«Mi piace sempre guardare avanti…». L’uomo che s’è inventato un treno dal nulla e ne ha visti di pazzi sfrecciare, ama i grandi spazi e l’idea che la vita non si debba fermare più di tanto nelle stazioni polverose e anche un po’ spettrali dei ricordi, anche se lui ne ha una marea di cose da ricordare. Magnifiche e tristi, nella stessa enorme pentola. Nel suo ufficio romano, una strada esclusiva nel cuore dei Parioli, tiene alle spalle il poster a tutta parete del deserto dell’Arizona, da Paris Texas, il film di Wim Wenders. Una fonte d’ispirazione oltre che un toccasana per claustrofobici iperattivi della sua fatta. Manca solo la chitarra evocativa di Ry Cooder, ma il tema è quello. La fuga in avanti come conquista ma anche dissolvenza, esplorazione e perdizione. Viene al mondo, Luca di Montezemolo, quando gli italiani gemono per Fausto Coppi e le italiane sospirano sulle pagine di “Bolero”. Aristocratico d’estrazione e passionale di natura, l’enfant non sarà più così prodigioso, ma resta, a 74 anni, più che mai acceso dentro, più enfant che mai, grazie anche alla compagnia del suo migliore amico, Lupo, 11 anni, il più giovane dei cinque figli. Sfrenato almeno quanto il padre, anche se il piccolo, per ora, preferisce le quattro zampe dei cavalli alle quattro ruote dei bolidi. S i è svegliato di ottimo umore l’uomo che, giusto trent’anni fa, diventava il capo assoluto di una Ferrari ai minimi e rachitici storici della sua gloria. Ha voglia di svago, di parlare della Rossa, ma anche di pallone, di ciclismo, di donne, di tutto. Dei tanti fantasmi che sgomitano nella testa e nelle foto alle pareti del suo ufficio. L’Avvocato su tutti, di cui era il prediletto, Enzo Ferrari, Lauda, Schumacher. Struggente e celebre la foto di lui, Michael e Todt in parrucca rossa e sigari che festeggiano da fuori di testa la vittoria del 2000, e poi Cassius Clay, Ratzinger, Ciampi, Napolitano, John Kennedy, Gino Paoli, Lucio Dalla. R acconta Montezemolo. Gli occhi che si bagnano quando rievoca l’addio a Maranello davanti a tutta la sua gente. Scaramantico vero, ogni tanto gli scattano le corna, come il braccio meccanico del dottor Stranamore. Ci vediamo con il sole e ci salutiamo, due ore dopo, sotto un acquazzone tropicale. Nel frattempo, ha recitato a memoria la formazione del Bologna tricolore di Bernardini e cantato le canzoni di Gino Paoli. Piovono memorie sparse. L’unica volta che salì sul podio, quella volta a Shanghai, la prima in Cina, e si ritrovò sotto la doccia con Barrichello. Del presidente Ciampi al volante della Ferrari, tre all’ora, sotto gli occhi della moglie Franca, che quasi sviene dallo spavento. E quella volta che Schroeder, allora cancelliere, gli disse: « Strana questa Ferrari, vince con tecnologia italiana e umanità tedesca » .
« Come dormo? Benissimo. Le dico di più, se dormo meno di sette ore sto male…Mi è capitato due o tre volte in cui sono stato le ore di notte a guardare il soffitto » .
Parliamone.
«Quando arrivai da presidente alla Ferrari, il 15 novembre del ‘91. Uno dei momenti più difficili della mia vita » .
Ansia da prestazione?
« Da liquidazione, più che altro. Non dico che arrivai al punto di pensare di dover fare il liquidatore della Ferrari, ma certo non immaginavo di trovare un’azienda in quelle condizioni. Il New York Times pubblicò un articolo sulla Ferrari entrata in cassa integrazione. L’ultimo mondiale vinto era del ’79 e non si vendevano le macchine. Le vetture di serie erano rimaste indietro a livello di innovazione » .
Le altre notti insonni?
« Quando mi fu chiesto di fare il presidente della Fiat. Il giorno prima ero stato eletto presidente della Confindustria. Altra situazione drammatica. Me la ricordo come fosse oggi. La Fiat era nelle mani delle banche. Prima la morte di Gianni poi, 16 mesi dopo, quella di Umberto. La famiglia Agnelli mi chiese in modo pressante di accettare: “Non puoi dirci di no” » .
