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    Elizabet Inneh-Varga, la grande speranza dell’Ungheria

    Di Alessandro Garotta
    La pallavolo ha una storia relativamente giovane, i movimenti nazionali che più l’hanno nutrita hanno avuto alti e bassi nei circa 120 anni della sua esistenza, ma quasi nessuno di loro è davvero scomparso. Quasi nessuno ha vissuto un declino tale da non poter essere più considerato competitivo per decenni in un torneo internazionale. Tra le pochissime eccezioni troviamo l’Ungheria. 
    Magari qualcuno ricorderà la selezione femminile ungherese di Ágnes Torma, Éva Sebők-Szalay e Gyöngyi Bardi-Gerevich a cavallo degli anni ’70 e ’80, proprio come si fa con le civiltà perdute e le epoche storiche così lontane nel tempo da risultarci indecifrabili. L’ultima volta che questa Nazionale si è qualificata alle Olimpiadi era il 1980 e non era stato ancora introdotto il sistema 5-1 (un solo alzatore); l’ultima volta che si è spinta fino al podio europeo era il 1983 e non era ancora crollato il muro di Berlino.
    Negli ultimi trent’anni, però, il paese ha praticamente smesso di produrre grandi talenti, come se avesse all’improvviso disimparato una cosa che gli riusciva con naturalezza. Ma oggi c’è una nuova speranza: si chiama Elizabet Inneh-Varga, è l’opposta del Fatum-Nyíregyháza e un giorno sogna di vestire la maglia dell’Ungheria per riportarla sulla mappa del volley mondiale. Prima, però, deve attendere che si risolva la contesa tra la Federazione magiara e quella della Romania, paese in cui è nata e che rivendica la sua nazionalità sportiva. Nel frattempo, la giovane giocatrice si è espressa in esclusiva ai microfoni di Volley NEWS. 

    Ci racconti qualcosa di lei. Chi è Elizabet Inneh Varga? 
    “Sono una ragazza di 21 anni, nata a Budapest, e cresciuta tra la capitale ungherese e Oradea in Romania. Sono un po’ timida con le persone che non conosco, ma allo stesso tempo molto cordiale. Cerco di essere sempre diligente e dare il massimo in tutto quello che faccio, soprattutto per quanto riguarda la pallavolo“. 
    Come ha scoperto il suo talento per il volley? 
    “Ho iniziato a giocare a 11 anni, dopo aver provato un sacco di altri sport, come l’atletica, la pallamano e il basket; però, il volley aveva qualcosa di speciale e mi piaceva di più. Da quel momento la mia passione è diventata più grande giorno dopo giorno. Ricordo bene i miei primi tornei, la prima volta a vedere una partita delle ‘grandi’ di A2 al palazzetto, ma soprattutto ricordo che non mi perdevo le partite trasmesse in TV per nulla al mondo: ammiravo quelle giocatrici e il mio sogno era di diventare brava come loro. Così ho cominciato a prendere la pallavolo molto seriamente e non mi sono mai fermata“. 
    È considerata un grande talento: per lei è uno stimolo a fare sempre meglio? 
    “Sicuramente fa piacere questa buona considerazione, ma io cerco sempre di dare tutta me stessa indipendentemente dalla partita o dagli stimoli esterni“. 
    Come mai non è ancora stata convocata nella selezione ungherese? C’è una ragione particolare? 
    “Il mio percorso come giocatrice è iniziato in Romania e al momento la mia Federazione di Origine è quella rumena; tuttavia, spero presto di avere l’onore e l’opportunità di rappresentare il mio paese natale, l’Ungheria“.  
    Qual è la sua migliore qualità quando è in campo? E dove crede di poter migliorare?
    “Sono una persona molto positiva, quindi cerco sempre di sostenere e aiutare le mie compagne, mettendo la squadra prima di tutto. Penso di avere grandi margini di miglioramento in tutti i fondamentali, senza dimenticare che l’aspetto mentale è altrettanto importante: a volte, mi capita di innervosirmi troppo prima delle partite, ma per fortuna sto imparando a gestire queste situazioni“. 
    Questa è la sua quarta stagione al Fatum Nyíregyháza. Come si trova e quali sono le sue sensazioni dopo questa prima parte di campionato ungherese? 
    “Sono molto contenta di far parte di questo club: qui ho trovato una seconda famiglia e vissuto tanti bei momenti. Per quanto riguarda il campionato, abbiamo avuto un buon avvio e siamo al secondo posto, avendo perso solo una volta. In generale, c’è grandissimo equilibrio, con tante squadre dello stesso livello: ogni partita è interessante e avvincente“. 
    Qual è stato il momento più bello della sua carriera finora? 
    “Conservo nel mio cuore tanti ricordi positivi legati alla pallavolo, ma se proprio dovessi sceglierne qualcuno direi le vittorie della Coppa di Ungheria con la mia squadra nel 2018 e nel 2019. In quelle occasioni ho provato emozioni indescrivibili“. 
    Dove si vede tra cinque anni? 
    “Ora è difficile da dire, ma senza dubbio farò del mio meglio per fare più strada possibile nel prosieguo della mia carriera“. 
    Un sogno nel cassetto? 
    “Il mio sogno più grande è arrivare a giocarmi un titolo in una fase finale di una competizione internazionale o un campionato importante“.  LEGGI TUTTO

