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    La Fipav scrive al Governo: “Senza un chiarimento riprenderemo gli allenamenti”

    Di Redazione
    Continua la polemica – per il momento a senso unico – tra Federazione Italiana Pallavolo e Coni sulla sospensione degli allenamenti di tutte le categorie, escluse Serie A e B, in vigore dallo scorso 5 dicembre per decisione della stessa Fipav. Il presidente federale Bruno Cattaneo, che pochi giorni fa aveva scritto a Giovanni Malagò invitandolo a “vigilare” sull’applicazione delle norme, oggi indirizza una nuova missiva al numero uno del Coni e contemporaneamente si rivolge anche a Giuseppe Pierro, capo del Dipartimento dello Sport della Presidenza del Consiglio.
    “Abbiamo appreso attraverso il sito del CONI – scrive Cattaneo nella lettera al rappresentante del Governo – che (…) sono state pubblicate le indicazioni degli Enti di Promozione Sportiva, che con grande ‘disinvoltura’ hanno conferito tale titolo ad attività prettamente promozionali e amatoriali. Siamo, quindi, al paradosso più totale, in cui i campionati federali che assegnano i titoli di campione d’Italia, regionale e territoriale, assoluti e giovanili, si trovano oggi fermi per il grande senso di responsabilità – percepito talvolta come ‘tradimento’ dai propri movimenti di riferimento, di grandi Federazioni nazionali (…) mentre attività prettamente amatoriali e promozionali, di cui non si nega l’importanza da un punto di vista sociale, vengono inglobate in generici concetti di ‘agonismo’ e ‘carattere nazionale’, allegando calendari generici e non dettagliati, potendo di fatto svolgere tutte le attività, siano esse di allenamento o di gara“.
    “Tale situazione – aggiunge il presidente federale – non è più accettabile sia da un punto di vista del rischio per la salute pubblica, valore che l’ultimo DPCM sembrava voler preservare richiedendo a tutti un atto di responsabilità (…), sia dal punto di vista del danno per tutto il movimento pallavolistico, che chiede e a cui devo e dobbiamo, insieme al Consiglio Federale, dare delle spiegazioni“.
    A questa disamina, la lettera fa seguire un avvertimento: “Mi trovo costretto a comunicarle che, laddove non giunga in tempi brevi da questa mia nota una risposta di chiarimento volta a definire in modo dettagliato l’interpretazione da dare al DPCM 3 dicembre 2020 per la parte relativa alle ‘attività di preminente interesse nazionale’, con l’inizio della prossima settimana adegueremo anche la posizione della Federazione Italiana Pallavolo a quella degli altri enti, tornando a considerare anche le attività definite ‘di interesse nazionale’ dal nostro regolamento gare come ‘di preminente interesse nazionale’, con la conseguente possibilità di svolgimento degli allenamenti e la riprogrammazione dei calendari dei campionati“.
    Entrambe le lettere (il cui testo completo è consultabile online) si concludono con la conferma che “con il Consiglio Federale intendiamo attivare in tutte le sedi opportune azioni volte a difendere gli interessi delle società affiliate alla Fipav“.
    Da una parte, dunque, la Fipav chiede chiarimenti su un decreto che solo due giorni fa definiva “un chiaro monito governativo ad un maggior controllo e restrizione delle attività sportive“, e sul quale peraltro il Dipartimento dello Sport si era già espresso nelle proprie FAQ, specificando che “il testo del DPCM non presenta sostanziali differenze dal precedente, confermando quanto già definito” anche riguardo alle attività di interesse nazionale. Dall’altra, il presidente della Federazione prima dipinge uno scenario di rischio “non più accettabile” per la salute pubblica (riferendosi alle attività altrui) e poi, a distanza di appena poche righe, prefigura lui stesso la generale riapertura delle palestre utilizzandola come “arma” per sollecitare l’intervento di Governo e Coni: una presa di posizione che appare quantomeno singolare…
    (fonte: Comunicato stampa) LEGGI TUTTO

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    La sfida della Tonno Callipo: “Avete degli occhiali più originali di quelli di Saitta?”

