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    Intervista a Filippo Volandri, il lavoro come Direttore tecnico al centro di Tirrenia, la giornata tipo dei ragazzi, il concetto di “sistema” (3a parte – di Marco Mazzoni)

    Filippo Volandri a Tirrenia

    Nella prima e nella seconda puntata dell’interessante intervista concessa da Filippo Volandri, Direttore tecnico del settore maschile della Federazione Italiana Tennis, si è parlato del suo ruolo e delle novità introdotte, con un focus sull’ausilio della tecnologia per capire come si è evoluto il tennis di vertice. La lunga chiacchierata arriva ad un punto cruciale: i ragazzi. Nella terza e ultima parte dell’intervista, Filippo ci parla di come si svolge il lavoro, la giornata tipo e il rapporto con i talenti azzurri, che a Tirrenia sono seguiti ed aiutati con grande attenzione sulla persona.

    Filippo, ringraziandoti ancora per l’intervista, facciamo un piccolo riepilogo del concetto di base. Oggi a Tirrenia il lavoro sui ragazzi si potrebbe riassumere come una supervisione molto attenta al giovane giocatore e alla persona, in totale collaborazione con i tecnici che vivono il quotidiano del tennista
    “Non bisogna dare indicazioni contraddittorie ai ragazzi, altrimenti si genera solo confusione. Mai prevaricare il ruolo del coach personale, che resta il punto di riferimento per ognuno di loro. Per ogni aspetto tecnico, tattico, di metodo e quant’altro serve sempre la condivisione di idee, linee guida e programmazione specifica con l’allenatore. L’obiettivo è lavorare in stretta sintonia. Questo richiede un lavoro enorme, che va ben oltre l’orario classico “8-20”. Si finisce per fare lunghe chiacchierate dopo cena con gli allenatori, o nel fine settimana. Poi spesso seguiamo le partite in streaming e magari sono di sera, la mole di lavoro è enorme quando vuoi svolgere al meglio il tuo ruolo. E anche la giornata dei ragazzi è davvero impegnativa, con orari ben scanditi”.

    Raccontaci proprio la giornata tipo di lavoro a Tirrenia
    “Si inizia alle 8.30 col lavoro in palestra e le varie routine. Chi fa atletica ha un paio d’ore di lavoro specifico, con le tabelle predisposte per ognuno di loro; quindi dalle 11 alle 13 si sta in campo per il lavoro tecnico e tattico. Si stacca per la pausa pranzo, un paio d’ore di riposo. Alle 15 si riparte, con un mix tra tennis in campo ed atletica a seconda dei vari programmi di lavoro personalizzati e l’obiettivo su cui ci focalizza in quel momento. Si sta in campo e palestra fino alle 18-18.30, a volte anche fino alle 19. Terminato il lavoro, i ragazzi che non studiano si riposano, cena e quindi tutti a nanna, mentre per i più piccoli c’è anche qualche ora di studio. La giornata è davvero piena”.

    Vista così, si potrebbe dire “tanta roba…”
    “Eh sì, è una giornata fitta, densa di impegni sia sul lato atletico, tecnico e mentale. Per questo mi piace esser chiaro: Tirrenia e il tennis Pro non è qualcosa di facile, non è per tutti. Bisogna accettare un percorso molto duro, i ragazzi devono essere disposti a questo tipo di vita. A volte mi chiedono: Filippo, tu quanti sacrifici hai fatto per arrivare tra i primi 20 giocatori del mondo? Rispondo che, in realtà, non ho fatto dei veri sacrifici perché non mi è mai pesato fare questo tipo di vita; piuttosto ho dovuto accettare molte rinunce rispetto alla vita dei miei coetanei. Da questo punto di vista, mi ritengo fortunato perché ero fin dall’inizio ben predisposto a quel che richiede la strada verso il tennis professionistico. A me non pesava più di tanto stare mesi lontano da casa ed allenarmi in campo ore ed ore tutti i giorni… sono sempre stato uno che se non giocava a tennis due volte al giorno “diventava matto”, il campo è il posto dove volevo stare. Quindi con me ha funzionato bene, ma non va così per tutti. Con altri ragazzi è necessario un approccio diverso, bisogna partire un po’ più da lontano cercando di convincerli che il metodo che adottiamo è la traduzione di quello che troveranno andando in campo da grandi. Non ci divertiamo a pungolarli insistendo su questi concetti, sull’importanza dell’etica del lavoro, della disciplina, della dedizione all’allenamento… Vogliamo prepararli al meglio a quel che dovranno affrontare una volta usciti dal Centro per farsi strada nel tennis Pro. Il concetto è che noi siamo come l’Università, li prepariamo al mondo del lavoro. Quando cammineranno con le proprie gambe, noi avremo compiuto il grosso del nostro lavoro. Forniamo loro il meglio come strumenti, esperienza e professionalità per renderli autonomi e fare la propria strada, possibilmente verso grandi risultati”.

