More stories

  • in

    Dallo Spavento al lieto fine, Anzani si racconta e pensa alla Lube

    Il centrale biancorosso Simone Anzani è rinato dopo alcune settimane di apprensione per una problematica cardiaca. Il mondo del volley lo ha supportato rispettando la privacy, ma facendo sentire il proprio affetto, a partire dai compagni di squadra e dai dirigenti della Lube Volley. Ora che lo spavento è passato, l’atleta racconta le settimane difficili vissute quasi un mese dopo uno dei giorni più belli della sua vita, il matrimonio con Carolina. L’atleta originario di Como ha dovuto fare i conti con uno stop improvviso imposto dai medici del Coni per un sospetto fastidio al cuore. Una doccia fredda che si è consumata lo scorso 26 giugno e ha dato il via a un periodo di incertezze e di legittima paura sul fronte di salute, famiglia e lavoro. L’angoscia è alle spalle, tutto si è risolto nel migliore dei modi.
    Partiamo dall’inizio, cosa è successo quando eri con la Nazionale?
    Anzani: “Ho preso parte alla tappa di VNL in Olanda e sono stato sottoposto alle visite di rito al Coni nell’anno preolimpico. Durante la prova da sforzo si sono verificate delle aritmie. I medici mi hanno fermato per effettuare controlli ulteriori. I primi step sono stati un holter e una risonanza, ma era necessario investigare più a fondo. La strada migliore era quella di un piccolo intervento che avrebbe potuto richiedere anche l’ablazione. Tutto è andato liscio!”.
    Quindi cos’è accaduto martedì 18 luglio alla Clinica di Cardiologia e Aritmologia degli Ospedali Riuniti di Ancona?
    “Inizio col dire che ho trovato grandi professionisti. Colgo l’occasione per ringraziare ancora una volta il professor Antonio Dello Russo e la professoressa Michela Casella, con la loro equipe. Mi sono sentito coccolato anche dal medico federale Piero Benelli e dal responsabile sanitario della Lube, Mariano Avio. Il primo non poteva essere presente, ma si è confrontato costantemente con il dottore del Club. Ho trovato la massima disponibilità anche da parte di Armando Gozzini, il direttore generale dell’azienda ospedaliera universitaria. Me la sono cavata con una mappatura e uno studio elettrofisiologico. Non sono stati evidenziati i problemi temuti, mentre i valori erano nella norma”.
    Un sospiro di sollievo! Quali sono stati i tuoi pensieri dal 26 giugno a oggi?
    “In questo periodo di pensieri ne sono balenati tanti in testa. Prima del ricovero ad Ancona non sapevo esattamente quali esiti potesse dare l’approfondimento. Prima di essere uno sportivo sono un marito e un giovane papà, mi sono preoccupato per la famiglia e la salute, poi ovvio che mi turbassero l’ansia per il futuro pallavolistico e la delusione per non poter raggiungere in VNL i compagni, con cui c’è grande alchimia! In meno di due settimane riprenderò ad allenarmi e cercherò di tornare al meglio per avere le mie chance. La voglia di rappresentare l’Italia agli Europei è più viva che mai”.
    Se lo augurano i tuoi estimatori! Non ti hanno mai lasciato solo.
    “Ho ricevuto belle testimonianze di solidarietà a tutti i livelli, dai giocatori, da Chicco Blengini,  Fabio Giulianelli, Simona Sileoni, Albino Massaccesi e Beppe Cormio, dai rappresentanti federali, dai tifosi e persino dagli avversari. Mi hanno contattato anche Eugenio Gollini e Angelo Lorenzetti. Il mondo della pallavolo mi è stato davvero vicino”.
    Una nuova stagione agonistica importante ti aspetta in maglia Lube!
    “Il Club è sempre nei miei pensieri! Ho seguito con interesse il sorteggio di Champions League. Sulla carta le urne ci hanno graziato perché, nonostante fossimo testa di serie, avremmo potuto pescare squadre molto dure. Sono arrivate rivali alla nostra portata. Starà a noi dimostrarlo sul campo!”. LEGGI TUTTO

  • in

    Intervista esclusiva a Lorenzo Sonego: “Quando in partita c’è lotta mi diverto. Il focus è migliorare i colpi d’inizio gioco, in particolare la risposta”

    Lorenzo Sonego (foto ATP tour)

