale, le Sauber-Ferrari ottengono 4 podi: Ungheria 1997 (Johnny Herbert, Sauber C16, 3° posto), Belgio 1998 (Jean Alesi, Sauber C17, 3° posto), Brasile 2001 (Nick Heidfeld, Sauber C20, 3° posto) e USA 2003 (Heinz-Harald Frentzen, Sauber C22, 3° posto).
    Sauber e Ferrari si riabbracciano nel 2010, all’indomani dell’interregno BMW-Sauber. In quel 2010, strano a dirsi, la scuderia elvetica reca ancora il nome di BMW Sauber F1 Team, sebbene la C29 sia spinta dal V8 Ferrari 056. Dal 2010, le monoposto realizzate dalla Sauber equipaggiano motori Ferrari: dal 2010 al 2013 V8 aspirati di 2400cc, dal 2014 ad oggi (compresa la recente e non esaltante era Alfa Romeo Racing, team nato nel 2019) “power unit” V6 di 1600cc Turbo-ibridi. Le Sauber-Ferrari ottengono altri 4 podi: Malesia 2012 (Sergio Perez, Sauber C31, 2° posto), Canada 2012 (Sergio Perez, Sauber C31, 3° posto), Italia 2012 (Sergio Perez, Sauber C31, 2° posto), Giappone 2012, Kamui Kobayashi, Sauber C31, 3° posto).
    Alquanto deludente si rivela il matrimonio tra i V8 Ferrari e lo Etihad Aldar Spyker F1 Team: un 2007 portato a termine con le non competitive Spyker F8-VII e F8-VII-B. Dalla Spyker alla Force India. Nel 2008, il neonato team sorto sulle ceneri di Jordan, Midland e Spyker schiera la non competitiva VJM01-Ferrari 056. È questa la sola monoposto anglo-indiana spinta da un propulsore di Maranello.
    Anche la Red Bull — scuderia che ha legato i propri successi iridati ai V8 Renault — adotta, per una sola stagione, i V8 Ferrari. Lo fa nel 2006, secondo anno di attività del team sorto sulle ceneri di Stewart e Jaguar. La vettura è la saltuariamente competitiva RB2. David Coulthard centra il 3° posto in occasione del GP di Monaco.
    Da Red Bull a Toro Rosso il passo è breve. La scuderia italiana nell’orbita Red Bull ha proposto, in più occasioni, vetture azionate da motori Ferrari. Le STR2 (2007), STR2B (2008), STR3 (2008), STR4 (2009), STR5 (2010), STR6 (2011), STR7 (2012), STR8 (2013) e STR11 (2016) vengono azionate da propulsori realizzati a Maranello, dapprima V8 aspirati, quindi V6 Turbo-ibridi.
    Nell’era delle power unit Turbo-ibride anche Marussia e Haas hanno fatto e fanno affidamento su motori realizzati a Maranello. La Marussia lo fa nel biennio 2014-2015 (modelli MR03 e MR03B), la Haas impiega ininterrottamente PU Ferrari a partire dal 2016, anno del debutto della scuderia americana in F1 (i modelli impiegati sono le VF-16, VF-17, VF-18, VF-19 e VF-20, tutte vetture realizzate dalla Dallara).
    I motori clienti Ferrari, dunque, hanno spinto e continuano ad equipaggiare monoposto generalmente non di prima fascia o team ancora in fase di crescita (vedi il caso della Red Bull). Team e costruttori volenterosi e preparati, spesso icone della F1 e del motorsport più in generale (Minardi, Dallara, Lola, Sauber su tutti), ma sovente non in grado di ambire (almeno con continuità) al vertice delle classifiche.
    È, questo, un tasto dolente di casa Ferrari: il non aver mai creduto realmente nei team clienti. La storia ci racconta di motori Renault, Mercedes e Honda (solo per citare i motoristi attualmente impegnati in F1) vincenti e altamente competitivi anche grazie a vetture “non Renault”, “non Mercedes” e “non Honda”.
    Basti pensare, guardando al presente, alla Racing Point (prossima Aston Martin), sempre più competitiva anche grazie ai motori Mercedes. O alle PU Renault, in questo 2020 pimpanti a bordo delle McLaren MCL35 e Renault R.S.20. McLaren che, dal 2021, arricchirà la batteria di motori Mercedes: probabile assistere, l’anno prossimo, ad una ulteriore crescita tecnica del team di Woking.
    Solo negli ultimi anni, Ferrari ha iniziato ad investire in modo più mirato nei team clienti attraverso una più estesa fornitura dei propri motori. È necessario, tuttavia, compiere un ulteriore salto di qualità. Come? Cercando di fornire team già di prima fascia.
