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    Simone Baldari: “Casarano si è meritata un finale importante”

    Di Redazione

    Quando una buona stella assiste il cielo di una città, nella pallavolo nascono belle storie come quelle della Leo Shoes Casarano. La storia di una società che, al primo anno di Serie A3, è arrivata alle semifinali dei Play Off Promozione, eliminando ai quarti la corazzata Palmi e cadendo solo davanti a Prata, già vittoriosa in Coppa Italia. Protagonista di questo piccolo trionfo è il ventiquattrenne Simone Baldari che, dopo anni di A2 e di molto altro, in Puglia è ritornato per vincere:

    “La vittoria contro Palmi ci aveva dato una bella carica, lo ammetto. Loro erano una squadra costruita per fare un passaggio verso la serie A2, noi una squadra inizialmente con ambizioni più modeste, che si è comunque trovata alla fine del girone di andata al secondo posto del proprio girone. È stata una bella serie nei quarti, una serie in cui abbiamo giocato con la testa libera da pressioni e ci siamo ritrovati vittoriosi“.

    Poi però con Prata non siete riusciti a ripetervi:

    “La delusione c’è, assolutamente. Quando inizi a gustare il sapore di una vittoria così importante come quella dei quarti, e cadi un passo prima della finale, ovviamente ti dispiace. Ma è stato davvero bellissimo lottare in Gara 2, contro una squadra molto forte, davanti al proprio pubblico“.

    Foto Lega Pallavolo Serie A

    In quella partita c’è stata una bella cornice, vero?

    “Sono venuti in tantissimi a vederci ed è stato bellissimo rivedere il palazzetto così. Abbiamo il rammarico del quinto set, ma ce la siamo giocata alla pari fino all’ultimo. Non so cosa sarebbe successo in Gara 3, ma va bene così. Questa società si meritava un finale comunque importante“.

    Lei è un ex del campionato in A2 e immagino che il desiderio di tornare sia forte.

    “Bisogna pensare prima ad arrivarci, e in ogni caso capire quali sono le intenzioni della società. Certo, mi piacerebbe tornare. A 24 anni sarebbe bello fare il salto di categoria, ma le confesso che vorrei provare anche un anno a misurarmi con la Superlega“.

    Ad attenderla poi ha già un lavoro abbastanza tosto.

    “Lavoro come Business Developer in una società di consulenza. Sviluppiamo modelli per banche e clienti con l’ausilio dell’intelligenza artificiale. Un lavoro appassionante, ma molto faticoso. Sto conseguendo una seconda laurea in Business Management alla Sapienza. Sicuramente l’ambizione di ottenere qualcosa di più sul lavoro c’è“.

    È una scelta complessa, credo.

    “Me lo chiedono sia lato volley, sia lato lavoro. È sicuramente un bivio, in cui non voglio ancora definire una scelta netta. È faticoso, ma per ora riesco a conciliare gli impegni, soprattutto perché in A3 è difficile vivere di solo volley. Più avanti capirò, per ora tengo il piede in entrambe le scarpe“.

    Se domani la chiamassero dalla Superlega, lo sa che dovrebbe mettere da parte il lavoro?

    “(ride, n.d.r.) Non si fanno queste domande! Comunque partirei un’ora dopo. Mi piacerebbe provare l’ebbrezza e l’emozione di giocare una partita contro Ngapeth o contro Zaytsev. Per me rimangono ancora dei modelli, che nella carriera sogno di sfidare“.

    Per due anni ha diviso il campo con Matej Cernic. Vuole respirare di nuovo quell’aria?

    “Beh, Matej è stato un compagno eccezionale, un consigliere, un supporto, un amico. Mi auguro di ritrovarmi in generale in futuro con esempi simili con cui condividere il mio percorso. Elementi come Matej hanno un enorme valore aggiunto perché sanno donarsi agli altri. Sono degli esempi“. LEGGI TUTTO

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    Oreste Cavuto tra il sogno europeo di Trento e l’abbraccio alla piccola Zvlata

    Di Roberto Zucca

    Sono gli occhi di Oreste Cavuto a rivelare la profondità del suo animo. Sono occhi così empatici che si rischia di rimanere immersi nelle sue storie e nella sua vita, e di essere trascinati all’interno di un mondo che non ha mai lo stesso ritmo. In quegli occhi, anche Zvlata, una persona per lui molto speciale, di cui sceglie di parlare per la prima volta, deve aver visto qualcosa di molto speciale.

