Per chi ama andare a scoprire i talenti del futuro Team USA ancor prima che questi trovino la loro consacrazione a livello professionistico il nome di Olivia Babcock probabilmente non è una novità. Pur trattandosi di una classe 2005 è da tempo che circolano voci sulle sue qualità, ma mai come nella sua esperienza al college l’opposta californiana sta giustificando queste attese. All’esordio in NCAA con le Pittsburgh Panthers si è presa decisamente la scena, al punto da vincere il premio di “AVCA National Freshman of the Year” ed essere inserita nel “First Team All-America”, la squadra ideale del campionato.
Dunque, sembra che gli ingredienti per plasmare una nuova stella della pallavolo americana ci siano tutti. Se poi sarà anche vincente sarà solamente il resto della sua carriera a dircelo, ma il percorso che sta portando Babcock a imporsi come una delle giocatrici più interessanti a livello collegiale non potrebbe essere scritto meglio.
foto Pitt Athletics
Olivia, presentati ai lettori di Volley News raccontando qualcosa su di te e sulla tua storia.
“Sono Olivia, una ‘student-athlete’ che tra poco inizierà il suo secondo anno all’Università di Pittsburgh. Sono cresciuta a Los Angeles, in California, e pratico sport fin da quando ero piccola. Mio padre, grande appassionato di sport, ha sempre incoraggiato me e mia sorella a provare un sacco di discipline. Tuttavia, ho deciso di focalizzarmi sulla pallavolo soltanto durante il secondo anno di high school, in un periodo condizionato dalla pandemia. All’inizio molte persone dubitavano delle mie capacità perché fino ad allora non avevo mai fatto parte di un club. Infatti, a causa delle chiusure, sembrava che unirsi a un club fosse l’unico modo per poter giocare a pallavolo. Alla fine, però, sono riuscita a convincere mio padre e dopo un anno ricco di successi ho capito quanto amassi questo sport. Da lì è incominciato il percorso che mi ha permesso di arrivare a Pitt“.
Nello specifico, che cosa ti ha fatto appassionare alla pallavolo?
“La mia passione per la pallavolo è senza dubbio radicata nell’ambiente e nella competitività che la caratterizzano. Apprezzo particolarmente il fatto che nel mondo del volley tutti hanno grande rispetto nei confronti di questo sport e di chi li circonda, poiché sanno da dove arriva la loro competitività e quanto è importante la loro passione. Pertanto, ritengo che sia estremamente bello far parte di un ambiente così inclusivo e amichevole, dove tutti condividono la stessa passione“.
Com’è stato il percorso che ti ha portato alla Pittsburgh University? E come mai hai scelto proprio questo ateneo?
“La mia carriera è cominciata relativamente tardi. Certo, da bambina ho giocato tanto a pallavolo, prendendo parte a tornei amatoriali, e talvolta a beach volley sulle spiagge del sud della California. Però, come accennavo in precedenza, ho iniziato a giocare seriamente solo durante il secondo anno di liceo, quando è arrivato il Covid. Inizialmente militavo nella squadra liceale. Poi, quando in tanti hanno riconosciuto il mio potenziale e la mia passione per questo sport, mi è stato consigliato di unirmi a un club per poter continuare a giocare. Nonostante qualche esitazione, alla fine sono riuscita a convincere mio padre e così sono entrata a far parte di una squadra di club. Il primo anno è stato molto positivo e così ho ricevuto una proposta dall’Università di Pittsburgh. Nelle stagioni successive ho cambiato diversi club e ho trovato come compagna Torrey Stafford, con cui ho condiviso praticamente tutte le mie esperienze pallavolistiche”.
“La ragione per cui ho scelto Pitt è principalmente legata alla sua atmosfera e ai suoi valori. Molti affermano di dare priorità alla persona piuttosto che alla giocatrice, ma pochi lo dimostrano effettivamente come succede a Pitt. In passato, mi è capitato di far parte di squadre che mostravano rispetto e si prendevano cura di te solo in base alle tue abilità. Ma questo non è mai successo a Pitt“.
Chi ti ha aiutato a comprendere quale fosse il tuo potenziale?