    Se dico che le doti migliori di Lorenzo Sonego vanno ricercate nella semplicità e nell’umiltà, sembra quasi che voglia sminuire la grandezza di “Sonny”. Invece è proprio il contrario.Ecco, adesso vorrei avere qui accanto qualcuno che so io, quello che si inventa qualsiasi cosa pur di non di raccogliere le palle alla fine dell’ora, che si guarda bene dal passare la stuoia: da quando è in odore di passare in “terza”, gli sembra lesa maestà preoccuparsi delle faccende che stanno in coda agli allenamenti.Invece “Sonny”, già 21 al mondo, tre titoli ATP finora in carriera, non attende un “maggiordomo” e fa quello che ha sempre ha fatto, fin dal primo giorno in cui ha calcato un campo da tennis: a sessione conclusa, tappeto. Un dettaglio ma una sorta di mantra, giusto così per continuare a non montarsi la testa.
    Del resto il suo mentore e coach Gipo Arbino ha voluto crescerlo facendogli capire fin da subito che la grandezza sarebbe arrivato a coglierla solo ricordando sempre bene da dove si è partiti ed evitando con cura di bearsi a considerare ciò che aveva ottenuto e dove era arrivato.E di strada Lori e Gipo ne han fatta tanta per poter arrivare.Degli inizi, della militanza nelle giovanili del Toro, la squadra per cui Sonny stravede e stravedeva, si sa, come si sa di come, pur avendo piedi affatto disprezzabili, sia stato indotto proprio da Gipo a mollare definitivamente il calcio per puntare tutto sul tennis.
    Arbino le qualità di Sonego le ha lette subito. Il fisico segaligno, gracile degli inizi non doveva e poteva trarre in inganno: il ragazzo sarebbe cresciuto. Poco, ma sicuro. Piuttosto l’aveva colpito con quale dedizione Lorenzo si applicasse, con quale voglia e determinazione cercasse di migliorarsi ad ogni allenamento. Diceva tanto lo sguardo solare di Sonny: divertito quando gli veniva proposta una nuova sfida, fiammeggiante appena si entrava in lotta. E pazienza se per lungo tempo i palcoscenici erano gli Open di provincia e non i tornei internazionali: Lori non mollava un punto e correva e giocava già come se stesse al Roland Garros. Molto scarsamente considerato, praticamente ignorato, Sonny dovette attendere che Gipo chiamasse direttamente in Federazione perché qualcuno si accorgesse delle qualità del suo protetto e la vita prendesse una piega diversa.
    Lori, cosa vedi se ti volti indietro?“Guardo con tenerezza e orgoglio a tutto il percorso che ho compiuto. Ciò che sono ora è figlio del cammino fatto. Mi dà forza, consapevolezza considerare da dove sono partito.”
    Da ragazzino, quando ti chiamavano “Polpo” per l’incredibile tua capacità di allungarti e rimandare qualsiasi cosa, quando i tuoi avversari si chiamavano D’Anna e Marangoni, e Napolitano e Donati ti sembravano d’un’altra categoria, avresti mai immaginato di arrivare a questi livelli?“Io ci ho sempre creduto. Davvero ho sempre pensato che un giorno ce l’avrei fatta. Non ho mai dubitato ed è per questo che ho accettato di buon grado quello che Gipo via via mi proponeva, cercando di modificare il mio gioco da ‘difensore ad oltranza’ in attaccante da fondo.”
    Quello che continua a entusiasmarmi di te è il modo che hai di stare in campo: contrariamente a molti, tu dai proprio l’impressione di divertirti nella lotta, anzi più ce n’è e meglio è.“Sì, è proprio così. Anzi, devo dirti che quando sono andato in campo con troppa pressione, quando sentivo che non mi stavo divertendo, lì sono proprio giunte le mie prestazioni più insoddisfacenti.”
    Se ti riferisci al periodo prima della vittoria di Metz, quando hai cominciato a perdere classifica, non è che hai pagato lo sforzo prodotto per arrivare a essere 21 al mondo, e che hai cominciato a pensare a che meccanismo perverso s’innesta nella testa quando pensi a come salvaguardare il ranking ottenuto?“Può darsi. Certamente per me era un cosa totalmente nuova. Fino ad un dato momento non avevo fatto altro che salire, che inanellare prestazioni sempre più soddisfacenti; e invece ad un tratto è cominciato il periodo buio, quando, per un motivo o per l’altro, per un’inezia, le vittorie non venivano più. Se mi chiedi come ho fatto, non posso che risponderti che ho cercato di rimanere il più calmo e tranquillo possibile. Più mi agitavo e peggio andava. Dovevo imparare a gestire una situazione nuova, che prima o poi attraversano tutti. A me non era ancora capitato e dovevo imparare ad affrontarla.”
    Hai puntato sul lavoro, per migliorarti e venirne fuori? Guardandoti in TV e prima in allenamento, mi sembra che il tuo dritto sia ancora più buono, più ficcante e pesante. Anche la seconda di servizio, soprattutto quella da sinistra, mi sembra decisamente più efficace, e come effetto impresso, e come traiettorie?“Continuiamo a lavorare davvero tanto e quello che dici si unisce a quanto sono più forte d’un tempo sul rovescio. Il focus però rimane orientato verso il miglioramento dei colpi d’inizio gioco, con un’attenzione particolare sulla risposta al servizio: quelli sono i cardini del tennis moderno, a mio avviso.”
    Innegabilmente sei migliorato in tutto e aveva ragione Gipo nel dirti, nel momento più buio, che dovevi avere fiducia e pazienza perché sì perdevi certe partite inspiegabilmente, ma avevi aggiunto pezzi importanti e stavi giocando meglio di quanto non facessi quando vincevi sempre e comunque. Venendo a ora, cosa senti che ti manca ancora per giocartela e sempre coi migliori? A Roma hai perso da Tsitsipas ma hai avuto le tue chanches… In cosa senti che i più forti sono diversi, in cosa senti che hanno ancora qualcosa in più?“La loro continuità fa la differenza. Non hanno cedimenti, nemmeno per un attimo. Ai massimi livelli sono i dettagli quelli che determinano il risultato. Basta un nonnulla, una frazione di secondo di straniamento e con loro di ritrovi sotto. Ma lavoreremo anche su questo.”
    All’inizio ti ho chiesto che cosa vedevi voltandoti, adesso, ora che hai compiuto ventotto anni, ti chiedo che cosa immagini ci sia davanti a te“Vedo tante altre grandi stagioni da interpretare al meglio. Di sicuro quello che voglio fare è continuare a spostare l’asticella sempre più verso l’alto.”
    Sempre con Gipo a fianco, suppongo…“E ti pare che dopo tutto quello che abbiamo attraversato possa mai cambiare? Avanti con Gipo, come abbiamo sempre fatto.”

