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US Open, il programma di oggi: Alcaraz-Zverev e Medvedev-Rublev

Alcaraz, Medvedev, Rublev e Zverev. In ordine di ranking e alfabetico. I nomi di chi è ai quarti di finale nella parte alta di tabellone agli US Open 2023 non potrebbero essere più altisonanti di così. E pazienza se tra i contendenti manca Jannik Sinner: la sensazione, piuttosto, è che lo squilibrio di forza prevedibile fin dal sorteggio, abbia portato a troppe finali anticipate.

Alcaraz-Zverev, la sfida dei due mondi

La sfida tra Alcaraz e Zverev non sarà soltanto un confronto di stili e di atteggiamento, ma quasi una guerra tra due mondi e, soprattutto, tra due modi diversi di intendere l’etichetta di predestinato. Carlitos gioca sulle nuvole, quasi sempre impermeabile alla pressione, sempre sorridente e straripante in campo. A 20 anni, lo spagnolo già si trova nella situazione di dover difendere il primo Slam in carriera e sta reagendo allo stress con una maturità encomiabile, che deve essere di esempio per i bambini. Dal (non) esordio contro Koepfer alla prova di forza contro Harris, dalla cronaca annunciata di una vittoria contro Evans alla sfida “green” contro Arnaldi: fino a ora, il nemico di Alcaraz è stato Alcaraz stesso, la cui esuberanza a volte balla sul confine con l’arroganza, senza però mai superarlo veramente.

Carlitos ha la dinamite nel braccio e la piuma nel tocco, ma soprattutto vince con il sorriso, quel sorriso che si impone di non perdere mai, tanto da rimanere destabilizzato le rare volte in cui questo avviene. “Non so perché io abbia pianto, sono fiero di me stesso”, aveva detto in conferenza stampa dopo la sconfitta in finale a Cincinnati contro Djokovic, partita in cui lo spagnolo era stato avanti di un set e di un break e aveva anche avuto match point nel tiebreak del secondo parziale. Quelle lacrime erano state un segno di innocenza e, perché no, anche la dimostrazione che in Alcaraz vive un piccolo bambino un po’ “viziato” che deve avere tutti i giocattoli, o per meglio dire, tutti i trofei. Comprensibile, umano e, a dirla tutta, anche uno tra gli aspetti che più piace di Charlie, sempre più numero 1 per il popolo.

Uomo del popolo, invece, è una definizione che non funziona per Zverev il quale, al contrario, tra alti e bassi, dolorose sconfitte e vittorie da copertina, infortuni e problemi fuori dal campo, dichiarazioni troppo impulsive in conferenza stampa e in generale la sensazione di non essere tagliato per i riflettori, ha lentamente abdicato allo status di “next big thing” senza capire se questo sia un bene o un male per lui. Il tempo sbiadisce i ricordi, ma prima di Carlitos, esisteva Sascha, il prossimo vincitore di 20 Slam, colui che sconfiggeva re Roger Federer sull’erba di Halle a 19 anni e che impartiva una severa lezione a Novak Djokovic sulla terra rossa di Roma nel 2017.

Esistono due “sliding doors” nella carriera e nella vita di Zverev: la prima proprio agli US Open nel 2020, nell’edizione a porte chiuse per contrastare il Covid-19 e in una finale persa dal tedesco da un vantaggio di due set a zero, più break nel terzo set, più possibilità di chiudere la partita sul 5-3 e servizio nel quinto parziale. La seconda, invece, in semifinale al Roland Garros 2022, il giorno in cui Sascha ha scoperto che sono sufficienti poco meno di dieci secondi e un piede girato male per passare dalla gloria di sconfiggere Nadal sul Philippe Chatrier alla polvere, letterale, incollata alla canottiera di un gigante ferito e con sette legamenti della caviglia destra in frantumi.

Zverev non saprà mai sorridere e divertirsi in campo come Alcaraz, perché la leggerezza non si insegna, ma, quantomeno, sta provando a riscrivere la propria storia, dimostrando che, a volte, la predestinazione si compie per vie misteriose e ben più complicate di quanto ci si aspettasse.

I precedenti dicono 3-2 per Zverev, 1-0 per Sascha negli Slam, in quel quarto di finale al Roland Garros 2022 che non lasciava presagire il successivo dramma, e 2-0 sul cemento – anche se entrambe le partite risalgono al 2021, al primo turno di Acapulco e in semifinale a Vienna, con Alcaraz che era poco più che un bambino. Preoccupa anche il bilancio di Zverev contro i top ten negli Slam: 2 vittorie e 13 sconfitte. Senza contare che Sascha arriva dalla maratona di cinque ore contro Sinner, da aggiungere alle sei ore in due partite contro Altmaier e Dimitrov. Strategie per continuare a sognare? Spegnere il cervello e provare a giocare con il sorriso. Proprio come Alcaraz. E cercare di non pensare al fatto che a seguire incombono Medvedev (o Rublev) e probabilmente Djokovic. 

Amici contro: derby russo Medvedev-Rublev

A giocarsi il secondo posto in semifinale nella parte alta di tabellone, Medvedev e Rublev, connazionali e quasi “familiari”, essendo Andrey il padrino di battesimo di Alisa, la figlia di Daniil. Questo non significa che Rublev potrà contare sulla generosità di Medvedev in campo. I precedenti dicono 5-2 per Daniil, con l’aggravante di 2-0 per il russo più titolato negli Slam – curiosamente entrambe le partite si sono giocate a livello di quarti di finale di Major sul cemento, agli US Open 2020 e agli Australian Open 2021.

Tra i due sembra esserci un divario importante anche in termini di approccio a questi tornei: Daniil vanta quattro finali Slam, con l’unica vittoria arrivata proprio a New York nel 2021 contro un Novak Djokovic a una vittoria dal Calendar Grand Slam, in una notte che doveva essere di festa per il serbo e che si è trasformata nell’apoteosi di chi, a proposito di predestinazione, non era mai stato nominato tra chi poteva traghettare il tennis oltre i Fab Four. Andrey, invece è 0-8 nei quarti di finale Major, con due sconfitte agli Australian Open (2021 contro Medvedev e 2023 contro Djokovic), due al Roland Garros (2020 contro Tsitsipas e 2022 contro Cilic), una a Wimbledon (2023 contro Djokovic) e tre agli US Open (2017 contro Nadal, 2020 contro Medvedev e 2022 contro Tiafoe). Servirà qualcosa di speciale per non lasciarsi intrappolare nella rete difensiva di Medvedev e per non finire 0-9 in questa triste statistica. E, soprattutto, per non trovarsi, ancora una volta, a rimuginare e a vedere ancora più ampio un gap con i top player che, in realtà, è più sottile che mai. 

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