    Foto Instagram Tonno Callipo Volley

    Di Redazione
    La Tonno Callipo Vibo Valentia sfida i propri tifosi: “Avete degli occhiali più originali di quelli del nostro capitano?”
    Davide Saitta, infatti, ultimamente è sceso sul taraflex casalingo indossando un paio di occhiali che non sono di certo passati inosservati. Escluso l’elastico, del quale sono dotati, che evita al giocatore di perderli o che questi si muovano durante un salto, sono in tutto e per tutto gli occhiali da sole che si vedono sui visi delle persone nelle giornate assolate.
    E voi, quindi, sapreste batterlo in originalità?

    (fonte: Instagram Tonno Callipo Volley) LEGGI TUTTO

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    Pallavolo Supervolley, Camilla Mingardi è il volto del numero di dicembre

    Foto Facebook UYBA Volley

    Di Redazione
    Pallavolo Supervolley è in edicola con il numero di dicembre e in copertina c’è un volto nuovo, l’opposto di Busto Arsizio Camilla Mingardi.
    Nel Mondiale del 2018 era stata l’ultima delle escluse, oggi, con percentuali da top player vuole convincere Mazzanti a portarla ai Giochi. “Paola Egonu è più forte di me, ma una nazionale è composta da dodici giocatori che devono essere pronti e all’altezza se chiamati in campo. Posso giocare anche schiacciatrice se servisse. A Busto voglio dimostrare che reggo benissimo un campionato di livello”.
    Ambizioso e determinato, anche Francesco Recine a Ravenna sta facendo sogni in grande. Lo schiacciatore è figlio d’arte e l’altezza non è un problema. “Sono troppo basso? Chiedete a Samuele Papi se i centimetri gli sono bastati”. Non solo storie, è anche tempo di bilanci.
    Del numero uno della pallavolo, il presidente Pietro Bruno Cattaneo, che lascia la presidenza della Federazione dopo un solo quadriennio. E quelli più scanzonati del Classificone, che ripercorre un anno segnato dal Coronavirus e dallo slittamento dei Giochi al 2021. Imperdibili poi le rubriche. Due firme d’eccezione come Simone Giannelli e Miriam Sylla raccontano questo 2020 con i loro occhi e le loro parole. E non mancano gli appuntamenti storici. Se l’intervista doppia mette uno di fronte all’altro due pezzi da novanta della nostra recente storia azzurra, oggi con ruoli nuovi, Alessandro Fei e Antonella Del Core, “Una certa idea di mondo” ci porta a viaggiare nella vita del palleggiatore di Piacenza Michele Baranowicz. Ad aprire le danze però è sempre l’inviata speciale Rachele Sangiuliano e questa volta tocca all’oro olimpico Aldo Montano, che a Tokyo scenderà in pedana per la sua quinta e ultima partecipazione ai Giochi, rispondere alle sue domande.
    (Fonte: Instagram Lega Volley) LEGGI TUTTO

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    La pallavolo piange la scomparsa di Riccardo Nobili, vice di coach Barbolini per anni

    Di Redazione
    È con grande tristezza che il Volley Academy Sassuolo comunica che nella giornata di oggi è venuto a mancare Riccardo Nobili, nelle scorse stagioni allenatore nella nostra società.
    Volto noto della pallavolo modenese, Riccardo è stato più volte vice di coach Barbolini ed in particolare è stato protagonista della prima stagione in Serie B1 e della promozione in Serie A2.
    “A tutta la famiglia di Richi, ai suoi amici e a tutti i suoi compagni sul campo da gioco, le nostre più sentite condoglianze” scrive la società.
    La redazione di Volley News si unisce al cordoglio di famiglia e amici.
    (Fonte: Facebook Volley Academy Sassuolo) LEGGI TUTTO

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    “Atleti al tuo fianco”, Vermiglio: “Per ritrovare me stesso sono tornato a Messina”