    Red Bull e Alpha Tauri, in tal senso, costituiscono un ghiotto boccone. Orfane dei motori Honda, le due importanti scuderie (come abbiamo visto, già partner di Ferrari nel recente passato) sono alla ricerca di un fornitore di motori. Renault, Mercedes, Ferrari: in tre a sfidarsi su questo fronte.
    La scelta, probabilmente, è già stata fatta. Una Red Bull-Ferrari rappresenterebbe, dopo la opaca esperienza del 2006, un ottimo colpo da parte del Cavallino: sì fornire un diretto concorrente al titolo, ma fornire un team, appunto, che ambisce all’iride. E vincere, anche solo fornendo i motori, è sempre cosa buona e giusta. L’immagine della Ferrari ne gioverebbe.
    Haas e Sauber/Alfa Romeo Racing, salvo clamorosi guizzi di futura competitività, non bastano. Alla Ferrari serve un secondo asso da giocare, un secondo team vincente mediante il quale poter sfoggiare la propria ricerca motoristica.
    Red Bull e Alpha Tauri motorizzate Ferrari: un matrimonio che s’ha da farsi. LEGGI TUTTO

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    Perché alla F1 servono i team privati: viaggio tra passato, presente e futuro

    Noi di CircusF1 abbiamo più volte toccato questo argomento. Un tema più che mai attuale: la presenza dei team privati in Formula 1.

    In questo articolo vogliamo toccare alcuni punti, tra storia ed attualità, e rilanciare un’idea di F1. E partiamo proprio dalle parole di Stefano Domenicali, il quale — lasciato l’incarico di Presidente ed Amministratore Delegato della Lamborghini — andrà a sostituire, dal 2021, Chase Carey nel ruolo di Presidente ed Amministratore Delegato della Formula 1.
    L’ex Team Principal Ferrari, tuttavia, ha debuttato nel peggiore dei modi. Le sue dichiarazioni di intenti, infatti, hanno lasciato perplessi i puristi della F1. Se da un lato è bene dare ai piloti piste migliori (e per migliori intendiamo più “da pelo” e vecchio stile), dall’altro occorre che la F1 contempli regolamenti tecnici che consentano una marcata libertà progettuale anziché vetture più simili tra loro.
    Un altro punto che la F1 dell’immediato futuro dovrebbe affrontare è il ritorno alle scuderie private. Per scuderie private intendiamo autentici team clienti i quali, eventualmente, possono provvedere ad elaborare ulteriormente la propria vettura.
    I massimi campionati a due e quattro ruote, laddove contemplino la presenza di scuderie ufficiali, consentono ancora oggi la presenza di scuderie clienti: dal World Endurance Championship alla MotoGP, passando per il World Superbike. Ed è proprio la MotoGP a costituire un esempio lampante circa la vitale importanza ricoperta dai team privati.
    In questo 2020, infatti, i team clienti hanno particolarmente brillato: Franco Morbidelli e Fabio Quartararo hanno portato al successo la Yamaha YZR-M1 del Petronas Yamaha SRT, Jack Miller e Francesco Bagnaia (Ducati Pramac Racing) e Johann Zarco (Ducati Esponsorama Racing) hanno sovente dato la paga alle Ducati Desmosedici ufficiali di Andrea Dovizioso e Danilo Petrucci, Takaaki Nakagami (Honda RC213V LCR Honda Idemitsu) ha sbaragliato le “ufficialissime” (e raramente competitive grazie al solo Alex Marquez) Honda Repsol di Alex Marquez e Stefan Bradl.
    La stessa KTM RC16 gestita dal Red Bull KTM Tech 3 è riuscita a vincere e a ben figurare grazie a Miguel Oliveira.
    Anche oggi, dunque, i team clienti possono recitare un ruolo da protagonista nella classe regina del Motomondiale. Anzi, è proprio la presenza dei team privati a tenere in vita campionati altrimenti circoscritti a poche unità ufficiali. Perché tutto ciò non può nuovamente verificarsi anche in Formula 1?
    È bene, pertanto, che FIA e Formula 1 aprano a veri team clienti, i quali possano acquistare telai e motori dai costruttori, grandi o piccoli che siano. Va da sé che il numero dei partecipanti al Mondiale di F1 debba essere allargato e liberalizzato.
    Possiamo solo immaginare: Mercedes, Renault e Williams, Aston Martin, Red Bull private, magari gestite da team di Formula 2 o da nuove entità. In tal senso, i più blasonati team di F2 potrebbero impegnarsi anche in F1. Si tratta di  autentici colossi quali DAMS, Prema Racing, Carlin, Hightech, ART Grand Prix, Sauber Junior Team by Charouz, UNI Virtuosi Racing, Trident, Campos Racing, team impegnati su più fronti e già legati alle scuderie presenti in F1.
    Tutto ciò, in passato, era realtà anche in F1. Non solo semplice presenza: i team privati vincevano, davano filo da torcere ai team ufficiali, facevano debuttare piloti divenuti, poi, campioni del mondo o mettevano a disposizione le proprie vetture a campioni già fatti.
