More stories

  • in

    Aci Castello si affida al catanese Maurizio Lopis: “Ripartirò dal gruppo”

    Di Roberto Zucca
    La grande occasione per lui arriva a 46 anni e giunge direttamente da quella Catania con la quale il suo rapporto è stato viscerale da sempre. Maurizio Lopis, ex schiacciatore nonché universale di moltissime blasonate formazioni della serie A, tra cui proprio la storica Catania, dall’inizio del 2021 è il nuovo tecnico della Sistemia LCT Aci Castello. Per lui una sfida ambiziosa, quella di risollevare una classifica che non appare semplice, soprattutto in un anno come questo:
    “Credo nel progetto e ho accettato con molto entusiasmo. La Saturnia è una società ambiziosa che può togliersi delle belle soddisfazioni. È un campionato particolare, perché non è certo una serie inferiore alla A2, dato che tanti atleti provengono anche dalla stessa A2 e dalla Superlega. Vedo tre o quattro squadre veramente ben corazzate con le quali ottenere un successo non è semplice. Per il resto è un tutti contro tutti”.
    A proposito di ex della Superlega, Valerio Vermiglio ha scelto a 44 anni di scommettere su Aci Castello.
    “Ci siamo confrontati nei giorni scorsi. Valerio non ha bisogno di presentazioni e per comprenderne il valore non occorre mettere in fila tutto ciò che ha vinto. Da giovanissimi ci siamo ritrovati assieme nelle rappresentative regionali e siamo stati avversari in A2 qualche anno fa. Ora allenarlo sarà veramente un piacere”.
    Lei da anni si dedica alle giovanili. Perché proprio la A3?
    “Ci tengo a sottolineare che l’impegno con la Saturnia, che ho accettato con piacere, va di pari passo a quello con la Roomy Catania, con la quale proseguo con le giovanili in ambito femminile. Ho dovuto per ora tralasciare l’impegno con la serie C che, a causa del Covid-19, è ancora in attesa di ripartire”.
    La prima occasione importante nella sua carriera di allenatore. Quale strategia metterà in campo?
    “Ripartirò dal gruppo. Secondo me si può fare bene perché basterà trovare il ritmo e l’affiatamento. Trovo che sia una stagione in cui le pause, le partite da recuperare non aiutino nessuna squadra. Noi dovremo puntare sul cercare di ritrovare da subito le nostre certezze e le nostre consapevolezze”.
    Mi racconta gli anni di Catania, in cui Conte e Despaigne rendevano magica quella squadra?
    “Erano anni bellissimi che ancora mi fanno tornare alla mente tanti ricordi indelebili. La pallavolo era molto diversa, anche in Sicilia. Ma di quelli anni secondo me è rimasto l’entusiasmo dei tifosi e degli appassionati nel seguire questa disciplina. Saturnia, nei prossimi anni, potrebbe tornare a quei vecchi entusiasmi. E secondo me riuscirebbe a ricreare quella magia”.
    Cosa manca secondo lei oggi? È una questione di soldi?
    “I soldi aiutano. Gli investimenti di prima sono difficili da immaginare, ma non solo a Catania. Sicuramente trovare investitori nuovi e imprenditori che credono nella pallavolo del Sud Italia è un obiettivo sondabile e possibile. In più investendo nel settore giovanile, già in Sicilia si potrebbe creare un bel bacino d’utenza di ragazzi che un giorno quei palcoscenici prestigiosi potrebbero calcarli sul serio”. LEGGI TUTTO

  • in

    Wilfredo Leon: “Non mi sento il numero uno, ho ancora tanto da vincere”