    Di Redazione
    Si può dialogare di momenti di vita sportiva per offrire spunti di riflessione sulle difficoltà di chi combatte contro il cancro? Questa è la scommessa che offre il progetto “Atleti al tuo fianco”, guidato dal dottor Alberto Tagliapietra, medico chirurgo con DAF in psico-oncologia e patrocinato dall’associazione Arenbì Onlus. Prende parte a questa iniziativa Valerio Vermiglio, palleggiatore della Nazionale Italiana di pallavolo, Oro in World League e agli Europei, medaglia d’argento ai Giochi Olimpici di Atene 2004.Valerio, con Atleti al tuo fianco la tua esperienza nella pallavolo si mette al servizio delle famiglie che affrontano un tumore maligno: insieme rifletteremo su alcune situazioni del volley soffermandoci però prima sulle emozioni della vita quotidiana in un percorso oncologico, il tutto avvicinato dal potere delle metafore. Prima di ogni altra cosa però, raccontaci qualche elemento in più di te e della tua personale vita di ogni giorno. “La mia quotidianità è essere ripartito da zero, dopo un matrimonio che non si è rivelato felice come quando, da giovane e forse in un approccio più superficiale, mi era sembrato di viverlo. Ma quando una scelta porta incomprensione, sofferenze e disagi, credo sia stato giusto rimetterla in discussione, pur con le grandi sofferenze che questo comporta. Per ripartire e ritrovare me stesso sono tornato a Messina, dove sono nato e da dove tutto è partito, mi sono ricongiunto con la mia famiglia originaria e, passo dopo passo, mi sono trovato a ricostruire tutto partendo da capo. Mi sono dovuto prima di tutto prendere cura di me stesso, ferito e deluso, da guarire nei confronti dell’approccio stesso alla vita; adesso sono qui, in un percorso profondo, legato alle mie radici, costruendo un presente che sia d’appoggio e di slancio per la mia vita futura”.
    La famiglia e le distanze sono un aspetto delicato della vita in oncologia. Si vivono ricoveri lontani, ci si separa, ci si pensa senza potersi abbracciare, condizione che in questo 2020 abbiamo conosciuto tutti. Ma a volte un messaggio, un biglietto, anche un oggetto con sé possono far molto per sentirsi vicini mentre la distanza mantiene separati. Guardando la tua carriera sportiva si rimane colpiti dalla distanza che spesso ha coinvolto la tua vita: sei partito da Messina, sei andato a Treviso giovanissimo, hai giocato in molte squadre e hai girato l’Europa. C’è stato qualcosa che nel tuo percorso di affermazione individuale itinerante tu hai sempre desiderato portare con te, che ti facesse sentire il legame con le tue radici e con la tua città di partenza? “Sicuramente il pallone. L’ho portato con me addirittura durante alcuni tornei con la Nazionale: lo portavo anche a letto quando dormivo, e in un qualche modo riusciva ad infondermi un senso di sicurezza. Fin da bambino ho sempre vissuto di sport: praticavo il calcio, oltre alla pallavolo. Sono cresciuto in oratorio perché frequentavo le scuole dai Salesiani e quello era il mio ambiente quotidiano. Oltre al pallone ho sempre portato con me la mia idea di ambiente familiare, tant’è che in tutte le squadre in cui sono stato ho sempre cercato di instaurare rapporti di amicizia veri e solidi. Mi considero una persona emotiva e passionale, e per questo motivo le i miei stati d’animo li ho sempre espressi in maniera molto chiara ed evidente. Durante l’infanzia sono stato un bambino iperattivo, ma siccome negli anni passati nei confronti di queste diagnosi non c’era l’attenzione che c’è oggi, alcune cose di me le ho scoperte solo negli anni più recenti, lavorandoci con uno psicologo. Probabilmente anche a causa di questo mio temperamento ho sempre ricercato il calore familiare ovunque io andassi”.
    Spesso ad un malato oncologico capita di vivere il senso del dovere di guarire, come una sorta di missione per dare speranza costante e gioia finale a tutte le persone che lo circondano. Questa condizione però, all’interno di un percorso dall’andamento alterno tra miglioramenti e passi indietro, rischia di schiacciare l’animo umano in una responsabilità non così reale, che rischia di scaturire in profonda frustrazione e senso di colpa. L’equipe medica ha il dovere di offrire le migliori possibilità di guarigione e di qualità di vita, il paziente non ha la responsabilità della vittoria finale. Guardando alla tua storia si può notare che hai vinto tanto, giocando spesso in squadre costruite esattamente per vincere: dentro di te, ti sei mai sentito in qualche modo schiavo del traguardo della vittoria e in colpa per non essere riuscito a vincere? “È un tema interessante, sicuramente mi è capitato di sperimentare questa sensazione. Soprattutto nella vita al di fuori del campo di gioco però ho scoperto che il rimedio ai sensi di colpa, al fallimento e alle piccole e grandi sofferenze è dare il massimo a prescindere dal risultato che otterrai, procedendo un passo alla volta. Quando ti sembra di non avere più nulla per cui valga la pena sorridere è essenziale imparare a gioire delle piccole cose. Questo aspetto paradossalmente l’ho vissuto più