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    Gianluca Graziosi tiene a bada l’Agnelli Tipiesse: “Sono giovani molto affamati”

    Di Stefano Benzi
    Una squadra che è reduce da un periodo complicato, con il trasferimento a Cisano Bergamasco e la fusione tra due sponsor. Un progetto che non si è ridimensionato ma ha semplicemente cambiato contesto e cerca di stare a galla in un momento complicatissimo con tanti costi, sponsor sempre meno disponibili e un campionato estremamente competitivo.
    Bergamo, la città più colpita dalla prima ondata del Covid-19, ha reagito alla pandemia con il consueto pragmatismo. Il club femminile ha cercato di proseguire il suo percorso riducendo al minimo i costi e trovando un grande sostegno anche da parte dei tifosi, che hanno contribuito con una sottoscrizione a pagare le spese di iscrizione e il cui marchio – Nobiltà Rossoblù – compare anche sulla maglia del club. L’Agnelli Tipiesse, invece, si è trasferita in provincia, nel piccolo comune di Cisano, seimila abitanti. Ha incassato con soddisfazione la fiducia di alcuni sponsor, ha ridotto i costi e si è concentrata intorno al piccolo PalaPozzoni, un impianto messo a disposizione al Comune.
    Gianluca Graziosi, tecnico riconfermato, ha costruito una squadra giovane e ambiziosa con qualche eccellenza è un paio di individualità di spicco ma, soprattutto, con una determinazione feroce, che sembra essere perfettamente ritagliata su quelle che sono le caratteristiche del luogo e della sua gente. La vittoria di mercoledì contro Taranto è arrivata al termine di una partita a muso duro, condotta con ferocia agonistica.
    Graziosi spiega così il carattere della sua squadra: “È un bel gruppo che sta dimostrando molto attaccamento al lavoro e una grande determinazione. Lavorano sodo, si trovano bene, si fanno coraggio a vicenda e soprattutto non hanno paura di nulla. Sotto l’aspetto competitivo è una di quelle squadre che di tanto in tanto devo anche tenere un po’ a freno. Sono giovani, anche in allenamento basta buttargli lì un po’ di esca e sono pronti a sbranarsi, tanto che a volte devo intervenire per dar loro una calmata. Ma va bene così perché sei in un gruppo c’è ambizione e competizione, soprattutto in un campionato come il nostro, non puoi chiedere di meglio“.
    L’anima della formazione è Juan Ignacio Finoli, palleggiatore argentino già visto a Catania. Due mani precise e il carattere di chi ha giocato un po’ ovunque e non si tira dietro davanti a nulla. In campo sollecita i compagni anche a muso duro quando serve. E ogni tanto serve. In diagonale con lui Andrea Santangelo, opposto di potenzialità fisiche impressionanti, lo scorso anno in Corea del Sud. Un gigante buono ma con un polverizzatore al posto del braccio destro: quando Finoli lo scatena fa paura.
    Graziosi si gode la lenta crescita di una squadra interessante: “Da quello che sto vedendo, considerando tutte le difficoltà di un avvio di stagione estremamente complicato, credo che tutto questo gruppo abbia un margine di miglioramento ancora notevole. Santangelo è la nostra arma in più, è sicuramente un giocatore di grande importanza, anche se fino ad oggi non è stato fortunato. É stato colpito dal Covid in modo molto forte e sta impiegando del tempo per tornare in forma. Ha bisogno di calma, di tranquillità e di giocare molto“.
    Ma l’elemento in assoluto più interessante di Bergamo è quello che forse fa meno notizia degli altri: si chiama Francesco D’Amico, gioca libero, ha soltanto vent’anni e si conferma uno dei talenti più giovani e interessanti della A2 dopo due stagioni alla Golden Plast Potenza Picena e una a Civitanova in A3 lo scorso anno. LEGGI TUTTO

