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Il campione e la corsa. Fernando Alonso e Le Mans


La pista del Circuit de la Sarthe, Le Mans,  misura poco più di tredici chilometri e accanto a te sfilano auto diverse le une dalle altre, non solo esteticamente. Tutti, al solito, vogliono vincere, ma stavolta dovranno allargare l’orizzonte di questo volere per ventiquattro ore. Partirete lanciati, insieme: prototipi, gte, ufficiali e clienti.

Sarete tu, il tuo casco e la tua tuta a bordo di una monoposto che non sarà solo tua, ma di altri due tuoi pari. Correrete da soli ma anche insieme, condividerete l’abitacolo, la voglia di vincere, i meccanici, la notte.

Già, la notte: non sarà una scusa per andare meno forte o togliersi da questa o quella lotta, perché a Le Mans la notte non esiste. È solo fare le stesse cose con uno sfondo diverso, con il sole che non tramonta, ma diventa nero.

Tutto quel che accade in una giornata in autodromo può accadere in una gara che dura una giornata: pioggia, freddo, caldo, vento, incidenti, guasti, penalità. Ogni tre ore sarai da solo, là fuori, senza esserlo mai del tutto, perché è come se accanto a te ne fossero seduti altri due.

Sarete tu, il tuo casco, la tua tuta e un telefono, di quelli con i tasti a rilievo e le batterie che durano un’eternità, vecchi ma non obsoleti, come gli eroi indistruttibili della fantascienza, come questa gara che sembra viaggiare nel tempo e provenire direttamente da un’altra epoca. Quella in cui la Formula Uno e le gare del campionato Endurance non erano mondi paralleli o futuri alternativi  ma realtà di uno stesso presente, nel quale i piloti, gli eroi, vivevano e si misuravano fra loro.

Nico Hülkenberg ci aveva spiegato già nel 2015 che un pilota di Formula Uno può vincere la 24 Ore di Le Mans all’esordio, dimostrando che vale anche per l’automobilismo attuale il paradosso del velocista puro, della star centometrista che culla il proprio ego con gli osanna degli stadi, il quale scende in pista per la staffetta pronto a passare il testimone, condividendo con altri velocisti i blocchi di partenza e la gloria del trionfo. Fernando Alonso ha ribadito il concetto, riscoprendo il sapore vero dell’impresa sportiva ma anche dilatandone il clamore.

Non era difficile prevedere che la vittoria di Alonso e dell’equipaggio della Toyota #8, avvenuto nell’edizione in cui mancavano tutti gli altri grandi costruttori con i propri team ufficiali nella classe regina, la LMP1, con l’unico vero avversario rappresentato da un altro equipaggio Toyota, avrebbe scatenato un dibattito che oltrepassava la vittoria sportiva in sé. C’è la superstar della Formula Uno, il campione alla disperata ricerca di un’affermazione che manca da tanti, troppi anni, che si accasa con il grande costruttore rimasto senza rivali e ben felice di regalare – e regalarsi – una passerella mediatica di prim’ordine. Si è parlato di contentino per una carriera ormai in declino, di vittoria facilitata per un costruttore che non poteva fare altro se non vincere, dei due altri piloti dell’equipaggio – gli ottimi Nakajima e Buemi – trattati come comprimari e di ordini di scuderia. Visioni parziali, viziate da un certo modo di interpretare le corse che è il male stesso delle corse, così come altrettanto viziate e parziali sono state le visioni trionfalistiche di chi ha narrato l’ultima Le Mans con i toni di un’agiografia.

Come se la fatalità, che sia rappresentata da un guasto meccanico nell’ultima ora di corsa o nell’ultimo giro di pista, da un meteo avverso improvviso o da un incidente in cui si resta coinvolti, non fosse un avversario abbastanza feroce con cui fare i conti, come Toyota ben sa.

Come se Fernando Alonso, trecento Gran Premi sulle spalle, due titoli del mondo conquistati contro gente come Schumacher e Raikkonen e altri due sfuggiti per un niente contro gente come Vettel e Hamilton, avesse bisogno di affermarsi a Le Mans per dimostrare al mondo di essere un grande pilota e un campione vero.

Forse non ne aveva bisogno lui, ma serviva più a noi, gente con la memoria corta, per ricordare che prima dei Verstappen e dei Vettel, abbattitori seriali di record a suon di precocità, c’è stato un giovanissimo pilota spagnolo che veniva dal niente a scuotere le classifiche e a far innamorare schiere trasversali di tifosi. E chi ricorda quel che sono state le stagioni di Formula Uno fra il 2004 e il 2007 sa bene che prima di Hamilton c’era un altro ex bambino che correva nei kart con i colori di Senna, che voleva diventare come lui e che, con una caparbietà e una durezza pari solo al peso del suo piede destro, era pronto a frantumarne i record.

Quale piega abbiano preso gli eventi, invece, è cosa arcinota, da quell’innominabile 2007 a oggi. Non è certo questo il luogo in cui stabilire di chi sia la colpa o quali ne siano le ragioni, certo è che alle vicende, sportive e non, che si sono succedute è emersa la figura di un uomo e pilota complesso, che scatena i peggiori dibattitti e divide le platee. Anche perché c’è stata una Ferrari di mezzo.

C’è chi ha esultato con lui a Monza, chi ha fatto i conti con la delusione di Abu Dhabi, chi si è commosso a Valencia, chi ha pianto in Brasile e chi continua, comunque, a vederlo ancora attraverso il filtro dell’amore Rosso, nonostante quei tempi sembrino quasi appartenere a una sorta di passato distopico.

L’impresa di Fernando Alonso con Toyota a Le Mans, vittoria vera, d’equipe e di singoli, non è solo un contentino per la sua inappagata fame di allori o per il suo ego che aspira a calzare la Tripla Corona, né una ventata che alimenta il già virulento fuoco di chi lo ama, indipendentemente da squadre e casacche. È equilibrio, è dare a Cesare quel che è di Cesare. È il giusto premio per un campione chi non si rassegna a lasciare di sé come ultimo ricordo quello di uno che prendeva il sole sulla sdraio durante le qualifiche e si lanciava in colorite rappresaglie via radio, ma come uno che era solo, di notte, su una pista lunga più di tredici chilometri, con il suo casco, la sua tuta i suoi guanti e una monoposto che non era soltanto sua, mentre non correva soltanto per sé, per la sua gloria di centometrista o per la sua Tripla Corona, ma anche per altri due piloti come lui. E per tutti coloro i quali si godevano lo spettacolo della 24 Ore.

Fonte: http://feedproxy.google.com/~r/CircusFormula1/~3/_zyauyjScHE/il-campione-e-la-corsa-fernando-alonso-e-le-mans.php


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