nella vita di tutti giorni che durante i momenti agonistici, in quanto dare tutto ciò che avevo per la pallavolo era ciò che sono sempre stato abituato a fare. Ho sempre avuto l’impressione di trasformarmi quando scendevo in campo: se abitualmente sono una persona riservata e che non ama la luce dei riflettori, quando la partita iniziava diventavo vulcanico e accentratore. Altro aspetto determinante per me è stata la riscoperta della fede, che ha acquisito progressivamente sempre più importanza, che mi ha insegnato a gustare la vera gioia delle cose semplici, come un rapporto di amicizia recuperato. In generale direi che la via d’uscita dal vicolo cieco dell’autocommiserazione e dei sensi di colpa è il focalizzarsi sul momento presente, staccandosi completamente da quello che potrebbe essere il domani, sul quale nessuno di noi ha garanzie: tre minuti di gioia vera che riempie il cuore valgono molto più di 24 ore di sofferenza, che alla lunga ha il potere di consumarti anche fisicamente. C’è sempre un buon motivo per gioire quando la mattina ci svegliamo”.
    La mente è il centro di controllo del nostro corpo: il nostro modo di pensare è direttamente legato al nostro sistema nervoso centrale e alla trasmissione degli impulsi nervosi. Circondarsi di piccole cose belle anche in periodi difficili aiuta a sentirsi meglio, a pensare meglio e ad offrire al nostro corpo stesso impulsi migliori. Tu sei stato, nell’ambiente della pallavolo, uno dei migliori a mostrare l’abbinamento esistente tra la capacità delle mani e quella della mente, in particolar modo con quel meraviglioso spettacolo che offrivi nel non far mai capire quale fosse il tempo della tua decisione. Raccontaci però quanto il tuo palleggio fosse così fulminante e preciso per il potere della mente e quanto per la capacità delle mani. “Fin da piccolo ho avuto l’impressione che le cose difficili mi riuscissero molto facili mentre quelle facili mi rallentassero più del dovuto. Il fatto di essere iperattivo mi rendeva difficile affrontare le cose passo dopo passo. La gioia e la passione che ho messo nel gioco mi ha sempre contraddistinto e faceva sì che, durante la partita, io fossi portato a prendere determinate decisioni su una giocata all’ultimo momento, addirittura cambiandole anche all’ultimo secondo, perché attivavo quel qualcosa che era solo emozione e gioia allo stato puro! Questa velocità aumentava sempre di più fino a farmi perdere il controllo, soprattutto da ragazzo. L’avere conosciuto allenatori molto preparati, tra cui sicuramente Daniele Bagnoli, mi ha permesso di lavorare su questa mia irrazionalità di fondo e, mediante lunghissimi allenamenti, sono riuscito a raggiungere una maggiore consapevolezza e a maturare molto dal punto di vista emotivo e razionale. Al tempo stesso, quando ho perso la gioia di giocare a causa di quanto stessi vivendo nella mia vita privata, anche questa mia capacità si è molto ridotta. Però, rispondendo alla domanda, credo che il tutto richieda un lavoro per equilibrare le diverse componenti in causa: sicuramente il tocco delle mani è fondamentale, in un abbinamento tra talento e allenamento, ma la mente non può perdere la sua capacità decisionale, anche nella sua componente di istinto che resta uno strumento irrinunciabile ma che non deve diventare l’arma dominante”.
    Nella lotta contro il cancro focalizzarsi sugli obiettivi primari è importante, ma alcune volte per questo si trascurano elementi secondari molto importanti per la qualità della vita quotidiana. Due aspetti importanti, di cui spesso non si parla abbastanza, sono la cura del sonno e dell’alimentazione: ogni paziente e la sua famiglia si devono sentire liberi di fare ogni domanda necessaria a chi li segue direttamente, ricevendo risposte chiare ed accurate. Nel corso della tua carriera, per essere performante ai massimi livelli nel tuo ruolo, quanto hai dovuto curare sonno e alimentazione? “Li ritengo entrambi aspetti fondamentali che hanno inciso in maniera costante nella mia carriera! Durante l’infanzia sono stato un bambino con la propensione ad ingrassare. Per questo motivo fin dagli anni delle giovanili al Treviso ho seguito una dieta con un regime alimentare controllato. Un ruolo importante da questo punto di vista lo ha giocato lo yoga, disciplina che pratico da diverso tempo. Attraverso essa ho raggiunto un maggiore autocontrollo e ho imparato a conoscere meglio il mio corpo. La mente ed il fisico sono intrinsecamente legate e per questo è molto importante, anche dal punto di vista del benessere del nostro organismo, un equilibrato discernimento delle emozioni positive e di quelle negative. Per quanto riguarda il sonno il discorso è simile: mi rendo conto che se non dormo bene divento intrattabile e questa mancanza di sonno si ripercuote su umore e benessere fisico. Da questo punto di vista ritengo che il fattore dieta e il fattore sonno debbano andare di pari passo: ambedue sono essenziali per un corretto sviluppo fisico e mentale e per la conseguente qualità della vita quotidiana”.
    (Fonte: comunicato stampa) LEGGI TUTTO

