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    Cortina d’Ampezzo: tutti i sentieri della Regina

    Numeri e panorami letteralmente da capogiro. Con una lunghezza complessiva di 132 chilometri e oltre 6700 metri di dislivello, il Cortina Dolomiti Ultra Trekking è l’ambizioso programma lanciato per l’estate dalla località ampezzana, in collaborazione con le Guide Alpine Cortina e con il patrocinio della Fondazione Dolomiti Unesco.  Un’escursione di 7 giorni  e 6 notti lungo un percorso ad anello che tocca luoghi iconici tra Auronzo, Colle Santa Lucia, Dobbiaco e San Vito di Cadore.
    Si parte di prima mattina da piazza Dibona, sotto il campanile, in direzione delle frazioni di Cadin e Cadin di Sopra, dove si imbocca il sentiero Cai 410 che porta al lago Ghedina e poi a Passo Posporcora. Da qui si scende fino al parcheggio di Sant’Uberto per poi proseguire lungo la ciclabile che porta al Rifugio Ospitale e, dopo altri altri 7 km di marcia lungo la Val Padeon, al Rifugio Son Forca, sul monte Cristallo, dove trascorrere la notte.

    Il secondo giorno, dopo aver percorso il sentiero 203 fino a Passo Tre Croci, si continua in direzione del magnifico lago del Sorapis. Lungo il tragitto, un breve tratto attrezzato un po’ esposto richiede la massima attenzione. Una volta arrivati al lago si può scegliere se pernottare al Rifugio Vandelli o continuare in direzione Federa Vecchia, lungo il sentiero 217 che attraversa l’incantata foresta di Somadida, fino al Rifugio Città di Carpi, dove fermarsi per la seconda notte.
    Il terzo giorno si scende lungo il sentiero 120 fino all’incantevole lago di Misurina. Costeggiato il quale si prosegue in direzione delle Tre Cime di Lavaredo, passando per il Rifugio Auronzo e il Rifugio Lavaredo, presso cui è possibile pernottare.
    Il quarto giorno si imbocca il sentiero 102 che conduce in circa tre ore al Lago di Landro, da cui si prosegue lungo la ciclabile transitando per il passo Cimabanche e il lago Bianco. Da qui si imbocca il sentiero 8 che in un paio d’ore porta a Malga Ra Stua, dove si può dormire per la quarta notte, dopo aver percorso circa 80 km sul totale del percorso. 
    Il quinto giorno da Malga Ra Stua si prende il sentiero 6 fino ad arrivare nuovamente al parcheggio di Sant’Uberto e seguire quindi il sentiero 10 e poi il 401 che attraversa la selvaggia Val Travenanzes. Arrivati a forcella Col dei Bos, si scende in direzione passo Falzarego per raggiungere per la notte il Rifugio Col Gallina.
    Il sesto giorno ci si muove in direzione Rifugio Averau, passando lungo l’incantevole laghetto alpino di Lìmides. Una volta arrivati al rifugio, si prende il sentiero 452 fino al Passo Giau, da dove si prosegue per la Forcella Ambrizzola e il Rifugio Croda da Lago, dove si può trascorrere l’ultima notte.

    Lasciato alle spalle il rifugio, si scende quindi verso Malga Federa e, attraverso lo spettacolare nuovo sentiero Gores di Federa che passa in mezzo a gole e cascate, fino ai laghi d’Ajal e Pianozes. Da cui si arriva al villaggio ladino di Campo di Sopra e, camminando lungo la strada sterrata dell’ex polveriera, al parcheggio Revis. Dove si inizia a scorgere il campanile di Cortina. LEGGI TUTTO

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    Sacro Monte di Crea: natura spirituale

    Il Sacro Monte di Crea sorge sulla sommità di una collina da cui lo sguardo abbraccia la corona delle Alpi e uno dei più bei paesaggi vitivinicoli nel cuore del Monferrato. Insieme ad altri sette in Piemonte e due in Lombardia, per il fascino del paesaggio, la storia, l’architettura e le opere d’arte che vi sono conservate, è stato inserito nel 2003 nella lista dei beni tutelati dall’Unesco.
    L’origine della sacralizzazione del Monte è fatta risalire a Sant’Eusebio, vescovo di Vercelli che, si narra, nel IV secolo si sarebbe qui ritirato per sfuggire alla persecuzione degli Ariani. La decisione di realizzare il Sacro Monte risale al 1589, quando il priore della chiesa della Madonna Assunta di Crea ebbe l’idea di realizzare un itinerario religioso in immagini per favorire la preghiera e la meditazione e rinnovare la devozione mariana del luogo. Il forte legame fra il santuario e la dinastia regnante nel Monferrato ha visto partecipi all’impresa la nobiltà locale, l’alto clero e le comunità vicine e al progetto hanno lavorato importanti artisti, tra cui Moncalvo, i Prestinari e i de Wespin, autori dello spettacolare complesso scultoreo della cappella del Paradiso dell’inizio del XVII secolo. Il progetto iniziale prevedeva la costruzione di 15 cappelle, i misteri del rosario, diventate nel tempo 23 cappelle, oltre a 5 romitori.