    Sei un uomo di quasi 40 anni, con lunga esperienza in campo da giocatore e oggi con un ruolo importante come dirigente. Se riavvolgi il nastro della tua vita fino all’età in cui iniziavi a lavorare verso il tennis Pro, come ti rivedi e come trovi i ragazzi di oggi?
    “Sono molto molto diversi! Non è passato un secolo, ma la società è cambiata tantissimo, soprattutto grazie alla tecnologia. Quando avevamo la loro età non possedevamo uno smartphone, non esistevano i social network, si viveva in modo molto diverso. Parlo con i ragazzi, e cerco di fargli capire quanto siano fortunati a vivere in quest’epoca in cui possono sfruttare tecnologia e mezzi che noi nemmeno ci sognavamo. Quelli della mia generazione hanno vissuto esperienze differenti, noi ci arrampicavamo sugli alberi e facciamo fatica con i computer, mentre i giovani di oggi volano con la tecnologia ma se gli chiedi di salire sull’albero quasi non ce la fanno! Per andare sullo specifico, a differenza della mia generazione oggi è necessario lavorare tantissimo sul piano motorio, perché i ragazzi sono assai meno pronti a fare esercizio fisico, anche quello di base. La scuola inoltre non aiuta perché di fatto di esercizio se ne fa pochissimo… Quando arrivano i nuovi e li valuti, noti subito che spesso hanno delle lacune importanti e a volte c’è quasi da ricominciare da zero. Non è colpa loro ma del contesto sociale in cui sono cresciuti, per noi significa un lavoro in più, e di cruciale importanza anche se può sembrare banale. Poi i ragazzi sono molto indipendenti, ma non è sempre facile farsi ascoltare, per questo poter condividere dei momenti tutti insieme, come quello del pranzo o della cena, è importante per fare gruppo e conoscerli come persone”.

    Tornando all’organizzazione del Centro tecnico, qual è il rapporto tra tra base centrale e centri periferici, per capire il funzionamento e la gestione a livello di territorio?
    “Oggi a Tirrenia arrivano ragazzi under 18 salvo progetti speciali, come Musetti che è arrivato molto prima o Nardi a 16 anni. Cerchiamo di organizzarci per consentire ai ragazzi di crescere vicino alla famiglia in strutture che collaborano con la Federazione anche fino ai 16-17 anni, poi è il nostro compito “scegliere” quei progetti in cui valutiamo ci sia più potenziale. Le scelte fanno parte del nostro lavoro, è un compito per nulla facile, e accettiamo di aver sbagliato, di sbagliare oggi e che sbaglieremo in futuro, ma del resto è l’onere di un settore tecnico. La nostra non è una scienza esatta, di cose da imparare ne abbiamo tantissime. I ragazzi su cui ci focalizziamo restano da noi dai 17 anni finché non reputiamo che siano pronti per spiccare il volo nel mondo del lavoro, fino ai 23-24 anni. Dietro poi c’è tutta una struttura molto profonda, che parte dai CPA dei bambini al sabato e alla domenica, gli under 11 e 12, gli stage degli under 14 il cui responsabile è Michelangelo dell’Edera, insieme a tanti altri progetti per gli under 15 come “racchette di classe”, fondamentali nel percorso di crescita giovanile”.