    Di Roberto Zucca
    Nelle ultime festività natalizie lo si è visto, oltre che sul campo da gioco ad effettuare una delle sue solite magie, anche trascorrere qualche momento di libertà con i compagni e gli affetti che ormai lo legano alla città di Perugia. Tornare indietro nel tempo con Wilfredo Leon significa perciò ripercorrere anni della sua vita in cui non era l’Umbria a fare da sfondo alle sue giornate ma una Cuba che col tempo gli ha permesso di essere oggi il giocatore più forte del mondo:
    “Ringrazio sempre per l’etichetta di più forte, ma soprattutto in questo campionato sono davvero in buona compagnia. Sono un giocatore di pallavolo, il mio obiettivo è lavorare per la squadra e per migliorarmi ogni giorno. Ho iniziato da piccolo. Mamma era una pallavolista ed è nato tutto da lì. Questo sport mi ha dato enormi soddisfazioni, insegnandomi l’impegno e la dedizione al lavoro“.
    Cosa le ha insegnato sua madre di questa disciplina?
    “Il rispetto per l’avversario, il lavoro e il sacrificio quotidiano. Penso di portare in campo questo ogni domenica”.
    Che ricordi ha del periodo delle feste natalizie a Cuba?
    “Abbiamo tradizioni un po’ diverse rispetto a quelle che ho trovato poi negli anni in Europa. Non si andava al mare perché non faceva caldo, sebbene certo, non ci fosse la neve come in Russia o come ora in Italia, ed erano giorni in cui si stava con la famiglia. Poi, quando sono diventato un pallavolista professionista, sono diventati giorni in cui ci si allenava o si giocava“.
    Foto Facebook Sir Safety Conad Perugia
    Quando si è sentito il numero uno, Leon?
    “Non mi sento il numero uno. Mi sento importante, assieme ai miei compagni, quando vinciamo una gara, una gara importante. Quest’anno ad esempio era importante non perdere la bussola e siamo riusciti pur con tutti i blocchi, il Covid e il campionato a singhiozzo a trovare una continuità e a trovare tantissime vittorie importanti. Personalmente sono contento e appagato da questo. Io faccio un lavoro che è al pari di tutti gli altri giocatori in campo. Siamo una squadra, non sei individui che giocano solo per i propri obiettivi”.
    Perugia è innamorata di Leon. E Leon di Perugia?
    “Mi piace tanto questa città, i tifosi e sin dal primo giorno ho trovato affetto e accoglienza nelle persone della società e dei tifosi. È stata una scelta importante e lo è tuttora. Poi siamo un bel gruppo, affiatato e si lavora molto bene con ognuno di loro. Il bilancio di questi anni è estremamente positivo”.
    Foto PZPS
    Mi dice dove ha imparato a parlare così bene l’italiano?
    “(ride, n.d.r.) Affinità linguistiche. È una lingua molto simile alla mia lingua nativa. Poi mi piace imparare la lingua del paese in cui gioco. Nel caso dell’italiano è venuto molto naturale”.
    Dicono che lei abbia sempre una parola di conforto per tutti. Dove va a prenderla questa generosità?
    “Sono stato educato al supporto. Vivevo in un paese dove spesso si faceva gruppo per aiutarsi e sostenersi. La generosità non è solo aiutare economicamente una persona, è anche prendersi cura di qualcuno con un gesto o una parola. A casa mi è stato insegnato semplicemente questo”.
    Non voglio chiederle quando ha guadagnato in carriera. Ma mi dice un sogno che ha avverato con il denaro messo da parte in questi anni?
    “Far conoscere il mondo ai miei genitori. Portarli con me in alcuni posti e vedere il mondo assieme a loro. Era un sogno, quando ero bambino, andare al di là di quella che fosse Cuba e con il mio lavoro ci siamo riusciti”.
    Foto Lega Pallavolo Serie A
    Lo scorso anno un altro suo gesto è stato speciale quello di sostenere il Paris Volley.
    “L’iniziativa è nata da un gruppo di giocatori. Io sono uno dei tanti che ha deciso di fare un gesto per sostenere una squadra storica che in quel momento aveva bisogno di liquidità per proseguire la sua attività. Si è scritto tanto su questa vicenda. Per me rimane un gesto fatto senza nessun secondo fine”.
    Lei ha vinto tutto in carriera. Cosa vuole vincere ancora?
    “Con i club ho obiettivi molto alti. Vorrei arrivare a conquistare almeno un paio di scudetti e, se possibile, arrivare a otto Champions League. Con la nazionale polacca invece il sogno e l’obiettivo è la medaglia d’oro olimpica, ma anche un Mondiale. Come vede, ho ancora tanto da vincere, e devo lavorare ancora molto per ottenere tutto ciò che ho desiderato da questa carriera. È questo il motivo che mi spinge ad andare avanti con grinta e impegno”. LEGGI TUTTO

  • in

    Natale in Polonia per Simone Parodi: “A Giuliani non potevo dire di no!”