    Tra i clienti più illustri vi è, senza dubbio, il team RRC Walker Racing Team. La compagine, fondata nel 1953 da Rob Walker, scrive memorabili pagine di motorsport. È, di fatto, la prima scuderia privata a vincere in F1. Tra gli Anni ’50 e ’60, la RRC Walker Racing Team è costantemente in lotta con le squadre ufficiali.
    Nel 1958, grazie a Stirling Moss e Maurice Trintignant, si aggiudica rispettivamente i GP di Argentina e Monaco. Le auto sono la Cooper T43-Coventry Climax gommata Continental e la Cooper T45-Coventry Climax gommata Dunlop. Nel 1959, è ancora Moss a regalare alla scuderia del Surrey due splendide vittorie: il campione senza corona trionfa, al volante della Cooper T51-Coventry Climax, in Portogallo (circuito del Monsanto) e in Italia (Monza).
    Dalle Cooper alle Lotus. Il RRC Walker Racing Team continua, tuttavia, a incantare. Moss, al volante della Lotus 18-Coventry Climax, fa suo il GP di Monaco del 1960. Moss cala il bis in quel di Riverside, in occasione del GP degli USA: vince e sbaraglia la concorrenza delle tre Lotus 18 ufficiali del Team Lotus, condotte da Jim Clark, John Surtees e Innes Ireland (2° al traguardo).
    Monaco 1961. Il GP inaugurale della nuova stagione non cambia le carte in tavola: la Lotus 18-Coventry Climax del RRC Walker Racing Team condotta da Stirling Moss (ora azionata dal 4 cilindri aspirato di 1500cc) trionfa sulle strade del Principato. In quel GP, presenti altre Lotus 18: le due ufficiali condotte da Clark e Ireland (non partito), le due del UDT Laystall Racing Team affidate a Cliff Allison e Henry Taylor (non qualificato) e quella della Scuderia Colonia condotta da Michael May.
    Il Nürburgring vede trionfare Moss e la sua fida Lotus 18/21-Climax del RRC Walker Racing Team. Siamo ancora nel 1961.
    Per tornare a vedere un team privato vincere un GP di F1 occorre attendere il 1968. Zandvoort, GP dei Paesi Bassi. Il Matra International di Ken Tyrrell sbaraglia la concorrenza grazie a Jackie Stewart e la Matra MS10-Cosworth DFV. Il team ufficiale, il Matra Sports, non tiene il passo della scuderia cliente inglese: Jean-Pierre Beltoise, al volante della MS11 spinta dal V12 Matra, giunge 2° alle spalle dello scozzese.
    Nel 1968, Stewart porterà al 1° posto la Matra MS10-Cosworth DFV in altre due occasioni: al Nürburgring e a Watkins Glen. In entrambi i GP, le Matra MS11 ufficiali condotte da Beltoise e Henry Pescarolo ne usciranno con le ossa rotta.
    Nel medesimo anno, inoltre, la scuderia Rob Walker/Jack Durlacher Racing Team torna al successo. Lo fa in occasione del GP di Gran Bretagna (Brands Hatch) grazie a Jo Siffert, vincitore al volante della privata Lotus 49B-Cosworth DFV. Una vittoria storica, canto del cigno di un team che, a fine 1970, chiude i battenti.
    Nel 1969, la compagine di Ken Tyrrell è campione del mondo. Quelle gestite dal team inglese sono le uniche Matra presenti, data la momentanea “pausa di riflessione” del team ufficiale francese. Quest’ultimo, infatti, rientrerà in F1 nel 1970 (Equipe Matra ELF). Dopo un 1969 trionfante ed uno Stewart straripante (le vetture sono le MS10, MS80, MS84), Matra e Ken Tyrrell si separano. Tyrrell vuole continuare ad impiegare il V8 Cosworth, Matra (nell’orbita Chrysler) cerca di imporre al team britannico i propri V12 in luogo dei V8 inglesi, di proprietà Ford. Si giunge al divorzio.
    Nel 1970, Ken Tyrrell passa ai telai March, quindi diventa egli stesso telaista; l’Equipe Matra ELF/Equipe Matra Sports, invece, impiegherà i modelli MS120, MS120B, MS120C e MS120C sino al 1972. Il risultato, tuttavia, non cambia. Il Tyrrell Racing Organisation piazza la sua March 701-Cosworth DFV al 1° posto in occasione del GP di Spagna (Jarama). In quella occasione, sono ben quattro le March 701 al via: le due del Tyrrell Racing Organisation affidate a Stewart e Johnny Servoz-Gavin, le due ufficiali del March Engineering affidate a Chris Amon e Jo Siffert, infine quella privata STP Corporation (scuderia fondata dal CEO di STP, Andy Granatelli) condotta da Mario Andretti.