“La prima persona che mi viene in mente è senza dubbio mio padre. Ha sempre creduto in me e ripetuto che mi avrebbe sostenuto in tutto ciò che avessi voluto fare. Il suo sostegno è stato particolarmente evidente quando ho iniziato a giocare: mi rassicurava dicendomi che avrebbe fatto qualsiasi cosa per aiutarmi a raggiungere i miei obiettivi. Anche adesso, mi chiama spesso per ricordarmi che non farà mai mancare il suo sostegno incondizionato. Quindi, è il mio più grande tifoso, mi aiuta a esprimere tutto il mio potenziale e non ha mai dubitato di me. Nel mio percorso è stato importante anche un allenatore che mi ha seguito durante il periodo delle scuole medie, quando partecipavo a un campionato amatoriale: intravedeva un grande potenziale in me e mi incoraggiava a giocare a pallavolo. A posteriori, posso dire che quasi mi rammarica il fatto di non aver iniziato a percorrere con decisione questa strada già da quel momento. Tuttavia, sono ancora in contatto con questo allenatore, che continua a credere nelle mie capacità e non smette di ricordarmi quanto potenziale inespresso vede in me“.
foto Pitt Athletics
Come valuti il tuo primo anno con le Pittsburgh Panthers? Qual è stato il momento più bello?
“Il primo anno a Pitt è stato straordinario ed è andato oltre alle mie aspettative. Tutti si aspettavano grandi cose da noi e il nostro obiettivo era quello di arrivare il più lontano possibile. Tuttavia, prevedere risultati positivi e raggiungerli effettivamente sono due cose molto diverse. Alla fine, l’intera stagione è stata ricca di momenti incredibili e vivere tutto questo mi è sembrato quasi surreale. La nostra squadra si è dimostrata incredibilmente unita, al punto che per me andare in campo era come stare in famiglia. Questo fattore ha reso l’esperienza ancora più piacevole. Se avessi la possibilità di rivivere il mio primo anno a Pitt, farei tutto esattamente nello stesso modo. Per quanto riguarda il momento più bello della scorsa stagione, direi senza dubbio la rimonta contro Louisville che ci ha permesso di invertire la rotta e accedere alla Final Four: ci era capitato di battere questo avversario ribaltando il risultato anche nel corso della regular season, ma farlo nel nostro palazzetto, con una posta in palio così importante, è stato a dir poco fantastico“.
Hai dovuto affrontare qualche sfida particolare nel passaggio da high school a college?
“Me ne vengono in mente due. La prima è relativa ai primi mesi qui a Pitt, quando ho subito una frattura da stress alla colonna vertebrale e non ho potuto lavorare con la squadra. È stata una situazione estenuante perché vedevo che le mie compagne avevano trovato una buona intesa e al rientro in campo sarei stata penalizzata. Ero molto nervosa perché ci sarebbe voluto tanto tempo per adattarmi alla squadra e al nuovo stile di gioco. Perciò, ho parlato più volte con gli allenatori per capire se avessi dovuto richiedere lo status di redshirt, ma loro mi hanno rassicurata dicendomi che ce l’avrei fatta e che questo infortunio non mi avrebbe definito come giocatrice. Non avevo mai avuto un infortunio così grave, e scoprire di essermi fatta male una settimana prima del mio arrivo è stato un colpo che ha affossato la fiducia in me stessa. Tuttavia, grazie al sostegno delle mie compagne è stato più facile affrontare e superare questa situazione. La seconda sfida, invece, riguarda la pressione in generale: credo che sia normale doverla gestire quando si pratica sport ad alti livelli“.
Che tipo di opposto sei? Come ti descriveresti?
“Per descrivere il mio stile di gioco userei l’espressione ‘alto rischio, alta ricompensa’. Sono una giocatrice che dà sempre il massimo e questo approccio di solito paga. Sicuramente è un modo di giocare che talvolta ti fa correre qualche rischio; tuttavia, sono fermamente convinta che sia molto redditizio. Un’altra caratteristica è la capacità di attivare la modalità ‘no think’: quando metto piede in campo, non mi soffermo su ciò che è già accaduto perché non c’è nulla che possa fare per modificarlo. Inoltre, non si può prevedere cosa succederà in futuro finché non accade effettivamente. Perciò, spengo il mio cervello e cerco di restare focalizzata sul presente, di fare del mio meglio, di giocare per la squadra e di non distogliere lo sguardo dall’obiettivo“.
Sei considerata uno dei migliori prospetti della NCAA e sei stata la prima Panther di sempre a ricevere il premio di “AVCA National Freshman of the Year”. Cosa significa tutto questo per te?