[…]
118 GP vinti, 14 titoli mondiali tra piloti e costruttori, cui aggiungere i 5 da direttore sportivo. 11 titoli consecutivi dal ’99 al 2004. I momenti difficili?
« Tanti. Trovai un’azienda in cui, ogni due minuti, mi si diceva: “Se fai questo, Enzo Ferrari si rivolterà nella tomba”. Non era vero, lui guardava sempre avanti. Le difficoltà con gli amministratori delegati della Fiat. Ci tenevo a dare alla Ferrari un’autonomia. L’Avvocato mi sosteneva in questo » .
Come si costruisce una squadra vincente di Formula Uno?
« Un’ alchimia complicata. Molto più che costruire una squadra di calcio. Prendi la Roma in difficoltà di oggi, aggiungi un centrocampista forte, un centrale affidabile e risolvi. Prendi la Lazio. Inconcepibile tenere fuori un talento come Luis Alberto. Sarri trova il modo di farlo giocare e ritrova la squadra » .
Sempre simpatizzante laziale?
« L a prima partita della mia vita allo stadio fu un Lazio-Bologna all’Olimpico. Mi ci portò Steno con i due figli, Carlo ed Enrico Vanzina, miei amici. Aggiunga che alla scuola dove andavo, la Boccioni, erano tutti romanisti. Bastian contrario? Un po’ sì. Conobbi poi Ziaco, il medico della Lazio, quando mi feci male giocando a calcio. Tornai da lui quando Ronnie Peterson, a Zandvoort, uscendo dai box m’investì rompendomi spalla, gomito, tibia e perone. Conobbi Maestrelli, i figli, i giocatori di quella Lazio. Mi piaceva l’ambiente. Ma, tenga conto che oggi ho tutta la famiglia di romanisti, nipoti e figli, dal più grande che vive a Londra al più piccolo, Lupo di 11 anni »
[…]
La scelta di Schumacher?
« Lo feci contattare da Niki Lauda per il primo affondo. Arrivò da noi al momento giusto. Tre anni prima non avrebbe fatto la differenza, non avevamo la macchina né l’organizzazione ».
Il rapporto con Michael?
« Forte, ma meno stretto di quello con Niki. Veniva a casa mia d’estate con il figlioletto Miki, quello che ora fa il pilota, e lo copriva amorevolmente con la zanzariera. Era sempre avanti Michael. Fu lui a farmi scoprire Dubai venti anni fa. Faceva lì la preparazione d’inverno. Fuori dalle gare, Schumi non un uomo così forte, aveva bisogno di sostegno psicologico. L’incidente con Villeneuve lo fece soffrire molto. Lo rendeva unico la grandissima attenzione ai dettagli, come Niki Lauda. Era un vero uomo squadra. Vincesse o perdesse era sempre un “noi”, mai un “io”. Ricordo quando Massa ebbe quel bruttissimo incidente che per un millimetro non perse l’occhio. Noi ci trovammo in agosto senza piloti. Lo convocai d’urgenza » .
[…]
La Juventus di Andrea Agnelli. Undici anni controversi.
« Contano i risultati, c’è poco da dire o da contestare. Nove scudetti parlano chiaro. La Superlega? Un tema che prima o poi dovrà essere affrontato nelle forme giuste. Il trend va in quella direzione. Allora, furono decisamente sbagliati i modi e il timing » .
I suoi calciatori mitici.
« Maradona su tutti. Mi chiamava spesso per le Ferrari. Quella volta che a Torino gli facevano i cori: “Ciuccia la banana”. Disse all’Avvocato prima della partita: “Se non smettono, gli faccio due gol”. Ne fece uno. Quello su punizione. Un gol impossibile, contrario alla legge della fisica… Quand’ero bambino Omar Sivori. Come tifoso, Bulgarelli. Poi c’era questo ungherese, Detari, genio e sregolatezza, un Cassano ante litteram. E Platini. Intelligentissimo. Agnelli lo beccò nello spogliatoio che fumava di nascosto in un angolo. “Avvocato, l’importante è che non fumi Furino”. Era una primadonna, ma i compagni l’amavano tutti »
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