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    Lupus in Fabula di Ceccarelli: la mano di D10S

    Di Redazione
    Torna l’appuntamento con Lupus in Fabula, la rubrica nata dalla penna di Andrea Ceccarelli. Argomento dell’episodio: Diego Armando Maradona, recentemente scomparso.
    Sembrerebbe incredibile pensare che lui sia ricordato con quel gesto discutibile e irregolare. Uno che ha segnato alcuni dei gol più straordinari della storia del calcio, ricordato per quello scaltro colpo di mano. Soprattutto se si pensa che nella stessa partita, sempre lui, segnò il più bel gol della storia del calcio, scartando più di metà squadra dell’Inghilterra fino a depositare la palla in rete. Eppure, in quel gesto e in quel soprannome risiedono tante verità.
    Diego Armando Maradona, da Villa Fiorito, periferia di Buenos Aires, è stato un genio popolare e populista. Lo è stato per le sue straordinarie capacità di addomesticare quella sfera, su ogni campo, in ogni circostanza, con ogni parte del corpo, piedi, cosce, petto, spalle, testa e, si, anche con la mano. È stato un uomo che ha rappresentato nella sua stessa vita le sue enormi contraddizioni, pagandone in prima persona gli errori. Sarebbe sbagliato dire sempre e solo in prima persona, come si legge e si sente da alcuni in questi giorni. Certamente sua moglie, le sue figlie, le sue amanti, un certo universo femminile che lo ha amato, curato, cullato e accompagnato, probabilmente ha condiviso anche il peso, il dolore e anche le conseguenze dei suoi eccessi. Questo va detto e mai dimenticato. L’amore per la famiglia, totale, a volte morboso e spesso contradditorio, è parte di una vita piena di contraddizioni che hanno comunque riportato sempre quel ragazzino con quegli occhi scuri e sinceri, alle sue origini e tra la sua gente. Un talento innato e una volontà di ferro lo avevano portato a rompere tutti gli schemi. Capace di emergere dalla povertà al lusso, dalla polvere dei campi di periferia, all’olimpo e alle luci della ribalta mondiale, per poi ricadere nella polvere.
    Diego, un uomo, a detta di tutti quelli che l’hanno conosciuto davvero, leale, generoso, buono, diretto. Non ha saputo gestire tanto sentimento, tanta empatia, tanta necessità di riscatto e tanta assuefazione ad essere sempre al centro dell’attenzione, sempre il numero uno, almeno su quel rettangolo di gioco. Si è fatto amare e odiare, senza che questo ne abbia mai cambiato la sua natura. Ha saputo onestamente ammettere i suoi errori, le sue dipendenze. Ha sentito la colpa della distanza che questo gli aveva provocato rispetto alle figlie, alle persone che veramente gli volevano bene, al mondo del calcio. Ha sposato cause populiste, estremiste, forse non condivisibili, ma comprensibili da chi dell’America Latina conosce la fame della povertà, l’ingiustizia dell’emarginazione, l’arroganza del potere, la sete di libertà e riscatto sociale. Ha rappresentato per due popoli simili, l’argentino e il napoletano, così umani, rumorosi, ironici, furbi, ma anche così feriti, romantici, nostalgici e sentimentali, il simbolo della rinascita. L’Argentina uscita da poco da una sanguinaria dittatura e dalla sconfitta contro il Regno Unito nella guerra delle Falkland (Malvinas) vinse il mondiale del 1986, battendo in semifinale l’Inghilterra con i famosi