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    Jenny Barazza: “Mi emoziona ancora vedere mia figlia in palestra”

    Di Francesca Ferretti
    Con Jenny Barazza ho condiviso gli anni più belli e vittoriosi della nazionale Seniores. Silenziosa ma presente, pungente, cinica e sempre pronta nel momento che conta, oggi Jenny è anche mamma della splendida Luisa e di questo (ma non solo) abbiamo parlato nella nostra intervista!
    Partiamo dal presente: da 3 anni hai scelto di tornare a “casa” in Sardegna e continuare a giocare in Serie A2 con l’Hermaea Olbia. E’ stata stata una scelta di vita?
    “Diciamo di sì, visto che, concluso il mio contratto con Conegliano, ho deciso di iniziare un nuovo percorso di vita a Olbia, dove avevo costruito casa e dove mia figlia avrebbe iniziato la prima elementare. È arrivata, subito dopo, la proposta di giocare nell’Hermaea Volley Olbia, che ho accettato con molto entusiasmo, sicura di poter conciliare al meglio la carriera sportiva, quella di mamma e quella di collaboratrice nella nuova azienda di mio marito“.
    Nel 2010, poco prima del Mondiale in Giappone, hai scoperto di essere incinta. Cosa ricordi di quei momenti?
    “È stato sicuramente un momento indimenticabile carico di emozioni. Una sorpresa bellissima che ha reso me e mio marito pazzi di gioia“.
    Quanto è stato difficile, una volta diventata mamma, conciliare il tutto, palestra, bimba e famiglia?
    “Come ogni mamma, ho semplicemente cercato di organizzare il mio tempo in funzione di mia figlia… Ho avuto una grossa mano da mio marito, che era sempre presente nonostante gli impegni, e poi da una fantastica babysitter, che mi aiutava soprattutto nei primi mesi in cui ho ricominciato a giocare. Non nascondo che sia stato molto difficile, soprattutto all’inizio, ma poi ho trovato il giusto equilibrio. Insomma, ho cercato di fare del mio meglio, come tutte le mamme!“. 
    Foto Instagram Jenny Barazza
    Che sensazioni ti suscita il poter abbracciare la tua bimba a bordo campo a fine partita, e soprattutto che lei veda la sua mamma giocare?
    “È sempre emozionante vederla sugli spalti. Ancora oggi i suoi sorrisi mi spiazzano sempre come se li vedessi per la prima volta“.
    Luisa sta seguendo le orme della mamma nello sport?
    “A Luisa piace stare in palestra ed è una grande tifosa, ma ancora non ha deciso quale sport intraprendere con costanza. La pallavolo per lei è il lavoro di mamma, non ancora una passione tutta sua“.
    Hai indossato la maglia della Foppapedretti Bergamo per 6 anni, vincendo 2 scudetti, 2 Coppe Italia, 1 Supercoppa, 1 Coppa CEV e 3 Champions League: forse gli anni più belli della tua carriera, che ti hanno consacrata a livello mondiale come una delle centrali migliori in circolazione. Cosa significa Bergamo per te?
    “Bergamo è stata una tappa importante e indimenticabile della mia carriera, non solo per i titoli vinti, ma per la possibilità di giocare, allenarmi e condividere momenti con giocatrici fortissime, da cui ho imparato tanto. Ho trascorso 6 anni in quella bellissima città, e non posso far altro che portarla nel cuore e mantenere i contatti con persone del luogo e tifosi bergamaschi che non hanno mai smesso di starmi vicino“.
    Dal 2013 al 2017 hai indossato la maglia dell’Imoco e anche lì hai ottenuto tantissimi successi: scudetto, Coppa Italia e Supercoppa. Com’è stato tornare a giocare e vincere a casa tua, dove tutto era partito, dalla piccola cittadina di Codognè?
    “L’esperienza con Conegliano è stata molto emozionante, perché giocavo a casa, tra la gente con cui sono cresciuta, e sentivo per questo una grande responsabilità. È stata una escalation di successi e io ho dato il mio contributo fin quando ho potuto esserne all’altezza“.
    Agenzia Uffici Stampa DirectaSport
    Hai fatto parte del ciclo vincente della nazionale di Barbolini. Qual è il ricordo più bello? E il rammarico più grande?
    “La parte della mia carriera in nazionale con Barbolini è quella che ricordo con maggiore gioia, perché abbiamo vinto tanto insieme, ma tutta quanta la mia esperienza con la maglia azzurra è stata fondamentale per la mia crescita come persona e come atleta. Sarà difficile dimenticare ogni secondo del primo Europeo vinto, e allo stesso tempo non potrò mai scordare quella maledetta partita delle Olimpiadi di Pechino contro gli USA“.
    Oltre a quella, esiste una partita che, se ci ripensi, ancora oggi fa male?
    “Non c’è una sconfitta che ricordi che non bruci ancora…“.
    Quali sono i tuoi progetti futuri? Sono sempre legati alla pallavolo?
    “Ce ne sono tanti, alcuni legati alla pallavolo, altri no. Ma di sicuro non potrò mai smettere di guardare una piccola pallavolista giocare senza emozionarmi e rivedere in lei la grande passione per questo sport che mi ha accompagnato in tutti questi anni“. LEGGI TUTTO

