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Lotus 80 e Arrows A2: insuccessi di successo in Formula 1


1979-2019. E sono già 40. 40 anni ci separano, ormai, da un anno cruciale per la Storia tecnica della Formula 1 e, più in generale, dell’automobilismo sportivo.

L’era delle wing-car e delle monoposto di Formula 1 ad effetto suolo è appena iniziata. Tra il 1976 ed il 1977, appaiono le prime vetture di F1 provviste di improvvisate, rudimentali e artigianali minigonne applicate alle fiancate laterali, più o meno rigide ma, in ogni caso, fisse. Questi elementi hanno la funzione di sigillare quanto più possibile un fondo vettura ancora non aerodinamicamente sagomato bensì caratterizzato dagli organi meccanici ancora esposti. La pratica di applicare bandelle laterali a sigillare — benché in modo ancora embrionale — il fondo vettura si diffonde a macchia d’olio e, nel 1977, quasi tutti i costruttori presentano vetture munite di siffatte bandelle: Brabham, Hesketh, March, Ligier, Penske, Shadow, solo per citare gli esempi più emblematici.

Nel 1977, la Lotus introduce il modello 78. È grazie a questa splendida monoposto — progettata da Colin Chapman, Martin Ogilvie, Tony Rudd e Peter Wright — che entra compiutamente in gioco, anche in Formula 1, il concetto di “effetto suolo”, sia per quanto concerne il disegno delle fiancate, sia per quanto riguarda il sigillo fisico del condotto Venturi mediante minigonne sempre più efficienti, sino a diventare rigide e mobili (oscillanti in senso verticale all’interno di apposite intercapedini ricavate alle estremità delle fiancate). Dapprima bizzarre spazzole in nylon le quali, toccando il suolo, vanno a sigillare (ancora in modo non ottimale) il fondo vettura, quindi autentiche minigonne rigide e mobili. La moderna e veloce (ma non del tutto affidabile) Lotus 78 debutta in occasione del GP di Argentina del 1977, per terminare la propria carriera, nelle fila del Team Rebaque, allorché va in scena il GP del Canada del 1978. È al volante della Lotus 78 che Ronnie Peterson è protagonista, in quel di Monza, del grave incidente che lo porterà alla morte. È il 10 settembre 1978.

Con la ancor più perfezionata Lotus 79 del 1978, l’era delle Formula 1 wing-car è definitivamente aperta. Colin Chapman, Martin Ogilvie, Tony Rudd, Geoff Aldridge e Peter Wright sbancano la F1 e, al contempo, tracciano una nuova via tecnica, ben presto imboccata da tutti i costruttori. Mario Andretti, al volante della Lotus 79, ottiene 7 pole-position e 5 vittorie; Peterson 2 pole-position ed una vittoria, Jean-Pierre Jarier, infine, una pole-position. La Lotus 79 costituisce un modello da emulare. La concorrenza, tuttavia, non si limita a copiare quanto fatto dal team capitanato da Colin Chapman. È altresì vero, infatti, che i tecnici hanno saputo reinterpretare i principi tecnici alla base della Lotus 79, dando vita a variazioni sul tema di notevole interesse benché, spesso, non efficaci.

La progettazione di vetture ad effetto suolo (produzione di deportanza mediante la depressione esistente tra fondo e suolo), tuttavia, non preclude l’applicazione dei più tradizionali profili alari anteriori e posteriori. Ecco, dunque, che le wing-car sono provviste tanto di alettone anteriore quanto di alettone posteriore.

Nel 1979, le wing-car raggiungono rapidamente livelli evolutivi importanti. Le ali, soprattutto quelle anteriori, diventano sempre più sottili e dimensionalmente esigue, grazie ad una corda ridotta e ad una incidenza altrettanto blanda. La continua estremizzazione dei concetti legati all’effetto suolo porta i tecnici progettisti a sperimentare nuove vie.