    Elis Calegari LEGGI TUTTO

  • in

    Sinner parla prima di Roland Garros: “Devo migliorare tanto, soprattutto nel fisico. Un sogno? Giocare per un giorno come Federer”

    Jannik Sinner si sta allenando sui campi di Roland Garros a caccia delle migliori sensazioni, per disputare un torneo da protagonista. Inserito nella parte bassa del tabellone con la testa di serie n.8, ipoteticamente potrebbe sfidare Daniil Medvedev, uno dei giocatori finora più ostici per lui. Ha rilasciato un’interessante intervista alla rivista tedesca Tennis Magazin, nella quale parla del suo momento, delle aspettative, dei settori in cui crede di dover migliorare, fisico su tutto. E un sogno “impossibile”…

    “C’è molta pressione in Italia su di noi, ma è normale quando sei così in alto in classifica a un’età così giovane, i tifosi si aspettano molto da te. Tuttavia le aspettative più grandi vengono sempre da te stesso, voglio sempre vincere, voglio sempre migliorare. Quello che dicono gli altri o quello che scrive la stampa viene dopo” afferma Jannik.

    Il suo pensiero in merito alla rivalità con Alcaraz, una delle più attese dal pubblico internazionale: “Speriamo di continuare ad affrontarci, la nostra rivalità può diventare davvero buona. Siamo due bravi ragazzi e anche bravi giocatori che possono raggiungere un livello molto alto. Carlos in questo momento è più avanti nonostante sia più giovane, ha un talento eccezionale. È già fisicamente maturo e ha tutti i colpi”.
    Ecco una risposta chiave, dove pensa di dover migliorare: “Devo ancora migliorare molto, soprattutto dal punto di vista fisico. Se fossi un po’ più forte, alcune cose diventerebbero un po’ più facili per me. Nelle settimane senza torneo faccio molto allenamento fisico, lavoro tanto sul servizio, so di avere del potenziale per crescere, proprio come nel gioco di volo. Onestamente devo migliorare in tutte le aree, vedremo dove sarò tra due anni. So di poter vincere i tornei, l’ho già dimostrato, ma se vuoi vincere i grandi tornei hai bisogno di tante partite ed esperienza. Sconfitte come quella di Djokovic a Wimbledon finiranno sicuramente per essere molto utili”.
    Cahill è un valore aggiunto: “Darren è una bravissima persona, tutta la mia squadra è felicissima di lui, questa è la cosa più importante. Ha allenato molti giocatori diversi, dai giovani ai veterani. Entrambi crediamo che da tutto questo possa venire fuori qualcosa di veramente buono, la fiducia viene sempre prima di tutto per noi”.
    Un suo motto è fare le cose che desidera:  “Se hai voglia di fare qualcosa, fallo. Ho sempre seguito questo motto. Quando avevo voglia di sciare, sciavo. Poi ho iniziato a giocare a tennis perché mi piaceva. A volte il percorso per diventare un top player è fare cose che non vuoi fare. Nel tuo tempo libero, invece, dovresti fare quello che vuoi, cercare di vivere il più liberamente possibile, è importante”.
    Un sogno? “Dev’essere meraviglioso essere Roger Federer per un giorno, giocare a tennis con la sua disinvoltura ed eleganza. Mi stupisce quanto fosse sempre rilassato, sia in campo che fuori. Aveva un grande equilibrio tra allenamento e tempo libero, è sempre stato il mio idolo. Speravo che continuasse a giocare per avere l’opportunità di affrontarlo. Purtroppo non accadrà”.
    Il buon momento del tennis italiano: “Stiamo avendo un grande sviluppo con molti eventi, oltre ai grandi giocatori che abbiamo attualmente. Non dobbiamo dimenticare il numero di tornei ATP Challengers e Futures che abbiamo, questo permette ai nostri di giocare ai livelli più bassi stando in casa tutto l’anno, e quindi facilitare il salto nel circuito ATP. I più giovani ricevono wild card ai tornei in Italia così possono condividere con i migliori e migliorare il mio gioco. La struttura continua a migliorare, ogni volta abbiamo allenatori migliori che possono istruire i tennisti”. LEGGI TUTTO

  • in

    JC Ferrero racconta Alcaraz: “Non so quanti Slam vincerà, ma sono sicuro che lascerà un segno importante”

    Juan Carlos Ferrero con Carlos Alcaraz

    Juan Carlos Ferrero ha parlato del suo assistito Carlos Alcaraz in una lunga intervista concessa al collega francese Cedric Rouquette, nella quale ripercorre gli inizi con un “Carlito” 12enne, passato alla sua accademia per un torneo junior, fino ai giorni nostri, l’essere n.1 del mondo e accostato ai più grandi dell’epoca moderna. Il pensiero di Ferrero è fluido, preciso, analizza le situazioni e risponde in modo chiaro, convinto della forza del suo giovane pupillo e della strada che stanno facendo insieme. Questo è il punto focale della loro avventura finora straordinaria: vanno nella stessa direzione, si fidano l’uno dell’altro e le discussioni sono sempre costruttive verso l’obiettivo di eccellere. Potrebbe sembrare banale, ma non lo è affatto, visto che il rapporto tra coach e giocatore è spesso molto complesso da costruire e mantenere nel tempo. Molto interessante anche il pensiero del campione di Roland Garros 2003 in merito al tennis di oggi: troppa potenza cercando di chiudere il punto senza alcuna flessibilità o capacità tattica. Un gioco monocorde dal quale ha cercato di allontanare il più possibile il suo assistito, che in effetti ha gioco davvero offensivo e vario. Fu bellissimo infatti osservare i due in allenamento nelle mattine delle NextGen Finals 2021: scambi a grande velocità, ma anche continui stop and go. Parlavano, gesticolavano, si muovevano sul campo mimando colpi e schemi di gioco. Venivano provati, definiti, ma anche più volte cambiati, per inserire novità e rendere il suo tennis sempre più completo e imprevedibile. Gli occhi di JC brillavano mentre lo osservava dall’angolo del campo. Forse, immaginava già di vederlo colpire in una finale importante, pregustandosi un futuro radioso.