    “Ne parlo sempre con molta emozione. Zvlata è una bambina ucraina di cui la famiglia della mia amica Caterina ha deciso di occuparsi, da quando lei ha conosciuto l’orrore di questo conflitto. Sono persone alle quali sono molto legato a Trento, tanto che appena ho qualche minuto libero dagli impegni della pallavolo, vado a trovarli“.

    Da dove è nata questa storia?

    “Dal fatto che anche i miei genitori in Abruzzo abbiano ospitato due famiglie con dei bambini, e il fatto di non poter essere lì con loro a dare una mano mi ha toccato molto. Mi creda, sono cose che gratificano, soprattutto in una giornata in cui magari sei stato occupato da altro o non sei dell’umore migliore, e trascorrere del tempo con queste persone ti fa svoltare proprio la quotidianità“.

    Di lei dicono che ha il potere di rendere speciale un momento o di far sentire speciali le persone.

    “Se così fosse è il più grande complimento che mi si possa fare. Forse è per il fatto che faccio parte di un gruppo di persone speciali in questa squadra“.

    Foto Lega Pallavolo Serie A

    È vero che Trento ha un’arma in più, ossia è una squadra nel vero senso del termine?

    “È una famiglia. Sono persone con le quali vivo dei momenti importanti, da giocatore in campo e con molti di loro al fuori del campo. Con molti di loro ho vissuto anche l’emozione della maglia azzurra, e adesso riprenderò tra qualche settimana quel cammino“.

    Cosa si aspetta da questo ritorno?

    “Ne ho parlato con De Giorgi, il quale ha saputo trasmettermi degli stimoli importanti attraverso degli obiettivi relativi al mio ruolo in campo e all’interno dello spogliatoio“.

    Mi dica di più.

    “Abbiamo parlato del ruolo di universale, che mi si richiede di avere, dato che in questi anni ho cercato di lavorare proprio sull’essere così malleabile. Sotto l’aspetto comportamentale, mettiamola così, De Giorgi apprezza il fatto, così come lo ha apprezzato Angelo, di avere una predisposizione a fare gruppo“.

    A Trento dimostra sempre di avere una parola e un gesto per tutti.

    “È la mia natura, non è un qualcosa su cui ho necessità di lavorare. Sono così anche fuori dal campo perché così mi è stato insegnato. Se vedo qualcuno in difficoltà o qualcuno che di quella parola ha più bisogno sono pronto a darla“.

    Ha scritto che Trento è casa. Cosa c’è dentro quella parola?

    “C’è una squadra di amici con cui trascorro il tempo, ci sono luoghi in cui mi rifugio quando mi manca la mia vera casa, ci sono persone al di fuori del campo e situazioni che si creano che mi aiutano a crescere al meglio. C’è il profumo del palazzetto, che è unico, o i cori dei tifosi che mi ricordano quanto sia legato a questa città“.

    Della sua vera casa, la terra d’Abruzzo, cosa le manca di più?

    “La montagna, il mare e questo trait d’union che si crea e che è unico. Casa mia è un posto così. E poi la famiglia. Sono venuti a Civitanova per tutte le gare a tifarmi, e sarei voluto tornare qualche giorno a casa con loro. Anche solo per stare qualche giorno con i miei nonni, i miei zii e mia cugina“.

    Foto Lega Pallavolo Serie A

    A casa ha una tifosa molto speciale.

    “Nonna Fernanda. È una nonna giovane e tecnologica, che guarda le partite in tv o in rete e mi segue sempre. Poi mi manda i messaggi per commentare le partite. È una persona unica. Sono fortunato ad avere una famiglia come la mia, anche se ho perso qualcosa perché per inseguire i sogni legati alla pallavolo. Ma li sento sempre molto vicini“.

    Dicevamo di Civitanova. Uscire in Gara 5 tra gli applausi come è stato?