due gol di Maradona. Napoli, considerata allora la città italiana più povera, pericolosa e disorganizzata d’Italia, dimostrò, grazie alle vittorie nel campionato di calcio dell’87 e del ‘90 di poter giocare alla pari con le grandi squadre del nord, trascinata dal genio in maglia numero 10. Maradona era il calcio, il gioco con la palla, ma di questo rifiutava il sistema, a volte a ragione, contro i manipolatori e i politicanti, lui li definiva “i mafiosi” delle istituzioni sportive, a volte, macchiandosi di un eccesso di vittimismo e di mancanza di rispetto delle regole.
    Le sue battaglie contro Bush, contro Blatter, contro Matarrese, lo hanno sempre reso diverso dagli altri campioni dello sport, spesso per convenienza propria o per necessità contrattuale, portati ad essere più silenti o, comunque, meno diretti e aggressivi. Lui non ha mai fatto calcoli di opportunità. Le sue battaglie col pugno alzato sono dentro quel colpo di mano così famoso. Il braccio alzato simbolo di ribellione contro il “nemico”, il portiere avversario in semifinale, ma in quegli anni, anche l’Inghilterra, paese fortemente antagonista dell’Argentina. La scaltrezza di quel gesto, rapido, quasi invisibile, risolutore, ricorda la maestria degli argentini e dei napoletani nel gestire le situazioni difficili. Il suo salto verso quel pallone quasi impossibile, l’ascesa e il successo. La sua maglia bianco celeste, come la bandiera dei suoi “popoli” e come il cielo.
    Il 10, graficamente divenuto IO nella parola D10S, Dio, che è quello in cui tutti gli emarginati, i poveri, i sottomessi confidano per aver un nuovo domani, sulla terra o in quello che verrà. Diego Armando Maradona, non è stato solo un genio del calcio, è stato un capo popolo, un simbolo, un’icona, una divinità per molti. Anche lui come il Ché, come Pancho Villa, come Simon Bolivar, come Giuseppe Garibaldi, eroe rivoluzionario dei due mondi, con alcune macchie e tanti errori, rappresenterà ancora per tanto tempo un’idea, un sentimento, una speranza per tanti ragazzini che corrono dietro un pallone e per chi in quel pallone vede l’unica opportunità di emancipazione.
    Diceva un musicista argentino: “Maradona era il più umano di tutti i geni”.
    (Fonte: Facebook Roma Volley Club femminile) LEGGI TUTTO

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    Decreto Ristori Quater, nuovi fondi per lo sport

    Di Redazione
    Il Consiglio dei Ministri si è riunito ieri sera per approvare il Decreto Ristori Quater, che introduce ulteriori misure urgenti connesse all’emergenza Covid-19.
    Tra i 18 approvati, i punti 9 e 10 riguardano il mondo dello sport:
    Associazioni sportiveÈ incrementata di 95 milioni la dotazione del Fondo unico per il sostegno delle associazioni sportive e società sportive. 
    Indennità per i lavoratori sportiviPer il mese di dicembre è erogata da Sport e Salute Spa, un’indennità di 800 euro per i lavoratori del settore sportivo. Si tratta dei lavoratori del mondo dello sport titolari di rapporti di collaborazione con il Coni, il Comitato Italiano Paralimpico, le Federazioni Sportive Nazionali, le Discipline Sportive Associate, gli Enti di Promozione Sportiva e le Società e Associazioni sportive dilettantistiche, riconosciuti dal Coni e dal Comitato Paralimpico.
    (Fonte: governo.it) LEGGI TUTTO