    Le scuderie private resistono sino ai primi Anni ’80. La F1 “ecclestoniana” sancisce la morte delle scuderie private comunemente intese. Team privati — ossia non diretta emanazione di costruttori — hanno potuto continuare ad operare in F1, ma gestendo in esclusiva le monoposto fornitegli da un costruttore. È il caso, ad esempio, della BMS Scuderia Italia, team italiano che, a cavallo tra gli Anni ’80 e la prima metà degli Anni ’90, ha dapprima gestito le Dallara (1988-1992), quindi la Lola T93/30-Ferrari (1993), infine, nel biennio 1994-1995, le Minardi M93B, M194 e M195 sotto le insegne del Minardi Scuderia Italia.
    Altro esempio illustre è il Team Haas, scuderia che nel biennio 1985-1986 gestisce le Lola THL1-Hart e THL2-Cosworth V6 Turbo. 
    Tanti, inoltre, i campioni del Mondo di F1 che hanno militato in scuderie private, anche a carriera inoltrata e con già in tasca titoli iridati.
    Juan Manuel Fangio, dopo aver conquistato i suoi titoli iridati nelle più blasonate scuderie ufficiali dell’epoca, termina l’avventura in F1 con la Scuderia Sudamericana (1958, Maserati 250F) e, in occasione del suo ultimo GP (Francia 1958), al volante di una 250F iscritta personalmente.
    Mike Hawthorn debutta in F1, nel 1952, al volante della Cooper T20-Bristol del LD Hawthorn e AHM Bryde.
    Jack Brabham, nel 1956, iscrive a proprio nome una Maserati 250F al GP di Gran Bretagna; l’anno seguente (quando inizia a militare nel team ufficiale Cooper Car Company), partecipa al GP di Gran Bretagna al volante della Cooper T43-Climax del RRC Walker Racing Team.
    Tre i GP disputati nelle fila di team privati da Phil Hill: Francia 1958 (Maserati 250F, scuderia Jo Bonnier), USA 1960 (Cooper T51-Climax, Yeoman Credit Racing Team), Francia 1963 (Lotus 24-BRM, Scuderia Filipinetti).
    Da Phil a Graham. Un altro Hill campione del mondo con un trascorso in scuderie private. Nel 1970, “baffo” milita nel rinomato Rob Walker Racing Team/Brooke Bond Oxo Racing, portando in gara le Lotus 49C e 72C motorizzate Cosworth DFV. Anche lo stesso reparto corse fondato da Graham Hill — l’Embassy Racing with Graham Hill — è un team privato a tutti gli effetti: nel 1973 impiega la Shadow DN1, quindi il passaggio alla Lola T370 sino al 1975.
    John Surtees è un altro “world champion” impegnato in team privati. Nel biennio 1961-1962, milita nelle fila dello Yeoman Credit Racing Team (sponsor del Reg Parnell Racing), dapprima al volante delle Cooper T53-Climax, quindi delle Lola MK4 e MK4A-Climax.
    Anche Jochen Rindt può esibire una partecipazione ad un GP iridato al volante di una monoposto di un team privato: lo fa in occasione del GP d’Austria 1964. Il team è il ricorrente RRC Walker Racing Team, la vettura una Brabham BT11-BRM.
    James Hunt inizia la propria avventura in F1 in seno ad uno dei più stravaganti team privati di sempre, l’Hesketh Racing. Prima di trasformarsi in telaista, infatti, il team fondato da Lord Alexander Hesketh impiega i diffusi e sinceri telai March 731 (1973-inizio 1974).
    Nel 1975 è Alan Jones a debuttare in F1 grazie all’impegno di team privati. Il merito è dell’ex pilota Harry Stiller, il quale mette a disposizione una Hesketh 308-Cosworth per il futuro campione del Mondo australiano (Custom Made Harry Stiller Racing). Iconica la vettura inglese nella livrea blu notte con strisce bianche e rossa.
    Nelson Piquet si aggiunge a questa speciale lista. Nel 1978, il promettente brasiliano debutta in F1: oltre ai team ufficiali Ensign e Brabham, Piquet partecipa a tre GP al volante della privatissima McLaren M23 messagli a disposizione del team BS Fabrications.
    La Formula 1 va arricchita, non depauperata. Un arricchimento tecnico e sportivo che passa anche attraverso una rinnovata apertura agli autentici team privati. LEGGI TUTTO

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    1950-2020: le auto più vincenti della storia della Formula 1

    XVI Bahrain Grand Prix, I Sakhir Grand Prix, XII Abu Dhabi Grand Prix: sono questi gli ultimi tre appuntamenti che decreteranno la fine di questa strana ma interessante stagione di Formula 1. Un campionato che, come accade ininterrottamente dal 2014, ha visto trionfare la Mercedes.
    Lewis Hamilton centra il suo settimo sigillo, eguagliando, così, Michael Schumacher; parimenti, la Mercedes conquista il suo settimo titolo Costruttori consecutivo.
    Sinora, la Mercedes F1 W11 — monoposto azionata dalla power unit Mercedes M11 EQ Performance — ha ottenuto 12 vittorie (10 Hamilton, 2 Bottas). Un bottino a dir poco eccelso, considerati i “soli” 17 Gran Premi in calendario. Un dominio che, nelle ultime 3 gare, può essere ulteriormente amplificato: la F1 W11, infatti, può facilmente raggiungere quota 15 vittorie.
    Quali sono, dunque, i modelli di vetture Formula 1 più vincenti nella storia?
    Al primo posto, con 19 vittorie complessive, troviamo ancora una Mercedes. L’anno è il 2016, la vettura in questione è la Mercedes F1 W07. La vettura, nata sotto la direzione tecnica di Paddy Lowe ed azionata dalla power unit PU106C, consente a Nico Rosberg e Lewis Hamilton di dominare la stagione. Rosberg — campione del Mondo — ottiene 9 vittorie, Hamilton 10. Si tratta dell’ultima monoposto iridata prima dell’introduzione dei nuovi regolamenti tecnici entrati in vigore nel 2017.
    Una vettura pressoché perfetta, priva di punti deboli, la quale consente ai due alfieri del Mercedes AMG Petronas F1 Team di marcare punti in ogni gara, salvo tre battute d’arresto: il doppio zero a seguito della collisione al via tra Rosberg ed Hamilton (GP di Spagna) e lo zero marcato dall’inglese in Malesia (rottura motore).
    Al secondo posto, con 16 vittorie, troviamo tre monoposto che hanno scritto la storia della F1: la McLaren M23, la Mercedes F1 W05 e la Mercedes F1 W06.
    La McLaren M23 costituisce un lampante esempio di monoposto F1 longeva. Facilmente adattabile ai vari — ma sufficientemente stabili e, soprattutto, liberi e snelli — regolamenti tecnici, la M23 debutta in occasione del GP del Sudafrica del 1973. Disegnata da Gordon Coppuck, fa il proprio esordio in quel di Kyalami nelle fila dello Yardley Team McLaren affidata a Denny Hulme: pole-position e 5° posto in gara. Le prime vittorie arrivano già nel 1973: Hulme trionfa ad Anderstorp, Peter Revson a Silverstone e Mosport Park.
    Nel 1974, grazie alla M23 spinta dall’altrettanto celeberrimo Cosworth DFV (V8 di 90°, 3000cc, aspirato), la McLaren conquista i suoi primi titoli Piloti e Costruttori. Emerson Fittipaldi — vittorioso in tre GP — si laurea campione del Mondo. Il bis arriva nel 1976. La M23, aggiornata e profondamente modificata in alcune aree, consente a James Hunt (6 vittorie) di laurearsi campione del Mondo.
    La sedicesima ed ultima vittoria della M23 si concretizza in occasione del GP USA Est 1976: James Hunt trionfa a Watkins Glen. Con l’introduzione dei nuovi modelli McLaren tra il 1977 ed il 1978, la M23 viene destinata soprattutto ai team privati, quali il Chesterfield Racing, l’Iberia Airlines e il Centro Aseguredor F1 (team facenti capo a Emilio De Villota), il Liggett Group/B&S Fabrications (poi BS Fabrications), il Melchester Racing. L’ultima apparizione della M23 in F1 è datata 10 settembre 1978: a Monza, è Nelson Piquet a portare in gara la M23-Cosworth DFV iscritta dal BS Fabrications.
    Appaiate a 16 vittorie vi sono anche le Mercedes F1 W05 e F1 W06, rispettivamente risalenti al 2014 e 2015. Sin dagli albori della nuova era delle motorizzazioni V6 di 1600cc Turbo-ibride, la Mercedes ha imposto il proprio dominio tecnico. La F1 W05, spinta dalla power unit PU106A, si dimostra vettura pressoché impareggiabile: Hamilton vince 11 GP, Rosberg 5. Hamilton e Rosberg si rivelano straripanti anche nel 2015, al volante della rinnovata F1 W06-Mercedes PU106B. L’inglese trionfa in 10 GP, il tedesco in 6, a testimonianza di una supremazia tecnica merito di una monoposto eccelsa ed equilibrata sotto ogni profilo.
    A quota 15 vittorie troviamo altre iconiche vetture: la McLaren Mp4/4, la Ferrari F2004 e la Mercedes F1 W10. La McLaren Mp4/4 è, senza dubbio, tra le monoposto di F1 più significative di tutti i tempi. Bellissima, tecnicamente perfetta. Progettata da Gordon Murray e Steve Nichols, è azionata dall’Honda RA168E (V6 di 80°, Turbo, 1500cc). Ayrton Senna ed Alain Prost dominano in lungo e in largo la stagione 1988: su 16 GP in calendario, 15 sono vinti dalla Mp4/4-Honda (7 Prost, 8 Senna).