    “Difficile, perché era quasi fatta. Soprattutto perché eravamo avanti anche in quella gara. Loro hanno fatto vedere la squadra che sono, e abbiamo giocato contro un Simon che ha dimostrato di essere il giocatore più forte del mondo. Siamo arrivati ad un passo dalla finale, giocandocela alla pari. È un peccato non aver raggiunto anche l’obiettivo di una finale scudetto, ma abbiamo dato tutto ciò che avevamo“.

    Non è finita. C’è il 22 maggio. Una data per lei importantissima.

    “Per tutti. Giocare la finale di Champions sarà l’ultimo obiettivo della stagione e ci stiamo preparando al massimo per arrivare pronti a quella data. Ci troveremo di fronte una squadra molto forte. Lo Zaksa sta dimostrando anche in Polonia il suo valore e per questo dovremo essere al massimo della condizione. Teniamo tutti moltissimo a questo trofeo, anche perché sarebbe davvero un bellissimo modo di finire questa stagione“. LEGGI TUTTO

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    Matteo Sperandio: “Anche le stagioni negative possono servire”

    Di Roberto Zucca Matteo Sperandio è un po’ il termometro, il misuratore dello stato di salute della Delta Group Porto Viro, e di una storia che negli anni ha contribuito a plasmare sia a livello di squadra che dietro le quinte. Non si offenderà alcuno se si scriverà che la stagione appena passata non è stata all’altezza delle aspettative iniziali. Tantomeno la cosa imbarazza il protagonista del colloquio odierno, che traccia con la sua solita sincerità il bilancio della stagione appena trascorsa: “Partiamo da un dato, ossia che la salvezza, che abbiamo rincorso con molta preoccupazione nelle ultime settimane di campionato, è arrivata. E non era scontata. Poi sì, la stagione non è andata come si sperava all’inizio. C’è stato un girone di andata nel quale le sconfitte ci sono state, ma la classifica non ci poneva di fronte all’emergenza. Il girone di ritorno, complice un po’ il Covid, un po’ il fatto che il rendimento è calato, è stato un po’ più difficoltoso“. Cosa non fa funzionato, Sperandio? “Io credo che la squadra, pur composta da ottimi elementi, non abbia semplicemente girato come doveva. Può capitare, quando si mettono assieme dei tasselli diversi insieme, che non si riesca a comporre un puzzle perfetto. Non si è trovata la quadra in generale. Penso però sia servito. Io sono una persona che crede al fatto che dalle stagioni negative si possa solo ripartire con presupposti migliori, soprattutto quando si fa tesoro degli insegnamenti“. Foto Delta Volley Porto Viro Lei ha già detto sì per il prossimo anno? “No, ma non perché non lo voglia, anzi. Semplicemente non si è ancora parlato concretamente della prossima stagione. Però se me lo chiede, con la storia degli ultimi anni, non mi vedo lontano da una società come Porto Viro. Qui ho trovato una realtà nella quale ho un ruolo anche all’interno della società. Ho dato una mano e imparato delle cose, così come ho messo a disposizione la mia esperienza universitaria e mi è piaciuto molto farlo“. Bocche cucite anche sul mercato? “Per ora posso dirle che sono contentissimo che arrivi sulla panchina di Porto Viro Matteo Battocchio. Lo ricordo a Cisano, perché fu l’unico allenatore che in quella stagione riuscì a sconfiggere la mia squadra. E poi perché con l’Under 20 nazionale ha iniziato a fare un bellissimo percorso. Penso sia una persona con le carte in regola per fare davvero bene a Porto Viro. Sul resto non so altro, giuro“. foto Delta Volley Porto Viro Parliamo del suo rilancio. Immagino che dalla prossima stagione, indipendentemente dove, si aspetterà di più? “Sì, assolutamente. È stata una stagione con un fastidio fisico che mi ha accompagnato e che fortunatamente spero di risolvere entro poche settimane. L’estate la utilizzerò anche per rinforzare il ginocchio e tornare al 100% nella prossima stagione. Sono scaramantico e non dico nulla. Ma da me stesso il prossimo anno pretenderò moltissimo“. Alcuni avversari si stanno contendendo la Superlega. Mi faccia un pronostico. “Credo che alla fine sarà una lotta tra Bergamo e Cuneo. Due squadre che si sono distinte durante tutta la stagione. Certo, c’è ancora in gioco anche Reggio Emilia, che ha dimostrato di potercela fare con qualsiasi squadra“. LEGGI TUTTO

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    Simone Parodi: “Ho pensato di smettere, ma la salvezza mi ha dato nuove energie”

    Di Roberto Zucca Forse quella che è appena passata è stata non tanto la stagione più difficile della sua carriera, ma quella del giro di boa. Complessa, iniziata troppo tardi rispetto ai suoi ritmi. Tuttavia, Simone Parodi ne è uscito ancora una volta vincente con la Emma Villas Aubay Siena, con in tasca una salvezza che, a qualche giornata dalla fine del torneo, sembrava irraggiungibile: “È stata una stagione complessa, è vero. È partito tutto dal mercato, in cui all’inizio, ho vagato per Cisterna, poi la parentesi di qualche giorno in Francia, fino all’approdo di Siena. È stato strano all’inizio, non ero abituato. Ma come me, tutta la squadra ha risentito di una stagione in cui il problema non è stato individuato. Ci siamo spenti, e poi improvvisamente riaccesi. Fino ad una salvezza per la quale ho cercato di lottare con tutto me stesso fino alla fine“. Sono stagioni da dentro o fuori. “Sì. Ammetto per la prima volta nella mia carriera di aver pensato di smettere. Non era una questione solo fisica, ma anche una condizione psicologica. Sono abituato a chiedere 100 a Simone Parodi e ad ottenere 120. Non sono l’atleta che non dà tutto sé stesso. Sono così da sempre“. Foto Lega Pallavolo Serie A E ora? “La salvezza mi ha dato una nuova energia. Credo di essere uscito da questa stagione con maggiori consapevolezze sul presente e sul futuro. Ho ancora voglia di esserci. Nell’ultima partita ho pianto, sono crollato. Le lacrime sono una cosa che non mi appartengono nella vita in generale. Ma ero così contento, così felice del traguardo raggiunto che emotivamente ho spinto fino alle lacrime. C’era tutta la stagione dentro quel finale. Forse anche di più. Ma mi lasci dire una cosa“. Prego. “Ho trovato un gruppo bellissimo qui a Siena. Abbiamo vissuto al nostro Casale, la residenza in cui abitano molti di noi, e si è creato un rapporto quotidiano che mi ha ricordato i bei tempi del passato. Il presidente ha saputo mettersi a disposizione, comprendere la situazione. C’è stato un momento in cui ho capito quanto uomini come lui investono in questo sport e quanto credono nelle squadre che allestiscono. Anche con Paolo (Montagnani, n.d.r.) mi sono trovato bene. È un anno che porterò nel cuore“. Foto Lega Pallavolo Serie A Siena è una squadra che negli anni ha cambiato molto. “Sì, credo si voglia andare su una strada diversa. Ossia mantenere l’ossatura di questa stagione e ripartire da alcune conferme. Io, nel mio piccolo, penso che i risultati vadano costruiti anche sulle buone cose fatte nelle stagioni precedenti“. È un invito a chiederle di restare? “(ride, n.d.r.) No, intendevo dire che sicuramente la base della fiducia è fondamentale. Cambiare tutto spesso è più un rischio che un’opportunità. Certo, se mi arrivasse una proposta per un bel progetto, considererei l’opzione di restare ancora a Siena. Anche se è aprile, è troppo presto in questo senso per pensare alla prossima stagione“. Foto Emma Villas Aubay Siena Cosa la aspetta? “Un po’ di vacanza, ma riprenderò subito ad allenarmi, perché voglio arrivare carico alla prossima stagione“. Quindi ha scacciato via la possibilità di smettere? “Assolutamente“. LEGGI TUTTO

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    Matteo Coggiola: “Fa male vedere Roma senza impianti sportivi”