    “Quando giochi non pensi a fare l’allenatore in futuro” inizia Ferrero, focalizzandosi sul proprio percorso da coach. “Tutto è partito dall’aver fondato e diretto un’accademia (ad Alicante, in Spagna), quando ancora ero in attività. Questo è stato forse il modo ideale per preparare il passo successivo dopo il mio ritiro. Essere il direttore di quest’accademia, vedere i giocatori lì, dare loro consigli, è stato probabilmente un modo per iniziare a essere coinvolto nell’allenamento. Il primo periodo della mia carriera da allenatore è stato con Alexander Zverev, sei mesi nel 2017-2018. È stato bello, un modo per me di tornare sul Tour dopo cinque anni. È stata una grande esperienza e mi ha fatto pensare che avrei dovuto essere coinvolto in un progetto più completo, più difficile, allenare e preparare un ragazzo di grande talento. È stato un bel traguardo, ho potuto preparare le mie conoscenze di allenatore con queste esperienze”.
    Molto decisa la risposta di JC su quel che è diventato il tennis negli ultimi anni: “In questo momento sento che ci sono troppi tennisti che “distruggono” il gioco, non costruiscono il punto. Colpiscono, colpiscono, colpiscono, il più velocemente possibile, per finire il punto. Allo stesso tempo, volevo formare Carlos in un altro modo, stiamo cercando di fare del nostro meglio in questo scopo“.
    Uno dei punti di forza di Alcaraz per Ferrero è il saper giocare in molti modi: “La prima cosa che ho intravisto osservando un giovane Carlos è come poteva essere adattato. È molto difficile trovare un giocatore a cui puoi dire di giocare in modi molto diversi, e poi riesce a farlo in partita. Esempio: per battere Daniil Medvedev nella finale di Indian Wells, abbiamo fatto un piano, e questo piano non era normalmente un piano che Carlos ha sempre. Era un po’ simile, ma non uguale. Carlos è stato in grado di eseguirlo e vincere, anche nettamente. Una delle cose più belle è successa quando aveva 15 anni e già si allenava con giocatori molto più bravi di lui, come Dominic Thiem a Rio de Janeiro. In quel momento Thiem era molto forte, Carlos un ragazzo, ma ha adattato la sua velocità alla velocità di Thiem, che era molto più veloce di quanto normalmente colpisse. Pochissimi possono farlo”.
    Il fatto di essere più imprevedibile rispetto a un Djokovic o un Nadal è un punto di forza, ma pericoloso: “È così bello poter giocare in tanti modi, ma può anche essere una trappola. Quando era più giovane, usava tutte le sue opzioni ma non nell’ordine giusto. In quel momento potevo dire qualcosa di molto preciso a Carlos, ma non avevo idea di cosa sarebbe successo dopo in campo. È difficile giocare con l’ordine giusto quando si hanno tutti questi strumenti. Essendo più maturo ora, più esperto, riesce a mettere tutto insieme e funziona, anche se continuiamo a lavorare. Il suo tennis è lontano dall’essere al 100% del proprio potenziale“.
    Alcuni pensano che Alcaraz sia l’incarnazione del tennista “2.0” perché racchiude punti di forza di Djokovic, Nadal e Federer. Ferrero è cauto, ma… “Lui non ha copiato nessuno, possiamo dire che prendere i migliori esempi disponibili per aggiungerli al tuo gioco, è assolutamente corretto. Il movimento di Federer, la mentalità di Nadal e così via. Cerchiamo di prendere dettagli dai giocatori quando pensiamo che siano super bravi, per aggiungerli al nostro gioco. Ma sai, Carlos ha dovuto sentire in passato che era il nuovo Nadal, ecc… Era molto pesante come aspettativa da reggere. In un certo senso eravamo così orgogliosi, sì, che la gente lo pensasse, ma non era facile per lui e per me sentirlo dire tutto il tempo. L’unica cosa che posso dire è che pensa in grande. Molti giornalisti mi chiedono se può vincere 22 Slam. Non lo so. Quello che so è che è in grado di fare grandi cose per il tennis. Lasciamolo giocare e provare. Se vince il secondo Slam, gli chiederemo quando sarà il terzo. Sarà sempre una grande pressione. Quindi può fare come hanno fatto gli altri? Non lo so, ma sono sicuro che lascherà un segno importante“.
    Si torna al momento in cui i due sono conosciuti: “Aveva 12 o 13 anni quando l’ho visto per la prima volta. Stava giocando nella mia accademia, un torneo che abbiamo. La gente parlava già di lui. ‘C’è un ragazzo che gioca in modo diverso in queste categorie, fa cose strane’. Così sono andato a vederlo. Era così magro, non aveva alcuna forza! Ma si vedevano già le palle corte, amava andare a rete, giocava anche un po’ di chip-and-charge sulle risposte, era diverso perché provava a fare gioco, non solo a vincere. Non era un classico giocatore di 12 o 13 anni. Quello mi colpì subito. Poi dopo qualche tempo arrivò il momento di decidere se allenarlo. È stata una decisione importante da prendere. Era l’opposto di quello che ho vissuto con Zverev in passato. Non era più una vita di jet privati e hotel di alto livello. Ho parlato con mia moglie e la mia famiglia. Una cosa che mi ha aiutato è che viveva a un’ora da casa mia. E il suo manager, Albert Molina, è un ragazzo che conosco da molto tempo. Ho un ottimo rapporto con lui. Costruire un progetto dall’inizio è stato qualcosa di importante per me. La famiglia ha detto OK, siamo partiti. Non sono stato io a chiedere di allenarlo, è stato il manager, è venuto, ha chiesto se il progetto poteva funzionare per me perché sapeva che era qualcosa di diverso da Sascha. Si vedeva che Carlos giocava davvero bene, ma sapevamo di dover costruire tutto, costruire una squadra, preparare la famiglia, ecc. La cosa più importante, da quel momento, è stata che abbiamo costruito una squadra fantastica intorno a lui”.
    La squadra intorno a Carlos è per Ferrero uno dei punti di forza: “Il preparatore fisico e il fisioterapista sono della mia accademia, Juanjo Moreno e Alberto Lledo. C’è anche Alejandro Garcia a Murcia. Albert Molina è il manager. La psicologa è Isabel Balaguer. Juanjo Martinez è il medico. Le persone della mia accademia sono state coinvolte contemporaneamente a me”.
    Ferrero è convinto che il rapporto tra i due sia una delle chiavi del loro successo: “Cervara (coach di Medvedev, ndr) dice che il tennis in sé è la parte più facile del lavoro? Ha ragione. La connessione con il giocatore è decisiva. Allenare deve essere più importante che colpire palle, portare asciugamani, fare esercizi. Devi parlare assolutamente di tutto con il tuo giocatore. Se parli solo di tennis fai un burnout… La nostra relazione, io e Carlos, è così al 100%. Se litighiamo? È normale. Ha il suo carattere, forte. Per essere un buon giocatore, è decisivo averlo. Una cosa che ha veramente è che pensa in grande. ‘Sono in grado di farlo’, questa è la sua mentalità. Mi diceva sempre quando sentiva di essere pronto a vincere qualcosa di nuovo. Ogni passo, mi ha detto. ‘Penso che ora sono pronto’. Me lo disse prima di vincere un Futures quando aveva 15 anni. Quando si è sentito pronto per vincere un Grande Slam, me l’ha detto di nuovo ed è successo”.
    Ferrero pensa che il confronto sia decisivo, senza malizie o voglia di rivalsa da entrambe le parti, anche quando qualcosa non è andato come sperato: “Certamente ci sono cose che so che accadranno in futuro perché ci sono già passato. A volte gli ho detto che avrebbe sbagliato facendo certe scelte. Ha comunque preso la sua direzione e a volte ho dovuto finalmente dirgli ‘Te l’avevo detto’. Ma non se la prende perché tra di noi il rapporto è limpido. Ecco come stanno le cose: lo lascio anche libero di sperimentare le cose perché è ancora così giovane e solo così impara”.
    Da quel che si vede in campo, la curva di apprendimento di Carlos Alcaraz tende davvero all’infinito…
    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO

  • in

    Flavia Pennetta: “Sinner è ben centrato, Musetti deve ancora capire il suo valore”

    Flavia Pennetta

    Flavia Pennetta ha rilasciato un’intervista a Fanpage nella quale racconta la sua vita di tutti in giorni in famiglia, impegnata nella crescita dei tre figli avuti con Fabio Fognini. Oltre al momento sportivo del marito, l’ex campionessa di US Open 2015 si è soffermata anche su Sinner, Musetti e Berrettini. Riportiamo alcuni passaggi del suo pensiero, sempre interessante.
    “Sono molto contenta della mia vita oggi, anche se non nascondo che con tre figli piccoli a volte ti senti un po’ come… ‘cotta’. La sensazione di non avere molto tempo per te, dopo una vita in cui tutto girava intorno a me. Con i bambini cambia tutto e c’è tanto lavoro. Flavia è passata in secondo o terzo piano, ma cerco di ritagliarmi dei momenti in cui tornare indietro nel tempo e ricordare momenti bellissimi. Nostalgia del tennis giocato? Non rimpiango niente e non vorrei niente di diverso da quello che ho oggi, ma è sempre bello ritrovarsi come giocatrice. Anche come donna e come moglie. Si lavora costantemente sul rapporto di coppia, perché i bambini sono stupendi, ma se non c’è una solidità è difficile. Dicono che i bambini uniscono, ma se non sei una coppia solida e disposta a cambiare questi equilibri, possono anche separare”.
    “Come sta Fabio? Quando cambiano un po’ gli equilibri e l’età avanza, recuperi diversamente, non sei più veloce come prima e fai più fatica. Però dall’altra parte c’è sempre quel talento che non si vede tanto nel circuito. Si vede molta più forza, molta più potenza, con più capacità fisica e meno tecnica. Per questo giocatori come Fabio sono giocatori che divertono molto” commenta Flavia.
    Il discorso si sposta su Matteo Berrettini, in difficoltà in questo 2023 e bersagliato da molte critiche: “Sicuramente tutte le critiche che ci sono trovano il tempo di un giorno e poi spariscono. Noi atleti siamo consapevoli che non si può essere sempre al 100%. La gente non comprende che per noi questo è un lavoro e siamo i primi a voler far bene. Quando andiamo in difficoltà lo percepiamo e chi soffre realmente è il giocatore. Ma siamo abituati ad essere messi sotto torchio. Le critiche per la sua vita privata? Il problema è sempre lo stesso: quando uno inizia a vincere, la gente si entusiasma e dà quasi per scontato che tutto sia dovuto. Ma non è così, perché il tennis è uno sport durissimo. Ti fermi solo due mesi, se ti va bene, ed essere sempre costanti non è facile. Le parole fanno male, te lo dico per esperienza personale. Ti senti accusato, ti vengono dette parole pesantissime perché poi la gente esagera e va fuori di testa. Devi imparare a farti scivolare tutto addosso. Giustamente Matteo ha detto di essere un ragazzo normale e la sua è effettivamente una situazione normalissima. L’ha chiusa lì ed è stato bravo perché ha detto basta subito, non essendoci più nulla da dire”.
    Flavia parla anche degli altri azzurri in alto in classifica: “Sinner è quello più ‘centrato’. Lo apprezzo molto perché ha avuto il coraggio di cambiare determinate cose quando sarebbe potuto rimanere nella sua zona comfort, senza modificare nulla. Lui invece è andato alla ricerca di novità e questa è una gran cosa. Lo vedo lì, c’è poco da dire. Musetti deve ancora realmente capire il suo valore ed essere più sicuro di se stesso. Più ‘valiente’, come si dice in spagnolo. Però ha un gioco bellissimo. Bisogna tenere conto anche delle pressioni che può sentire, dovendo riconfermare l’annata scorsa. Dovrà imparare a farlo. La verità è che sono piccoli, giovanissimi. Quando non sei nessuno e tutto quello che fai non sempre è sotto i riflettori, è più facile. Ma quando diventi un nome la gente inizia a pretendere da te e tutto cambia. Bisogna imparare a fare quel tipo di gestione. È successo a Matteo, è successo a me, a mio marito, a tutti”.
    Chiedono a Pennetta se Camila Giorgi in futuro avrà dei rimpianti per non esser riuscita a modificare il suo tennis e vincere di più, la risposta della brindisina: “Alla fine i rimpianti servono a poco, perché lei sembra molto convinta del suo gioco e del percorso che ha fatto, anche quando molti di noi dicevano che avrebbe dovuto prendere altre strade. Non credo che lei stessa abbia rimpianti. Chi la vede giocare dal di fuori dice ‘se avesse fatto così…’. Ma con i se non si va lontano”. LEGGI TUTTO