    Se dovessi scegliere il prossimo passo, l’obiettivo che in questi primi quattro anni di lavoro ancora non hai raggiunto, quale sarebbe?
    “Non adagiarsi sugli allori. Col lavoro abbiamo portato una crescita davvero importante, che ci permette di avere molti giocatori tra i primi 200 del mondo, tra i primi 150 e anche 100 del ranking, addirittura due tra i primi 15. È stato fatto un lavoro strabiliante, con tante persone che hanno dato il proprio meglio. Ma oggi, seppur molto felici della situazione, siamo costretti a guardare al futuro perché tutto va velocissimo. Dobbiamo continuare a studiare e restare aggiornati, perché lo sport si evolve continuamente. Dobbiamo lavorare sulla pianificazione con i ragazzi più giovani, forti dei successi ottenuti con lo stimolo di migliorare ancora. Il tennis è uno sport individuale, ma il “sistema” conta più di quel che si possa credere, come lo stimolo tra giocatori che si tirano l’un altro. Anni fa, quando toccai il mio massimo tra i primi 30, non fu un caso che anche Potito Starace visse il suo periodo migliore. Oggi non è un caso che Fognini vinca Monte Carlo e che Berrettini, Sonego e anche gli altri abbiano fatto un salto. Così vale per la base dei ragazzi, la crescita come sistema e la sana competizione è un valore aggiunto importantissimo per tutti. A questo ha contribuito il lavoro ed investimento portato avanti per anni a livello federale sui tornei in Italia: tantissimi Futures maschili e femminili e quasi un Challenger a settimana da aprile a novembre, eventi sostenuti dalla FIT e fondamentali alla crescita del movimento nazionale. Per i più giovani avere in casa tutta quella serie di tornei è importantissimo, ci permette di far giocare e far crescere una base di tennisti”.

    Ricordo l’estate scorsa, quando al lancio dei nuovi tornei Challenger in USA col supporto di Oracle, Jim Courier disse senza mezzi termini “stiamo studiando il modello Italia, che ha portato grandi risultati”.
    “Esatto, Jim conosce bene Lorenzo Beltrame avendoci lavorato insieme, hanno parlato spesso di come si lavora qua. Ma non è il solo: per esempio sono stato interpellato dalla stampa spagnola, incuriosita dalla crescita del nostro movimento e dai risultati ottenuti, e dall’America Latina. Anche dalla Francia hanno chiesto informazioni, e loro hanno da sempre uno dei movimenti più efficienti. Avere tanti tornei in Italia aiuta moltissimo, insieme alla nuova filosofia di collaborazione con le strutture private”.

    Ma la speranza di avere qualche torneo “grande” in più?
    “Vorremmo averli, sarebbe un altro passo verso la crescita generale di tutto il sistema Italia, senza dimenticarci della straordinaria opportunità delle ATP Finals a Torino dall’anno prossimo. La Federazione si sta muovendo in tal senso, ma serve lavoro e pazienza perché il calendario è complicato, senza contare i problemi della situazione attuale…”.

    Concludendo, la chiave per il successo del tuo lavoro è stata la visione, la capacità delle persone ma soprattutto quella di esser riusciti a creare un sistema?
    “Assolutamente, Volandri non ha la bacchetta magica. Abbiamo lavorato tanto, formando un gruppo di collaboratori che è stato decisivo in tutti gli aspetti del progetto. Non voglio fare nomi perché sono tutti, dal primo all’ultimo, importanti. Come è stato fondamentale il Consiglio federale che fin dal primo giorno mi ha dato fiducia e lasciato lavorare con grande libertà. Ho sempre avuto la possibilità di scelta e questo, quando hai un ruolo di responsabilità, è importante perché ti spinge a dare il massimo sentendo il supporto e la fiducia intorno a te. Ovviamente abbiamo un budget da rispettare, ma a livello di scelte operative mi hanno sempre sostenuto e mai prevaricato. Non è un lavoro facile, non abbiamo orari ed enormi responsabilità, ma visti i risultati sono e siamo molto soddisfatti. Il futuro? Come dicevo prima, c’è “da continuare a pedalare”, lavorare tutti insieme, collaborare tra privati e struttura tecnica per il bene del movimento; guardare avanti con ambizione e voglia di imparare. Mai stare fermi, mai sedersi sui risultati raggiunti”.

    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO

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