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    Mikael Ymer all’ATP: “Non importa da dove vieni, ma l’impegno che ci metti”

    Mikael Ymer

    Il 21enne svedese Mikael Ymer ha rilasciato un’interessante intervista al sito ufficiale dell’ATP, in cui racconta il suo approccio al tennis e alla vita. Nonostante la giovane età, Mikael sembra un ragazzo assai maturo e con obiettivi che vanno ben oltre i successi sportivi.
    “Gioco per me stesso, ma anche per la mia famiglia, il mio paese e, perché no, anche per la prossima generazione di ragazzi. E’ qualcosa a cui penso molto spesso. Non mi riferisco solo ai prossimi giovani tennisti svedesi, sarei molto felice di diventare una ispirazione per tutti i giovani del mio paese, essere un esempio di come lottare e avere un sogno, dando tutto per raggiungerlo. Vorrei poter spingere a credere in se stessi e che non importa da dove vieni o quale sia il tuo background o le possibilità economiche. Devi prenderti un rischio e darci dentro per raggiungerlo”.
    La famiglia Ymer è originaria dell’Etiopia. Il padre Wondwosen ha un passato da calciatore e lavora in un’impresa di lattici, mentre la madre Kelem è dottoressa. Vivono a Stoccolma, ben integrati nella capitale svedese. Il padre aveva iniziato i due figli al calcio, ma ben presto il tennis prese il sopravvento, soprattutto grazie al fratello Elias, più grande di Mikael (best ranking a ridosso della top100 ATP un paio d’anni fa); incuriosito dallo sport della racchetta – in un’epoca di crisi nerissima per il tennis scandinavo dopo i fasti degli anni 70-00 – Mikel ha seguito le orme del fratello, scoprendo di aver un certo talento e iniziando il percorso verso il tennis Pro.

    “Credo che il tennista abbia una mentalità che lo spinge a pensare a se stesso, e non solo per il fatto che il tennis sia uno sport individuale. Ma la cosa più importante, e che non dimentico mai, è restare un bravo ragazzo. Per me è fondamentale comportarmi bene ed avere buoni rapporti con tutti” racconta Mikael.
    Per il 21enne, Stefan Edberg resta la principale fonte di ispirazione: “Il modo in cui ha condotto la sua carriera e l’umiltà con cui si è sempre presentato a tutti lo rendono ai miei occhi una vera leggenda ed esempio. Lui tratta tutti allo stesso modo, ed è sempre estremamente cordiale e gentile, non solo con me ma anche con tutta la mia famiglia. E’ una persona straordinaria”.
    Ymer è uno dei giovani maggiormente cresciuti nel 2019, entrando nei migliori 70 giocatori del ranking, ma crede di aver ancora moltissimo da imparare: “Ho solo 21 anni, non posso pensare di conoscere già tutto quel che serve, soprattutto come persona. Ci sono molte cose su cui sto lavorando quando non sono in campo e sto cercando di capire che tipo di persona voglio diventare. Sto vivendo molte esperienze, ma la mia speranza è quella di arrivare un giorno ad appendere la racchetta al chiodo ed essere ricordato non solo come un ragazzo che aveva talento per colpire una pallina gialla… Come arrivarci? Non sono ancora sicuro del percorso, ci vorrà del tempo, ma la cosa principale è arrivare ad essere una persona che possa esser presa ad esempio”.

    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO

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    La USTA conferma: ok a Cincinnati e US Open a NY

    L’US Open 2020 resta in programma

    Dopo la notizia di Washington, cancellato per i troppi problemi negli USA e per le difficoltà nei voli, arriva una comunicazione ufficiale della USTA, che tira avanti con il suo programma e conferma che Cincinnati e US Open si disputeranno regolarmente: “La decisione (di Washington) non ha alcun impatto sull’US Open e il Western and Southern Open (Cincinnati Masters 1000). La USTA creerà un ambiente controllato e sicuro per i giocatori e per tutti coloro che saranno coinvolti nell’organizzazione e svolgimento di entrambi tornei, mitigando al massimo il rischio per la salute di tutti, come è stato approvato dallo stato di New York e dal governo federale.

    Basiamo costantemente le nostre decisioni sull’ospitare i tornei sulle nostre linee guida principali, che includono la sicurezza e salute di tutti i soggetti coinvolti, visto che ospitare questi tornei è nel massimo interesse del nostro sport e finché questa decisione sarà finanziariamente sostenibile. Siamo fiduciosi di riuscire a restare all’interno delle linee guida principali”.