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    Simone Parodi aspetta Ortona: “Stiamo bene, ma ci manca l’agonismo”

    Di Giovanni Saracino
    Salvo imprevisti delle prossime ore, domenica al PalaMazzola, a distanza di quasi un mese dall’ultima gara ufficiale disputata (25 ottobre contro Cantù), la Prisma Taranto tornerà ad assaporare il clima agonistico della partita vera, contro la capolista Sieco Service Ortona. “Stiamo bene, ci siamo allenati tanto, non siamo ancora al top ma abbiamo trovato una buona condizione fisica. Ci è mancato l’ agonismo, il ritmo partita, la tensione di una gara vera” afferma Simone Parodi, uno dei giocatori più attesi nella squadra pugliese, favorita per la promozione in Superlega.
    Ortona, forse, è l’avversario meno indicato per riprendere confidenza con l’agonismo…
    “Eh sì (sorride al telefono, n.d.r.). Diciamo che è una squadra che sta giocando molto bene, è in forma, sbaglia molto poco, regala quasi nulla, anche se accusa qualche assenza nello starting six (i martelli Shavrak e Sette, n.d.r.). E poi ha Cantagalli che sta dimostrando di essere un terminale offensivo importantissimo per i suoi compagni. Dobbiamo stare molto attenti“.
    Come pensate di poterli affrontare dal punto di vista tattico? Basterà arginare il solo Cantagalli?
    “Penso che se noi giochiamo bene, com’è nelle nostre potenzialità, siamo in grado di fronteggiare qualsiasi avversario. È probabile che pagheremo dazio nel primo set al fatto che ci manca un po’ il ritmo partita, ma siamo consci di essere una squadra forte. Dovremmo contenerli in attacco, battendo e murando bene“.
    In questo periodo in cui non avete giocato, hai avuto modo di vedere tante partite in tv o su internet?
    “Non le vado a cercare, se smanettando in tv ci sono, mi fermo a guardarle. Ultimamente ho visto qualche match di Superlega su RaiSport e la partita tra Brescia e Castellana“.
    Che campionato di A2 si è intravisto in queste prime giornate?
    “Sicuramente è un campionato molto equilibrato, di buon livello. Abbiamo incontrato squadre, come Brescia e Cantù, che giocano molto bene a pallavolo e che lottano sino all’ultima palla. Non esistono partite facili e per quanto ci riguarda dovremo giocare sempre al massimo delle nostre possibilità contro tutti“.
    Foto Lega Pallavolo Serie A
    Per recuperare le gare rinviate, presto potreste essere chiamati ad una sorta di tour de force, giocando ogni tre giorni. Vi sentite pronti?
    “A livello fisico speriamo di non fermarci più, perché non è semplice stopparsi e riprendere e viceversa; si vive un po’ alla giornata. Giocare a pallavolo è il nostro mestiere, le partite ravvicinate, le trasferte da affrontare non ci spaventano, purché si riesca a trovare una continuità nella programmazione“.
    Alla vigilia del campionato si sapeva che si sarebbe trattato di una stagione particolare. La realtà ha complicato ancor di più le cose..
    “Il torneo di A2 sapevamo che sarebbe stato difficile. Ora le cose si sono complicate per via di tutti questi rinvii che modificano continuamente la programmazione del lavoro in palestra di una squadra. Noi giocatori vorremmo scendere in campo al meglio delle nostre condizioni fisiche ed offrire una pallavolo di buon livello a chi ci segue. Ci rendiamo conto che sinora abbiamo giocato al di sotto dei nostri abituali standard, ma non possiamo far altro che adattarci a questa nuova situazione“.
    Pensate che il contatto con i tifosi possa essere surrogato dall’interesse suscitato dai vostri match in diretta su YouTube o dalla vostra presenza sui social?
    “Mi fa piacere che quando abbiamo giocato ci abbiano seguiti in tanti sul canale YouTube tematico della Lega Pallavolo Serie A. Quando scendiamo in campo cerchiamo di dare sempre il massimo e di divertire chi ci segue a distanza. Certo sarebbe meglio avere i nostri tifosi al palazzetto. Ci dobbiamo accontentare, per ora. Sui social qualche volta arrivano dei messaggi da parte dei tifosi che mi fanno tanto piacere. E’ un modo per stabilire un contatto ed è giusto utilizzarlo“. LEGGI TUTTO

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    Fefè De Giorgi, campione di sorrisi: “La gioia del gioco non si inventa”

    Di Stefano Benzi
    Non c’è alcun dubbio che il mondo dei social abbia completamente rivoluzionato il modo di percepire lo sport e i personaggi pubblici. Inizialmente i social network erano considerati uno strumento prezioso, utile a ridurre la distanza tra la personalità e il fan. Ma da tre, quattro anni a questa parte, quella che inizialmente era stata definita la reputation, ovvero la credibilità di un personaggio, si è trasformata in consideration: la sua potenzialità commerciale. Sui social network si vende: il cosiddetto product placement ha preso il sopravvento sui contenuti e qualsiasi star dei social è un venditore. A volte di oggetti, a volte di se stesso.
    Perdonate la lunga premessa che non ha nulla di narrativo, ma è utile a presentare un personaggio che gli appassionati dell’ultima generazione conoscono come allenatore credibile, autorevole. Persino un po’ serio. Ferdinando De Giorgi.
    L’aveste visto quando nella fase finale della sua attività di giocatore si prestava a fare le imitazioni, il comico, con il talento innato di chi così ci è nato, e non potrebbe mai esserlo a comando, avreste il quadro completo di una personalità che ha fatto molto bene alla pallavolo per la sua attitudine alla divulgazione e al coinvolgimento. Un istrione, un testimonial nato. Oggi sul campo gli toccano camicia bianca e cravatta e farlo sorridere non è facile: tuttavia, può bastare basta una domanda.
    Fefé, perché – indipendentemente dalla pandemia – oggi sembra che tutti si divertano un po’ meno e si fatica a trovare personaggi come lei, seri ma non seriosi? De Giorgi se la ride e si allenta la cravatta: “Prima c’era la stessa pressione che c’è oggi, magari anche di più, eppure si capiva lontano un miglio quanto ci divertissimo. Ogni squadra ha alchimie particolari che non possono essere ricreate artificialmente. Però forse un po’ è vero, anni fa, nonostante stress e pressione eravamo più comunicativi. D’altronde quando si gioca per grandi risultati lo stress è inevitabile e bisogna saperlo gestire”.
    Un paradosso: allora che non c’erano i social, un personaggio come De Giorgi era un comunicatore perfetto. E oggi ci tocca riscontrare che uno come lui, uno che sdogani lo sport come intrattenimento e divertimento anche fuori dai canali ufficiali, non c’è: “Sono tempi diversi, siamo persone diverse, dobbiamo goderci i giocatori che abbiamo oggi e che sono fenomenali indipendentemente dal fatto che magari non sanno scherzare davanti a una telecamera o strappare un sorriso con uno scherzo. È una questione di carattere e magari è anche l’ambiente che è cambiato. Oggi tutti sentono il peso del giudizio delle persone e del dover fare la cosa giusta, per la squadra, per lo sponsor, per l’immagine. Forse ai nostri tempi c’era un’altra leggerezza che oggi non si può costruire a tavolino. O c’è o non c’è. La gioia del gioco non si inventa, bisogna saperla esprimere: soprattutto in momenti come questo”.
    La gioia del gioco: una definizione meravigliosa quella di De Giorgi che ci trova del tutto d’accordo. Ecco cosa ci vorrebbe, ora più che mai, soprattutto adesso, che il distanziamento si definisce “sociale” e i social ci uniscono per finta in modo virtuale ma non virtuoso. Oggi ci occorrerebbero proprio un paio di scherzi di quelli di De Giorgi, come quella volta in cui… ma no. Questa è un’altra storia! LEGGI TUTTO

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    Serena Ortolani: “Davide come allenatore? Nessun problema, lavoriamo per la squadra”

    Di Francesca Ferretti
    Io e Serena Ortolani ci siamo conosciute e abbiamo condiviso tanti anni in nazionale seniores e un anno anche nella squadra di club, nella Scavolini Pesaro della stagione 2010-2011. Mi hanno sempre stupito la sua solarità e la voglia di fare gruppo, di scherzare e trovare sempre il lato positivo delle cose. Da 6 anni è una splendida mamma della dolcissima Gaia e ora gioca con la maglia della Bartoccini Fortinfissi Perugia. Ecco la mia chiacchierata con lei!
    Sei stata una delle più giovani atlete-mamme in attività: hai avuto Gaia a 26 anni. Com’è stato riprendere ad allenarti dopo la maternità? Avevi già deciso di ricominciare a giocare subito?
    “Nei primi quattro mesi di gravidanza devo dire che ci stava bene un po’ di pausa, dopo anni di volley continuo. Invece negli ultimi 5 ho fatto tanta fatica perché avevo una gran voglia di ricominciare, quindi ho organizzato in modo da tornare a giocare dopo il parto, e alla prima opportunità ne ho approfittato. Per me riprendere è stato molto semplice, perché la voglia di tornare era tanta e soprattutto perché mi aiutava a liberare la testa: a casa facevo la mamma e in palestra mi sfogavo. Solo fisicamente ho dovuto lavorare un pò di più, le sensazioni erano totalmente diverse da quando avevo smesso“.
    Cosa pensi si possa o si debba cambiare nel volley per tutelare le atlete in caso di un’eventuale gravidanza?
    “Penso che sarebbe opportuno prevedere nel contratto una percentuale per la neo-mamma, come accade per tutte le donne che lavorano. Oppure considerare da parte della società la possibilità di posticipare lo stesso contratto all’anno successivo“.
    Quest’anno hai scelto di andare a giocare a Perugia. Come ti trovi? Che effetto fa tornare in un palazzetto che ha visto per tanti anni primeggiare in Italia ed Europa una squadra come la Despar?
    “Perugia è davvero una splendida città, non l’avevo mai vista al di fuori dal palazzetto… Quello invece sì, lo conoscevo bene, e conoscevo bene anche la Despar perché è la prima squadra con cui ho perso una finale scudetto nel 2006! Me lo ricordo benissimo, però poi nel 2009 mi sono vendicata con una Champions vinta proprio lì al vecchio PalaEvangelisti. Ogni tanto ricordo quei momenti“.
    Foto Maurizio Lollini/Wealth Planet Perugia
    Com’è avere il proprio marito come allenatore, e sopratutto vincere insieme? Ha mai creato qualche “incomprensione” nello spogliatoio? (l’intervista è stata realizzata prima dell’arrivo di Davide Mazzanti sulla panchina di Perugia, n.d.r.)
    “Avere Davide come marito e allenatore non è stato subito facile, anche se abbiamo fatto da subito la scelta di rimanere sempre vicini, così la piccola sarebbe stata sempre con entrambi. All’inizio mi facevo un sacco di paranoie, poi piano piano mi sono accorta che, se entrambi lavoravamo per lo stesso obiettivo e per il bene della squadra, allora non ci sarebbero stati problemi, e infatti è stato così. Forse l’ultimo anno a Conegliano abbiamo avuto più difficoltà, perché rivestivo il ruolo di capitano, e perché nel mio ruolo c’era molta concorrenza“.
    Capitolo nazionale: la gioia più grande e il rammarico più grande.
    “La gioia più grande penso sia l’ultimo argento al Mondiale in Giappone, un’esperienza indimenticabile, mentre il rammarico più grande ovviamente non essere riuscita ad andare alle Olimpiadi di Londra. Ma più che rammarico è stata una delusione, perché io comunque ce l’ho messa tutta“.
