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    Isner: “Le mie critiche non erano solo per il Prize money, ma al sistema dell’ATP”

    John Isner

    Nelle classiche interviste pre torneo, il gigante USA John Isner è tornato a parlare di politica tennistica. Recentemente alcuni suoi tweet assai critici sul crollo del prize money al Masters 1000 di Miami non erano passati inosservate, dando il “la” tra i colleghi ad una sorta di processo all’ATP, accusata di fare l’interesse dei tornei invece di tutelare quelli dei giocatori. Isner ha chiarito alla stampa il suo pensiero.
    “Le mie critiche? Non è solo una questione economica. Riguarda il sistema ATP, il motivo per cui vengono prese le decisioni e il significato di una decrescita del prize money. Non si tratta dell’effettivo premio in denaro in sé. Ovviamente, vorremmo giocare di più, ma comprendiamo che con la perdita di entrate dalla vendita dei biglietti, i nostri premi diminuiranno. Ma ci sono alcuni giocatori che hanno dubbi sul motivo per cui il prize money complessivo è sceso così tanto. Il tour ha implementato una strategia che mantiene i guadagni ottenuti con piazzamenti nei primi turni abbastanza simili alle condizioni ‘normali’. Il montepremi dei quarti di finale, semifinale e finale invece è stato notevolmente ridotto. Stiamo cercando di capire un po’ di più come funziona questo processo”.
    Isner quindi parla delle tante assenze al torneo, nessuno dei “big 3”, e addirittura nessun numero 1 attuale o in carriera in gara, fatto questo che non accadeva da moltissimi anni in un Masters 1000. “Per i migliori giocatori d’Europa penso che sia comprensibile. Forse nel clima attuale in cui ci troviamo, la situazione non si adatta al programma di Rafa, Roger, Novak e Thiem. Immagino che sia un grande impegno venire qui, solo per un torneo, e quindi tornare immediatamente in Europa. Per loro quattro probabilmente non ha senso. Credo che molto sia dipeso anche dall’assenza di Indian Wells. Penso che il motivo principale per cui molti giocatori non sono qui è perché questo è un evento isolato dal resto della stagione, così come si è strutturata quest’anno. Non è necessariamente una questione di soldi, è più un conflitto di programmazione”.
    Il nuovo complesso a Miami, con l’Hard Rock Stadium (quest’anno non allestito con tribune nel catino da football), piace molto ai tennisti: “Nel 2019 l’esperienza di essere all’Hard Rock per la prima volta, con la quantità di spazio che i giocatori avevano per riscaldarsi e fare quello che volevano, è stata incredibile . Quest’anno il grande campo centrale non è integrato nello stadio, ma l’intero campo da football è nostro, quindi è bello uscire e lanciare la palla, correre, fingere di star giocando nella NFL. L’esperienza dei giocatori qui è stata eccellente. James Blake ha fatto un lavoro incredibile. Abbiamo molto spazio e tanto divertimento con cose da fare. I giocatori sono felici di essere qui. È bello essere di nuovo in uno dei pilastri dell’ATP e del WTA Tour: Miami”.
    L’intervista scivola sulla PTPA, della quale Isner è uno dei membri fondatori. L’americano risponde, ma senza grandi particolari. “Sappiamo tutti che la PTPA sta cercando di andare avanti. Forse è un lancio un po’ lento… Penso che lo scopo dietro quest’iniziativa sia ancora buono. Molti giocatori, forse anche molte persone nell’ATP, sono d’accordo con me. Anch’io ne faccio parte, penso che alla fine potrebbe essere salutare per il circuito. Non credo che succederà niente di drastico o qualcosa del genere, i giocatori non smetteranno improvvisamente di giocare. Di certo ci siamo fatti molte domande e credo che la pandemia abbia forse messo in luce alcuni dei problemi con cui i giocatori hanno lottato a lungo”.
    Miami è torneo importante per Isner, qua vinse nel 2018. Si sente in discrete condizioni: “Mi sento bene, sono stato in grado di giocare ad Acapulco la scorsa settimana. Una partita è stata buona, l’altra un po’ meno, ma è stato comunque importante fare qualche match prima di questo torneo perché non ho giocato così tanto nell’ultimo anno. Spero con questo torneo di creare un po’ di slancio per me stesso e vedere cosa posso fare nella stagione. Fisicamente sono a posto, mentalmente mi sento abbastanza fresco. Devo solo provare a partire bene e vedere cosa posso fare da qua in avanti”

    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO

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    Rublev: “La paura che il mio livello non sia abbastanza mi spinge a migliorare”

    Andrey Rublev, n.8 del ranking

    Andrey Rublev è uno dei tennisti più “caldi” dell’ultimo periodo. Quest’anno vanta la vittoria a Rotterdam, con un record  di 16 vittorie e 3 sconfitte complessive. Tuttavia il bilancio nei confronti diretti contro i migliori non è esaltante. Sbarcato a Miami, è stato intervistato dal sito ufficiale dell’ATP. Le sue parole sono chiare: sente di poter far bene, ma ha paura di esser stato anche “fortunato” nel raggiungere i suoi risultati, che il suo tennis ancora non sia abbastanza. Vuole di più, e la paura di non fercela lo spinge a migliorare, a cercare di crescere ancora. Ecco alcuni passaggi dell’intervista.
    “È vero, ad un certo punto la mia crescita come risultati e nella classifica è stata rapida, ma per un po’ invece ho fatto molta fatica ad impormi. Ho sofferto degli infortuni, le cose non andavano come speravo. A quel punto ho smesso di pensare a come sarebbe stato e cosa aspettarmi, perché forse mi stavo creando troppe aspettative. L’anno precedente stavo pensando: ‘Oh, se sta andando bene, forse presto sarò tra i primi 20, o ancora più in alto’. Invece mi sono infortunato e sono crollato fuori dalla Top 100. Da quel momento, ho smesso di pensare a come sarà … la mia mente si è focalizzata solo su cosa fare per essere migliore e basta”.
    Ecco il paggaggio chiave del suo pensiero, in merito al suo livello e quel che davvero desidera: “Voglio essere sempre migliore. Non si tratta di quello che sto facendo adesso o di quello che ho fatto. Voglio continuare a giocare e vincere per un lungo periodo. Voglio continuare ad essere migliore. Ho raggiunto buoni risultati, è vero, ma ho paura di essere stato solo fortunato, che forse non sono abbastanza bravo per dove voglio arrivare. Ecco perché voglio continuare a lavorare per vedere se posso continuare a giocare al massimo  livello, allo stesso livello per un po’ e migliorare ancora. È questo tipo di paura che non sia abbastanza, paura che non ce la farò o paura che non sarò abbastanza bravo che mi ha aiutato a migliorare, ed è per questo che voglio migliorare e migliorare. Il mio pensiero deve focalizzarsi solo su un aspetto: migliorare. È per questo che quando commetto un errore, ripenso al perché e voglio ripetere quella situazione per renderla perfetta e non sbagliare più. Voglio che tutto sua perfetto. Questa è una mentalità un po’ estrema forse, ma per il momento, mi aiutato”.
    Un atteggiamento perfezionista all’estremo, che finisce per aumentare la  pressione su se stesso. Ma parlando di pressione, Rublev la distingue dai risultati: “Non posso controllare se perderò al secondo turno o al primo. Alla fine, non importa quale pressione hai. Se vinci, vincerai comunque con la pressione del risultato o meno; se perdi, non importa cosa farai o quanto ci penserai, perderai comunque. Alla fine, è solo importante cercare di concentrarti su te stesso, sulle cose che devi migliorare per fare del tuo meglio e basta. Pressione sul mio atteggiamento e voglia di migliorare, non sul risultato”.
    Andrey dice di prendere i tornei uno alla volta, pensando di poter fare bene, ma resta consapevole che la stagione è lunga e in caso di qualche cattivo risultato, c’è sempre tempo per recuperare: “Come andrò a Miami? Lo vedremo, spero bene, ma non mi pongo obiettivi. Anche se qui non andasse bene, tra qualche settimana giocherò a Monte Carlo. Dopo Monte Carlo ecco Madrid, Roma, e Roland Garros. Avrò possibilità di fare bene, vedremo. Anche se non andassi bene in tutti questi eventi, mi resterà la seconda parte dell’anno per ottenere risultati. Alla fine, tutti noi abbiamo delle pressioni, ci sentiamo sotto pressione. È una bella sfida vedere come affronti questa situazione”.
    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO

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    L’odissea di Ash Barty per raggiungere Miami: 48 ore di viaggio!