    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO

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    Ufficiale: cancellato l’ATP di Washington

    Il Citi Open 2020 non si disputerà

    La notizia era nell’aria, ma oggi è diventata ufficiale: il Citi Open (edizione n.52) di Washington non si svolgerà. Ecco il comunicato ufficiale diffuso poco fa dalla direzione del torneo.
    “Dopo mesi di duro lavoro da parte di tutto il nostro team, inclusi i collaboratori e proprietari, abbiamo il cuore a pezzi nell’annunciare che l’edizione n.52 del torneo sarà posposta all’estate 2021.
    Con soli 23 giorni dall’avvio del torneo, restano irrisolte troppe questioni e problemi non dipendenti dalla nostra organizzazione, partendo dalle molte restrizioni per i viaggi internazionali fino ai problemi di salute e di sicurezza nel paese. Questo ci ha spinto a prendere la triste decisione, pensando ai giocatori, fornitori e partner, così che tutti possano proseguire con la propria programmazione.

    Siamo terribilmente dispiaciuti di non esser stati in grado di fornire ai giocatori una grande opportunità di competere, così come ai fans di assistere ad un torneo importante e divertirsi con le emozioni che ogni anno ci regala. Lo sport ha un ruolo importante nella nostra società, è fonte di ispirazione per i giovani, stimola l’economia locale ed è un evento molto seguito da tanti anni, siamo sicuri che metteremo tutto il nostro impegno per allestire un’edizione splendida il prossimo anno”
    Con i ringraziamenti allo staff, si chiude il comunicato firmato da Mark D.Ein, CEO della MDE Tennis, organizzatore dell’evento.

    Al momento non si hanno altre notizie, ma il rischio di un effetto domino anche su Flushing Meadows (Masters 1000 di Cincinnati 2020 e soprattutto US Open) diventa ogni giorno sempre più concreto, visto che la curva dei contagi negli USA non accenna a migliorare. Seguiremo quotidianamente la situazione, sperando di potervi dare buone notizie sulla ripresa del gioco, che, per fortuna, pare conferma a Palermo per il WTA Tour.

    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO

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    Rublev: “E’ inevitabile che qualche tennista risulterà contagiato”

    Andrey Rublev, n.14 ATP

    Mentre si infittiscono le voci di una possibile cancellazione del torneo di Washington per molteplici problemi (difficoltà nei voli per gli Stati Uniti, situazione sanitaria negli USA fuori controllo, possibile quarantena al rientro dall’America), il top15 russo Andrey Rublev ha parlato al media del suo paese Sport-Express, mostrandosi fatalista sulla situazione in corso.
    “Il Coronavirus è tutt’altro che debellato – afferma Rublev, “in Russia come negli USA e in molte altre parti del mondo. Dobbiamo farcene una ragione, nonostante le precauzioni che verranno prese, credo che quando il tour Pro ripartirà sarà inevitabile che qualche giocatore o giocatrice risulti positivo al Covid-19. Questo sta accadendo già in altri sport che sono ripartiti, e nonostante i casi, dobbiamo andare avanti. Match e tornei devono riprendere“.

    La Russia sta attraversando una fase molto delicata per quanto riguarda la pandemia in corso. Secondo i dati ufficiali degli organi sanitari internazionali, la patria di Rublev ha rilevato oltre 770mila contagi (4° paese al mondo in questa triste classifica) e 12mila decessi. LEGGI TUTTO

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    Leo Borg è sbarcato alla Rafa Nadal Academy

    Leo Borg, figlio del grande Bjorn, questa settimana è arrivato a Maiorca per allenarsi presso la Rafa Nadal Academy. Nei primi giorni di allenamento presso la struttura è stato seguito direttamente da Toni Nadal e dai suoi collaboratori più stretti, lavorando sia sul piano tecnico che atletico. Leo avrebbe dovuto iniziare il proprio percorso di crescita presso la RNA già la scorsa primavera, ma la pandemia da Coronavirus ha bloccato il giovane svedese.