    Hai già pensato a cosa fare dopo il volley?
    “No, non lo so, anche perché non so se smetterò mai… scherzo, ho un sacco di hobby al di fuori dal campo, come la ceramica, il fai da te nella cosmesi, mi piace la naturopatia, ma non ho una destinazione precisa”.
    Quali sono le amicizie speciali che hai creato grazie al volley?
    “Questa domanda è davvero stupenda, perché a lungo andare, negli anni, mi accorgo sempre di più che le medaglie, le coppe, sono sì delle belle soddisfazioni, ma la cosa più bella che mi rimane veramente sono le amicizie, e i momenti passati insieme. E per fortuna sono davvero tante“.
    Foto Maurizio Lollini/Wealth Planet Perugia
    Bergamo per te è stata sicuramente una società e una città speciale… eravate la nostra bestia nera! Che anni sono stati quelli della Foppapedretti per Serena atleta e Serena donna?
    “La Foppapedretti è stata una squadra per me fondamentale, mi ha cresciuta, mi ha dato subito le dritte per essere una giocatrice professionista. Ero a contatto tutti i giorni con atlete esperte, che mi hanno insegnato davvero tanto. Devo ringraziare tutti per quello che mi hanno trasmesso. Mi hanno permesso di crearmi una corazza forte e spessa“.
    Cosa fai nel tuo tempo libero? Riesci a ritagliarti qualche spazio senza la piccola Gaia?
    “Come dicevo prima ho un sacco di hobby, e ora sto cercando soprattutto di essere più ‘ecologica’. Lo faccio anche per Gaia, così provo a trasmetterle l’amore per la nostra terra, e la genuinità nelle cose semplici, tramandate da generazioni“.
    Ricordo quando, agli allenamenti, ci portavi le pesche appena raccolte a casa dei tuoi genitori. Li aiuti ancora quando puoi?
    “Sì, certo! I miei hanno ancora i campi, e a me piace un sacco tornare a trovarli a contatto con la natura, anche se raccogliere le pesche non è mai stata la mia più grande passione. Però è bello capire quanto quel mondo sia poco valutato, ma davvero importante quanto educativo“.
    Cosa ti senti di dire sull’emergenza Covid, soprattutto in questo momento in cui la situazione sta tornando seria e potrebbe compromettere tante attività?
    “L’anno scorso ho scelto di rescindere il contratto per me ma soprattutto per la mia famiglia: era una situazione particolare, in cui ancora non si conosceva la pericolosità del virus. In questi casi mi viene da pensare che il volley viene in secondo piano e prima di tutto viene la salute delle persone a cui voglio bene, e la loro sicurezza. Ora i positivi stanno risalendo, e anche nel volley ci sono alcuni casi: dobbiamo cercare il più possibile di gestire la situazione, anche se sarà difficile, ma più lavoriamo di squadra, più riusciremo a limitare i contagi. Uno per tutti, tutti per uno“. LEGGI TUTTO

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    Fabbiano: “Mi fermo per ricaricare le batterie”

    Mentre la pattuglia degli azzurri sta disputando un Roland Garros “storico”, uno dei nostri migliori tennisti ha scelto una strada diversa. Thomas Fabbiano non è volato a Parigi, e tanto meno in America per la ripartenza del tour dopo il disastroso blocco imposto dalla pandemia. Ha deciso di fermarsi, di riorganizzare la propria vita e […] LEGGI TUTTO

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    Matteo Piano, non la solita prima volta: “Emozioni fortissime”