    Di Roberto Zucca La SMI Roma Volley è balzata all’onore della cronaca qualche sera fa, durante la messa in onda della trasmissione Le Iene. Si parlava tristemente della condizione degli impianti sportivi romani, vittime dell’incuria e dell’abbandono (si veda il caso del PalaTiziano, inagibile ormai da anni), nonostante in città ci siano società coraggiose, che si spostano in tutta l’Urbe e spesso anche fuori città per coltivare la passione propria e dei propri atleti. Matteo Coggiola, centrale della SMI Roma Volley, è uno degli intervistati che nel servizio di Filippo Roma ha raccontato questa ormai famigerata situazione: “Noi stiamo giocando a Fonte Meravigliosa, un impianto bello ma credo non omologato per una serie superiore alla B. Ho visto anche io il servizio, e vedere come lo sport a Roma venga maltrattato in questo modo da moltissimi anni fa male. Mi creda, le società che lavorano con passione, come la nostra, sono tante. Non ci meritiamo una situazione simile“. Secondo lei servizi come quello delle “Iene” servono allo sport? “Potrebbero. Ovviamente la speranza è che queste immagini arrivino a chi a Roma si occupa di sport a livello politico. Un messaggio del genere non può assolutamente passare. Non si possono avere così pochi impianti funzionanti in una città come Roma“. Tra le altre cose, la SMI Roma Volley è attualmente in testa alla classifica. “Abbiamo strappato matematicamente il pass per i playoff promozione dopo aver lottato con altre quattro o cinque compagini. La stagione sta andando molto bene e siamo soddisfatti del lavoro fatto. La voglia di giocarci la vittoria in campionato è tanta“. E poi? “Mi chiede se Roma andrà in A3? Non mi so spingere così avanti…“. Sulla questione palazzetto? “Si spera che il PalaTiziano possa tornare molto presto ad essere agibile, ad esempio. È una struttura bellissima, in cui ha militato per tantissimi anni la M.Roma. Sarebbe bello poter disputare un campionato in un impianto del genere“. Coggiola, lei si vede in A3? “Pensiamo a finire il campionato. Poi capiamo quali saranno le intenzioni della società. A 25 anni mi piacerebbe molto, ovviamente, ritornare in Serie A3“. Lo scorso anno ha completato gli studi alla Luiss. Con quale obiettivo? “Mi sono laureato in marketing. Attualmente lavoro nel mondo del marketing sportivo, dove mi piacerebbe più avanti potermi costruire una carriera“. LEGGI TUTTO

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    La doppia vita di Andrea Coali: ricercatore universitario e pallavolista in Serie A

    Di Roberto Zucca Quando si parla di dottorandi e addottoramenti nel mondo della pallavolo, l’immagine del passato che viene alla mente è quella tra genio e follia di Leo Morsut, il grande pallavolista dell’Itas Trentino che all’apice della carriera lasciò tutto per amore dello studio e della ricerca universitaria. Tanti anni dopo siamo ancora a Trento, ma solo nelle origini, e non si parla di una storia di scarpette che si stanno per appendere al chiodo, ma della scelta di un presente in cui portare coraggiosamente avanti due carriere, quella di ricercatore universitario e di pallavolista “professionista”. Quella di Andrea Coali è una bellissima testimonianza, di sport e ricerca, che dalla Bocconi di Milano si irradia fino al Volley 2001 Garlasco, in Serie A3: “Sto per conseguire il dottorato in Management all’Università Bocconi di Milano. Alla Bocconi tengo due corsi di Business Analytics e Innovation Management. È il mio ultimo anno di dottorato. Poi forse ci sarà l’estero perché, purtroppo, in Italia la carriera universitaria è un grosso punto interrogativo“. Foto Roberto Peli L’eccezionalità del portare avanti due carriere così impegnative rende la sua storia unica. “La ringrazio, ma non è questione di eccezionalità, bensì di organizzazione. Effettivamente l’impegno della A3, ossia di cinque giornate in cui l’università è alternata al volley, è sfidante. Ma gli orari serali degli allenamenti, dopo una giornata trascorsa in Bocconi, mi consentono di conciliare tutto. Certo, sto meditando rispetto a ciò che sarà la mia carriera dopo la fine del dottorato. Ma devo ancora capire come muovermi“. La sua carriera è molto curiosa. L’avevo lasciata a Verona circa otto anni fa. “Poi ci sono stati anni di serie B, un anno di serie C, la serie A in Svezia quando mi trovavo lì per il mio anno di ricerca all’estero e uno scudetto in Lussemburgo quando ero un consulente alla Banca Europea degli Investimenti prima del dottorato. Successivamente sono tornato a Garlasco, e dalla B lo scorso anno ci siamo ritrovati in A3. Ho messo subito le cose in chiaro, dicendo che l’università avrebbe avuto un impegno totalizzante, che mi avrebbe portato anche all’estero per delle settimane, ma la società ha accettato questo mio impegno e, tra l’altro, vista la pandemia, le assenze per motivi accademici sono state evitate“. E con Garlasco state per raggiungere una storica salvezza. “Ce la meritiamo. Spero arrivi perché è frutto di un bell’impegno da parte di tutti. Siamo stati una scommessa, fatta da tante provenienze, tante storie diverse e tante vite differenti. All’inesperienza di molti di noi nelle serie maggiori abbiamo compensato un po’ con l’entusiasmo e un po’ con l’incoscienza“. Foto Roberto Peli I suoi precedenti illustri la portano a Trento, Altotevere e Verona. “A Trento sono stati gli anni della formazione, poi sono arrivate le stagioni di San Giustino e Verona. È servito tutto. Anche per capire dove volevo stare“. Cioè? “Ho capito subito che volevo essere altro oltre la pallavolo. Questo sport per me è sicuramente un grande antistress, dalle pressioni del lavoro e dalla vita in generale. È passione, è entusiasmo, ma ho capito da giovane che non sarebbe potuto essere l’unica strada da percorrere. Ero molto diverso dalle persone con cui mi ritrovavo a condividere il campo. Quelli con cui ho condiviso maggiormente una casa, o un’amicizia, poi hanno fatto delle scelte simili alla mia, ossia non dedicare l’intera vita solo al volley“. Era un pesce fuor d’acqua? “No, non direi. Però magari, quando arrivava il momento della Playstation, io avevo altro a cui pensare. Non è un giudizio di superiorità, ma una considerazione sul fatto che ho trovato forse anche in altri gruppi di persone ciò che mi faceva sentire più a mio agio“. Foto Roberto Peli Mi dica quali sono i suoi amici nel volley. “Ricordo con affetto Andrea Cesarini con cui ho condiviso la casa a San Giustino, o Alessandro Blasi, il palleggiatore di Verona, o Marco Lo Bianco, sempre a San Giustino, che ha scelto di lasciare per dedicarsi agli studi“. Pistola alla tempia. Garlasco sale in A2. Coali cosa fa? “Non saliremo, o almeno penso che statisticamente non ci sia alcuna possibilità. Detto questo, se accadesse, sarei sicuramente ad un bivio. Ma le dico che per esperienza, a 30 anni, mi sono reso conto che forse il massimo del mio gioco e del mio potenziale posso esprimerlo nella categoria attuale“. La vedremo ancora in qualche campionato estero? Magari in qualche League Americana? “Se dovessero chiamarmi dagli Stati Uniti per insegnare sarei felicissimo, ma punto più all’Europa, ad esempio l’Olanda o la Spagna, perché alla fine sarei a qualche ora da Trento. Arrivarci da Milano o da Amsterdam o Barcellona sarebbe più o meno la stessa cosa“. A cosa si deve rinunciare per una carriera come la sua? “Agli amici dell’infanzia che non ho tanta occasione di vedere. Per il resto, cerco sempre di organizzare una vita in cui lo spazio per la mia ragazza e per la mia famiglia non manca mai. Non sono uno di quelli che manda mail alle 7 del mattino pur di guadagnare tempo sulla vita. Penso si possa fare tutto nei limiti della giornata lavorativa“. Un supereroe. “(ride, n.d.r.) No, solo un sano work-life balance“. LEGGI TUTTO

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    Leonardo Colli, bandiera di Santa Croce: “Lascerei solo per la Superlega”