    La n.1 del tennis femminile Ash Barty finalmente torna a giocare al di fuori dall’Australia. Non accadeva dal torneo Qatar Doha Open del 2020, 13 mesi fa. Rispondendo alla stampa sulle aspettative del suo ritorno alla vita “on the road” sul tour, Ash non ha nascosto il sollievo dell’esser arrivata in Florida, dopo un viaggio […] LEGGI TUTTO

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    Holger Rune contatta Djokovic via Instagram: si allenerà col n.1 sulla terra di Monte Carlo

    È proprio vero che la nostra vita è cambiata tanto dall’avvento dei social network, in ogni settore. I contatti sono diventati più facili e immediati. Curioso l’episodio che vede coinvolti il n.1 del mondo Novak Djokovic ed il giovanissimo danese Holger Rune, una delle promesse del tennis internazionale. Pochi giorni fa serbo ha comunicato di […] LEGGI TUTTO

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    Srdjan Djokovic: “Novak non sarà il migliore di sempre, lo è già”

    Srdjan Djokovic, papà del n.1 al mondo, ha le idee molto chiare in merito all’annoso dibattito sul migliore di sempre o di quest’epoca d’oro del tennis maschile. Suo figlio Novak merita di essere già considerato come il migliore tennista della storia. L’ha dichiarato senza mezzi termini al media del suo paese Sportske Novosti. “Se diventerà […] LEGGI TUTTO

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    L’impressionante progresso del tennis azzurro negli ultimi 10 anni

    Matteo Berrettini, Fabio Fognini, Jannik Sinner, Lorenzo Sonego, Stefano Travaglia, Salvatore Caruso, Marco Cecchinato, Lorenzo Musetti, Andreas Seppi. I Magnifici 9 dell’Italtennis maschile. Tutti nei primi 100 del ranking ATP, record storico assoluto di presenze per nostri giocatori nell’elite del tennis mondiale. Una classifica letteralmente da incorniciare e tenere lì, anche se tutti noi ci […] LEGGI TUTTO

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    Robin Haase racconta un terribile episodio che l’ha sconvolto

    Robin Haase

    Raccontare i momenti più difficili della propria vita non è affatto semplice, per nessuno. Robin Haase l’ha fatto sulla pagina Instagram “Behind the Racquet”, dove molti giocatori si confessano scrivendo di pugno le proprie sensazioni. Alcuni hanno approfittato per togliersi un peso, confessando problemi e difficoltà affrontate nel corso della propria vita e carriera.
    Ecco il testo scritto dall’olandese, lo riportiamo fedelmente.
    “Sono stato molto fortunato in quasi ogni aspetto della mia vita. Ma ci sono alcune cose che ti fanno pensare in modo diverso. Il mio ex allenatore è stato condannato per l’omicidio di un mio amico nel 2016. È ancora in prigione. Affrontare questa situazione è stato come essere in un film assurdo e brutto. È stato molto difficile gestire il fatto con la stampa. Non avevo nulla a che fare con il fatto di sangue, ma ogni articolo utilizzava il mio nome nei titoli. Ovviamente la faccenda mi ha toccato, ma all’improvviso sono stato messo al centro della storia. Questo è durato fino a quasi due anni dopo l’omicidio. La stampa mi diceva che il mio nome veniva fuori perché così la notizia era più vendibile alla gente. Subito dopo il fatto, non sono uscito di casa per due settimane. Poi sono uscito a pranzo e la gente mi ha riconosciuto, ho camminato a testa bassa. Ero imbarazzato di essere lì perché non sapevo se mi riconoscevano per essere un giocatore di tennis o per l’esser stato coinvolto dalla stampa per l’omicidio. Cosa pensavano di me? Non è stato un periodo facile della mia vita”. ⁣
    “Mi è sempre piaciuto giocare a tennis, ma durante questo periodo non volevo stare in campo. Sono tornato in campo e ho giocato a Monte Carlo. Non riuscivo a concentrarmi e ho perso male. Mi sono seduto negli spogliatoi e ho iniziato a piangere come un bambino. Avevo trattenuto le mie emozioni per troppe settimane. Ho pensato di lasciare il tour per due mesi per affrontare la situazione. Mi ci è voluto un po’ per tornare a giocare a tennis senza pensare a tutta la faccenda. A Roland Garros 2016, la stampa è stata rispettosa e non ha chiesto informazioni sull’omicidio. Molto stress finalmente è caduto dalle mie spalle e ho iniziato a concentrarmi nuovamente sul mio gioco”. ⁣⁣“Sono stato nella Top 100 per oltre 10 anni. Per la prima volta nella mia carriera di recente sono sceso al numero 170. Guardo sempre il mio tennis e trovo aspetti in cui posso migliorare, così posso crescere anche solo dell’1%. Nel 2018 ho cambiato la racchetta. Il cambiamento è stato troppo drastico e ho perso fiducia nel mio gioco. Poi ho cambiato di nuovo attrezzo e ho ricominciato a giocare meglio, ma stavo ancora soffrendo. Quando non stai giocando bene una cosa tira l’altra. La concorrenza è semplicemente altissima, se non sei al top del tuo gioco, non hai possibilità contro molti giocatori. Alle fine sono tornato sui  miei passi e ho cambiato di nuovo la racchetta. Ora mi sento più fiducioso”.
    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO

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    La pandemia negli USA ha portato ad una crescita della pratica del tennis del 22% nel 2020

    Campi da tennis negli USA

    Il New York Times ha da poco pubblicato un studio interessante sull’impatto che la pandemia da Covid-19 ha avuto nella pratica sportiva negli USA nel 2020. Alcune discipline hanno avuto un vero e proprio tracollo, perché vietate in molti stati da protocolli sanitari, o perché considerate “a rischio” da parte degli appassionati. Su tutti il basket, che pare abbia perso molti praticanti.
    Al contrario, secondo la ricerca tennis e golf hanno beneficiato moltissimo della situazione d’emergenza, con un nettissimo aumento dei praticanti da giugno a fine anno. È stata una netta inversione di tendenza, visto che sia il golf che il tennis avevano chiuso le annate precedenti con un calo dei praticanti (sempre secondo studi federali). Probabilmente una certa fetta di società statunitense ha considerato tennis e golf come discipline più sicure, perché da praticare all’aperto, a distanza di sicurezza, in strutture con misure precauzionali efficaci, insieme ad alcuni aggiustamenti per accogliere le nuove direttive del dipartimento della salute (es: molti club hanno tenuto gli spogliatoi chiusi, solo la parte dei campi da gioco aperta).
    Secondo lo studio riportato dal quotidiano newyorkese, da giugno a dicembre nel 2020 i courts di golf a livello nazionale hanno visto un aumento del 27% di praticanti, soprattutto da persone “inattive”, ossia che erano fermi senza praticare alcuna disciplina – quindi non tanto uno spostamento da uno sport all’altro.
    Il Physical Activity Council, che monitora l’attività in oltre 100 sport e discipline, ha rilevato che la pratica del tennis negli USA è aumentata del 22% nella seconda parte del 2020, con 21,6 milioni di americani che hanno affermato di aver giocato a tennis almeno una volta nel periodo. È stato rilevato che quasi 3 milioni di cittadini USA hanno iniziato a giocare per la prima volta, continuando la pratica nel tempo, e che 3,8 milioni di americani hanno tirato fuori dagli armadi racchette e palline dopo una pausa significativa (oltre 5 anni), con un aumento del 40% rispetto all’anno precedente. Sono numeri importanti, potremmo dire sorprendenti.
    L’articolo ha stimolato un piccolo dibattito nel mondo dei club di tennis e delle accademie: come sfruttare d’ora in avanti quest’afflusso imprevisto e notevole di nuovi giocatori o tennisti di ritorno? Come farli continuare a giocare nel tempo, costruendo così una nuova base di giocatori?
    Secondo gli studi, l’età media di un tennista USA è di circa 32 anni, ma i professionisti locali hanno affermato che da marzo 2020 sono venuti a giocare nuovi giocatori di tutte le età, sia molto più anziani che giovanissimi.
    Mike Woody, direttore nazionale del settore tennis per Genesis Health Clubs (proprietari di oltre una dozzina di strutture dedicate al tennis tra Colorado, Kansas, Iowa, Nebraska e Missouri), ha affermato che la chiave per lo sviluppo e il mantenimento di nuovi giocatori è stata convincerli che lo sport era accessibile per persone di qualsiasi età, anche iniziando da zero da adulti senza necessariamente aver iniziato a giocare da giovani. “Dobbiamo sbarazzarci dell’immagine del tennista come agonista. Dobbiamo dare alle persone l’opportunità di giocare, non di competere, di divertirsi e fare sport sano in totale sicurezza e tranquillità, anche avere senza velleità agonistiche”.
    Secondo Woody, nel 2020 c’è stato un vero cambiamento nella spinta ad iniziare la pratica tennistica. Le donne adulte (over 30) erano solite iniziare col tennis soprattutto per l’aspetto sociale, ossia far parte di un gruppo di amici/amiche dopo il lavoro e nei weekend, frequentando un club, prendendo lezioni e coltivando nuove amicizie. Al contrario, gli uomini adulti più spesso iniziavano la pratica tennistica dopo aver cessato altri sport coltivati al college (basket e baseball su tutti) sfruttando la dimensione individuale che aiuta la pratica rispetto agli sport di squadra, riprendendo dopo aver giocato da ragazzi e cercando velocemente la competizione in circuiti locali di vario livello. Con l’avvento delle limitazioni per colpa della pandemia, la stragrande maggioranza dei nuovi giocatori ha scelto il tennis perché sport considerato sicuro e giocato in ambienti controllati.
    Un report interessante. Sarebbe ancor più curioso conoscere i numeri riferiti ai neo praticanti giovani in età scolare, e perché no, uno studio del genere in Italia.
    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO