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La storia delle volate nel ciclismo

Cancellara, in fuga, viene ripreso dal treno della Milram. Prima Lancaster e poi Ongarato pilotano alla grande Petacchi (in maglia Ciclamino). Appena Lancaster si sposta, Ongarato si volta e vede che alla sua destra sta rimontando posizioni Julian Dean (con la maglia di campione nazionale della Nuova Zelanda) con a ruota Thor Hushovd. A quel punto rilancia l’azione e pochi metri dopo Dean è costretto a rialzarsi dopo essere stato inutilmente con il vento in faccia per circa cento metri e Hushovd si infila alle spalle di Bettini prendendo letteralmente a testate Danilo Napolitano. Ongarato, dopo aver completato il suo lavoro, si sposta quel tanto che basta per far passare Petacchi lungo le transenne, rimanendo però molto vicino per impedire a Bettini di affiancarlo.

I battitori liberi

Ma se velocisti così grossi e potenti come Cipollini e Petacchi avevano necessità di un treno che li lanciasse verso la volata finale, alcuni dei loro avversari agivano in completa autonomia. Una capacità che deriva da una parte dall’assenza di una squadra interamente dedicata a loro, e dall’altra per la loro struttura fisica, più esile e scattante, e che quindi non necessita di una “spinta” per essere messa in moto.

Robbie McEwen è stato uno dei talenti più luminosi del ciclismo contemporaneo in questo senso. Agile e veloce, autonomo e bravissimo nel muoversi in spazi ristretti saltando come un grillo da una ruota all’altra e riuscendo con facilità a raggiungere la velocità di punta, McEwen è stato a lungo il principale spauracchio di Petacchi nelle volate del Giro d’Italia.

Un altro esempio di questa tipologia di corridore è stato Oscar Freire. Lo spagnolo riuscì addirittura a vincere tre titoli mondiali nascondendosi per tutta la gara e sbucando fuori all’improvviso sulla linea del traguardo. Memorabile in tal senso la sua vittoria alla Milano-Sanremo del 2004, quando bruciò sul colpo di reni un Erik Zabel già a braccia alzate.

La strategia di questa tipologia di ciclisti è chiara e semplice: piazzarsi a ruota del bisonte di turno e cercare di sorprenderlo negli ultimi 50 metri. Una tattica che paga grossi dividendi ma che richiede anche una notevole abilità nella sua esecuzione.

Freire e McEwen in questo erano dei maestri. Sapevano leggere in anticipo le mosse degli avversari e riuscivano ogni volta a francobollarsi al treno di turno. Non è mai facile, nella lotta per le posizioni che precede una volata, muoversi nei piccoli spazi lasciati liberi dagli avversari per risalire posizioni e piazzarsi nel posto giusto. Servono sangue freddo e una grande padronanza del mezzo, due caratteristiche che a Freire e McEwen non sono mai mancate e che, unite a un favoloso spunto veloce, hanno concesso loro di portarsi a casa innumerevoli vittorie nell’arco delle rispettive carriere.

La fine dei treni

Con la chiusura della Fassa Bortolo, e successivamente anche della Milram (le due storiche squadre di Alessandro Petacchi), si chiuse anche la grande stagione dei treni. Le squadre non avevano più la possibilità di dedicare un’intera formazione solamente per le volate e l’evoluzione dei velocisti di riferimento, solitamente provenienti dal ciclismo su pista e più agili di corporatura, ha fatto sì che l’antica arte dell’apripista venisse piano piano abbandonata.

I pistard prestati alla strada, infatti, hanno già da soli la capacità di barcamenarsi all’interno del gruppo tenendosi fuori dai pericoli. La caratteristica principale del velocista contemporaneo è quindi diventata quella di scegliere l’avversario giusto a cui incollarsi fino a che non parte lo sprint, per poi provare a superarlo negli ultimi metri.

In assenza dei grandi treni, scegliere la ruota giusta nel caos che anticipa sempre una volata è diventato fondamentale e sempre più spesso si vedono ciclisti prendersi letteralmente a testate per conquistare la posizione buona alle spalle del favorito di turno. Per chi sta davanti, invece, basta anche un bel “passistone” (ovvero un gregario in grado di mantenere una velocità elevata rimanendo a lungo in testa col vento in faccia e che sappia quindi tenere davanti il proprio velocista) con lo spunto veloce che ti guidi fino ai fatidici 250 metri.

Inoltre, se fino a pochi anni fa veniva punito severamente qualsiasi cambio di direzione negli ultimi 300 metri, oggi le giurie tendono a chiudere un occhio, vista proprio la confusione che si viene a creare per via dell’assenza di un treno di riferimento. Nella terza tappa di questo Giro d’Italia, Sam Bennett si è spostato brutalmente da un lato all’altro della carreggiata e Viviani, che tentava di scavalcarlo a destra, è stato costretto a passare di forza tra l’irlandese e le transenne.

La manovra di Bennett, fino a pochi anni fa, gli sarebbe valsa la retrocessione all’ultimo posto del gruppo. Oggi si è più tolleranti, a causa della disorganizzazione che regna sovrana nell’ultimo chilometro in assenza di treni ben strutturati. Ma se questo da un lato forse favorisce una spettacolarizzazione televisiva spesso richiesta al ciclismo, dall’altro mette a rischio l’incolumità dei ciclisti in gara.

Il declino dei treni come organizzazione strategica delle squadre è stato evidente in quest’ultimo Giro d’Italia. In queste prime due volate abbiamo ad esempio visto la Quick Step tentare di organizzare il treno per Viviani, senza mai riuscirci. La colpa, oltre a dei finali di percorso piuttosto tortuosi, è da ricercare anche nella scarsa capacità di Fabio Sabatini di “sentire” la presenza del suo compagno a ruota.

In entrambe le occasioni, infatti, poco prima di partire con la volata, Sabatini si è perso sistematicamente Viviani, che è stato bravo a prendere la ruota giusta sfruttando il lavoro di Sam Bennett, prima di demolirlo nel testa a testa. Nella tappa di Tel Aviv, la Quick Step era partita bene ma già ai 900 metri dal traguardo il treno di Viviani si era già fatto sorprendere dagli avversari che hanno avuto vita facile nell’inserirsi fra i vagoni facendo saltare l’organizzazione della Quick Step.

Viviani in questo caso è bravo a ritrovare subito la ruota di Fabio Sabatini, che però all’ultima curva decide di infilarsi in una traiettoria che il suo compagno non può seguire.

Il trenino della Quick Step si sfalda un’altra volta ma Viviani non si perde d’animo e battezza la ruota di Sam Bennett.


Fonte: https://sport.sky.it/rss/sport_ciclismo.xml


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