  • in

    Djokovic: “Quando mi sento a posto, sono il migliore. Non devo dimostrare niente a nessuno”

    Novak posa con l’ultima coppa degli Australian Open

    Novak Djokovic è la stella dell’ATP 500 di Dubai, al via domani con un main draw molto interessante (presenti gli azzurri Sonego e Arnaldi, il ligure entrato come LL dopo aver perso il secondo e decisivo match di qualificazione, ma terribilmente sfortunato nel sorteggio avendo pescato addirittura il “caldissimo” Daniil Medvedev). In una lunga intervista rilasciata al media locale The National, il serbo ha spaziato su molti temi, da un bilancio della sua lunga e fortunata carriera alla storica rivalità contro Nadal. Rispetta ogni avversario, ma nella sua testa un concetto è chiaro: quando si sente a posto ed è ben preparato, sente di essere il migliore.
    “Certo sempre un equilibrio e ho massimo rispetto verso l’avversario, verso il gioco, l’apprezzamento per il momento e per quello che stai passando. Ma ho molta fiducia in me stesso. Sono consapevole che quando sono pronto e sto bene, su qualsiasi superficie e contro ogni avversario, sono il migliore. Non credo ci sia nulla di arrogante o pretenzioso in questo, non ci vedo niente di sbagliato“.
    I campioni riescono ad allungare sempre più le proprie carriere: “Al giorno d’oggi, Nadal quest’anno farà 37 anni, io 36, LeBron James è vicino ai 40, Federer aveva 40 anni e giocava ancora ai massimi livelli, Tom Brady, Serena, Ronaldo, Messi… è incredibile. È fantastico perché in un certo senso questo ispira anche ai giovani atleti a pensare che possono prolungare la loro carriera, che non pongono limiti mentali solo perché qualcun altro impone loro quel limite, che dopo i 30 sei più o meno è finita, quindi è il momento di pensare alla tua fine. Non c’è davvero fine, nella tua mente”.
    L’intervistatrice chiede a Novak per cosa vorrebbe essere ricordato di più. Djokovic fa una pausa di qualche secondo, quindi afferma: “Direi dedizione e devozione. E tutto ciò che ruota attorno a questo. Sto solo cercando di padroneggiare la mia carriera dedicandomi al massimo, crescendo, migliorando e cercando costantemente il miglioramento. Penso che questo tipo di mentalità, il cercare costantemente di migliorare, migliorare te stesso, il tuo ambiente e, naturalmente, essere d’ispirazione per i giovani atleti di tutto il mondo, sia la cosa che più interessa”.
    Djokovic è tornato brevemente anche sull’annosa questione dell’infortunio patito a Melbourne, cosa che molti rivali hanno messo in dubbio viste l’eccellente prestazioni atletiche del serbo nel corso del torneo. Secca un po’ scocciata la sua risposta: “Ne ho avuto abbastanza di tutto questo. Non ho davvero tempo, energia o volontà per affrontare il giudizio di qualcun altro o dimostrare qualcosa a qualcuno. Ho già accettato il fatto che ci sarà sempre un gruppo di persone a cui non piacerai, a cui non piacerà quello che dici, il modo in cui giochi a tennis o qualsiasi altra cosa nella tua vita privata. Ci sarà sempre un giudizio. Ma diventi più forte da quello. Almeno io cerco di diventare più forte da tutto questo, e lo uso come carburante. Non per sfidarli, ma per alimentare il mio desiderio di essere migliore e più forte”.
    Scontata la domanda sulla “corsa” al migliore tra lui, Rafa e Roger. Articolata la risposta di “Nole, che si dice felice anche se dovesse chiudere la corsa Slam con lo stesso numero di titoli di Nadal: “Sì, sarei soddisfatto ugualmente. Ne vorrei più del mio più grande rivale ma alla fine, quando arriverà quel momento, quando dovrò tracciare un riga e guardare indietro alla storia della mia carriera e a quello che ho raggiunto, anche se mi fermo qui e lui vince altri 10 Slam, dovrei considerarmi complessivamente soddisfatto. Forse ci sarebbe una piccola parte di me che rimpiangerà di non aver avuto più di lui, ma alla fine, quanto è troppo? Qual è il limite?  Me lo chiedo anche perché è un atto di equilibrio come atleta professionista, essendo in uno sport molto impegnativo, è una stagione molto lunga e ci sono molte opportunità: ci sono quattro Slam ogni anno, quindi hai le opportunità. E ovviamente devi avere la mente competitiva, devi avere questa ferocia, l’approccio mentale di un lupo in un certo senso, affamato di sempre di più, perché questo ti spinge, almeno nel mio caso. Ma allo stesso tempo, è necessario equilibrio e e dire, okay, wow, ho raggiunto grandi cose, devi essere orgoglioso, devi essere grato, essere umile al riguardo. Sono entrambi i tipi di personalità con cui devi affrontare e convivere allo stesso tempo”. LEGGI TUTTO