    Lo scorso autunno Leo aveva fatto qualche giorno di prova presso l’Accademia, accompagnato direttamente dal leggendario padre, che si era espresso in modo assai favorevole sul metodo di lavoro adottato: “Il livello di allenamento presso la Accademia è davvero molto buono” disse Bjorn, “credo che stiano facendo un bellissimo lavoro. Per questo motivo mio figlio è venuto qua a giocare. Sono molto soddisfatto del primo approccio, credo si possa fare un ottimo lavoro qua, e mi auguro che tanti altri giovani facciano la stessa scelta in futuro perché non ci sono in Europa molti altri centri di questo livello”.
    “Leo ha l’ambizione di diventare un buon giocatore, lì avrà modo di imparare il metodo per crescere, il significato della vittoria e capire i sacrifici necessari per raggiungerla” chiude Bjorn. LEGGI TUTTO

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    Intervista a Filippo Volandri, il lavoro come Direttore tecnico al centro di Tirrenia, la giornata tipo dei ragazzi, il concetto di “sistema” (3a parte – di Marco Mazzoni)

    Filippo Volandri a Tirrenia

    Nella prima e nella seconda puntata dell’interessante intervista concessa da Filippo Volandri, Direttore tecnico del settore maschile della Federazione Italiana Tennis, si è parlato del suo ruolo e delle novità introdotte, con un focus sull’ausilio della tecnologia per capire come si è evoluto il tennis di vertice. La lunga chiacchierata arriva ad un punto cruciale: i ragazzi. Nella terza e ultima parte dell’intervista, Filippo ci parla di come si svolge il lavoro, la giornata tipo e il rapporto con i talenti azzurri, che a Tirrenia sono seguiti ed aiutati con grande attenzione sulla persona.

    Filippo, ringraziandoti ancora per l’intervista, facciamo un piccolo riepilogo del concetto di base. Oggi a Tirrenia il lavoro sui ragazzi si potrebbe riassumere come una supervisione molto attenta al giovane giocatore e alla persona, in totale collaborazione con i tecnici che vivono il quotidiano del tennista
    “Non bisogna dare indicazioni contraddittorie ai ragazzi, altrimenti si genera solo confusione. Mai prevaricare il ruolo del coach personale, che resta il punto di riferimento per ognuno di loro. Per ogni aspetto tecnico, tattico, di metodo e quant’altro serve sempre la condivisione di idee, linee guida e programmazione specifica con l’allenatore. L’obiettivo è lavorare in stretta sintonia. Questo richiede un lavoro enorme, che va ben oltre l’orario classico “8-20”. Si finisce per fare lunghe chiacchierate dopo cena con gli allenatori, o nel fine settimana. Poi spesso seguiamo le partite in streaming e magari sono di sera, la mole di lavoro è enorme quando vuoi svolgere al meglio il tuo ruolo. E anche la giornata dei ragazzi è davvero impegnativa, con orari ben scanditi”.

    Raccontaci proprio la giornata tipo di lavoro a Tirrenia
    “Si inizia alle 8.30 col lavoro in palestra e le varie routine. Chi fa atletica ha un paio d’ore di lavoro specifico, con le tabelle predisposte per ognuno di loro; quindi dalle 11 alle 13 si sta in campo per il lavoro tecnico e tattico. Si stacca per la pausa pranzo, un paio d’ore di riposo. Alle 15 si riparte, con un mix tra tennis in campo ed atletica a seconda dei vari programmi di lavoro personalizzati e l’obiettivo su cui ci focalizza in quel momento. Si sta in campo e palestra fino alle 18-18.30, a volte anche fino alle 19. Terminato il lavoro, i ragazzi che non studiano si riposano, cena e quindi tutti a nanna, mentre per i più piccoli c’è anche qualche ora di studio. La giornata è davvero piena”.

    Vista così, si potrebbe dire “tanta roba…”
    “Eh sì, è una giornata fitta, densa di impegni sia sul lato atletico, tecnico e mentale. Per questo mi piace esser chiaro: Tirrenia e il tennis Pro non è qualcosa di facile, non è per tutti. Bisogna accettare un percorso molto duro, i ragazzi devono essere disposti a questo tipo di vita. A volte mi chiedono: Filippo, tu quanti sacrifici hai fatto per arrivare tra i primi 20 giocatori del mondo? Rispondo che, in realtà, non ho fatto dei veri sacrifici perché non mi è mai pesato fare questo tipo di vita; piuttosto ho dovuto accettare molte rinunce rispetto alla vita dei miei coetanei. Da questo punto di vista, mi ritengo fortunato perché ero fin dall’inizio ben predisposto a quel che richiede la strada verso il tennis professionistico. A me non pesava più di tanto stare mesi lontano da casa ed allenarmi in campo ore ed ore tutti i giorni… sono sempre stato uno che se non giocava a tennis due volte al giorno “diventava matto”, il campo è il posto dove volevo stare. Quindi con me ha funzionato bene, ma non va così per tutti. Con altri ragazzi è necessario un approccio diverso, bisogna partire un po’ più da lontano cercando di convincerli che il metodo che adottiamo è la traduzione di quello che troveranno andando in campo da grandi. Non ci divertiamo a pungolarli insistendo su questi concetti, sull’importanza dell’etica del lavoro, della disciplina, della dedizione all’allenamento… Vogliamo prepararli al meglio a quel che dovranno affrontare una volta usciti dal Centro per farsi strada nel tennis Pro. Il concetto è che noi siamo come l’Università, li prepariamo al mondo del lavoro. Quando cammineranno con le proprie gambe, noi avremo compiuto il grosso del nostro lavoro. Forniamo loro il meglio come strumenti, esperienza e professionalità per renderli autonomi e fare la propria strada, possibilmente verso grandi risultati”.