    Dopo un periodo di abbandono, nel periodo napoleonico, si procedette, nel corso dell’Ottocento, ad un’intensa opera di restauro a cui contribuirono le comunità (vicarìe) locali. Nel 1980 è stata istituita nell’area una Riserva naturale di 47 ettari, allo scopo di tutelare e valorizzare le caratteristiche ambientali, paesaggistiche e architettoniche del territorio del Sacro Monte e a promuoverne la fruizione. Il versante nord del colle, ripido e ombroso, è prevalentemente occupato da olmi, ciliegi, carpini bianchi, castagni e aceri, mentre il versante sud, più temperato e meno ripido, è costituito da un fitto ceduo di roverella e orniello. Nel Parco sono diffusi il tasso, la volpe, lo scoiattolo, il moscardino e il ghiro, più una nutrita e varia schiera di volatili e rapaci. LEGGI TUTTO

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    La Val di Rose, meraviglia del Parco Nazionale d'Abruzzo

    Il percorso, classificato E “escursionistico” e ben evidenziato con segnaletica bianco e rosso Pnalm I1, K6, I4, inizia nella parte alta di Civitella Alfedena, in provincia dell’Aquila.

    Si tratta di un anello di montagna, che richiede 6/7 ore di cammino, per una lunghezza complessiva di circa 13,5 chilometri e un dislivello che passa dai 1100 m di Civitella ai 1952 di Forca Resuni. Vista l’alta affluenza nei mesi estivi, a Luglio e ad Agosto l’accesso (in genere) è a numero chiuso, e l’escursione è obbligatoriamente guidata; per cui è necessario prenotare presso gli Uffici dell’Ente Parco a Civitella Alfedena o a Pescasseroli (tutte le info su www.parcoabruzzo.it).
    Si parte lungo il segnavia I1! Dopo un primo tratto a ridosso del paese da cui si gode una splendida veduta sulla valle sottostante, dominata dal lago di Barrea, ci si immerge nel fitto di una faggeta, che dopo circa un’ora di camminata si apre in un pittoresco anfiteatro roccioso dominato dal Monte Boccanera, la cui cima raggiunge i 1982 metri sul livello del mare. A questo punto, binocoli alla mano e macchine fotografiche pronte a scattare: tra falesie e ampi ghiaioni, è da qui che si possono iniziare gli avvistamenti di cervi – soprattutto in autunno, nel periodo del bramito – e di camosci. In particolare, la Rupicapra pyrenaica ornata, o Camoscio Appenninico, che dopo aver rischiato l’estinzione, sopravvive solo sulle montagne del Parco e in alcune aree della Majella e del Gran Sasso. Altri interessanti abitanti del luogo sono l’Orso Marsicano, simbolo del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, e il lupo appenninico, il cui ululato riecheggia frequente nelle valli più remote.

    Proseguendo, il sentiero si infila in un canalone che raggiunge il panoramico Passo Cavuto (1980 metri slm), da cui ammirare la valle Iannanghera e la famosa Camosciara, e subito dopo, il rifugio di Forca Resuni, sull’omonimo valico che separa la val di Sangro dalla val Canneto. Si prosegue puntando verso la Val Jannanghera sul sentiero K6 tra boschi e prati e superata la Sorgente Jannanghera si svolta a sinistra lungo il segnavia I4 per far ritorno a Civitella Alfedena. LEGGI TUTTO

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    Genova, a piedi nudi nel parco