    Di Roberto Zucca Di fedeltà, di attaccamento alla maglia, nel mondo dello sport se ne parla sempre troppo poco. Nel caso di Leonardo Colli, non si possono utilizzare parole migliori per spiegare le sue sette stagioni con la maglia della Kemas Lamipel Santa Croce, una squadra dalla grandissima tradizione pallavolistica, in cui lo stesso Leonardo è praticamente cresciuto e sbocciato: “Abito a mezz’ora da Santa Croce e pallavolisticamente parlando sono cresciuto in questa società, che ha saputo sempre soddisfare ogni richiesta, e mi ha sempre dato ciò che cercavo dalla pallavolo. È una società storica, che meriterebbe il salto in Superlega per la tradizione, il lavoro fatto e l’affetto che questa città ha nei confronti del volley“. Le carte per sbancare quest’anno ci sono tutte. “Ma è un anno molto difficile, dove non puoi permetterti nemmeno per una domenica la benché minima distrazione. Ogni partita è determinante. Noi siamo riusciti a mettere in ordine quei piccoli problemi che ci attanagliavano ad inizio stagione, e prima del passo falso di Ortona avevamo totalizzato nove successi consecutivi. Una bella soddisfazione“. Foto Lega Pallavolo Serie A Qual è il valore aggiunto di questa squadra? “A Santa Croce il collettivo ha sempre avuto grande importanza. Quest’anno ognuno ha saputo mettere da parte il proprio individualismo, e siamo riusciti ad esprimerci molto meglio come squadra. Ci siamo guardati in faccia, ci siamo confrontati, parlati e tutto poi è andato per il verso giusto“. Dovere di capitano, per lei. “Anche io ho lavorato sul maggior senso di responsabilità. La società e l’allenatore hanno voluto affidarmi questo ruolo di capitano e per fare sì che tutto andasse per il verso giusto ho lavorato sull’ascolto, sulla relazione con tutti i componenti della squadra. Siamo persone e personalità completamente diverse, quindi ci sono modi di porsi e parole diverse per ognuno e con ognuno“. Foto Lega Pallavolo Serie A Play Off. Da chi si dovrà guardare Santa Croce? “Da tutti, onestamente. Da Bergamo che ha Padura Diaz e Larizza con cui ho giocato proprio qui a Santa Croce, a Reggio Emilia che come abbiamo visto si è aggiudicata la Coppa, a Cuneo. Ma potrei fare davvero tantissimi nomi“. Lei finora ha disputato un campionato da protagonista. “Per me è un anno importante, non è il primo, forse anche qualche anno fa lo è stato, ma quest’anno ho un ruolo più pieno, più importante. Sarebbe bellissimo concluderlo magari col pensiero di dover ripartire da una serie superiore il prossimo anno“. foto Kemas Lamipel Santa Croce Mai tentato dal lasciare Santa Croce gli scorsi anni? “No, anche se le offerte ci sono state. Mi trovo molto bene qui. La mia famiglia è accanto a me, studio a Pisa, Santa Croce è una bel posto in cui crescere pallavolisticamente. Avevo tutto, non aveva avuto senso cambiare. Certo, nei prossimi anni mi piacerebbe provare un anno in Superlega, quindi naturalmente spero di arrivarci con Santa Croce, ma se così non fosse penserei di lasciare solo per provare la sensazione di dovermi giocare il massimo campionato, qualora me lo offrissero“. Nel frattempo sta completando gli studi. Per fare cosa? “Studio Strategia, Management e Controllo all’Università di Pisa. Per ora senza un’idea chiara di ciò che mi piacerebbe fare. Ho sicuramente un’aspirazione: un giorno mi piacerebbe essere Amministratore Delegato di una grande realtà“. LEGGI TUTTO

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    Matteo Bortolozzo, emozioni da MVP: “La Coppa Italia, un momento stupendo”

