Todd Woodbridge: “Coaching in campo? Sarebbe un errore”. Kyrgios: “Idea pessima”
Todd Woodbridge
Come prevedibile non è passato inosservato il tweet di Stefanos Tsitsipas che chiedeva senza mezzi termini l’introduzione del coaching in campo nel tennis maschile, “Su ogni punto” addirittura. Dopo moltissime reazioni (perlopiù contrarie) di centinaia di fans, ecco che arrivano anche quelle di colleghi e ex professionisti.
Secca la risposta di Nick Kyrgios, che su Instagram ha scritto: “Di solito non me ne frega niente delle sue idee, ma questa è davvero pessima. Il bello del tennis è starsene lì fuori da soli. Alcune persone scelgono di non avere un allenatore, altri non possono permettersi un coach. Sul campo da tennis c’è parità di condizioni, uno contro l’altro da soli“.
Più articolato ma interessante il parere di Todd Woodbridge, ex tennista australiano oggi commentatore per diversi media del suo paese. Todd ha rilasciato una lunga intervista a Wide World of Sport, in cui si dice contrario alla proposta di Tsitsipas, argomentando il suo pensiero. Ecco alcuni estratti.
“Non sono affatto d’accordo con Tsitsipas. Posso capire da dove viene, ma l’individualità di questo sport è ciò che lo distingue.L’unicità di dover trovare da soli la propria via d’uscita da un problema è una delle chiavi del tennis. Sei là fuori da solo e dipende da quanto sei bravo a cambiare le sorti di un match per arrivare al risultato”.
“Ovviamente dice questo perché sente di averne bisogno, il che per me è un po’ una sorpresa. Penso che Stefanos abbia un tennis completo, che sia in grado di riconoscere i punti di forza e di debolezza del suo avversario e abbia i mezzi per superarlo. Penso che trarrebbe beneficio dall’avere più fiducia nelle proprie capacità, piuttosto che avere qualcuno che glielo confermi”.
Woodbridge cita anche la situazione in essere sul tour rosa per confermare la sua idea: “La WTA ha sperimentato il coaching e molto raramente l’ho visto a beneficio della giocatrice. È usato come un parafulmini il più delle volte… Forse alla fine di ogni set si potrebbe concedere un 30 secondi per un rapido colloquio, potrebbero esserci modi per vederlo, ma credo che non aggiungerebbe nulla al gioco, non porterebbe spettatori in più e nemmeno sarebbe uno spettacolo, finirebbe per far somigliare il tennis agli altri sport, non credo sarebbe positivo in definitiva”.
Ecco secondo l’australiano il nocciolo della questione, un campione è in grado di restare lucido, analizzare il gioco, l’avversario e mettere in campo le contro mosse quando le cose vanno male. “Un campione o un tennista tattico ha la capacità di leggere cosa sta succedendo nella partita. Se dovessimo permettere il coaching tutto il tempo, il gioco svanirebbe nella sua essenza. Inoltre ai massimi livelli finirebbe solo per accrescere la disuguaglianza. Sono sicuro che se ci avesse pensato bene, Stefanos se ne sarebbe reso conto. I giocatori condividono gli allenatori in tournée. Se giocano allo stesso tempo, o giocano tra loro, l’allenatore non può essere in due posti contemporaneamente. Non funzionerebbe. Se sei un emergente, non puoi necessariamente permettertelo. I migliori giocatori hanno una grande squadra intorno a loro, quindi ne trarrebbero beneficio. In questo momento stiamo cercando di aiutare i giocatori classificati fuori dai primi 75 per poter competere allo stesso livello. Semplicemente non possono permettersi di avere un “pullman” che viaggia con loro ogni settimana…”
Il suo giudizio viene anche dalla propria esperienza come Pro, di grande successo in doppio o in Davis, meno come singolarista. “Ero un giocatore che avrebbe sicuramente tratto beneficio dall’avere un allenatore seduto con me. Amavo comunicare in campo. Uno dei motivi per cui riuscivo così tanto nel doppio era perché avevo un’altra persona con me. Ma allo stesso tempo sapevo che il mio lavoro nel singolare era quello di risolvere i problemi da solo. Mi piaceva parlare di tennis durante i cambi con John Newcombe in Coppa Davis. Abbiamo parlato di cosa stava succedendo e di come avrei cercato di costruire qualcosa, per creare un’apertura nella forza del mio rivale. È bello, ma non credo che ogni partita dovrebbe essere così, è una delle cose che separa la Coppa Davis e ora la ATP Cup, dal resto della stagione. Avere un allenatore a bordo campo in un Grande Slam non rende lo sport migliore”.
Il dibattito continuerà, con pareri molto diversi, e forse non si arriverà mai ad una svolta. Su di una cosa non possiamo che concordare: se il tennis è uno sport così affascinante, è anche per la sua unicità e differenza rispetto alle altre discipline. Siamo proprio sicuri che uniformarlo agli altri sport sia una svolta positiva?
Marco Mazzoni LEGGI TUTTO