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    La Svezia, finalmente, sorride

    Mikael Ymer

    Che settimana per i fratelli Ymer. Elias è approdato in semifinale all’ATP Pune, sconfiggendo ieri il nostro Stefano “Steto” Travaglia. Ma il successo più importante nella sua settimana magica è stato quello su Aslan Karatsev, il “bombardiere” russo, incappato nella velocità di Ymer e in una giornata troppo fallosa col diritto.
    Mikael ieri sera ha sconfitto il “padrone” di Montpellier, Richard Gasquet, in tre set, approdando anch’egli alla semifinale del torneo francese, dove affronterà Sasha Zverev per un posto in finale. Match a dir poco arduo, ma resta una splendida settimana per lo svedese di origine etiope.
    Due fratelli in semifinale nella stessa settimana. Non accadeva dal 2017, quando i due Zverev giocarono le “semi” in due tornei su erba (Mischa a Stoccarda, Sasha a s-Hertogenbosch). Che ora due “Bro” ci siano riusciti addirittura in due continenti diversi credo proprio sia una totale novità.
    Una bella storia quella della famiglia Ymer, cresciuta nella fredda Svezia ma con origini negli altipiani etiopi. L’ambizione di cambiare vita di Wondwosen, il papà dei ragazzi, è stata premiata. Buon atleta nei 10.000 metri e anche calciatore, si sposta nella piccola Skara, nella zona di Göteborg, nel 1987. Si sposa, nascono tre figli, che vengono presto mandati sulla pista di atletica. Ma Elias si innamora della racchetta – in Svezia, nonostante la crisi tecnica, si gioca ancora molto a tennis – e la sua passione irrefrenabile contagia anche Mikael e il più piccolo Rafael, che adesso sta disputando tornei ITF ed è discretamente promettente.
    Finalmente torna a sorridere la Svezia, paese nevralgico nel mondo del tennis dai primi anni ’70 con l’esplosione di Borg sino ai primi anni 2000, con Robin Soderling a tirare la carretta (e fare due finali Slam a Parigi, 2009 e 2010) di un movimento che era di fatto già estinto. Si è dibattuto molto sulla crisi dei vichinghi. Un vero caso, un modello che è stato addirittura “studiato” da altre federazioni per far sì di non ripetere una simile debacle. Incredibile che una nazione così piccola ma così efficiente, capace di produrre una quantità enorme di ottimi giocatori e ben 25 Slam in singolare maschile (Borg, Wilander, Edberg, Johansson) sia letteralmente scomparsa dai radar del tennis di vertice. Sfortuna (“Pim Pim Johansson e Vinciguerra ko da giovani, soprattutto il primo era più di una promessa) ma anche molti errori commessi. “Ad un certo punto, credevamo che il sistema andasse avanti da solo. Non ci eravamo resi conto che il mondo stava cambiando, quello del tennis e socialmente nel sotto paese. Ci ha colto di sorpresa e non siamo riusciti a riorganizzarci” fece così mea culpa uno dei presidenti della fertennis nordica in un’intervista di qualche anno fa.
    Adesso con la simpatica famiglia Ymer, la Svezia torna finalmente in prima pagina, almeno questa settimana. Aspettando di valutare le qualità del giovane Rafael (classe 2006), con Elias e Mikael ha trovato due buoni tennisti. Soprattutto Mikael, che brilla per la velocità in campo, un ottimo tempo sulla palla soprattutto col rovescio e un tennis d’incontro piuttosto efficace. Difficile pensare che possa ambire a grandissimi trofei, ma è un buon giocatore, che può stazionare nel range tra il 50esimo e il 100esimo posto nel ranking. Sembrano più definiti i limiti di Elias, fisico più potente ma con colpi meno rapidi e incisivi. Grazie alla semifinale a Pune potrà riavvicinarsi alla top 100, sperando finalmente di entrarvi (ha un best ranking di 105 nel 2018).
    È presto per gridare al ritorno dei vichinghi, il tennis svedese è quasi nullo al di fuori degli Ymer, incluso il giovane Leo Borg del quale si parla molto (ovviamente) ma con ancora tutto da dimostrare. Tuttavia fa piacere tornare a parlare di una nazione che ha regalato campioni indimenticabili ed è stata capace di alimentare per oltre 30 anni uno dei movimenti più interessanti e prolifici. Con maestri molto preparati ed una visione molto chiara dell’impostazione tecnica, orde di giovani svedesi hanno invaso i tornei giovanili, viaggiando per settimane in gruppo, diventando molto amici e stimolandosi a vicenda, per una crescita a tratti irrefrenabile. A metà anni ’80 ci sono state settimane in cui la Svezia ha avuto 4 top 10 e oltre 10 top 100, incredibile per una nazione con dieci milioni di anime. Vittorie in Davis e un incredibile Grande Slam svedese nel 1988 con Wilander ed Edberg.
    La speranza è che l’esempio degli Ymer e il lavoro di alcune accademie formate dai giocatori di quel periodo (come la GTGT di Norman e Kulti) possano rinvigorire un paese che ha dato tantissimo al nostro sport.
    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO

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    Thompson e Ymer litigano alla fine della loro partita nel torneo di Washington

    Jordan Thompson e Mikael Ymer hanno avuto un momento molto caldo ieri sera nell’ATP 500 di Washington, ed è dovuto scendere anche il Giudice di Sedia alla fine del loro match. Lo svedese ha vinto, ma la partita ha avuto una serie di situazioni controverse negli ultimi minuti, che hanno lasciato entrambi i giocatori furiosi.
    Sul penultimo punto, Thompson pensava che la palla avesse colpito due volte il lato del campo di Ymer prima di restituirla ed era furioso per questo errore. L’arbitro non l’ha visto, lo svedese non l’ha ammesso e la situazione è diventata molto ma molto tesa… LEGGI TUTTO

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    Mikael Ymer all’ATP: “Non importa da dove vieni, ma l’impegno che ci metti”

    Mikael Ymer

    Il 21enne svedese Mikael Ymer ha rilasciato un’interessante intervista al sito ufficiale dell’ATP, in cui racconta il suo approccio al tennis e alla vita. Nonostante la giovane età, Mikael sembra un ragazzo assai maturo e con obiettivi che vanno ben oltre i successi sportivi.
    “Gioco per me stesso, ma anche per la mia famiglia, il mio paese e, perché no, anche per la prossima generazione di ragazzi. E’ qualcosa a cui penso molto spesso. Non mi riferisco solo ai prossimi giovani tennisti svedesi, sarei molto felice di diventare una ispirazione per tutti i giovani del mio paese, essere un esempio di come lottare e avere un sogno, dando tutto per raggiungerlo. Vorrei poter spingere a credere in se stessi e che non importa da dove vieni o quale sia il tuo background o le possibilità economiche. Devi prenderti un rischio e darci dentro per raggiungerlo”.
    La famiglia Ymer è originaria dell’Etiopia. Il padre Wondwosen ha un passato da calciatore e lavora in un’impresa di lattici, mentre la madre Kelem è dottoressa. Vivono a Stoccolma, ben integrati nella capitale svedese. Il padre aveva iniziato i due figli al calcio, ma ben presto il tennis prese il sopravvento, soprattutto grazie al fratello Elias, più grande di Mikael (best ranking a ridosso della top100 ATP un paio d’anni fa); incuriosito dallo sport della racchetta – in un’epoca di crisi nerissima per il tennis scandinavo dopo i fasti degli anni 70-00 – Mikel ha seguito le orme del fratello, scoprendo di aver un certo talento e iniziando il percorso verso il tennis Pro.

    “Credo che il tennista abbia una mentalità che lo spinge a pensare a se stesso, e non solo per il fatto che il tennis sia uno sport individuale. Ma la cosa più importante, e che non dimentico mai, è restare un bravo ragazzo. Per me è fondamentale comportarmi bene ed avere buoni rapporti con tutti” racconta Mikael.
    Per il 21enne, Stefan Edberg resta la principale fonte di ispirazione: “Il modo in cui ha condotto la sua carriera e l’umiltà con cui si è sempre presentato a tutti lo rendono ai miei occhi una vera leggenda ed esempio. Lui tratta tutti allo stesso modo, ed è sempre estremamente cordiale e gentile, non solo con me ma anche con tutta la mia famiglia. E’ una persona straordinaria”.
    Ymer è uno dei giovani maggiormente cresciuti nel 2019, entrando nei migliori 70 giocatori del ranking, ma crede di aver ancora moltissimo da imparare: “Ho solo 21 anni, non posso pensare di conoscere già tutto quel che serve, soprattutto come persona. Ci sono molte cose su cui sto lavorando quando non sono in campo e sto cercando di capire che tipo di persona voglio diventare. Sto vivendo molte esperienze, ma la mia speranza è quella di arrivare un giorno ad appendere la racchetta al chiodo ed essere ricordato non solo come un ragazzo che aveva talento per colpire una pallina gialla… Come arrivarci? Non sono ancora sicuro del percorso, ci vorrà del tempo, ma la cosa principale è arrivare ad essere una persona che possa esser presa ad esempio”.

    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO