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Wing-car e la Formula 1, dove eravamo rimasti? I modelli Alfa Romeo

La Sauber è attesa, nel 2022, alla realizzazione della sua prima monoposto Formula 1 wing-car. Il costruttore elvetico — dal 2019 sotto le insegne dell’Alfa Romeo Racing — è, infatti, attivo in F1 dal 1993, anno in cui regnavano già da una decade le vetture a fondo piatto provviste di diffusore.

Sauber, tuttavia, non è nuovo alla progettazione di vetture ad effetto suolo. I Prototipi Gruppo C, infatti, si avvalevano di fondi provvisti di profondi e vistosi tunnel Venturi. Il presente ed il futuro in F1 dell’Alfa Romeo passa attraverso l’esperienza della factory di Hinwil.

Dopo la doppietta mondiale nel biennio 1950-1951, il marchio Alfa Romeo torna in Formula 1 — in qualità di costruttore “totale”, telaio e motore — nel 1979.

L’esperienza dei motori 12 cilindri contrapposti — forniti alla Brabham già a partire dal 1976 col modello BT45 — aveva fatto intendere l’ottimo potenziale dei propulsori plurifrazionati realizzati dall’Autodelta di Carlo Chiti.

Le fasi che riportano il marchio Alfa Romeo in F1 — tramite il “braccio armato” della Casa milanese, la già citata Autodelta — si rivelano colme di ripensamenti e tribolazioni. Fatto è che il ritorno del Biscione in F1 coincide con la nascita e l’espansione delle monoposto ad effetto suolo.

L’Alfa Romeo 177 nasce già nel 1977. La vettura concepita da Carlo Chiti incarna un primo, interessante esempio di wing-car “all’italiana”. La vettura effettua intensi collaudi a partire dalla primavera del 1978 (Balocco, Paul Ricard, ecc), anche condotta da Niki Lauda, all’epoca pilota Brabham, il quale, però, boccia il progetto. L’esordio in pista tarda a concretizzarsi.

La 177, benché denoti spunti tecnici degni di nota, si rivela eccessivamente massiccia e pesante. In particolare, è la versione iniziale a presentare le caratteristiche più originali, tra cui l’assenza di un vero e proprio alettone posteriore ed il tipico frontale avvolgente, caratterizzato dalla presenza del radiatore dell’olio centrale e da un’ala avveniristica. Immancabili le lunghe pance, poi modificate e provviste di minigonne mobili.

Lo sviluppo della 177 porterà a versioni più “conservative” della stessa, ora dotate di autentiche ali posteriori. Scompare anche il radiatore dell’olio annegato nel musetto, ricollocato. Inalterata, invece, la configurazione dell’ala anteriore, concettualmente molto simile a quella visibile sulla “bozza” di F1 2022. A spingere l’Alfa Romeo 177 vi è il 12 cilindri contrapposto 115-12 impiegato anche sulle Brabham: un imponente motore che, a bordo di una F1, mal si presta alla ottimizzazione dei tunnel Venturi.

La 177 disputa tre Gran Premi, tutti nel 1979. Ancora eccessivamente massiccia, pesante, poco agile e maneggevole, la 177 — nelle mani di Bruno Giacomelli — colleziona un ritiro (GP del Belgio) ed un 17° posto (GP di Francia). Vittorio Brambilla, invece, non va oltre il 12° posto al GP d’Italia. Frattanto, in occasione del GP monzese, debutta la nuova Alfa Romeo 179, condotta da Giacomelli.

In quel 1979, la 179 è presente solo a Monza, a Montréal (qui col solo Brambilla) e a Watkins Glen. I risultati sono deludenti, tuttavia la 179 si palesa come autentica wing-car di più moderna concezione, nata in galleria del vento. Ad azionarla, infatti, il nuovo e più leggero V12 di 60° aspirato, motore che — data la sua architettura a V stretto — lascia ampio spazio ai Venturi ricavati in corrispondenza delle pance laterali. Il nuovo telaio in honeycomb di alluminio, inoltre, risulta più stretto, leggero e rigido della scocca realizzata in soli pannelli di alluminio rivettati della 177.

La 179 è la vettura che il Marlboro Team Alfa Romeo schiera nel 1980. La bella monoposto concepita da Carlo Chiti e Robert Choulet è caratterizzata da forme tondeggianti e generose. Interessante — ma non inedita — l’ala anteriore a freccia negativa, peculiarità aerodinamica che ritroviamo anche sulla Tyrrell 008 del 1978. Parimenti ad altre vetture, anche la 179 viene, in qualche occasione, spogliata delle ali anteriori già a partire dal 1979.

La vettura si rivela discreta, veloce e competitiva in qualifica ma inaffidabile in gara. È così che Bruno Giacomelli e Patrick Depailler raccolgono meno di quanto in realtà non meritino. Alla morte di Depailler, Vittorio Brambilla prima ed Andrea De Cesaris dopo si alternano alla guida della 179. Gli unici punti della stagione, tuttavia, sono raccolti da Giacomelli, il quale termina al 5° posto a Buenos Aires e ad Hockenheim.

Memorabile, ma dal gusto amaro, la pole-position firmata da “Jack O’ Malley” in quel di Watkins Glen. Una corsa che il veloce pilota italiano comanda saldamente sino al “fatal” giro 31: problemi di accensione e sogno in frantumi.