  • in

    Alcaraz si racconta a Vogue: “Vedere Federer era ammirare un’opera d’arte. Dopo la vittoria a US Open ho sentito di aver perso un sogno”

    Carlos Alcaraz su Vogue

    Carlos Alcaraz si è raccontato in una lunga intervista (con annesso servizio fotografico) rilasciata al magazine Vogue. Il giovanissimo campione di El Palmar si è soffermato su molti aspetti della sua vita, giovinezza e carriera attuale. Ha voglia di vincere, imponendo quel suo tennis esuberante, senza alla ricerca del punto e del gran colpo, ma ammette come la vittoria a New York gli sia costata a livello di maturazione. È come se dopo quel successo non si fosse sentito più quel bambino che rincorreva il sogno di sempre, e ripartire è stato difficile. Riportiamo alcuni passaggi dell’intervista.
    “Rafa è qualcuno che ho sempre guardato”, afferma Carlos. “Lo ammiro molto. Ma Federer… la classe che aveva, il modo in cui proponeva il tennis alla gente, era bellissimo. Guardare Federer è come guardare un’opera d’arte. È eleganza, ha fatto tutto magnificamente. Sono rimasto incantato da lui”.
    Nelle pause degli allenamenti, studia anche inglese: “Sono migliorato, ma ho ancora molta strada da fare! Film? Sì! Sylvester Stallone. Sai: Rocky Balboa…”.
    Un altro dei suoi hobby è giocare a scacchi. Proprio come Daniil Medvedev: “Gli scacchi sono un mio grande hobby, li amo. Doversi concentrare, giocare contro qualcun altro, la strategia, dover pensare alle prossime mosse. Penso che tutto questo sia molto simile al campo da tennis. Devi intuire dove l’altro giocatore manderà la palla, devi muoverti in anticipo e cercare di fare qualcosa che lo metta a disagio. Quindi ci gioco molto, mi diverte e penso che sia molto utile”.
    Recentemente è diventato testimonial per l’intimo di Calvin Klein, ma in realtà al momento il mondo della moda non lo affascina così tanto: “Mi vesto in modo molto semplice, e per ora non ci presto tutta quest’attenzione. Nemmeno a cose più costose, come le auto. Se mi piace qualcosa, magari lo compro, è mio padre che si prende cura dei miei guadagni. L’unica cosa per la quale vado matto sono le sneakers Nike”, afferma Carlos”. vado a cercare alcuni modelli vintage difficili da trovare e che sono piuttosto costosi, è roba esclusiva. È questo è il genere di cose che compro, se mi piacciono. Ci sono alcune Jordan, alcune Dunk Low, alcune che Travis Scott ha rilasciato. Voglio avere una grande collezione, questo è il mio obiettivo, comunque. Adesso ne ho circa 20 ma ne avrò molte di più!”.
    Ha parlato dell’importanza della psicologa Isabel Balaguer che lo segue da un po’ di tempo: “Mi ha aiutato molto, ero un po’ …sopra le righe. Non controllavo bene le mie emozioni, mi arrabbiavo di brutto. Quando avevo 15 o 16 anni lanciavo la racchetta in giro, o ne rompevo una, e questo metteva a rischio il mio gioco perché non mi controllavo. Sapevo che dovevo migliorare sotto questo aspetto. Grazie a Isabel sono migliorato molto. Sentirsi sereni durante un anno così impegnativo è fondamentale. E dal mio punto di vista, è fondamentale scendere in campo sorridendo, sentendosi felici. Questo ti aiuta mentalmente. Per me è tutto”.
    Ammette che tornare in campo dopo il grande successo a US Open, essere diventato il n.1 più giovane di sempre, è stato difficile. Ha capito per la prima volta il significato della parola stress, della pressione. Che tutto era cambiato di colpo e doveva trovare dentro di sé nuovi stimoli: “New York è stato incredibile, ma… la verità è che quando sono dovuto tornare in torneo c’è stato un momento in cui ho detto ‘Stress! ..e ora?’. Forse non avevo pienamente compreso quello che era successo. O forse, istintivamente, ho realizzato di aver perso un sogno. Penso che quello che è successo è che quando ho visto che avevo raggiunto ciò che sognavo da quando ero un ragazzino, inconsciamente quell’aspirazione si è come un po’ offuscata. È stato difficile. Perché nessuno si stava divertendo più! Io in campo, no; Juanki no, vedendomi così spento e privo di quel fuoco. Ho pensato, dove vado adesso?”
    Parole molto interessanti, che raccontano come questo formidabile talento stia crescendo in campo e come uomo. Pronto a nuove grandi sfide. LEGGI TUTTO

  • in

    Feliciano Lopez rientra: “Se avrò wild card al Queen’s, sarà il mio ultimo torneo. Come è cambiato il tennis? Tantissimi soldi…”