Lotus e Arrows tentano la via delle monoposto “wingless”, ossia prive di ali anteriori e alettone posteriore. Lotus 80 (progettata da Colin Chapman, Martin Ogilvie e Peter Wright) e Arrows A2 (curata da Tony Southgate e Dave Wass) incarnano al meglio l’esaltazione, la sublimazione del concetto di monoposto wing-car nato alla fine degli Anni ’70. Si tratta, appunto, di vetture contraddistinte da scelte tecniche radicali. Entrambe, infatti, non presentano — almeno nelle versioni originali ed iniziali — ali anteriori ed alettone posteriore comunemente inteso.

Arrows A2

La seducente, splendida Lotus 80 è una autentica rivoluzione. Tutto il fondo vettura — dal lungo, schiacciato e largo muso sino al retrotreno — è, ora, un lungo condotto Venturi, un enorme estrattore atto ad accelerare il flusso d’aria e massimizzare la portata d’aria (la portata è data dalla sezione d’uscita) così da realizzare ed amplificare la depressione esistente tra suolo e fondo. Tutto il condotto — il quale, appunto, si estende dal muso sino a valle delle ruote posteriori — è sigillato mediante minigonne. La prima strozza di questo condotto è costituito dal muso, al cui perimetro trovano posto minigonne mobili (l’idea verrà ripresa, nel 1980, dalla Arrows con il modello A3). L’andamento curvilineo delle fiancate conferisce alla vettura ulteriori guizzi di modernità e certosina ricerca aerodinamica, benché esso non faciliti l’installazione ed il corretto funzionamento delle minigonne perimetrali, anch’esse curvilinee. Il muso, inoltre, è caratterizzato da un estrattore, dispositivo preposto alla estrazione — verso la parte superiore del muso stesso — dell’aria precedentemente incanalata sotto il musetto stesso. Un antesignano di quanto proposto sulla Ferrari F2008 nel 2008 e dei moderni S-Duct, finalizzato ad amplificare l’effetto suolo grazie al controllo dello strato limite. Un profilo alare è posto in corrispondenza di questo estrattore ed è finalizzato a diminuire o ridurre il carico aerodinamico.

Al retrotreno spicca la assenza di un alettone comunemente inteso. Al suo posto vi è, invece, un solo profilo alare; esso è collocato, molto in basso (circa alla medesima altezza delle ruote posteriori), tra le due paratie laterali, le quali sono a tutti gli effetti prolungamenti della carrozzeria e delle fiancate. Paratie laterali, in quanto parte della carrozzeria, anch’esse sigillate da minigonne perimetrali. La vettura, nella sua configurazione originale, si rivela carente proprio dal punto di vista aerodinamico. È l’aerodinamica, estremizzata in ogni sua area e attorno alla quale sono stati progettati ed alloggiati tutti gli organi meccanici (scarichi alti, freni posteriori entrobordo, sospensioni, ecc.), ad “uccidere” l’ardito, ambizioso ed avveniristico progetto della Lotus 80. L’auto viene rivista e resa più convenzionale. Vengono installate le due classiche semiali anteriori, eliminate le minigonne in corrispondenza del muso, aggiunto il secondo profilo alare posteriore, rialzati i prolungamenti posteriori per accogliere il suddetto profilo alare superiore, i dischi freno installati fuoribordo.

La vettura, benché profondamente rivisitata e dotata di ulteriori e più comuni dispositivi aerodinamici, non mostra segni di crescita. Mario Andretti, dopo il buon debutto a Jarama (3°), raccoglie due ritiri (Monaco e Digione) dopo qualifiche deludenti (13° tempo sulle strade del Principato, 12° in occasione del GP di Francia). Dopo appena tre GP, la Lotus 80 va in pensione, lasciando il posto alla Lotus 79, improvvisamente e repentinamente invecchiata e superata dopo un 1978 dominato.

Altrettanto negativa, sebbene più lunga, si rileva la carriera agonistica della Arrows A2. Parimenti alla Lotus 80, la vettura concepita da Tony Southgate e Dave Wass palesa “bizantinismi” tecnici degni di interesse. Ancora oggi, la Arrows A2 è tra le monoposto di F1 (e non solo) più belle, ammirate ed apprezzate dagli appassionati.