    Uno a Ponente, l’altro a Levante. I più bei parchi storici di Genova paiono incorniciare la città e delimitarne i confini.A pochi passi dalla passeggiata a mare di Pegli, Villa Durazzo Pallavicini è il giardino romantico per eccellenza. Il Marchese Ignazio Pallavicini lo fece progettare verso la metà del XIX secolo all’architetto Michele Canzio, all’epoca scenografo del Teatro Carlo Felice, che lo concepì come una vera e propria rappresentazione teatrale, racconto del viaggio iniziatico di un cavaliere verso la purezza.
    Dall’ingresso principale della villa, accanto alla stazione ferroviaria di Genova Pegli, il viale d’accesso conduce a quella che fu la residenza estiva dei Marchesi, oggi sede del Museo Archeologico. Poco distante, l’Orto Botanico voluto dalla Marchesa Clelia Durazzo Pallavicini, dove è possibile ammirare diverse serre dedicate ai vari gruppi di piante (succulente, carnivore, felci ecc.), mentre le splendide aiuole esterne custodiscono centinaia di specie pregiate. Lascianto l’Orto Botanico, si accede al parco vero e proprio, con le sue scenografie: dalla Tribuna Gotica alla Coffee House, dal Viale Classico, fino all’Arco di Trionfo. Un viaggio attraverso i secoli e le culture tra alberi rari e maestosi, templi, obelischi, grotte, laghi e pagode. Imperdibile, a inizio primavera, la fioritura delle Camelie Antiche, un tempo coltivate personalmente dalla marchesa.

    Dall’altra parte di Genova, là dove comincia la Riviera di Levante, i Parchi di Nervi, borgo marinaro a pochi chilometri dal centro, sono in realtà formati da diversi giardini, che anticamente appartenevano a storiche ville. La prima che si incontra è Villa Gropallo, ristrutturata alla metà dell’800 dal marchese Gropallo come residenza di campagna, e oggi è sede della Biblioteca Brocchi e della stazione dei Carabinieri di Nervi. Proseguendo verso est, superato un piccolo ponte di collegamento, si raggiunge Villa Saluzzo Serra. Edificata con ogni probabilità nel Cinquecento e appartenuta in origine alla famiglia Romeo e successivamente ai marchesi Saluzzo, fu acquistata nel 1815 da Gerolamo Serra che diede inizio ai lavori di trasformazione in parco paesaggistico. Il complesso fu ceduto nel 1927 al Comune e dal 1928 la villa ospita la Galleria d’Arte Moderna di Genova.
    Villa Grimaldi Fassio, acquistata nel 1956 dall’armatore Ernesto Fassio, è stata l’ultima a entrare tra le proprietà del Comune. Anch’essa sede museale, ospita le pregiate Raccolte Frugone, con sculture e dipinti di diversi artisti italiani ed europei. Infine, l’affascinate Villa Luxoro, la più recente tra quelle che fanno parte dei Parchi di Nervi, realizzata nel 1903, conserva a tiutt’oggi molte opere di arte figurativa e applicata. Fiore all’occhiello dei Parchi è il Roseto Luigi Viacava. Restaurato nel 2012 e suddiviso in aree che raggruppano rose antiche, moderne e da concorso, vanta la presenza di oltre 200 varietà di piante dai colori straordinari. Passeggiando lungo i percorsi verdi, tra prati all’inglese, alberi rari e fontane, si arriva alla scogliera di Capolungo da cui si gode di un panorama straordinario sul Golfo Paradiso e sul promontorio di Portofino. LEGGI TUTTO

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    Ciclovia Adriatica, incontro col Pirata

    Non solo bagni e movida. Il volto sostenibile e ciclabile della Romagna ne rivela un identità diversa, che unisce sport, natura e piccole esplorazioni senza disdegnare, come da tradizione, le soste all’insegna della buona tavola.
    L’itinerario che proponiamo si allunga per una settantina di chilometri da Cervia a Pesaro, appena passato il confine regionale con le Marche. Da queste parti la bicicletta, oltre che un mezzo di trasporto è una passione sportiva grande almeno quanto quella per i motori. Tanto che a Cervia le ciclabili urbane portano i nomi dei grandi del ciclismo del Novecento, da quella sul lungomare intitolata a Coppi alla ciclopedonale Giovanni Gerbi. Da qui si prosegue, non senza aver fatto una visita al Museo del Sale, altra gloria locale, fino a Cesenatico. Nella città di Marco Pantani il comune ha messo a disposizione un grande spazio accanto alla stazione ferroviaria dove ha sede la Fondazione dedicata al campione romagnolo, con un museo che emoziona ripercorrendo la sua storia e le sue imprese.
    Suddiviso in tre aree denominate con i nomi delle montagne che Marco Pantani ha conquistato, Bocchetta, Mortirolo e Alpe d’Huez, custodisce alcune biciclette personalizzate con le quali ha compiuto le sue più grandi imprese, le maglie delle squadre per cui ha corso, i caschi, i trofei vinti, gli album fotografici che ne ripercorrono l’intera carriera con le rassegne stampa dei principali giornali italiani ed europei e filmati sulla sua vita.
    Ma è ora di rimettersi in sella per coprire la ventina di chilometri che portano a Rimini, il cui centro storico è annunciato dalle arcate del ponte di Tiberio (I sec. d.C.), che costituisce l’ultimo tratto della via Emilia. Poco distante l’arco di Augusto, che risale addirittura al 27 a.C., è il più antico del mondo. Agli appassionati di storia dell’arte, oltre che delle due ruote, si consiglia la sosta al Tempio Malatestiano per ammirare Leon Battista Alberti, Piero della Francesca e un crocifisso attribuito a Giotto. Nel tratto da Rimini a Riccione la ciclovia adriatica è tutta su pista ciclabile e costeggia il mare. Un tragitto pianeggiante di 10 chilometri che si conclude con l’immancabile piadina romagnola, di cui Riccione è regina indiscussa.
    Senza soluzione di continuità si passa per Misano Adriatico e Gabicce. Siamo ormai al confine con le Marche, segnato dal fiume Tavollo, dove la costa all’improvviso sale e dopo chilometri di spiagge basse e sabbiose si trasforma in uno straordinario balcone verde con alte falesie a picco sul mare. L’ultimo tratto, attraverso il Parco Naturale del Monte San Bartolo, è impegnativo, tutto pendenze e curve, ma la città di Pesaro, la più bike friendly d’Italia, ripaga abbondantemente della fatica. Qui un grandioso progetto dal signicativo nome di Bicipolitana, consente di pedalare in sede protetta per ben 85 chilometri. Dalla Linea 1 (arancione), che collega piazza del Popolo alla Rocca Costanza, alla Sfera Grande di Arnaldo Pomodoro alla Linea 2 (azzurra) che prosegue in direzione di Fano. Ma questa è un’altra storia. LEGGI TUTTO

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    Le Grotte di Nettuno, opera d'arte naturale

    Se non avete mai visitato le Grotte di Nettuno potete recuperare (nell’attesa di vederle dal vivo) guardando il film del 1978 “L’isola degli uomini pesce”, con scenografie ispirate ai racconti di Jules Verne. Il regista Sergio Martino le ha scelte come set della sua pellicola e, vista la loro bellezza, non c’è da stupirsi. Si tratta di un’opera d’arte “scolpita” dalla natura nei pressi della bellissima città di Alghero, in provincia di Sassari. Più esattamente, all’interno della vicina area marina protetta di Capo Caccia-isola Piana, che fa parte del Parco di Porto Conte.
    Prima di descrivere le straordinarie meraviglie custodite al loro interno, ripercorriamone brevemente la storia. Come spesso accade, la loro scoperta fu del tutto casuale, ad opera di un pescatore della zona alla fine del Settecento. Il clamore suscitato dalla loro bellezza fu tale, che ben presto divennero meta di viaggio per nobili e celebri visitatori da tutta Europa: Carlo Alberto di Savoia, ad esempio (il cui passaggio è ricordato da due lapidi in marmo incise a ricordo delle sue prime due visite); ma anche il Duca di Buckingham, il Barone di Maltzan, e il Capitano inglese William Henry Smith (che fu il primo a realizzare una piantina della grotta), e tanti altri. A quel tempo, l’accesso alle sale avveniva solo via mare (lo si può fare ancora oggi); solo nel 1959, infatti, fu costruita l’Escala del Cabirol, che con i suoi ripidi 654 scalini scavati nella roccia consente di raggiungere l’ingresso della grotta, posto a pochi metri dalla superficie del mare, anche via terra. Ma questa è solo la storia più recente delle Grotte di Nettuno. La loro formazione, infatti, risale a circa due milioni di anni fa, e molto probabilmente era già utilizzata nel Neolitico dai primitivi abitanti del luogo; oltre ad essere stata abitata per anni, in tempi più recenti, dalla foca monaca del Mediterraneo, prima di sparire e di divenire uno dei 6 mammiferi a maggiore pericolo di estinzione al mondo. Il percorso all’interno delle grotte, nella parte aperta al pubblico, è di circa un chilometro. Ma ciò che realmente colpisce, tra una moltitudine di stalattiti e stalagmiti alte fino a 18 metri, e bizzarre formazioni rocciose, è la varietà di ambienti che si incontrano, la loro maestosità e le incredibili suggestioni che sono in grado di generare. Le prime arrivano forti dal lago La Marmora, che con la sua lunghezza di 100 metri e la profondità di 9, viene considerato uno dei più grandi laghi salati d’Europa. Attraverso le sue acque trasparenti è facile scorgere il cosiddetto “Albero di Natale”, una colonna di roccia dall’inconfondibile forma. E poco più avanti, ecco spuntare la spiaggetta sabbiosa al centro della quale si trova la celebre acquasantiera, una gigantesca formazione stalagmitica, che sulla cima ospita delle piccole vasche di pietra, in cui si abbeverano gli uccelli che frequentano la grotta. Proseguendo lungo il sentiero, si incontrano la Sala delle Rovine e, subito dopo, quella che forse, più di tutte, lascia sbalorditi col naso all’insù: la Sala della Reggia con le sue altissime arcate di roccia.

