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    Sinner: “Pensavano fossi irlandese. Tutti si aspettano titoli Slam, ma questo non mi disturba”

    Jannik Sinner

    Jannik Sinner tornerà in campo la prossima settimana nell’ATP 250 di Marsiglia. Il quotidiano transalpino “L’Equipe” lo appena ha intervistato, presentando ai propri lettori uno dei talenti più cristallini del firmamento internazionale. Jannik ha parlato del suo presente e della sua formazione, con alcuni aneddoti curiosi. Riportiamo alcuni estratti dell’intervista.
    “Tutti si aspettano che io vinca titoli Slam, ma questo pensiero non mi disturba. Ho solo 19 anni e sono consapevole che la strada per arrivare è lunga, e che la pressione più grande è quella che io metto su me stesso. Per vincere i grandi tornei è necessario prima imparare e perdere delle grandi partite, è una cosa che al momento fa male ma aiuta crescere, come successo all’Australian Open con la sconfitta contro Shapovalov. Ho parlato tanto con il mio team, vogliamo vincere, ma quando si è giovani è importante la sconfitta e imparare da queste. Non voglio mettermi fretta da solo, sono diventato professionista a 18 anni e vorrei giocare fino a 38!“.
    “Mi considero fortunato ad aver iniziato a giocare nella stessa epoca di campioni come Novak, Rafa e Roger, i più grandi di sempre, perché questo non soltanto perché mi dà la possibilità di giocare contro di loro ma soprattutto di imparare da loro. Il match contro Nadal a Roland Garros è stato importantissimo per me, e quindi aver avuto la possibilutà di allenarmi con Rafael a Melbourne lo è stato ancora più. Credo che sia la cosa migliore che mi potesse capitare a 19 anni, è stata un’esperienza di vita che non scorderò mai”.

    “La mia crescita? È diversa per ogni giocatore, per me il passaggio dalla posizione 500 del ranking alla 50 è stato veloce, così come quello dai Futures ai tornei ATP. Non ho giocato a livello juniores, ho preferito affrontare giocatori adulti nei Futures. Non ho giocato molti tornei Challenger, mi pare solo una decina, prima di affrontare l’ATP Tour. La scalata è stata rapida ma l’obiettivo è molto più avanti.Credo che i prossimi tre anni siano decisivi per la mia crescita. Dovrò allenarmi tanto, perderò delle partite e capire perché ho perso, quindi giocare più match possibili per crescere. Quando avrò fatto 200 partite a livello ATP inizierò a sapere meglio chi sono come tennista. Inoltre non è detto che continui come oggi, potrei rallentare o addirittura peggiorare se avessi un infortunio. Sono consapevole del mio percorso e di quello che ho scelto di essere come persona, il tennis è la cosa più importante per me”.
    “Da piccolo ero molto più sciatore che tennista. A 13 anni ho iniziato a perdere nelle gare di sci perché non ero abbastanza forte sul piano fisico, proprio in quel periodo ho incominciato ad apprezzare di più  il tennis perché è davvero un gioco. Amo lo sci ma come sport è diverso, fai una discesa di un minuto e mezzo e al primo errore è finita. Nel tennis invece puoi sbagliare ma la partita continua, anche altre due ore e mezza. A me piace giocare, avere la possibilità di esplorare soluzioni, accelerare la palla, rallentare, c’è tempo e tattica. Gli sci sono stati importanti per il mio gioco di piedi e per l’equilibrio, due aspetti fondamentali nel tennis. Quando sei rapido e hai equilibrio, non è indispensabile troppa potenza“.
    “Sono italiano al 100% ma sono di una piccola valle nell’estremo nord del paese, la vita è un po’ diversa nel Sud Tirolo rispetto al resto del paese. Ci sentiamo italiani perché si è cresciuti in Italia, ma la mia prima lingua è il tedesco. Tanto che quando a 13 anni sono andato a vivere a Bordighera, ad oltre sei ore di auto da casa mia, per allenarmi alla struttura di Riccardo Piatti, è stato un momento difficile. Davvero capivo ben poco di quello che mi dicevano, posso dire di averlo imparato lì l’italiano. Adesso lo parlo abbastanza bene, ma sento che ancora non è perfetto…”.
    “Non sono affatto freddo, il comportamento è una cosa di di famiglia. Sono uscito di casa molto giovane, ho dovuto crescere imparando a gestire me stesso, con la forza di tirarmi fuori da solo dalle difficoltà. Fino a quando avevo 15-16 anni dopo aver perso una partita chiamavo sempre mia mamma. Non mi mettevo a piangere o lagnarmi ero dispiaciuto e chiamavo per cercare un po’ di conforto, ma mia madre tagliava corto dicendomi che non aveva molto tempo per stare a telefono, dovendo lavorare. Lontano da casa ho dovuto prendermi le mie responsabiltà”.
    “Quando ero ragazzino portavo i capelli lunghi sulle spalle perché non mi piaceva andare dal parrucchiere, tanto che mi chiedevano se per caso fossi irlandese! Rispondevo che ero italiano e restavano stupiti”.