    Sei un uomo di quasi 40 anni, con lunga esperienza in campo da giocatore e oggi con un ruolo importante come dirigente. Se riavvolgi il nastro della tua vita fino all’età in cui iniziavi a lavorare verso il tennis Pro, come ti rivedi e come trovi i ragazzi di oggi?
    “Sono molto molto diversi! Non è passato un secolo, ma la società è cambiata tantissimo, soprattutto grazie alla tecnologia. Quando avevamo la loro età non possedevamo uno smartphone, non esistevano i social network, si viveva in modo molto diverso. Parlo con i ragazzi, e cerco di fargli capire quanto siano fortunati a vivere in quest’epoca in cui possono sfruttare tecnologia e mezzi che noi nemmeno ci sognavamo. Quelli della mia generazione hanno vissuto esperienze differenti, noi ci arrampicavamo sugli alberi e facciamo fatica con i computer, mentre i giovani di oggi volano con la tecnologia ma se gli chiedi di salire sull’albero quasi non ce la fanno! Per andare sullo specifico, a differenza della mia generazione oggi è necessario lavorare tantissimo sul piano motorio, perché i ragazzi sono assai meno pronti a fare esercizio fisico, anche quello di base. La scuola inoltre non aiuta perché di fatto di esercizio se ne fa pochissimo… Quando arrivano i nuovi e li valuti, noti subito che spesso hanno delle lacune importanti e a volte c’è quasi da ricominciare da zero. Non è colpa loro ma del contesto sociale in cui sono cresciuti, per noi significa un lavoro in più, e di cruciale importanza anche se può sembrare banale. Poi i ragazzi sono molto indipendenti, ma non è sempre facile farsi ascoltare, per questo poter condividere dei momenti tutti insieme, come quello del pranzo o della cena, è importante per fare gruppo e conoscerli come persone”.

    Tornando all’organizzazione del Centro tecnico, qual è il rapporto tra tra base centrale e centri periferici, per capire il funzionamento e la gestione a livello di territorio?
    “Oggi a Tirrenia arrivano ragazzi under 18 salvo progetti speciali, come Musetti che è arrivato molto prima o Nardi a 16 anni. Cerchiamo di organizzarci per consentire ai ragazzi di crescere vicino alla famiglia in strutture che collaborano con la Federazione anche fino ai 16-17 anni, poi è il nostro compito “scegliere” quei progetti in cui valutiamo ci sia più potenziale. Le scelte fanno parte del nostro lavoro, è un compito per nulla facile, e accettiamo di aver sbagliato, di sbagliare oggi e che sbaglieremo in futuro, ma del resto è l’onere di un settore tecnico. La nostra non è una scienza esatta, di cose da imparare ne abbiamo tantissime. I ragazzi su cui ci focalizziamo restano da noi dai 17 anni finché non reputiamo che siano pronti per spiccare il volo nel mondo del lavoro, fino ai 23-24 anni. Dietro poi c’è tutta una struttura molto profonda, che parte dai CPA dei bambini al sabato e alla domenica, gli under 11 e 12, gli stage degli under 14 il cui responsabile è Michelangelo dell’Edera, insieme a tanti altri progetti per gli under 15 come “racchette di classe”, fondamentali nel percorso di crescita giovanile”.