    Di Stefano Benzi
    La partita di Coppa Italia contro la NBV Verona, esordio stagionale dell’Allianz Milano, ha segnato anche il ritorno in campo del capitano Matteo Piano, che ai nostri microfoni a fine gara ha parlato del suo momento molto particolare.
    Manca il pubblico e la cosa ga Piano dispiace molto, ma tutto sommato gli consente di dare libero sfogo alle emozioni che lo vedono davvero molto coinvolto al termine del match. Forse scappa anche una mezza lacrima: “Non è facile riuscire ad esprimere quello che sto provando in questo momento perché è davvero tanto, troppo da dire a parole – spiega Matteo con gli occhi lucidi – in tutti questi mesi si sono accavallati molti sentimenti, tantissimi stati d’animo e adesso faccio fatica a controllare tutto. Una cosa è certa, sono molto felice, mi sembra di aver fatto un lunghissimo viaggio, ma solo ora forse realizzo che tutto questo ha avuto un senso”.
    Il dramma di Matteo era cominciato con la maglia della nazionale in Giappone, in ottobre: lesione del legamento crociato del ginocchio sinistro; il tutto nemmeno otto mesi dopo un altro infortunio, questa volta muscolare, al polpaccio destro. Il 2019 per lui è stato un autentico calvario. Il 2020 è cominciato con la pandemia.
    In fin dei conti, con presupposti del genere le cose possono davvero solo andare meglio: “Esco da un periodo davvero molto complicato, molto difficile, e mi dico che sono stato bravo perché sono riuscito ad affrontarlo tutto sommato serenamente, gestendo le cose giorno per giorno e cercando di vedere sempre una prospettiva davanti a me. Posso garantire che per un atleta, quando si affrontano infortuni seri come quello che ho dovuto affrontare io, non è facile. La pandemia poi ha complicato tutto ma ora sono qui, a raccontarlo. E sono molto contento”.
    L’emergenza sanitaria gli ha rovinato il momento più bello, quello del rientro, quando forse avrebbe voluto intorno tutte le persone che nel corso di questi mesi gli sono state vicine sui social anche dopo aver letto il suo libro, “Io, il centrale e i pensieri laterali”: “Non mi sono mai sentito particolarmente solo – dice Piano – ma ammetto che oggi avrei voluto vedere un bel po’ di gente intorno, tutti quelli che mi hanno scritto, incoraggiato, sostenuto. Sarebbe stato bello vedere una tribuna piena e alla fine della partita lasciarmi abbracciare. Purtroppo non si può, lo accetto, è uno dei tanti limiti che questa stagione così difficile ci impone. Ma guardiamo avanti: siamo di nuovo in campo, stiamo giocando e siamo entusiasti di farlo. Stiamo facendo di tutto per dimostrare alla gente della pallavolo che il nostro sport ha un grande futuro e ha soltanto bisogno della sua gente di nuovo intorno, non appena questo sarà possibile”.
    Il capitano dell’Allianz Powervolley spende parole splendide per i suoi compagni di squadra e per l’allenatore, Roberto Piazza: “Ai miei compagni voglio molto bene, siamo molto uniti dentro e fuori dal campo. Ci stiamo dimostrando molto esigenti nei confronti di noi stessi e del gruppo, stiamo lavorando con molto impegno, con grande dedizione. Piazza sostiene che io quest’anno sia il vero nuovo acquisto della squadra e tutto sommato forse ha ragione. In fin dei conti quello che sto facendo quest’anno è qualcosa di completamente diverso rispetto a quello che ho fatto lo scorso anno quando avevamo iniziato la stagione insieme”.
    Matteo, come al solito, si racconta con la consueta franchezza e rivela un retroscena interessante: “Stiamo vivendo un momento storico, diverso da tutti gli altri e sotto questo aspetto c’è bisogno di aiuto, di appoggio. Ho parlato del mio rientro in campo con la mia psicologa dello sport e la cosa interessante è che adesso è lei curiosa di sapere quale sarà la mia esperienza in un momento davvero atipico. La settimana scorsa al termine di un amichevole una signora di ottant’anni mi ha avvicinato e mi ha detto ‘il pubblico è la forza’. Lo confermo, il pubblico è davvero la forza e te ne rendi conto quando non c’è, come in questo caso. Dovremo fare un lavoro di gruppo per essere noi il pubblico di noi stessi, farci forza e darci la carica in attesa che il pubblico sia di nuovo al suo posto”. LEGGI TUTTO