    Di Roberto Zucca
    Il mercato invernale è stato finora poco movimentato. Ma la notizia del passaggio di Simone Parodi dalla Prisma Taranto all’Asseco Resovia, alla corte di Alberto Giuliani, ha movimentato la stampa italiana e polacca nelle ultime settimane, proprio per il valore dell’operazione e per il fatto che nessuna voce di mercato avesse anticipato la trattativa:
    “È stata una notizia che ha colto di sorpresa anche me – dice il giocatore ligure –. Alberto mi ha chiamato solo pochi giorni fa, proponendomi di andare a rinfoltire la rosa dell’Asseco, che aveva bisogno di un rinforzo nel reparto schiacciatori a causa degli infortuni. Si è aperto il confronto con Taranto, che ha compreso le mie volontà nel momento in cui ho deciso di accettare la proposta di Alberto e della società”.
    Quali sono state le ragioni di questa scelta?
    “Alberto ha significato molto nella mia formazione di giocatore. È stato l’allenatore con cui ho disputato più della metà delle stagioni della mia carriera. Sono cresciuto pallavolisticamente con lui e il fatto che mi abbia voluto in Polonia è stata una chiamata alle armi a cui non potevo dire di no. E poi ho sempre detto che il campionato polacco è stata per me non solo la prima stagione all’estero ma anche un’annata che porto nel cuore. Ho lavorato molto bene con Grbic e sarei rimasto volentieri a giocare questo campionato”.
    Il ritorno in Polonia è stato annunciato in pompa magna dal Resovia. Pensa di meritarsi la massima serie?
    “Mi ha fatto molto piacere perché corrispondeva in percentuale al mio entusiasmo nell’essere qui. È un campionato che mi ha dato molto e nel quale mi sono trovato molto bene. Venendo alla seconda parte della sua domanda, non voglio parlare di merito, quanto di aver lavorato per arrivare oggi qui. Negli ultimi anni non mi sono certo risparmiato e se la proposta di Alberto di tornare a giocare nella massima serie significa averlo meritato, posso solo che esserne felice”.
    Foto Asseco Resovia
    So che nella squadra di Taranto ha lasciato un ricordo speciale.
    “Non è stato un saluto semplice. Mi hanno chiesto scherzosamente di firmare le loro scarpe prima di andarmene, e in occasione della partita successiva Cottarelli ha pubblicato un messaggio molto bello su Instagram. Penso che sia stata questa la mia conquista, ovvero aver lasciato il ricordo di una persona che si è lasciata benvolere e viceversa. Ho lasciato degli amici, non semplicemente dei compagni di squadra”.
    Si è chiesto cosa vuole da Resovia?
    “(ride n.d.r.) Chiediamo prima alla società cosa vogliono da Simone Parodi? Scherzi a parte, voglio i playoff. La strada da fare c’è, ma ho detto ad Alberto che sono qui per fare il 120% come sempre. Sono sicuro che, con il giusto lavoro, arrivare alla seconda fase del campionato è ampiamente alla portata di questa squadra. Dobbiamo e vogliamo farcela”.
    Ha ritrovato Cebulj, Giuliani. Si ripresenta il ricordo nostalgico di Macerata?
    “Sono sempre bei ricordi. Mi fa davvero piacere ritrovare Klemen e Alberto. Dopo Macerata ognuno di noi ha avuto la sua storia. Speriamo di ricreare qualcosa di bello ed emozionante anche qui!”.
    Lei non ha mai nascosto il suo interesse per la maglia della nazionale. Venire in Polonia significa mettersi in gioco?
    “Significa provarci. Io quella maglia la sogno sempre. Certamente giocare la A in Polonia è un tassello in più nel dimostrare di poter giocare certe competizioni a certi livelli. Quindi il pensiero c’è”.
    Il primo Natale in Polonia come lo ha trascorso?
    “Sì, è vero, lo scorso anno lo avevo passato a casa con la mia famiglia. Quest’anno è stato un Natale italiano ma all’estero: io, Alberto, Alfredo Martilotti, la mia ragazza Francesca e Klemen. Nonostante la distanza, abbiamo fatto in modo di respirare l’aria natalizia italiana, anche con qualche piatto tipico”. LEGGI TUTTO

  • in

    Riccardo Sbertoli, carattere da leader: “Sono cresciuto a Milano e qui voglio restare”