    La Ferrari F2004 è artefice di una annata storica: la vettura di Maranello, tra le massime espressioni dell’era Ross Brawn e Rory Byrne, domina la stagione: Michael Schumacher si aggiudica 13 GP su 18 in calendario, Rubens Barrichello trionfa a Monza e in Cina. Siamo all’apice dell’era dei V10 aspirati di 3000cc ed il Ferrari 053 rappresenta uno dei migliori compromessi tra potenza ed affidabilità.
    15 trionfi anche per la Mercedes F1 W10. È cronaca di questi anni, di questi mesi. Si tratta, infatti, della monoposto campione del Mondo 2019. 11 vittorie Hamilton, 4 Bottas e la doppietta (l’ennesima) è servita.
    A quota 14 vittorie troviamo altre tre vetture altamente rappresentative: la Ferrari 500, la Lotus 25 e la Ferrari F2002.
    Con la Ferrari 500 si ritorna al biennio 1952-1953, quando il Mondiale Piloti viene assegnato con le vetture di Formula 2. Alberto Ascari firma una storica doppietta iridata, dimostrandosi il miglior interprete di questa splendida vettura. Il campione italiano, infatti, si aggiudica 11 vittorie al volante della Ferrari 500 tra il GP del Belgio 1952 ed il GP di Svizzera 1953. Piero Taruffi, Mike Hawthorn e Giuseppe Farina sono i nomi (illustri) degli altri autori di vittorie al volante della mitica 500, partorita dal sommo ingegno di Aurelio Lampredi.
    Con la Lotus 25, invece, si torna ai mitici Anni ’60. È in questi anni che nasce ed esplode il mito di Colin Chapman, della sua Lotus e di Jim Clark. La Lotus 25, nella fattispecie, incarna la pura essenza della autentica Formula 1: una vettura tecnicamente all’avanguardia, emulata e ammirata, longeva, sempre competitiva. La Lotus 25 debutta in occasione del GP dei Paesi Bassi del 1962, condotta da Clark. La prima vittoria arriva già sul circuito di Spa-Francorchamps.
    Nel 1962 sarà Graham Hill ad imporsi al volante di un’altra monoposto mitica, la BRM P57. Ma è la Lotus 25, tuttavia, a sbalordire. Nel 1963, Clark monopolizza il campionato: 7 vittorie in 10 gare in calendario! Nelle mani di Jim Clark, La Lotus 25 — azionata dal V8 Coventry-Climax (siamo nell’era dei 1500cc aspirati) — non ha rivali. Sarà, infatti, il pilota scozzese il solo a portare al successo la iconica Lotus 25.
    Nel 1964, la Lotus 25 inizia ad essere affiancata dalla nuova Lotus 33. Il Team Lotus non è la sola scuderia ad usare il modello 25: dopo il Brabham Racing Organisation nel solo GP di Monaco 1963, ecco aggiungersi il Reg Parnell Racing, compagine che impiegherà le Lotus 25 motorizzate BRM P56 (dal 1966, la cilindrata di questi V8 è maggiorata sino a 2000cc, in ogni caso 1000cc in meno rispetto ai “canonici” 3000cc aspirati in vigore a partire dal 1966) sino al GP d’Olanda del 1967. L’ultima vittoria della Lotus 25 risale al GP di Francia 1965: in quell’occasione, sul tracciato di Clermont-Ferrand, è ancora Jim Clark ad imporsi.
    14 trionfi anche per la Ferrari F2002, monoposto che ha segnato un’epoca: quella di Michael Schumacher e di annate letteralmente dominate dal Cavallino. La F2002, tuttavia, debutta (affidata al solo Schumacher) in occasione del GP del Brasile, terzo GP dell’anno. In Australia e Malesia, infatti, la Ferrari schiera ancora la valida e vincente F2001.
    Affidata a Schumacher, la F2002 trionfa in 10 occasioni; Barrichello, dal canto suo, fa suoi 4 GP, tra cui il GP d’Italia a Monza.
    Williams, Red Bull e Renault sono scuderie — ancora attive — che possono vantare un invidiabile curriculum.
    La Williams più vincente è la FW18, a quota 12 vittorie. È il 1996: Adrian Newey e Patrick Head sfoderano la FW18. Azionata dal V10 di 67° Renault RS8 (3000cc aspirato), questa monoposto consente a Damon Hill di vincere il titolo Piloti. Il figlio d’arte inglese si aggiudica 8 Gran Premi, il debuttante Jacques Villeneuve (vicecampione), invece, trionfa in 4 occasioni.