“Lo considero un grande onore. Non sapevo nemmeno di essere la prima Panther a ricevere quel premio fino a quando non me l’hanno detto. Sono molto felice di essere riuscita ad avere un impatto significativo sulla squadra, ma non avrei potuto raggiungere questo risultato senza il sostegno delle mie compagne e dello staff tecnico, a cui sono estremamente grata. Non posso prendermi tutti i meriti. In realtà, penso di non poterne prendere nemmeno la metà perché non avrei mai potuto raggiungere questo traguardo senza l’aiuto del gruppo“.
È difficile mantenere i piedi per terra quando si raggiungono questi risultati?
“In realtà, all’inizio non è stato facile perché questi premi solitamente vengono assegnati in una fase delicata della stagione; quindi, c’è il rischio che chi li riceve possa sentirsi appagata e accontentarsi. Tuttavia, il mio obiettivo è sempre stato quello di mantenere alte le motivazioni, restare focalizzata sul nostro grande obiettivo e ricordarmi per chi e con chi stessi giocando. Questo è stato il miglior modo per continuare sulla strada intrapresa“.
foto Pitt Athletics
Quali sono le tue aspettative per la fall season 2024 con le Panthers?
“Ho aspettative importanti perché penso che siamo una squadra forte e dal grande potenziale. Tuttavia, preferisco approcciare la nuova stagione senza obiettivi specifici perché confido nella crescita costante di questa squadra. Perciò, è importante avere il desiderio di fare grandi cose, ma senza fissare troppi obiettivi perché, se poi non li raggiungiamo, non voglio buttare via tutto quello che abbiamo fatto. Dobbiamo essere affamate, cercare di fare sempre di più e non porci limiti a ciò che possiamo raggiungere. Credo che, mantenendo questo tipo di mentalità e migliorando costantemente il nostro gioco, possiamo arrivare in fondo al torneo e diventare la squadra che aspiriamo ad essere. Ho grande fiducia nelle nostre capacità e penso che abbiamo il potenziale per diventare le più forti. Se mettiamo il gioco di squadra e la crescita collettiva al primo posto, sono certa che questa stagione possa essere molto positiva per noi“.
Dove ti vedi nel giro di qualche anno? Quali traguardi sportivi vorresti raggiungere?
“Mi vedo ancora su un campo di pallavolo. Ho sempre sognato di diventare una professionista; pertanto, il mio obiettivo è di giocare al massimo livello possibile insieme alle migliori pallavoliste. Inoltre, punto a partecipare alle Olimpiadi. Al momento quelle del 2028 hanno la massima rilevanza per me in quanto si svolgeranno a Los Angeles. Non c’è altro posto nel mondo in cui vorrei fare il mio debutto olimpico se non nella mia città natale, dove la mia famiglia e i miei amici più cari verrebbero a sostenermi: sarebbe qualcosa di incredibile. Questo è il mio obiettivo principale per adesso, ma a lungo termine vorrei diventare un punto fermo della nazionale e rappresentare gli Stati Uniti su un palcoscenico mondiale. Amo giocare a pallavolo e credo che non ci sia niente di più bello di giocare per il proprio paese“.
Invece, al di fuori della pallavolo, quali sono le tue aspirazioni?
“Sono ancora indecisa. Al momento mi sto concentrando sulla pallavolo, ma non vedo l’ora di scoprire quale laurea avrò l’opportunità di ottenere e in che modo mi servirà nella mia vita quotidiana in futuro“.
Per concludere, cosa ti piace fare quando non sei impegnata in palestra?
“Le mie attività principali nel tempo libero ruotano attorno alle amiche. A dire il vero, anche quando non sono in palestra, mi piace molto trascorrere momenti spensierati in compagnia della mia squadra. Credo che le relazioni che ho costruito qui siano uniche e difficilmente replicabili. Pertanto, mi impegno a sfruttare bene il tempo che passo con queste persone. Inoltre, ho una grande passione per il cibo e la scoperta di nuove cucine che condivido con la mia coinquilina Torrey. Spesso ci capita di andare a fare la spesa o a comprare da mangiare, e possiamo dire di aver vissuto avventure memorabili. Ovviamente da atleta sono consapevole dell’importanza di recuperare le energie e perciò ogni tanto dedico i momenti liberi al riposo e alla cura di me stessa. Per esempio, sono appassionata di skincare: mi piace provare nuovi prodotti e valutare in che modo questi agiscono sulla mia pelle“.
Intervista di Alessandro Garotta LEGGI TUTTO