    Feliciano con Tsitsipas ad Acapulco 2022

    Feliciano Lopez si appresta al suo ultimo “giro di Tango”. Il 41enne mancino di Toledo, da anni anche direttore del torneo Masters 1000 di Madrid, disputerà questa primavera alcuni tornei, prima di appendere la racchetta al chiodo e dedicarsi interamente al lato manageriale dello sport che l’ha accompagnato per tutta la vita. Con una wild card parteciperà al 500 di Acapulco, poi con altri inviti disputerà i tornei di Barcellona e Maiorca. Invece ha scartato l’idea di partecipare al “suo” torneo di Madrid. L’idea sarebbe quella di ritirarsi sull’erba di Queen’s, torneo a lui estremamente caro, dove ha giocato probabilmente il miglior tennis in carriera nonostante l’età avanzata e vinto i suoi ultimi due trofei (2017 e 2019). Ne ha parlato al quotidiano Marca, insieme ad altre considerazioni sul tennis in generale, a suo avviso cambiato terribilmente soprattutto per i tanti soldi in palio.
    “È confermata la mia presenza ad Acapulco, Barcellona e Maiorca. Ho chiesto qualche altra wild card, come al Queens. Se me lo danno a Londra, il mio ultimo torneo sarà lì. Questa è l’idea che ho in testa” afferma lo spagnolo.
    “Alla fine ho scartato l’ipotesi di giocare a Madrid. Dovrei chiedere l’invito e alla fine non so se ne vale la pena. È un anno molto importante per il torneo con il cambio di tabellone, con tutte le cose che dobbiamo fare nella Caja Mágica. Poter lavorare al meglio senza altre distrazioni ha pesato di più che avere un bel saluto dal pubblico, di cui non ho bisogno e non ne ho neanche tanta voglia. La cosa più coerente è lavorare per il torneo con il cambio di format. Ci sono molte sfide da affrontare”.
    “Mi è sempre stato chiaro che volevo ritirarmi da giocatore, con qualche altro torneo di buon livello”, continua Feliciano. “L’anno scorso ho capito che era giunto il momento e ho preso la decisione. E volevo farlo così finché andava bene. Ecco perché sono andato a Maiorca per prepararmi per alcuni giorni. L’anno scorso ho giocato a malapena dopo Wimbledon, non mi stavo preparando ed è per questo che alla fine mi sono infortunato due volte, infortuni tipici dell’inattività. Non avevo mai avuto problemi muscolari nella mia lunga carriera. La gente si sta comportando molto bene con me, sono grato che mi stiano invitando a partecipare ai tornei”.
    Lo scorso anno “Feli” vinse in doppio proprio ad Acapulco in coppia con Tsitsipas: “Ho conosciuto un milione di giocatori nel circuito ma con Stefanos abbiamo legato subito. È un ragazzo timido, parlo con suo padre, conosco Patricio, il suo agente, da tanti anni. Ci siamo incontrati per giocare un doppio e il rapporto è nato così, a poco a poco. Ci siamo divertiti. Oltre ad Acapulco, potremmo giocare a Barcellona e qualche altro torneo per finire il ciclo”.
    Chiedono se si vede in futuro nel box del greco: “A breve o medio termine, non so se mi vedo davvero come l’allenatore di qualcuno. Non è qualcosa che sto considerando in questo momento. Se si presenta l’opportunità di allenare, la valuterei seriamente perché amo il tennis. Ed essere in grado di fornire a qualsiasi giocatore il mio aiuto e la mia esperienza, sarebbe fantastico, è una idea che non scarto affatto”.
    Feliciano Lopez molto probabilmente resterà nella storia del gioco per l’incredibile record di partecipazioni consecutive ai tornei dello Slam: 79! Un numero pazzesco, che lui stesso considera quasi impossibile da battere: “È evidente che il mio record è difficile o quasi impossibile da battere. Sono passati 20 anni senza mai saltarne uno. Sono stato continuo e un po’ fortunato. Ci sono altri record pazzeschi nella mia epoca, come gli Slam dei grandi Roger, Rafa e Novak, non è tanto i 20 o 22 Slam ma tutto quello che hanno dovuto fare e dare per arrivarci. È qualcosa di incredibile”.
    Dall’alto della sua esperienza, Lopez ha attraversato più generazioni e cambiamenti. A suo dire il tennis è cambiato tantissimo, soprattutto per la montagna di soldi che oggi guadagnano i migliori. Leggendo tra le righe delle sue parole, si intuisce che forse a suo dire i soldi sono quasi “troppi”: “Il tennis è cambiato molto negli ultimi 15-20 anni. Ci sono molti più soldi, davvero tanti di più. E nei tornei dello Slam sono più che raddoppiati. I giocatori non hanno bisogno di giocare tanti tornei per guadagnare quello a cui erano abituati prima. Ricordo Federer che giocava in una finale dell’Australian Open e il venerdì successivo giocava a Bucarest sulla terra battuta. E Rafa ha vinto gli US Open e poi si è recato a Cordoba per giocare a 40 gradi. Questi sono esempi che mi sono appena venuti in mente, ma potrei metterne un milione. Erano già i migliori della storia, ma erano disposti a fare cose che forse i tennisti di oggi non fanno. Comunque per me non esiste competizione più bella della Coppa Davis”.
    Proprio sulla Davis ecco l’ultima risposta di Lopez, molto triste per come sia finita la rivoluzione cercata con Kosmos. “Beh, la questione Davis mi ha reso triste, davvero. Mi è dispiaciuto per la competizione. Sono stato un giocatore di Coppa Davis in diversi formati. Ho sostenuto molto il progetto Kosmos inizialmente, è stata l’azienda che ha avuto il coraggio di scommettere su un cambio di format. Le cose non sono andate bene e per vari motivi gli obiettivi non sono stati raggiunti. Questo non è il momento di cercare qualcuno da incolpare, ma di pensare a cosa succederà d’ora in poi con il torneo. L’International Tennis Federation ha un ruolo perché ha venduto una competizione secolare e ora il tutto torna nelle sue mani un po’ screditata e svalutata. L’importante è che la Coppa Davis abbia ancora una volta l’impatto che ha avuto in passato. È la storia del gioco, spero possa riguadagnare prestigio ma serve molta attenzione per il suo rilancio”.
    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO