TORINO – Pecco Bagnaia per terra e il mondo Ducati che casca. è la filastrocca del Motomondiale, che conferma, anzi aggrava, la pessima sensazione avuta l’anno scorso: ovvero che a Borgo Panigale abbiamo la moto migliore, ma non riescono a farla vincere. Un paradosso iniziato già nel biennio di sogni infranti con l’esplosione di Andrea Dovizioso e del progetto Desmosedici e che ha portato alla rottura finanche burrascosa tra il forlivese e la Ducati. Solo che adesso è diventato certezza. Triste certezza. Più moto in pista (8), una torma di rosse davanti in tutte le sessioni di prove, ma poi la domenica a far festa è Fabio Quartarato con una Yamaha che non va avanti se non con il francese. E allora ti chiedi? Com’è possibile?
La risposta, di quasi tutti, è che Dovizioso perdeva perché contro c’era Marc Marquez come adesso Bagnaia si deve inchinare al definitivo inquadramento di Quartararo nella “specie” fenomeni. Vero, ma il discorso andrebbe rovesciato. E quindi la domanda che andrebbe fatta diventa: Bagnaia è o non è un fenomeno? La risposta non deve essere mortificante per un ragazzo dalle qualità umane prim’ancora che tecniche eccezionali, com’è vero che il 2020 di Quartararo dimostra che serve tempo per maturare, costruirsi addosso certezze. Ma la Ducati non è il posto dove farlo. Non lo è perché l’uomo non è mai stato messo al centro, neppure dalla rivoluzione filosofica di Gigi Dall’Igna, che ha voluto (e c’è riuscito) costruire una moto “facile”, vincente su tutte le piste e con tutti i piloti. La storia però dice che vincono i campioni, anche con moto che altri non riescono a portare magari neppure a punti (vedi la Honda di oggi): Valentino Rossi con la Yamaha del 2004, Casey Stoner con la Ducati del 2007, Marc Marquez con la Honda degli ultimi titoli, Fabio Quartararo con questa Yamaha.
Ci ha provato a prendere campioni a dire il vero, la Ducati. Anzi, l’aveva fatto. Con Valentino non era questa Ducati, non era pronta. Con Jorge Lorenzo non ha avuto pazienza o peggio ha messo sé stessa davanti al pilota. Poi s’è sentita dire non da tutti. Viñales, Quartararo, Marquez stesso. Qualcosa vorrà pur dire. E se volete una conferma prendete la Ktm, dove vige ancora più forte la politica del prima viene la Casa, poi il pilota. Risultati? Pochi, pochissimi.
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MotoGP: Il fallimento della filosofia Ducati
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