    Di Roberto Zucca
    Vederlo così consapevole di se stesso, del suo gioco, della sua maturità professionale, fa dimenticare il fatto che Riccardo Sbertoli ha “solo” 22 anni. Sembra ieri quando Riccardo palleggiava timidamente a Segrate. Da allora la strada lo ha portato a calcare per sei stagioni di fila il palcoscenico di Milano e negli ultimi anni a diventare un punto fermo dell’Allianz di Roberto Piazza:
    “Intanto ringrazio per la definizione di punto fermo. Devo dire che la strada fatta dai tempi di Segrate è stata tanta e che la consapevolezza maturata è ovviamente cresciuta con gli anni. Ma sono stato supportato da questa società e dai giocatori con cui ho disputato le varie stagioni. La Powervolley mi ha dato la possibilità di crescere e di fare un percorso. È una fortuna che non capita a tutti”.
    Non a caso è arrivato il rinnovo contrattuale quest’estate per altre due stagioni.
    “Avevo parlato con la società già qualche mese prima dell’estate. Sono molto legato a Milano e sono cresciuto qui, l’intenzione di vestire questa maglia era un mio desiderio e per altri due anni sarò parte della storia di questo club. Per me è e resterà un onore”.
    Si erano diffuse voci su un interessamento di diversi club. A 22 anni diventare incedibile è un vanto o spaventa?
    “(ride, n.d.r.) Io non ho fatto in tempo a vivere questo interessamento. In realtà ho imparato a non leggere quel tipo di voci di mercato e in generale non sono uno che legge ciò che scrivono sul suo conto. Detto questo credo sia solo un motivo di orgoglio far parte di un club che ti fa sentire desiderato nel tempo”.
    Foto Powervolley Milano
    Milano anche quest’anno è tra le prime della classe.
    “Vorrei avere anche qualche punto in più perso per strada, ma finora è andata comunque bene. Stiamo disputando in parallelo la Challenge Cup, da cui spero di vivere delle soddisfazioni, e spero di giocare la Final Four al massimo della condizione. Ultimamente abbiamo giocato con delle formazioni se vogliamo inedite, quindi l’ideale sarebbe poter disputare questo tipo di competizioni con tutta la rosa a disposizione. È forse l’aspetto più duro di giocare durante la pandemia, anche se molte squadre si trovano nella nostra condizione”.
    Il modello Milano prevede uno Sbertoli che gioca come un leader. Uno stile definito ben riconoscibile in campo.
    “Ho esordito in Superlega ritrovandomi dall’altra parte del campo con giocatori come Bruno e come De Cecco, che ho sempre preso a modello. Se ora riesco ad affermarmi in campo con le mie caratteristiche, senza scimmiottare quelle di altri palleggiatori, significa che il lavoro è stato fatto”.
    Il derby con Monza è andato a favore del Vero Volley. Le posso chiedere se ha ancora valore parlare del derby come di una partita più sentita delle altre?
    “Dipende. Nel mio caso le dico che è una partita che sento e che con gli anni ho imparato a disputare, perché è da quando gioco nelle giovanili che la sfida con Monza è per me quella con una compagine che conosco e che fa parte dei campionati nei quali sono cresciuto pallavolisticamente. Per altri è una gara come le altre. Non c’è quell’aria del calcio, argomentata anche dalle tifoserie nel bene e nel male. C’è anche il fatto che dall’altra parte del campo ci sono persone con le quali sei cresciuto, e penso ad atleti come Galassi, con cui magari capita di ritrovarsi a parlare anche nel dopogara. Ma è sempre una bella sfida”.
    Riccardo, fuori dal campo, sembra il classico ragazzo della porta accanto. Appare timido e distante dallo sportivo che magari ha qualche grillo per la testa.
    “La correggo dicendo che chi mi conosce sa che non sono uno timido, ma riservato. Non sono uno che ama apparire o uno a cui piace condividere il proprio privato. E non lo sono mai stato. L’immagine della porta accanto forse emerge perché sono quello che è cresciuto con lo stesso gruppo di persone a Milano, che ha studiato dove è cresciuto, e questo è stato fondamentale, e non manca mai a una pizza con gli amici di sempre”.
    Eppure la sua vita è cambiata tanto negli ultimi anni. Se le dico Tokyo, in chiusura, cosa è per lei?
    “Un sogno, un obiettivo, un motivo per lavorare con ancora più determinazione. È presto per pensarci, perché mancano molti mesi alle convocazioni e so di avere 22 anni e le mie occasioni da sfruttare più avanti nel tempo. Ma ci spero. La nazionale è quel posto di cui, quando inizi a farne parte, vorresti far parte per sempre”. LEGGI TUTTO

  • in

    Atanasijevic, bandiera in stile Totti: “Sono cresciuto insieme a Perugia”

    Di Roberto Zucca
    Il suo ottavo anno trascorso alla Sir Safety Conad Perugia è il segno di una storia, di un amore che nella pallavolo guarda molto al passato, quando la carriera di un atleta si legava indissolubilmente in un percorso che sembrava suggellare la parola per sempre. È così per Aleksandar Atanasijevic, che quando sente l’accostamento con una storia calcistica, quella di Francesco Totti, sorride ed educatamente ringrazia:
    “È un grande paragone e la ringrazio perché è stato per la Roma una persona inimitabile. Nel mio piccolo sono arrivato a Perugia otto anni fa sperando di fare un percorso lungo e pieno di soddisfazioni e così è stato. Mi sono messo a disposizione di questo club e sono cresciuto con questa società. Posso dire di aver contribuito a scrivere una piccola pagina di storia della Sir”.
    Lei resta. Tanti sono passati da Perugia. Per il presidente Sirci lei appare insostituibile.
    “C’è un rapporto di stima e di affetto che dura da moltissimo tempo. Abbiamo imparato a conoscerci, comprenderci, stimarci. Mi ha dato la possibilità di restare qui in tutti questi anni. Io ho fatto di tutto per mettermi a disposizione e ripagare la sua fiducia”.
    Foto Sir Safety Perugia
    Perugia anche quest’anno sembra la squadra da battere. Concorda?
    “In realtà siamo in buona compagnia con Civitanova, per ora. Io sono tra quelli che pensa che il nostro campionato cresca stagione dopo stagione, e che niente può essere dato per scontato. Anche quest’anno tante compagini si sono rafforzate e per noi è una dura lotta potenzialmente con tutte”.
    Lei è rientrato da poche settimane. L’infortunio sembra appartenere ormai al passato.
    “Sto bene, è stata una strada lunga, complicata anche dal fatto che dopo l’operazione dell’estate è seguito il mio contagio da Covid-19 in Serbia. È stata una strada in salita ma ho fatto il massimo, anche nell’ultimo periodo per tornare e garantire il massimo a questa squadra”
    Sono balzati agli occhi di molti il suo legame e la sua intesa con Dragan Travica. Quanto aiuta il rapporto personale e professionale con il regista della squadra?
    “Io gli ho mostrato tutta la mia stima quando è tornato dopo il Covid-19, perché è entrato in campo dopo settimane di stop e ha giocato una partita stupenda. È una persona di cui ho molta stima, perché è una persona onesta, sincera. E questo aiuta, perché siamo in grado di dirci tutto con Drago. Credo che il suo arrivo a Perugia sia stato importante per lui, perché partita dopo partita capisco quanto ci tenesse a giocare a certi livelli”.
    Qualcuno lo scorso anno ha scritto che l’arrivo di Leon poteva significare il tramonto di Atanasijevic. Invece?
    “Invece è un compagno fortissimo, e credo che per un atleta ritrovarsi in squadra con giocatori come lui sia solo un’occasione per alzare l’asticella per sé e per la squadra. Umanamente, poi, è una persona fantastica. In campo cerchiamo di compensarci. Ognuno di noi ha la possibilità di esprimersi e di contribuire al bene della squadra”.
    Il suo carattere. Si è scritto che è meglio averla come compagno di squadra che come avversario.
    “(ride, n.d.r.) In campo sono una persona che vive la gara e che può dar fastidio a chi sta dall’altra parte del campo. Quando entro in campo sono disposto a tutto pur di fare bene, forse traspare questo”.
    Le sue battaglie contro Ngapeth sono cliccatissime in rete. Le manca Earvin nel campionato italiano?
    “Mi manca molto, perché davamo vita a partite che sono ancora nel cuore dei tifosi. Ma lo stesso è capitato con Zaytsev e con Anderson, ad esempio. Io credo che avversari come loro siano sempre stimolanti, perché poi porti dentro il ricordo di bellissime partite, sia con la maglia del club che con quella della nazionale”.
    Foto Lega Pallavolo Serie A
    Fuori dal campo risulta una persona molto sensibile. So che è molto legato a sua madre.
    “Lei mi rimprovera sempre quando vede che durante le partite qualche volta risulto troppo passionale. Sono cresciuto in una famiglia che tiene molto all’aspetto dell’educazione e al rispetto degli altri. Infatti cerco sempre di tenere una misura in tutto ciò che faccio”.
    È vero che a scuola era molto bravo?
    “Sì, mi piaceva molto e la mia famiglia teneva molto ai miei risultati scolastici. Loro non mi hanno mai spinto a diventare un pallavolista, volevano che proseguissi gli studi”.
    Ha mai pensato a cosa sarebbe potuto diventare?
    “(ride, n.d.r.) No, lo faccio con lei. Forse medico, anche a mia madre sarebbe piaciuto se avessi studiato medicina. Ho comunque continuato gli studi e ora mi manca un anno per concludere Giurisprudenza. Mi piacerebbe molto diventare un procuratore, ad esempio”. LEGGI TUTTO

  • in

    Il segreto del successo di Lorenzo Bernardi: “Perfezione? No, impegno e sacrificio”