    La Red Bull con più successi all’attivo è la RB9: 13 trionfi per la monoposto curata da Adrian Newey. Siamo nel 2013. Sebastian Vettel, al suo quarto e sinora ultimo titolo iridato, impone un dominio imbarazzante. Vince 13 GP dei 19 in calendario; ben 9 le vittorie consecutive (dal GP del Belgio al GP del Brasile). Ad azionare la vettura, l’ultimo V8 di 90° aspirato di 2400cc iridato: il Renault RS27-2013.
    Renault, infine, piazza due sue auto a quota 8 vittorie: sono la R25 e la R26, rispettivamente risalenti al 2005 e 2006. Stiamo parlando, pertanto, delle monoposto grazie alle quali Fernando Alonso ha conquistato i suoi due titoli Piloti.
    La R25 è azionata dal V10 aspirato Renault RS25, ultimo 10 cilindri iridato di F1 prima dell’era dei V8. Alonso si impone in 7 GP, Giancarlo Fisichella in un solo GP, al debutto in Australia. La R26, invece, inaugura la stagione dei V8 di 90° aspirati di 2400cc, era terminata nel 2013. Nata ancora sotto la direzione tecnica di Robert Bell, la R26 si aggiudica 7 corse con Alonso ed una con Fisichella.
    Dal 2021, si riapre la caccia al record di vittorie detenuto dalla Mercedes F1 W07. E con ben 23 GP in calendario, la Mercedes ed i suoi più accreditati avversari possono cercare di scalfire tale primato.
    a caccia è aperta. LEGGI TUTTO

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    Ferrari F1, la storia si ripete: dai sorrisi alle lotte intestine

    Il piatto langue. Dopo 13 dei 17 Gran Premi in calendario, la Ferrari raccoglie le macerie — tecniche ed umane — di un Mondiale iniziato male e che sta finendo peggio. I risultati non mentono: la Ferrari ha sinora ottenuto 103 punti, occupando la sesta posizione provvisoria in classifica generale. C… L’articolo Ferrari F1, la storia si […] LEGGI TUTTO

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    F1, In ricordo di Elio De Angelis: Imola 1985 e la pazza girandola di emozioni

    Ormai ci siamo.
    Il prossimo 1 novembre andrà in scena il primo (e forse unico) GP dell’Emilia Romagna.
    Era il 23 aprile 2006 quando si disputava l’ultimo GP di San Marino. Da quel memorabile giorno che vedeva trionfare la Ferrari 248 F1 condotta da Michael Schumacher, il tracciato di Imola (Autodromo Enzo e Dino Ferrari) è scomparso dalle scene e dai calendari della Formula 1.
    Imola — sebbene in condizioni anomale ed emergenziali — riabbraccia la Formula 1 in una stagione pesantemente condizionata dalla pandemia del Covid-19. Dal 2006, la F1 stessa è profondamente cambiata: piloti, auto, il tracciato stesso. Ciò che non cambierà, tuttavia, sarà l’adrenalina nel vedere le odierne vetture di F1 destreggiarsi tra i difficili saliscendi del celeberrimo circuito italiano.
    Imola e la F1. Un amore a prima vista. Il tracciato emiliano-romagnolo entra nel calendario iridato solo nel 1980: era il 14 settembre quando si disputava — in luogo del classico appuntamento monzese — il LI Gran Premio d’Italia. Dal 1981 e sino al 2006, Imola accoglierà 26 edizioni del GP di San Marino.
    L’Italia e Imola. Piloti e vetture italiani hanno, in più occasioni, dominato l’ostico, entusiasmante circuito imolese. Ferrari e Williams vantano 8 successi a testa; al contempo, gli unici piloti italiani ad aver trionfato ad Imola sono Elio De Angelis (1985) e Riccardo Patrese (1990).
    Ed è proprio la rocambolesca vittoria conseguita dal pilota romano che vogliamo ricordare e raccontare.
    È il 5 maggio 1985, va in scena il V Gran Premio di San Marino, terzo appuntamento della stagione. All’indomani del GP del Portogallo, la classifica generale Piloti recita: Michele Aboreto 12, Alain Prost e Ayrton Senna 9, Elio De Angelis 7, Patrick Tambay 6.
    De Angelis si presenta a Imola più carico che mai, reduce dal 3° posto in terra brasiliana e dal 4° sotto la pioggia battente dell’Estoril. Il connubio tra la Lotus 97T-Renault e De Angelis funziona. E infatti, anche le qualifiche ufficiali del GP di San Marino vedono le Lotus 97-Renault Turbo di Senna e De Angelis svettare nelle prime posizioni.
    Il brasiliano conquista la pole-position in 1’27”327 (media di 207,7 km/h); al suo fianco — staccata di pochi millesimi — la Williams FW10-Honda di Keke Rosberg (1’27”354, media di 207,7 km/h). De Angelis apre la seconda fila, firmando il 3° tempo in 1’27”852 (media di 206,5 km/h), a precedere la Ferrari 156/85 di Michele Alboreto (1’27”871, media di 206,4 km/h).
    Al via, le Lotus di Senna e De Angelis si issano in testa. Senna comanda, De Angelis — partito con grande slancio — sopravanza la Williams di Rosberg. Trascorsa una decina di passaggi, De Angelis rallenta il proprio ritmo, complice anche una perdita di pressione da uno dei due turbocompressori. Nell’arco di un paio di giri, il romano è sopravanzato tanto da Alboreto quanto dall’arrembante Alain Prost (McLaren Mp4/2B-Porsche). Senna, frattanto, comanda la corsa, ancora tallonato da un pimpante Alboreto e da un attento Prost.
    De Angelis cede il passo anche alla seconda McLaren, quella condotta da Niki Lauda. Trascorsi 23 giri, De Angelis occupa la quinta posizione.
    Il ritiro di Alboreto (alternatore) lascia campo libero a Senna, Prost, Lauda, De Angelis e Stefan Johansson (Ferrari 156/85), autore di una esemplare rimonta dalle retrovie. Ma i colpi di scena non sono finiti…
    Senna e Prost si esibiscono in un duello all’arma bianca, ignari del destino beffardo che li attende. Senna, quindi allunga. Johansson — veloce e regolare — raggiunge la vetta della classifica: quando mancano ormai 4 giri al termine della corsa, Senna precede lo svedese della Ferrari, Prost e De Angelis.
    A tre giri dal termine, l’imponderabile. Senna rallenta: la sua Lotus è rimasta senza benzina. Johansson va in testa. Il boato del pubblico ferrarista è assordante e fragoroso.
    Il sogno di Johansson, tuttavia, dura solo pochi chilometri: anche il bravo pilota del Cavallino rimane a secco di carburante. Il regolamento è spietato: il consumo massimo a gara è, infatti, fissato a 220 litri, soglia entro la quale gli esuberanti motori turbocompressi — se non ottimamente dosati dai piloti nell’arco dell’intero GP — faticano a rientrare.
    Alla bandiera a scacchi, Prost precede De Angelis, Thierry Boutsen (eccellente 3° al volante della Arrows A8-BMW), Patrick Tambay (Renault RE60), Lauda, Nigel Mansell (Williams FW10-Honda) e Johansson, classificato al 7° posto.
    Nel corso delle verifiche post-gara, tuttavia, i commissari riscontrano una irregolarità sulla McLaren del pilota francese. La monoposto motorizzata Porsche, infatti, risulta sottopeso: 536 kg, ossia 4 chili più leggera rispetto al peso minimo regolamentare, pari a 540 kg. Prost è squalificato.
    De Angelis, dunque, si aggiudica il GP di San Marino del 1985. Per il pilota romano si tratta della sua seconda ed ultima vittoria in carriera (la prima, ricordiamo, risale al GP d’Austria 1982, su Lotus 91-Cosworth). Assieme a Prost, è il solo pilota ad aver ultimato i 60 giri di gara previsti: lo fa in 1h 34m 35.955s, alla media di 191,7 km/h.
    All’indomani del successo in quel di Imola, De Angelis balza in testa al campionato. Un campionato che, al termine delle 16 gare in calendario, lo vedrà occupare il 5° posto finale a quota 33 punti. Davanti a sé, Prost (73, 76 senza scarti), Alboreto (53), Rosberg (40), Senna (38).
    Una vittoria sì fortunosa ma che, invero, premia un pilota, un uomo la cui memoria è ancora oggi vivida e indelebile nel cuore e nelle menti degli appassionati.
    Imola è anche tua, Elio. LEGGI TUTTO

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    Lotus 80 e Arrows A2: insuccessi di successo in Formula 1

    1979-2019. E sono già 40. 40 anni ci separano, ormai, da un anno cruciale per la Storia tecnica della Formula 1 e, più in generale, dell’automobilismo sportivo. L’era delle wing-car e delle monoposto di Formula 1 ad effetto suolo è appena iniziata. Tra il 1976 ed il 1977, appaiono le prime vetture di F1 provviste […] LEGGI TUTTO

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    Solo il Team Red Bull salva la stagione 2018 della Renault in F1

    Mercedes, 655 punti. Ferrari, 571 punti. Red Bull, 419 punti. Questo recita la classifica Costruttori 2018. Al di là della differenza di punti intercorsa tra le tre scuderie dominatrici del Mondiale di Formula 1 2018, le “tre sorelle” hanno offerto una battaglia senza esclusione di colpi (anche letterali…). Ed è proprio il team anglo-austriaco ad […] LEGGI TUTTO