Le peculiarità tecniche della Arrows A2 sono presto dette. All’avantreno, spicca la assenza delle tradizionali semiali ai lati del muso. Al loro posto, due profili alari posti in corrispondenza degli elementi della sospensione anteriore. Bilancieri superiori e tirante dello sterzo, infatti, sono annegati e carenati all’interno della sezione dei profili alari (uno per lato). Rimangono esposti solo i bracci di sospensione inferiori (i due triangoli inferiori, uno per lato). Contrariamente alla Lotus 80, il muso della Arrows A2 è molto corto e arrotondato. Il passo delle due vetture differisce di alcuni centimetri: 2718 mm per la Arrows A2, 2743 mm per la Lotus 80.

Le paratie laterali dei profili alari anteriori si prolungano sino alle fiancate, andando a carenare perimetralmente tutta la vettura. Le pance vere e proprie che accolgono al proprio interno i radiatori e, nella zona inferiore, i condotti Venturi, invero, sono corte: le bocche delle prese d’aria di raffreddamento, infatti, hanno il proprio ingresso a circa metà abitacolo. Le fiancate, ovviamente, sono munite di minigonne mobili perimetrali atte a preservare la depressione realizzata sotto le fiancate stesse.

Al retrotreno spicca la assenza di un autentico alettone. Presente, invece, solo un profilo alare con nolder applicato. Il suddetto profilo alare, a sbalzo (posto, quindi, dietro l’asse posteriore), si trova alla medesima altezze delle ruote posteriori: bassissimo, pertanto. Similmente alla Lotus 80, la carrozzeria si prolunga sino al retrotreno, a formare, così, le paratie laterali del profilo alare nonché a “proteggere” i flussi estratti attraverso il fondo vettura. Le paratie laterali sono provviste, inferiormente, di minigonne perimetrali, le quali scorrono internamente rispetto a quelle più esterne poste ai margini delle fiancate.

Anche nel caso della Arrows A2, è la ricerca aerodinamica a dettare e condizionare il posizionamento degli organi meccanici. Affinché venga lasciato più spazio al condotto Venturi, il motore (il V8 Cosworth DFV) viene inclinato in avanti di 3,5°-4° (la parte posteriore, in sostanza, appare leggermente rialzata), a beneficio della sezione d’uscita del Venturi. Una soluzione ripresa successivamente da altri costruttori, Ferrari compresa: basti pensare alla Ferrari F10 del 2010, anch’essa provvista di motore inclinato in avanti per ragioni aerodinamiche. Anche la Arrows A2 presenta, secondo una tanto diffusa quanto ineccepibile impostazione di quegli anni, i dischi posteriori entrobordo.

La storia si ripete ed anche la bellissima Arrows A2 rimane vittima di se stessa. La ardita configurazione originale non produce i benefici sperati. Ecco, quindi, che il retrotreno subisce modifiche all’insegna della convenzionalità. Le paratie posteriori, infatti, vengono rialzate (diverse le configurazioni sperimentate) affinché venga accolto un profilo alare collocato più in alto rispetto alle ruote posteriori. Le modifiche, ad ogni modo, non consentono alla Arrows A2 di raggiungere una soddisfacente competitività. La vettura, nelle mani di Riccardo Patrese e Jochen Mass, consegue magri risultati. La A2 debutta in occasione del GP di Francia (Digione) e conclude la propria carriera in occasione del GP degli Stati Uniti Est (Watkins Glen). Qualifiche deludenti (il miglior risultato è il 13° tempo conquistato da Patrese all’Österreichring; Mass stecca la qualificazione ai GP del Canada e USA Est), gare altrettanto fiacche (condite da 9 ritiri complessivi). Ma è proprio Mass a racimolare gli unici due punti al volante della bella ma scarsa Arrows A2: il pilota tedesco è 6° ad Hockenheim e Zandvoort.

Il 1979 è un anno qualificato da tanta carne al fuoco. Lotus 80 e Arrows A2 stupiscono per le loro soluzioni coraggiose orientate alla ricerca spasmodica dell’effetto suolo mediante vetture “senza ali”. Brabham e Copersucar, dal canto loro, mostrano soluzioni altrettanto ardite. La Brabham BT48 (progettata da Gordon Murray e David North), nella versione originale, è anch’essa priva di ala posteriore (ma contempla le ali anteriori). La versione portata in gara, tuttavia, mostra alettone posteriore (in diverse configurazioni) ma assenza delle ali anteriori, una configurazione che, tra il 1979 ed il 1982, caratterizzerà molte F1 wing-car.

Decisamente personale la veste aerodinamica della bella e moderna Copersucar F6, concepita da Ralph Bellamy. Muso spigoloso ed affusolato munito di ali, fiancate corte e alte al cui interno sono annegati anche gli scarichi (i terminali, infatti, soffiano attraverso le pance laterali) ed il cui fondo è sigillato mediante pattini (gli elementi a diretto contatto con l’asfalto) collegati ad apposite “tendine” in tela, connesse a loro volta alle fiancate. Sono proprio gli elementi flessibili in tela ad assicurare il movimento nel senso verticale dei pattini. La F6 prende parte al solo GP del Sudafrica (Kyalami): Emerson Fittipaldi chiude in 13a posizione.

Lotus 80 e Arrows A2 costituiscono, ancora oggi, i più clamorosi flop di successo della Formula 1. Flop di successo, appunto: non competitive ma comunque rilevanti sotto il profilo tecnico ed innovativo. Attorno al medesimo motore (il Cosworth DFV, 8 cilindri in V di 90°, aspirato e di 3000cc), alla medesima trasmissione (il cambio Hewland FGA 400 a 5 rapporti) e al medesimo tema tecnico (wing-car priva di ali), Lotus e Arrows hanno dato vita a due diverse interpretazioni.

Entrambe hanno fallito. Come spesso accade, infatti, le soluzioni più ardite e complesse si rivelano inefficaci, difficili da mettere a punto benché, sulla carta, valide. Non a caso, nell’era delle wing-car, a vincere sono vetture estremamente semplici. Nel 1978 è la volta della Lotus 79, nel 1979 primeggia la Ferrari 312T4, nel 1980 la Williams FW07/FW07B (vettura che aveva già stupito nel 1979: se fosse stata schierata sin dalle prime gare, i Mondiali Piloti e Costruttori non avrebbero preso, verosimilmente, la strada per Maranello…), nel 1981 Brabham BT49C e Williams FW07/FW07C si spartiscono la posta in palio, nel 1982, infine, Williams FW07C/FW08 e Ferrari 126C2 conquistano rispettivamente Mondiale Piloti e Costruttori. Vetture, appunto, semplici, funzionali, razionali, assai efficienti (la Ferrari 312T4 è quella più particolare e originale tra quelle appena menzionate).

Problemi di gioventù e di mancanza di armonia aerodinamica determinano la scarsa competitività ed i problemi di guidabilità tanto della Lotus 80 quanto della Arrows A2. Gli anni passano ma le idee restano. Ed ecco che, nel 1981, la Lotus rielabora ulteriormente i concetti tecnici della Lotus 80 e delle wing-car senza ali. Nascerà la Lotus 88.

Dal 1983, le wing-car hanno lasciato il campo a monoposto di F1 caratterizzate da fondo piatto, profili estrattori posteriori e grandi alettoni, anteriori e posteriori. I regolamenti, infatti, non hanno più consentito la realizzazione di vetture “senza ali”. L’auspicio è ovvio: aprire le maglie regolamentari, lasciare campo libero all’effetto suolo, tornare a vedere realizzazioni in stile Lotus 80 e Arrows A2. Concetti tecnici che, 40 anni dopo, meritano di essere ripresi, attualizzati, rinnovati.

Scritto da: Paolo Pellegrini

Fonte: http://feedproxy.google.com/~r/CircusFormula1/~3/FSPlo4HLkXI/lotus-80-e-arrows-a2-insuccessi-di-successo-in-formula-1.php


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