    A seguire, si incontrano la Sala dell’Organo (che ospita una colonna alta circa 49 metri, con delle colate che somigliano alle canne di un organo), e la Sala delle Trine e dei Merletti, con le tipiche colonnine. E come ogni spettacolo che si rispetti, ecco il gran finale: a chiudere l’itinerario è la suggestiva Tribuna della Musica, una sorta di affaccio panoramico sulla grotta, da cui si scorge anche il mare.
    Questa appena descritta, come accennato, è la parte fruibile dagli oltre 150.000 visitatori che ogni anno raggiungono Capo Caccia per visitare l’antro. Di fatto, però, sono tante le meraviglie di queste cavità riservate ai soli speleologi. In particolare, due laghi sotterranei, il lago dei Funghi e il lago Semilunare (profondo più di 50 metri), collegati dalla cosiddetta galleria Metrò. Ma è tutta la zona ad essere considerata di rilevante interesse speleologico, come dimostrano le numerose caverne, alcune anche subacquee e di grande bellezza, come la Grotta di Nereo (la più grande cavità sommersa d’Europa), meta privilegiata dei diving locali. LEGGI TUTTO

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    Sperlonga, che spettacolo!

    Con le sue case bianche, aggrappate ad un promontorio affacciato come una terrazza sul mar Tirreno, non stupisce che Sperlonga sia finita dritta nell’elenco dei borghi più belli d’Italia. Siamo sulla costa laziale, in provincia di Latina, a metà circa della via Flacca – strada voluta nel 187 a.C. dal censore Lucio Valerio Flacco – che corre da Formia a Terracina, per alcuni tratti piacevolmente panoramica. Un luogo talmente bello, da aver affascinato chiunque vi giungesse fin dall’antichità, imperatori compresi. Come Tiberio, che qui fece edificare una delle sue sfarzose ville, nei pressi di una pittoresca grotta.
    Ma iniziamo dal borgo marinaro con le caratteristiche case bianche: un intricato dedalo di viuzze, archi, pergolati, portici, gradini e continui saliscendi, affollato di piccoli locali e botteghe artigiane, che conquista all’istante. Alcuni palazzi ed edifici religiosi ricordano la storia medievale del luogo, come la chiesa di Santa Maria (caratteristica è la volta stellata, dipinta di azzurro, della vicina Piazzetta della Concordia) e il Palazzo Sabella. Passeggiando si incontra anche la pittoresca “Corte del Monastero” dove una pittura murale, su una delle pareti che la delimita, racconta le incursioni dei pirati a Sperlonga nel 1500. E proprio per difendersi dai pirati saraceni, numerose furono le torri costiere di avvistamento realizzate a difesa della città. La più famosa è la Torre Truglia del 1532, che adagiata su uno scoglio di pietra, divide la Riviera di Levante (dove si trova la Grotta di Tiberio) da quella di Ponente.

    Ma a rendere sicuramente unica una gita a Sperlonga è la visita alla splendida Villa di Tiberio, con l’ampia grotta annessa, in cui sono state ritrovate mirabili opere marmoree (molte delle quali conservate nel vicino museo Archeologico Nazionale di Sperlonga), che celebrano le gesta di Ulisse. La villa, che l’imperatore fece ristrutturare e ingrandire nel II secolo d.C., partendo da una precedente struttura di epoca tardo-repubblicana, era composta, oltre che dagli ambienti abitativi, da strutture termali, da un giardino con porticato, da un ninfeo, e da sale conviviali a ridosso del mare; oltre, ovviamente, alle immancabili cisterne per l’acqua. Ad arricchire il tutto, però, era soprattutto l’annessa e coreografica grotta naturale sul mare, che ospitava il triclinio imperiale con una piscina interna, collegata ad altre, all’esterno, adibite ad allevamento di frutti di mare e di pesci pregiati. Proprio da questa grotta, o spelonca, deriva il nome Sperlonga. Al suo interno, monumentali gruppi scultorei, raccontavano le gesta omeriche di Ulisse.
    All’interno della grotta erano collocati dei gruppi scultorei incentrati sul mito di Ulisse, come ad esempio, le rappresentazioni del ratto del Palladio, dell’assalto di Scilla alla nave dell’eroe, e dell’accecamento del ciclope Polifemo. Ad oggi, molti reperti, compresa una preziosa testa di Odisseo, sono ancora conservati nell’interessantissimo Museo Archeologico Nazionale di Sperlonga, che insieme alla villa e alla grotta, compongono un percorso archeologico tra i più coinvolgenti e preziosi dell’intero Stivale. LEGGI TUTTO

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    L'ammaliante Reggia di Caserta e la Casina Vanvitelliana

    Una, la Reggia di Caserta, non ha bisogno di presentazioni: semplicemente, uno dei palazzi nobiliari più belli d’Europa. L’altra, un casino di caccia chiamata “Casina Vanvitelliana” – costruita in posizione pittoresca su un’isoletta del lago Fusaro, nel comune di Bacoli, in provincia di Napoli – è meno nota, ma ugualmente meritevole di attenzione. Artefici di tanta bellezza sono gli architetti Luigi Vanvitelli, geniale capostipite dello stile Neoclassico, e il figlio Carlo, che ne seguì le orme.
    Il progetto della Reggia di Caserta fu affidato a Luigi Vanvitelli intorno alla metà del ‘700, ma anche il figlio Carlo partecipò alla sua “nascita” durante e dopo la morte del padre. Per volontà del re, Carlo III di Borbone, il “Palazzo Nuovo” non doveva essere inferiore a Versailles per magnificenza e opulenza. Sappiamo che il progetto iniziale prevedeva anche la presenza di un acquedotto che avrebbe dovuto alimentare il futuro opificio di San Leucio, ma i successori del sovrano ne trasformarono la destinazione d’uso alla lavorazione della seta, e non servì più.

    La pianta della Reggia è di forma rettangolare con affaccio su quattro cortili. La presenza del portico, punto di fuga prospettico, garantisce il raccordo tra il Parco Reale e la cascata, creando un grande impatto scenografico. Ad arricchire la struttura non poteva mancare la tipica arte scenografica e decorativa del Settecento. Muovendosi al suo interno, ci si imbatte nello Scalone d’onore, che conduce agli Appartamenti Reali e alla Cappella Palatina. Quest’ultima presenta una planimetria simile a quella di Versailles. Il primo piano del Palazzo era destinato agli Appartamenti Reali dei Borbone, ricchi di bassorilievi, stucchi, affreschi e pavimenti a intarsio: l’ala nord-est, in particolare, era destinata alla regina; mentre al re e al principe ereditario era dedicato il versante meridionale. Dal 1921, col passaggio della proprietà del Palazzo dalla famiglia Savoia al patrimonio dello Stato italiano, gli Appartamenti Reali ospitano il Museo della Reggia di Caserta. Passando all’esterno, protagonista è il Parco Reale, che il Vanvitelli non riuscì a vedere come lo possiamo ammirare noi oggi, per il sopraggiungere della morte. Internamente al Parco fu realizzato il Giardino Inglese, ricco di sementi provenienti da località come Capri, Maiori, Vietri, Gaeta e tante altre. Da qui, infine, si può accedere alla Reale Tenuta di San Silvestro, che ospita un’Oasi del WWF.

    A Carlo III succedette il figlio Ferdinando IV, che – cultore dell’arte come il padre – nel 1782 commissionò al figlio di Luigi Vanvitelli, Carlo, la Casina Vanvitelliana a Bacoli. La struttura, che si erge su due piani, era un cosiddetto casino di caccia. La pittoresca struttura, al suo interno riccamente decorata in stile Liberty e circondata da vetrate, sorge al centro del lago Fusaro, ed è collegata alla terraferma tramite un lungo ponte di legno. La posizione particolare e l’aspetto fiabesco, da sempre captano l’attenzione di personaggi illustri, molti dei quali, nei secoli, vi hanno persino soggiornato: Mozart, Rossini, lo zar Nicola I, Vittorio Emanuele III, il Presidente della Repubblica Einaudi, e tanti altri. LEGGI TUTTO