    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO

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    Ivanisevic: “Djokovic è semplicemente più forte di tutti e alla gente costa ammetterlo” (di Marco Mazzoni)

    “Novak is just stronger than everybody else and people have a hard time admitting that”. Parole e musica – riportate letteralmente nel suo inglese un po’ asciutto ma preciso – di Goran Ivanisevic, coach del n.1 Novak Djokovic, rilasciate ieri sera in una lunga e molto interessante intervista al collega Sasa Ozmo su Tennis Majors. […] LEGGI TUTTO

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    Tiley (direttore AO): “Ho allontanato la famiglia, ero preso d’assalto e non volevo sfogarmi con loro”. Grazie degli sforzi Craig (di Marco Mazzoni)

    Oltre a Naomi Osaka e Novak Djokovic, campioni agli Australian Open 2021, chi ha tirato un enorme sospiro di sollievo per la conclusione del torneo è certamente Craig Tiley, direttore e “guru” del tennis australiano. Organizzare questo Slam, con i rigidissimi protocolli del paese e la pandemia tutt’altro che debellata nel mondo, è stata più […] LEGGI TUTTO

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    Schwartzman: “Guardando indietro, ho vissuto momenti difficili. Mio bisnonno si salvò dall’Olocausto”

    Diego Schwartzman

    Resilienza. Il dizionario la definisce come “la capacità di un individuo di affrontare e superare eventi traumatici o periodi di difficoltà”. Questa parola esprime esattamente la forza di Diego Schwartzman, arrivato a fine 2020 tra i migliori 8 al mondo (e qualificato alle Finals di Londra) dopo un percorso che definire ad ostacoli è riduttivo. Un fisico minuto (è il più basso tra i top 100, ed uno dei più piccoli ad esser arrivato così in alto in epoca moderna), una famiglia che l’ha sempre sostenuto ma che dovuto fronteggiare un collasso finanziario proprio mentre lui si affacciava faticosamente al tennis Pro. Rinunce, scelte difficili, sofferenza vera, ma alla fine la sua grande determinazione è stata premiata, regalandogli la possibilità di far fruttare il suo talento.
    In una lunga intervista concessa al magazine britannico Tennishead, Diego ripercorre alcune delle tappe importanti del suo viaggio, partendo addirittura dagli antenati, i suoi nonni, che per primi conobbero e superarono gli orrori del nazismo.  Una storia che merita di esser raccontata proprio oggi, 27 gennaio, nel “Giorno della Memoria”.
    “Ho radici ebree – racconta Diego – il bisnonno dalla parte di mia madre, che viveva in Polonia, fu caricato su un treno diretto verso un campo di concentramento durante l’Olocausto. Il destino ha voluto che il perno che collegava due vagoni del treno in qualche modo si ruppe, così che una parte del comvoglio continuò la sua corsa e l’altra rimase indietro. Ciò ha permesso a tutte le persone intrappolate all’interno, compreso il mio bisnonno, di scappare e salvarsi la vita. Fortunatamente ce la fece senza essere scoperto. Il solo pensiero di quest’episodio fa capire come le vite possono cambiare in un batter d’occhio”.

    “Il mio bisnonno ha portato la sua famiglia via nave in Argentina. Quando sono arrivati, parlavano yiddish e non spagnolo, n0n è stato facile. La famiglia di mio padre era russa, anche loro andarono in Argentina via mare. Non è stato facile per tutti cambiare completamente la loro vita dopo la guerra, ma lo hanno fatto. La mia famiglia aveva un business avviato nel settore dei gioielli, ma quando l’Argentina andò in bancarotta la crisi finanziaria travolse il nostro lavoro. Ci siamo ritrovati soli, io, i miei due fratelli maggiori, mia sorella maggiore e i miei genitori cercando in qualche modo di guadagnarci da vivere, anzi cercando di sopravvivere. Non avevamo soldi, era davvero difficile a giocare a tennis, non potevamo davvero permettercelo. Ma ho giocato più che potevo con enormi sacrifici. A un certo punto vendevamo persino braccialetti di gomma che erano rimasti dall’attività della mia famiglia. Abbiamo fatto tutto il possibile per ottenere i soldi per pagare i viaggi ai tornei e le spese. Guardando indietro, era una situazione davvero difficile. Ma all’epoca l’ho affrontata con lo spirito giusto, pensavo in grande, era un sacrificio necessario, a tratti persino divertente. Ho aiutato mia madre a vendere i braccialetti e così hanno fatto alcuni degli altri giocatori che erano con me. Tra una partita e l’altra andavamo tutti in giro con una borsa di braccialetti per vedere chi poteva vendere di più e mia madre gli dava il 20% delle vendite”.
    Una lotta imporsi nel mondo del tennis Pro con queste difficoltà. Infatti la crescita di Schwartzman è stata lenta, con un lungo percorso in patria. Diego ha giocato tornei in Argentina per la maggior parte della sua attività junior. Ha preso parte solo ad un evento del Grande Slam junior, perdendo al primo turno delle qualificazioni agli US Open, e non è mai stato un junior di successo. Dei primi 96 tornei che ha giocato da senior, 91 sono stati in Sud America, la maggior parte dei quali in Argentina. Gli altri cinque furono durante un breve viaggio in Europa, quando aveva 19 anni. “Venendo dal Sud America, ogni singolo passo che devi fare nel tennis è davvero costoso”, afferma Schwartzman. “Non è facile per le famiglie latino americane quando i figli cercano di intraprendere la strada del tennis Pro. A quel tempo sono stato fortunato perché avevamo molti tornei in Argentina e Sud America, a differenza di oggi. Avevamo forse 20 Futures all’anno in Argentina e alcuni Challenger tra Argentina e altri paesi limitrofi”.
    Nelle prime esperienze di viaggio, Schwartzman era con sua madre. “Non c’era mai una TV, in quasi tutti i tornei a cui andavamo, eravamo costretti a condividere il letto. Questo è ciò che potevamo permetterci”.
    Diego ha raccontato anche un piccolo aneddoto relativo a Maradona. “Conservo tutti i suoi messaggi, per me è stato una leggenda. Una volta mi disse una frase che fu per me di grande ispirazione. Avevo perso una partita contro Djokovic, giocando un buon tennis. Maradona mi fece i complimenti, consigliandomi di studiare i campioni ma stando attendo non imitare nessuno, perché un campione non lo puoi copiare, la copia sarà sempre peggiore dell’originale. Mi consigliava di osservare come hanno giocato contro di me, per capire i miei punti deboli, e allo stesso tempo capire la forza dell’avversario per poterlo affrontare al meglio al volta successiva”.
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    Zverev torna sulle accuse di violenza: “È falso. Coi social oggi puoi accusare chiunque di qualsiasi cosa”

