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De Meo esclusivo: “In Formula 1 vorrei costruttori veri”

È sufficiente per immaginare di essere la terza forza?
«Ci sono più risorse per lo sviluppo nel corso della stagione e un’organizzazione meglio strutturata. Abbiamo messo dentro o spostato di mansione figure di rilievo come Harman, Szafnauer, Famin, Pat Fry. Immaginavo ci sarebbe voluto un annetto per rimettere ordine nel mazzo. Non stavamo facendo confusione, abbiamo sempre avuto un progetto: impostare una squadra omogenea. Era quello che probabilmente all’inizio ci mancava. L’etichetta di aspiranti al terzo posto ci viene appiccicata da fuori».

Un po’ rischioso per un giovane come Ocon trovarsi al fianco una personalità come Alonso.
«Al contrario, proprio lì si vede lo spirito di squadra di cui parlavamo. Avevamo un solo fondo nuovo per Imola e invece di darlo a Ocon, che è davanti in classifica, lo abbiamo assegnato a Fernando, che sin qui è stato sfortunato. Lo scorso anno Esteban viveva la collaborazione con Alonso come una grandissima opportunità. Classico meccanismo di maestro e allievo: uno scambio di informazioni che continua. I piloti sono eroi che non vanno da nessuna parte senza la squadra. Anche quando è sembrato che si scontrassero, in realtà i due si tiravano la volata a vicenda. Almeno, questo è ciò che entrambi mi hanno raccontato. Noi non pensiamo che la logica primo/secondo pilota sia quella giusta».

Obiettivi realistici, dunque?
«Mettere tutti nelle condizioni di lavorare al meglio. Diffido di quelli che spiegano quando e perché vinceranno il Mondiale».

Non proprio in questo modo, ma la Ferrari si era annunciata per il 2022.
«Perché è così che funziona. Passi due anni a mettere insieme tutti i pezzi, passetto dopo passetto, poi di colpo si allineano i pianeti. Sembra che la Ferrari sia su questa rotta. Prima ha funzionato anche alla Mercedes, che però si è giovata di un regolamento che le ha permesso di partire con due anni di vantaggio su tutti gli altri. Questo è uno sport estremo: contano anche i due decimi che perdi al pit stop».

Uno sport estremo sì, ma ancora appetibile per i grandi costruttori di automobili?
«Anzi, mi sembra ci sia un interesse rinnovato. Per esempio: si parla del gruppo Volkswagen con Porsche e Audi. È la prova lampante che i costruttori riconoscono un valore a questa piattaforma che Stefano Domenicali sta rivoluzionando con risultati eccezionali».

Non piace a tutti questa prospettiva di ritrovarsi la Volkskwagen tra i piedi.
«Sicuro. Meglio gareggiare contro qualcuno che fa pezzi di ricambio piuttosto che avere a che fare con una casa leggendaria nelle competizioni come la Porsche. La verità è che abbiamo trovato, discutendo, un set di regole equilibrato. E su questa base dobbiamo rafforzare prestigio e immagine della Formula 1».

L’impostazione Domenicali funziona, dunque?
«Parlano i numeri che s’impennano. Del resto sono stato io a portare Stefano all’Audi quando volevamo entrare in Formula 1, un progetto che in quel momento non è andato a buon fine. È vero pure che le iniziative di Netflix hanno contribuito a diffusione e ascolti. Sono un romantico e voglio vedere Le Ferrari, le Mercedes, le Aston Martin, le Porsche battersi tra loro. Noi della Renault non partecipiamo come Alpine per nasconderci, tutt’altro. Alpine è la nostra marca sportiva, dunque presentarci con questo nome mi sembra molto più logico. Tricolore francese, blu Francia e vocazione agonistica piuttosto che un marchio popolare».

Questo però significa che l’Alpine deve sfruttare commercialmente la scia della Formula 1.
«Accadrà dal biennio 2024/25. Con Alpine vogliamo fare in modo che le auto elettriche diventino prodotti emozionanti. Non vogliamo produrre televisioni su ruote, elettrodomestici su strada. Combattiamo questa idea e l’Alpine è il nostro strumento. È chiaro che in questo periodo non possiamo pensare di riproporre motori a combustione innovativi».

Avete un vivaio ricco. Perché non fate esordire, per esempio, Oscar Piastri?
«Ci vorrebbero tre macchine».

Oppure, banalmente, un team satellite.
«Un gioco che non mi piace. La Formula 1 merita dieci team indipendenti che producano telaio e motore. Siamo all’università dell’automobilismo. È arrivato il momento di andare in questa direzione. Vuoi stare qui? Devi saper produrre tutto, come facciamo noi».


Fonte: http://www.corrieredellosport.it/rss/formula-1


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