    Di Roberto Zucca Le storie come quella di Matteo Bortolozzo sono ciò che più si spera di ottenere da un momento vincente come la conquista di una Coppa Italia, per ragioni che la nostra penna scava, più che scrivere, all’interno della vicenda personale del giocatore. Sabato 5 marzo Matteo ha conquistato la prima Del Monte Coppa Italia di Serie A3 insieme alla Tinet Prata, dopo aver avuto la meglio sull’attuale capolista Grottazzolina. Non solo, ma da quella partita il centrale è uscito con il premio per il miglior giocatore: “Non sono ancora capace, dopo giorni, di pensare a quei momenti senza emozionarmi. È stato un momento stupendo, che ho condiviso con un gruppo di ragazzi speciali, che assieme a me hanno cercato, voluto e lottato per conquistare quel titolo“. Foto Lega Pallavolo Serie A Festeggiato con i “passerotti”, i tifosi di Prata. “A Bologna erano 350. È una città che ti vuole bene, che si muove per te, che ti segue, che ti fa sentire importante ogni gara. Era un dovere per noi cercare di fare del nostro meglio per regalare quel trofeo ad una tifoseria così. E a una società come Prata“. Che ha creduto in lei. “Decisamente. Da due anni crede in me, ma soprattutto quest’anno ho sentito la loro volontà forte, decisa, di avermi ancora dentro questo progetto. È stato importante, e mi ha dato la spinta per decidere di continuare a credere in questo sogno“. Foto Lega Pallavolo Serie A Mi dica chi non ha creduto in lei, invece. “Non ho mai parlato di una vicenda che mi ha toccato diversi anni fa e lo dico a lei per la prima volta. Durante il mio secondo anno in A2, a Città di Castello, a metà stagione sono stato ceduto ad Isernia. Non c’era più fiducia in me, nel mio lavoro. È stato un salto nel vuoto terribile, perché per la prima volta non avevo più la fiducia di una società. Mi sono rimboccato le maniche, ho finito la stagione lì e poi sono ripartito da Sant’Antioco, dalla Sardegna in B“. Sardegna “refugio peccatorum”? “Sardegna è famiglia. Un periodo bellissimo, con una società che mi ha aiutato a ricominciare, e col tempo, a ritrovare le mie certezze. Con quelle certezze ho risalito la china, e sono arrivato fino alla Superlega, a Ravenna“. Foto Lega Pallavolo Serie A Molti di quei compagni di squadra, parlo di Lavia e Cavuto, le hanno regalato parole molto belle dopo la conquista della Coppa. “Il bene e l’affetto che nutrono per me è ampiamente ricambiato. Hanno fatto parte di un bellissimo anno, che è quello trascorso a Ravenna, e vederli adesso vestire quella maglia di Trento, e mietere uno dopo l’altro tanti successi, mi riempie di grande orgoglio“. E ora? In A3 si ha più paura di sedersi dopo un trofeo o si fa più paura a chi adesso vi ritrova in cima? “Torno in palestra con la volontà di guardare negli occhi quei ragazzi e di chiedere di proseguire, per fare sì che i nostri momenti magici non si fermino solo alla Coppa Italia. È un periodo di entusiasmo, in cui bisogna tenere la barra dritta e non mollare“. Ph.-Franco-Moret Mi dica, quando si gira verso la panchina, cosa prova a trovare Dante Bonifante e Samuele Papi come allenatori. “Eh, provo a spiegarglielo. Dante è un allenatore davvero in gamba, e lo è stato anche come giocatore. È una persona che ha vinto tanto e che ogni giorno cerca di trasmetterti qualcosa con l’umiltà che lo contraddistingue. Prima della finale ci ha aiutato a rilassarci e ad entrare in campo con la consapevolezza di ciò che era il nostro obiettivo. Non dimentichiamo che lui ha vissuto prima di noi certi momenti. Papi è Papi, è stato mio compagno alla Sisley Treviso quando ho militato lì nelle giovanili e in prima squadra. La sua eccezionalità è nel saper stare un passo indietro. È lì per te, ma non te la fa mai pesare. È un bel sodalizio“. Vada come vada, chiude un biennio importante. Nel 2022 la Coppa, nel 2021 ha conseguito la laurea. “In Scienze motorie. Cerco di destreggiarmi tra l’impegno della pallavolo e l’impegno del lavoro in una palestra che ho messo su con il mio socio Mauro. Non è semplice, anche perché in A3 ci si allena esattamente come nelle categorie superiori. Su questo ringrazio sempre la società che ha un’attenzione anche verso la nostra vita extrapallavolistica“. LEGGI TUTTO