    Di Roberto Zucca
    Da qualunque prospettiva si analizzi il suo gioco e in generale la sua pallavolo, niente si avvicina di più a quella sublime emozione evocata da un’opera d’arte. Non è un caso, forse, che quella stessa arte lo abbia accompagnato anche nella sua carriera extrapallavolistica, dato che è noto alle cronache il fatto che Lorenzo Bernardi sia, o sia stato, un collezionista:
    “Ho avuto per un periodo con mia moglie una galleria d’arte. Ma è una cosa che appartiene al passato. L’arte, però, mi è sempre piaciuta. Ricordo delle bellissime visite al Museo Picasso a Parigi o all’interno del Centre Pompidou ad ammirare dipinti di Kandinskij, o alcune ore passate a Villa Borghese”.
    Lei, invece, era un’opera d’arte della pallavolo. Qualcuno l’ha definita “il giocatore più vicino al concetto di perfezione”.
    “Rifuggo con imbarazzo da certe affermazioni. Di mio posso dire che, più che un giocatore perfetto, sono stato un giocatore che ha sempre dato il massimo. Ho messo sempre davanti l’impegno, il sacrificio, ed è questo ciò che mi ha fatto piacere che le persone e gli ambienti riconoscessero come valore aggiunto. E poi si ricordi che l’opera d’arte non è bella da vedere, bensì da costruire”.
    Della sua carriera si ricorda anche il carattere. Deciso, fiero, imperturbabile. C’è qualcosa per cui ha sofferto?
    “Ho sofferto l’invidia. Soprattutto da coloro che hanno creato un distacco da me, non capendo il fatto che invece ho sempre cercato di tenere vivo il gruppo di cui facevo parte. Questo spesso mi ha creato sofferenza, anche perché nei confronti dei compagni mi sono proposto con l’atteggiamento di chi voleva provare a superare l’ostacolo, a fare di più. Come dice Cristiano Ronaldo, tutte le asticelle che mi mettono davanti sono un occasione per spronarmi a fare meglio”.
    Foto Wikipedia
    Recentemente mi è capitato di rivedere un filmato in cui lei celebrava ogni punto con il suo famigerato “aeroplanino”. Le posso chiedere l’origine di quel gesto?
    “Lei forse si riferisce alla finale scudetto a Modena. Era un gesto di gioia come un altro. In realtà Modena è stato un grande amore: sono stato accusato di aver tradito la Philips Modena ma sono io ad essere stato tradito. Ero arrivato quattro anni prima e non ero nessuno, ho contribuito a costruire un percorso personale e di squadra fatto di vittorie e traguardi. Da un certo momento in poi qualcuno che voleva salvarsi mi ha tirato del fango addosso e sono diventato io il colpevole di non so bene cosa. Quando gioco per una squadra do la vita. Ed è proprio in quel momento che ti fai nemici tutti gli altri”.
    Riguardo la sua vita privata, ho visto che sui social ha festeggiato qualche giorno fa i 28 anni con sua moglie Rossana. Quanto è stato importante il vostro rapporto per la sua carriera?
    “Direi fondamentale. Rossana è stata determinante ed averla al mio fianco è stato importante nella misura in cui mia moglie ha saputo essere una donna in grado di spronarmi, di esprimere delle diversità di pensiero e di condividere con me tutti i momenti che contavano. In generale tutta la mia famiglia è stata determinante affinché tutto avesse un ordine e un equilibrio”.
    Da giocatore ad allenatore. Posso chiederle chi è l’allievo in cui ha rivisto quel Lorenzo Bernardi di cui abbiamo parlato?
    “Michal Kubiak. La sua predisposizione e la sua attitudine sono quelle che vedevo in me quando giocavo. La predisposizione a voler diventare ciò che è diventato. L’ho visto crescere a Padova, poi in Polonia e in Turchia. Ho visto la sua metamorfosi da perfetto sconosciuto a uno dei tre giocatori più forti del mondo. E poi tutta la squadra di Perugia, è bellissimo vedere vincere una squadra che rappresenta te stesso, a livello agonistico e a livello di spirito”.
    Sulla fine del suo sodalizio con Perugia si esprimerà un giudice del lavoro. Posso chiederle se si aspettava, nella sua vita, di affrontare una vicenda del genere?
    “Sulla vicenda si esprimerà, come ha detto, un giudice. Posso dirle che se ci dovrà essere un confronto lo affronterò molto volentieri. In una situazione del genere diventi come Golia contro un gigante. Perché chi ha il potere e lo detiene è un gigante. Credo nella giustizia e nel lavoro dei giudici. Io moralmente ho già vinto”.
    Foto Sir Safety Conad Perugia
    Il suo presente si chiama Piacenza. Che scelta è stata?
    “È stato facile accettare Piacenza e su questo voglio ringraziare la famiglia Curti, il vice presidente Bongiorni e il direttore generale Zlatanov per la grande fiducia e la possibilità che mi hanno dato. Sono entrato in corsa, impostando il mio metodo di lavoro, che è sicuramente differente da chi mi ha preceduto, ma questo è naturale. Quando c’è un cambio in panchina significa che le cose non vanno bene e il cambio da percepire non è istantaneo. Il lavoro fatto è stato intenso e complesso”.
    Di quel lavoro è contento?
    “Molto. Adesso la squadra, con i suoi alti e bassi, si è trasformata e sono soddisfatto”.
    Umanamente, venire dopo il suo ex compagno Andrea Gardini le è pesato?
    “Sono scelte che fanno parte della carriera di un allenatore, e chiunque faccia il mio mestiere penso ne debba tenere conto. Andrea è una delle prime persone che ho contattato e con cui ho parlato di questa scelta. Il lavoro è lavoro. I rapporti umani sono altro rispetto al lavoro”.
    You Energy Volley
    Il campionato prosegue. Lei ha dichiarato che sarebbe sbagliato non continuare.
    “La cosa sbagliata sarebbe stata affrontare una pandemia senza seguire protocolli e senza protezione. Nel nostro caso siamo sottoposti a controlli medici almeno due volte a settimana e c’è un’attenzione costante da parte di tutti. È un segnale forte quello che la pallavolo dà in questo momento, ovvero il messaggio che il decorso delle cose prosegue se si rispettano le regole e se vengono seguiti protocolli rigidi e precisi. Credo sia anche un messaggio di speranza verso coloro che sono in difficoltà”.
    La rigidità e il rispetto dei protocolli: un messaggio difficile da far passare ai suoi atleti? Penso alla recente vicenda di Boyer a Verona, e alla velata accusa di non aver rispettato le regole.
    “Dobbiamo renderci conto di essere dei privilegiati. E in quanto privilegiati abbiamo il dovere di essere più ligi e rispettosi degli altri. Ci sono storie di aziende chiuse, di posti di lavoro perduti, di famiglie in crisi. Cosa ci costa, per qualche tempo, sacrificare il nostro bisogno di libertà nei confronti del rispetto e del nostro lavoro? Dobbiamo essere orgogliosi di poterlo fare”.
    Se lei non fosse stato Lorenzo Bernardi, cosa avrebbe voluto essere?
    “È una domanda da un milione di dollari. Non saprei. Mi rendo però conto che in un contesto di apprendimento mi trovo sempre molto bene. Mi è capitato, ad esempio, di fare formazione per le aziende e di trovarmi di fronte dei manager, a cui ho parlato di vari temi riguardo l’essere un buon leader o il fare parte di un team. Ecco, fare quello mi piace moltissimo, e mi piacerebbe farlo nella misura in cui avessi del tempo libero per poterlo fare”. LEGGI TUTTO

