Basket, Petrucci contro il Cts: “Il calcio sì, noi no. Ma abbiamo gli strumenti per ripartire”
Nelle tempeste Gianni Petrucci ci naviga da quarant’anni. Ma onde così alte, il presidente della Federbasket non le aveva mai affrontate. Il Covid ha azzerato l’attività, stoppato i campionati, creato scompiglio in Serie A. Gli sport di contatto non ripartono e il basket, come il volley, non sa né quando, né se potrà rimettersi in pista.Un momentaccio Petrucci.«Però noi abbiamo due ottimi difensori: il ministro Spadafora e il presidente del Coni Malagò. Confidiamo in loro».Ma il calcio non è anch’esso uno sport di contatto?«Lo sa quanto valgono i diritti tv del calcio? Ma non è una polemica contro il calcio questa, per nulla. Ci è sfuggito un passaggio».Quale?«Il Comitato tecnico-scientifico ha detto: il calcio può tornare in campo perché fa i dovuti controlli sanitari. Ma lo stesso Cts non ci ha mai chiesto: voi del basket siete in grado di fare questi controlli? Perché dare per scontato che non fossimo in grado? Avremmo dovuto dirlo noi, a domanda avremmo risposto».Avete comunque stilato due protocolli piuttosto dettagliati e anche molto severi.«Certo: uno per l’attività normale, uno per quella agonistica che garantisce tutti i controlli del caso. Il ministro Spadafora ha detto chiaro e tondo che si deve riaprire. Il Comitato tecnico-scientifico non ci dice perché no. Nella commissione che ha stilato i nostri protocolli c’è anche il professor Landi, una delle massima autorità in materia di Covid. La legge in Italia dà al Cts il potere di aprire o chiudere uno sport per intero, ma i pareri in generale sulla pandemia e sulla ripresa sono molto vari. La risposta deve arrivare il prima possibile. Noi siamo uno sport che genera reddito per lo Stato, anche attraverso le scommesse sportive».A questo fondamentale problema si aggiunge quello della Serie A che non riesce a trovare una forma per la prossima stagione, con due club, Roma e Cremona, a rischio per problemi economici, e Torino lasciata in stand-by. Come se ne viene a capo?«La Legabasket, con il suo presidente Gandini, ha la delega federale ad agire e a mettere mano a questa situazione. Abbiamo avuto moltissime richieste d’inscrizione nelle serie minori e nel femminile sono entrate due realtà come Sassari e Campobasso. In A maschile la cosa è più complessa».Il metodo-Gandini, ossia chiamare una per una secondo un ranking le squadre di A-2 e chiedere loro se avevano voglia e possibilità di fare la A, le è piaciuto?«Gandini è un grande dirigente e mi fido al 100% del suo operato. Si è trovato in una situazione difficile, in un posto complicato come la presidenza della Lega. Da quando sono tornato al basket sono cambiati quattro presidenti, tutti in circostanze singolari, alcuni anche drammatiche. Cerchiamo di comprendere che quando si affida la responsabilità a una persona, la si deve far lavorare. La tempistica? Le iscrizioni alla A scadono il 31 luglio, abbiamo ancora un mese di tempo. È difficile per tutti. Ma guardate quante altre squadre professionistiche, anche nel calcio, sono sparite. Una crisi globale del genere non potevamo preventivarla».Nessun pentimento per aver fermato presto i campionati?«Nessuno. Le leghe erano d’accordo e non si poteva fare altrimenti. Anche la Nba, con tutto il potere che ha, non è certa di ripartire».Voi dovreste farlo il 29 agosto con la Supercoppa Italiana e il 27 settembre col campionato. Sono date utopistiche, allo stato attuale?«Non lo sono, sono date realistiche. Quello che conta oggi è quello che vogliono le società, e loro vogliono ripartire».Basket LEGGI TUTTO