    Se dovessi scegliere il prossimo passo, l’obiettivo che in questi primi quattro anni di lavoro ancora non hai raggiunto, quale sarebbe?
    “Non adagiarsi sugli allori. Col lavoro abbiamo portato una crescita davvero importante, che ci permette di avere molti giocatori tra i primi 200 del mondo, tra i primi 150 e anche 100 del ranking, addirittura due tra i primi 15. È stato fatto un lavoro strabiliante, con tante persone che hanno dato il proprio meglio. Ma oggi, seppur molto felici della situazione, siamo costretti a guardare al futuro perché tutto va velocissimo. Dobbiamo continuare a studiare e restare aggiornati, perché lo sport si evolve continuamente. Dobbiamo lavorare sulla pianificazione con i ragazzi più giovani, forti dei successi ottenuti con lo stimolo di migliorare ancora. Il tennis è uno sport individuale, ma il “sistema” conta più di quel che si possa credere, come lo stimolo tra giocatori che si tirano l’un altro. Anni fa, quando toccai il mio massimo tra i primi 30, non fu un caso che anche Potito Starace visse il suo periodo migliore. Oggi non è un caso che Fognini vinca Monte Carlo e che Berrettini, Sonego e anche gli altri abbiano fatto un salto. Così vale per la base dei ragazzi, la crescita come sistema e la sana competizione è un valore aggiunto importantissimo per tutti. A questo ha contribuito il lavoro ed investimento portato avanti per anni a livello federale sui tornei in Italia: tantissimi Futures maschili e femminili e quasi un Challenger a settimana da aprile a novembre, eventi sostenuti dalla FIT e fondamentali alla crescita del movimento nazionale. Per i più giovani avere in casa tutta quella serie di tornei è importantissimo, ci permette di far giocare e far crescere una base di tennisti”.

    Ricordo l’estate scorsa, quando al lancio dei nuovi tornei Challenger in USA col supporto di Oracle, Jim Courier disse senza mezzi termini “stiamo studiando il modello Italia, che ha portato grandi risultati”.
    “Esatto, Jim conosce bene Lorenzo Beltrame avendoci lavorato insieme, hanno parlato spesso di come si lavora qua. Ma non è il solo: per esempio sono stato interpellato dalla stampa spagnola, incuriosita dalla crescita del nostro movimento e dai risultati ottenuti, e dall’America Latina. Anche dalla Francia hanno chiesto informazioni, e loro hanno da sempre uno dei movimenti più efficienti. Avere tanti tornei in Italia aiuta moltissimo, insieme alla nuova filosofia di collaborazione con le strutture private”.

    Ma la speranza di avere qualche torneo “grande” in più?
    “Vorremmo averli, sarebbe un altro passo verso la crescita generale di tutto il sistema Italia, senza dimenticarci della straordinaria opportunità delle ATP Finals a Torino dall’anno prossimo. La Federazione si sta muovendo in tal senso, ma serve lavoro e pazienza perché il calendario è complicato, senza contare i problemi della situazione attuale…”.

    Concludendo, la chiave per il successo del tuo lavoro è stata la visione, la capacità delle persone ma soprattutto quella di esser riusciti a creare un sistema?
    “Assolutamente, Volandri non ha la bacchetta magica. Abbiamo lavorato tanto, formando un gruppo di collaboratori che è stato decisivo in tutti gli aspetti del progetto. Non voglio fare nomi perché sono tutti, dal primo all’ultimo, importanti. Come è stato fondamentale il Consiglio federale che fin dal primo giorno mi ha dato fiducia e lasciato lavorare con grande libertà. Ho sempre avuto la possibilità di scelta e questo, quando hai un ruolo di responsabilità, è importante perché ti spinge a dare il massimo sentendo il supporto e la fiducia intorno a te. Ovviamente abbiamo un budget da rispettare, ma a livello di scelte operative mi hanno sempre sostenuto e mai prevaricato. Non è un lavoro facile, non abbiamo orari ed enormi responsabilità, ma visti i risultati sono e siamo molto soddisfatti. Il futuro? Come dicevo prima, c’è “da continuare a pedalare”, lavorare tutti insieme, collaborare tra privati e struttura tecnica per il bene del movimento; guardare avanti con ambizione e voglia di imparare. Mai stare fermi, mai sedersi sui risultati raggiunti”.