  • in

    Tommaso Rinaldi tra sogni e realtà: “Vorrei Modena per tutta la vita”

    Di Roberto Zucca
    Le voci sul suo conto farebbero perdere la testa ai più. Ma quando ti trovi davanti Tommaso Rinaldi, giovane schiacciatore della Leo Shoes Modena, capisci subito che, oltre ad essere il classico ragazzo della porta accanto senza grilli per la testa, è anche un atleta con molta razionalità e i piedi ampiamente ancorati a terra:
    “È una cosa che mi ha insegnato papà. In questo lavoro avere i piedi per terra senza perdere la testa è una cosa fondamentale per poter affrontare tutti i momenti, dentro e fuori dal campo. Io poi sono proprio agli inizi. Vivo un momento che mi piace definire magico e che spero duri il maggior tempo possibile”.
    Astro nascente. La grande promessa di Modena. Rischia di essere tutto troppo amplificato?
    “Rischia di esserlo se tutto ciò che viviamo non viene, appunto, vissuto senza un minimo di razionalità. Sono arrivato qui con la voglia di fare e ho mosso passo dopo passo per fare sì di poter entrare in questo tempio della pallavolo e far parte di tutto questo. Non mi curo molto di ciò che scrivono, non l’ho mai fatto e non rappresenta un peso. So cosa voglio e questo è l’importante”.
    Foto Modena Volley
    Cosa vuole Tommaso Rinaldi?
    “Modena. La vorrei per tutta la vita. È un’emozione grandissima far parte di questa società. E poi il PalaPanini quando si riempie emana un’energia che non si riesce ad immaginare se non ti trovi in campo e non stai disputando la partita. È indescrivibile”.
    Prima di lei Bruninho, Ngapeth, Christenson mi hanno parlato di quella magia.
    “Capisco che si rimane stregati. Ed è vero. Io Modena l’ho vissuta seduto sugli spalti quando ero più piccolo, seduto in panchina, e ora ho provato cosa significhi stare in campo. Spero che quella magia con tutti i tifosi dentro il PalaPanini sia solo un sogno rimandato di poco tempo”.
    Figlio d’arte. Si è mai sentito tale?
    “Mio padre non mi ha mai fatto sentire ‘il figlio di’. Nel senso che ha saputo starmi al fianco senza chiedermi nulla in più rispetto al fare qualcosa che mi divertisse, mi piacesse. In casa non parliamo solo di pallavolo, anzi, è un confronto molto proficuo su tutto e non mi fanno pesare ciò che mi sta accadendo, o ciò che posso fare in più o in meno nella mia carriera rispetto a ciò che ha fatto mio padre. Per la mia famiglia io sono semplicemente Tommaso, non il giocatore di Modena Volley”.
    Foto CEV
    È vero che si imbarazza ancora quando le chiedono il selfie dopo la partita?
    “(ride, n.d.r.) Come lo sa? Comunque sì, più che l’imbarazzo è l’emozione. Ci sono molte ragazze che giocano a pallavolo, per cui vederci con quella maglia è subito sinonimo di idolatria. E lì mi mostro sempre nel lato più timido. Ci sono anche tanti ragazzi che come me sognano quella maglia e quindi mi fa piacere quando vengono a fare i complimenti dopo la partita”.
    In fondo fanno i complimenti ad un argento europeo Under 20.
    “Che ricordi. Non mi chieda di quella finale però, perché la sconfitta non sono ancora riuscito a digerirla. Ho giocato al massimo delle mie forze ma è stata dura perché molti di noi accusavano già le conseguenze del Covid. Quindi stanchezza, affaticamento. Peccato, vorrei rigiocarla oggi e cambiare la sorte di quel secondo posto”.
    È stata dura riprendersi?
    “Non è un qualcosa che puoi sottovalutare. Oggi sto bene e sono di nuovo in campo, ma non è una semplice influenza che passa con un po’ di paracetamolo. Mi sento fortunato, perché lavoro in un contesto ipercontrollato, ma tanti coetanei che non vengono costantemente monitorati devono abbracciare il valore della prevenzione”.
    Mi dica qualcosa di lei al di fuori del campo.
    “Mi sono diplomato qualche mese fa e quest’anno ho deciso di prendermi un momento per capire se alla pallavolo posso affiancare qualche studio universitario. Vorrei capire esattamente cosa mi piacerebbe fare perché tra allenamenti col club, nazionale, Europei da preparare e il resto avrei fatto una scelta azzardata. Vorrei concedermi la libertà di una scelta ponderata”.
    Quest’anno basta già Modena insomma.
    “Assolutamente. Con qualche traguardo nella testa da raggiungere penso sia più che sufficiente”. LEGGI TUTTO