Nella foto a corredo dell’articolo, è possibile ammirare la 179 al GP di Monaco del 1980 condotta da Patrick Depailler. Si apprezzano le ali anteriori a freccia negativa, le carenature in corrispondenza dei bilancieri della sospensione anteriore che si protendono quasi sino alle bocche delle prese d’aria laterali, le lunghe fiancate caratterizzate dalle “branchie” preposte allo smaltimento dell’aria calda proveniente dai radiatori e dalle minigonne mobili, i quattro terminali di scarico, la griglia a protezione delle trombette di aspirazione del V12 3000cc aspirato.

Il modello 179 è protagonista anche della stagione 1981. Di questa vetture vengono realizzate tre ulteriori versioni: 179C, 179D e 179F. Di fatto si tratta di variazioni sul tema — ossia adattamenti ai nuovi regolamenti entrati in vigore nel 1981 — della valida 179. L’essenzialità aerodinamica delle wing-car del biennio 1979-1980 lascia il campo a vetture ora sprovviste di minigonne mobili ma dotate di profili alari decisamente più imponenti.

Tanto la 179C quanto la 179D presentano, in tal senso, un vistoso alettone anteriore a sbalzo. Si sperimentano, inoltre, le “minigonne d’aria”: l’aria, incanalata in apposite e strette feritoie ricavate lungo le pance, viene scaricata ad alta velocità verso il suolo. Lo scopo è sigillare il fondo vettura mediante una sorta di “muro d’aria”. La medesima soluzione la ritroviamo nelle F1 contemporanee: ci riferiamo agli slot ricavati lungo il fondo vettura che, di fatto, realizzano minigonne d’aria.

Bruno Giacomelli e Mario Andretti portano in gara la 179C. Meno brillante in qualifica della 179 del 1980, la 179C si rivela discretamente competitiva in gara, benché ben al di sotto delle aspettative dell’Autodelta. Andretti conclude al 4° posto il GP USA Ovest a Long Beach, Giacomelli è 4° a Montréal e 3° a Las Vegas. La 179D, invece, non coglie alcun punto iridato: è impiegata da Giacomelli e Andretti in occasione dei GP di Germania e Austria, dal solo campione italo-americano nei GP dei Paesi Bassi, Italia, Canada, Las Vegas.

L’Alfa Romeo cerca il rilancio definitivo nel 1982. Arriva Gérard Ducarouge. Il confermatissimo Giacomelli è affiancato dal sempre veloce Andrea De Cesaris. Per l’esordio della stagione in Sudafrica, l’Autodelta porta in pista la 179D. Nascosta e mai usata in quel di Kyalami, vi è anche la 179F. Si tratta della prima vettura Alfa Romeo con scocca in fibra di carbonio. Questa vettura non verrà mai impiegata in gara, prontamente sostituita dall’Alfa Romeo 182. La 179F “Test Car” è oggi esposta al Museo Alfa Romeo.

La 182 si mostra quale ulteriore passo evolutivo compiuto dall’Autodelta attorno al concetto di wing-car. Curata e moderna, la 182 palesa linee più filanti e rastremate rispetto alle precedenti 179. Curati i Venturi, provvisti di vasca centrale carenante la trasmissione. Anche la 182 presenta i tipici quattro terminali di scarico: ciascuna bancata di 6 cilindri del V12 di 60° 1260, infatti, presenta due gruppi di scarichi 3 in 1. I terminali, ora, sono collocati tra gli elementi superiori della sospensione posteriore, il telaietto di supporto ed i semiassi. Sempre presente, a bordo della 182, l’ala anteriore.

La monoposto si rivela sufficientemente veloce e competitiva in qualifica ma inaffidabile in gara. Andrea De Cesaris conquista la pole-position in occasione del GP USA Ovest a Long Beach ed è di nuovo in prima fila — 2° tempo — a Detroit (GP USA Est). Giacomelli, dal canto suo, scatta col 3° tempo al GP di Monaco. Monaco 1982, appunto. Uno dei più “pazzi” GP della storia della F1. Un GP che vede, tra i possibili vincitori, anche De Cesaris, il quale, però, concluderà la corsa al 3° posto e a secco di carburante.

Tra incidenti, prestazioni fuori dalla zona punti e rotture meccaniche, la 182 racimola solo 7 punti, frutto del già menzionato 3° posto di De Cesaris in quel di Monaco, del 6° colto ancora dal pilota romano a Montréal e del 5° agguantato da Giacomelli ad Hockenheim. Risultati magri a fronte di una vettura dall’ottimo potenziale.

Frattanto, nel corso delle prove del GP d’Italia a Monza, scende in pista anche l’Alfa Romeo 182T. La vettura laboratorio è azionata dal nuovo 8 cilindri 1500cc Turbo, motore che debutterà ufficialmente in gara sulla 183T del 1983.

Anche per l’Alfa Romeo, il 1982 è l’ultimo anno delle monoposto di F1 ad effetto suolo. Senza dubbio, l’Autodelta ha proposto vetture e motori interessanti i quali, tuttavia, hanno raccolto poco. Le cause dei magri risultati colti in gara dalle vetture Alfa Romeo sono molteplici. Tra esse, tuttavia, vi è la controversa figura di Carlo Chiti stesso, ottimo tecnico ma accentratore e poco avvezzo al dialogo con i propri collaboratori. Un fattore che ha tarpato le ali allo sviluppo.

Un fatto è certo: le wing-car Alfa Romeo rimangono, ancora oggi, vetture ammirate in tutto il mondo.

Fonte: https://www.circusf1.com/2021/11/wing-car-e-la-formula-1-dove-eravamo-rimasti-i-modelli-alfa-romeo.php


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