    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO

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    Gasquet critica la gestione dell’emergenza e apprezza la velocità di Ultimate Tennis Showdown

    Gasquet in campo con Berrettini

    Il francese Richard Gasquet ha rilasciato al quotidiano l’Equipe un’intervista in cui critica senza mezzi termini la gestione complessiva dell’emergenza Covid-19 da parte del mondo del tennis. Ammette che il problema è assai più grande dello stesso sport, ma punta il dito sul modo in cui sono state prese le decisioni. Ecco alcune sue dichiarazioni, che includono anche una difesa a Djokovic, bersagliato da critiche durissime dopo l’Adria Cup e i contagi, e apre ad alcune delle novità introdotte all’Ultimate Tennis Showdown.
    “All’ATP sono stati una catastrofe, di fatto non dicono nulla ai giocatori. Sono semplicemente sopraffatti dalla situazione. Zoom e conferenze? Io non le frequento più. Alla fine saranno le autorità a decidere quel  che accadrà, né Bernard Giudicelli (il presidente della FFT) né il presidente della USTA. Le federazioni devono per forza adeguarsi, in questo momento sono come delle “marionette”. La ripresa? Solo se si accetta di seguire alla lettera il piano… Vai in hotel, rimani nella tua stanza, qualcuno ti porta un pasto, ok è il momento di uscire a giocare”
    Soprattutto per Gasquet restano troppi i punti interrogativi. “Ho pensato fin dall’inizio che il tennis sarebbe stato lo sport più colpito da questo tipo di pandemia. Purtroppo ora è confermato. Ok, abbiamo un calendario nuovo, ma…. mon si sa nulla delle possibili quarantene al ritorno dagli Stati Uniti. Nessuno ci ha informato di nulla. Aerei? Al momento non è possibile prenotare, non si sa nulla. Nessuno lo sa”.

    Per Gasquet dopo quel che è successo in Croazia è fin troppo facile incolpare solo il numero 1 del mondo Djokovic, e le esternazioni di Kyrgios sono esagerate: “Sappiamo cosa sta dicendo Kyrgios. Nessuno è esemplare, nessuno ha una lezione assoluta da insegnare. Non mi piacciono i ragazzi che hanno distrutto Djokovic, è stato troppo facile. Ok, lui era lì, ma ricordo che c’è un governo che stabilisce le regole. Djokovic, non è Presidente della Repubblica. Ci sono persone sopra di lui che hanno deciso, lui non è l’unico colpevole. La caccia alle streghe è sempre molto semplice. Ha semplicemente riconosciuto un errore, è l’ora di finirla con le critiche”.
    Gasquet ha parlato anche dell’Ultimate Tennis Showdown, esibizione disputata in Francia con regole rivoluzionarie. Secondo il transalpino, non tutto è da buttare di quest’esperienza, anzi, potrebbe aprire una strada ad altre novità. “UTS è stata una bella cosa, ho giocato con grandi avversari, è stato ben organizzato e soprattutto divertente da giocare. Tutto in campo andava molto veloce, tutti i punti contano. Per lo spettatore è qualcosa di diverso. Per noi? Permette di sentirti più libero durante il match,. Puoi parlare un po’ con l’allenatore, rompe i soliti schemi. E’ stato qualcosa fuori dall’ordinario, e credo che sia interessante provare cose nuove. Il mondo del tennis è un po’ “ingessato” ormai, alcune cose sarebbero da rivedere. Cosa? Durante un match ATP “non puoi fare nulla”, apri un po “la bocca”, dici merda, e ti arriva una multa di $ 3.000. L’allenatore sussurra qualcosa, arriva il warning. Personalmente trovo i match troppo lunghi, è faticoso guardare partire di quattro ore, a volte sono belle ma tanti match di Roland Garros non riesco a seguirli dall’inizio alla fine, nemmeno un Federer-Nadal. Siamo l’unico sport in cui giochi anche più di quattro ore. Ci deve essere più libertà, si dovrebbe intervenire per abbreviare il tempo di gioco”.
    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO

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    Fiocco rosa in casa Stosur

    Sam Stosur neo mamma

    Sam Stosur ha annunciato attraverso la propria pagina Instagram la nascita della piccola Genevieve, partorita dalla compagna Liz. Ecco il messaggio dell’australiana: “La vita durante il lockdown per il coronavirus è stata una sfida in molti modi, ma personalmente è stato uno dei periodi più eccitanti e felici della mia vita. Il 16 giugno, la mia compagna Liz ha dato alla luce la nostra bellissima bambina, Genevieve. È stato un periodo turbolento, ma non potremmo immaginare la vita senza di lei adesso. Mamma ed Evie stanno bene ed è fantastico essere a casa con entrambi. Siamo assolutamente innamorate di questa piccola meraviglia e abbiamo il nostro bel da fare con il “caos felice” arrivato a casa. Non vediamo l’ora di vivere il futuro e vedere crescere la piccola Evie …. Anche se non troppo in fretta speriamo!”

    Auguri a Sam! LEGGI TUTTO