  • in

    La seconda giovinezza di Enrico Cester: “Per me Vibo vuol dire ripartenza”

    Di Roberto Zucca
    Vederlo battere quella Civitanova che porta con sé il ricordo di sue bellissime quanto altrettanto personali imprese, è stato un momento nel quale tutti si sono resi conto della forza della nuova Tonno Callipo Calabria Vibo Valentia. Una Vibo lucida, a tratti crudele, nella quale anche Enrico Cester si è prestato a fare la sua parte di killer delle grandi di Superlega:
    “Io direi che è una Vibo che si diverte e fa belle cose. Ovviamente il risultato di Civitanova non se lo aspettava nessuno, se aggiungiamo il fatto che davanti ci siamo trovati una squadra veramente agguerrita. Abbiamo fatto il nostro e quando è stato il momento siamo stati capaci di chiudere”.
    Su Instagram ha scritto “Un vecchio Veneto si asciuga i sudori dopo una battaglia. Il finale lo conosciamo tutti”.
    “È stato un bel finale. Ho scoperto i social tardi ma non ne faccio un uso spasmodico, non sono, per dire, il tipo che scrive frasi motivazionali. Anzi, non scrivo spesso perché faccio molta autocritica. Io, della partita contro la Lube, penso non ai muri fatti ma ai primi tempi che non ho messo dentro”.
    Da dove arriva l’idea di vedere il bicchiere mezzo vuoto?
    “Sono così, dentro e fuori dal campo. Non pensi a uno che loda le proprie prestazioni, quanto piuttosto a uno che non è mai contento appieno della propria prova. Si può sempre fare qualcosa di perfetto”.
    C’è qualcosa di perfetto nella sua vita?
    “Valeria, la mia compagna. Lei è la persona a cui non riesco mai a trovare un difetto, nei modi, nei toni, nei comportamenti. Qualunque cosa dica o faccia penso vada sempre più che bene”.
    Sua sorella Erica ha scritto che lei è un uomo di esperienza. È un pensiero che hanno in tanti.
    “Ho 32 anni. Ho un mio vissuto e un mio percorso. Penso anche io di aver fatto qualcosa in questo mondo e riconosco che sia un valore aggiunto. Preferisco però che lo pensino gli altri. Leggere il pensiero di Erica mi fa molto piacere. Se le persone che vengono a vedermi pensano questo è ovvio che il lavoro è stato sicuramente ripagato”.
    Cosa significa Vibo per lei a 32 anni?
    “Il riscatto. Meglio dire, la ripartenza. Arrivo da un’esperienza a Verona in cui volevo trovare più spazio, dopo aver lasciato l’anno prima Civitanova, che è stata la mia casa per quattro stagioni. Volevo rincominciare in un altro posto, con altre basi. Sono felice dell’ambiente che si è creato a Vibo”.
    Si dice che Baldovin sia bravo a creare gli ambienti giusti.
    “È un buon allenatore che si sta ad ascoltare volentieri. Ci siamo trovati tutti con la voglia di fare bene. E lo stiamo dimostrando. Credo che il lavoro di squadra che stiamo facendo sia decisamente buono, se in campo sono arrivati certi risultati”.
    Tonno Callipo Calabria Vibo Valentia
    Trentadue anni. La metà dei suoi anni l’ha passata in serie A. Ci ha pensato?
    “Ho fatto molti pensieri, ogni tanto ho meditato anche di concentrarmi su altro che non fosse la pallavolo, o semplicemente di cambiare vita e stare più vicino a Valeria. Abbiamo delle attività in cui abbiamo entrambi investito tempo e sogni. Mi è capitato di pensare di portarle avanti assieme anche recentemente”.
    Non vorrà dirmi che è già arrivato il momento di appendere le ginocchiere al chiodo.
    “(ride, n.d.r.) Ancora no, dai. Abbiamo una farmacia in cui ho investito dei risparmi vicino a Gallipoli. Mi piacerebbe dare una mano a Valeria, pensare di mettere su famiglia. Progetti di stabilità, ecco tutto”.
    La ripartenza di cui mi ha parlato prima pensa comprenda anche la nazionale?
    “No, penso quello sia un treno ormai passato. Nel ruolo forse saranno fatte scelte che ricadranno su atleti più giovani. Mi fa piacere averne fatto parte e se mi chiedessero di farne parte in futuro accetterei con piacere. Ma credo ci siano dei piani diversi e la concorrenza nel ruolo è tanta”. LEGGI TUTTO