    Alexander Zverev ha passato un autunno assai turbolento, soprattutto per le durissime accuse di violenza privata ricevute dalla ex fidanzata Olya Sharypova. Una brutta pagina che ha fatto il giro del mondo, non solo sulla stampa specializzata. Da allora Zverev non aveva praticamente mai parlato della faccenda, escluso un breve comunicato. È tornato farlo sul […] LEGGI TUTTO

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    Medvedev, il tattico: “Ho bisogno di un tennis difensivo, ma non solo, l’importante è saper cambiare” (di Marco Mazzoni)

    Daniil Medvedev, vincitore del Masters 2020

    Daniil Medvedev è uno dei tennisti più attesi del 2021. Il russo ha chiuso il travagliato 2020 col “botto”, vittoria a Bercy e soprattutto alle ATP Finals, dove ha sbaragliato la concorrenza vincendo tutti gli incontri e sconfiggendo nel torneo Djokovic, Nadal e Thiem, i primi tre al mondo. Una dimostrazione di forza che gli è servita moltissimo a ritrovare fiducia dopo una stagione non così buona. Infatti fino agli ultimi due tornei dell’anno (Bercy e Masters) Daniil non era riuscito nemmeno a raggiungere una finale. Agli Australian Open era stato battuto negli ottavi da Wawrinka, quindi pochissima strada negli indoor europei. Nell’estate americana, quella della ripartenza, la semifinale a New York, sconfitto in tre set da Thiem, senza mai dare l’impressione di poter ribaltare l’incontro. Poi due uscite immediate sulla terra in Europa (incluso Roland Garros) e quindi secondo turno a San Pietroburgo, nella sua Russia e in condizioni indoor, dove il suo tennis si esalta.
    Spesso nervoso, poco efficace con la prima, Daniil non dava l’impressione di riuscire ad alzare il livello nei momenti di difficoltà, proprio dove invece aveva impressionato nel 2019. Lo conferma lo stesso giocatore in una intervista rilasciata al sito dell’ATP, in cui ha parlato della svolta a fine 2020. Ne riportiamo alcuni passaggi tra i più interessanti, insieme ad alcune considerazioni.
    “Sicuramente ho avuto dei problemi, specialmente quando non stavo giocando bene”, ha confessato Medvedev. “A volte finisco per perdere la pazienza. Non avevo raggiunto una finale nell’anno… e questo sotto tensione ti viene in mente e non aiuta”.
    “Il tennis non è uno sport facile. È difficile spiegare alcune cose che accadono … Quando sei a terra, devi trovare il modo migliore per alzarti velocemente. C’erano aspettative, io volevo solo dimostrare che sono capace di giocare un buon tennis e battere i ragazzi più bravi”.
    Ricorda con grande soddisfazione la vittoria contro Nadal alle Finals. Un match che aveva praticamente perso, con Rafa a servire per il match nel secondo set. “Quando Rafa stava servendo per la partita, una parte della mia mente stava già pensando …Va bene, tra pochi minuti uscirò da questo campo. È un vero peccato, ero in ottima forma. Mi sentivo come se non stessi giocando peggio di lui. Ho subito un break  nel secondo set, quindi sapevo che quel game era la mia ultima possibilità, ho dovuto dare tutto. Sapevo che avrebbe sentito la pressione come qualsiasi altro giocatore che sta servendo per la partita, e ne ho approfittato riuscendo a trovare delle ottime risposte. Mi sono ritrovato 5 pari, ed ora sì che la pressione era tutta su di lui, perché aveva sprecato la possibilità di chiudere la partita. Da lì in poi ho giocato sempre meglio. Questo è solo un piccolo esempio di cose che ti vengono in mente, che ti fanno concentrare sull’obiettivo e possono girare una partita praticamente persa”.

    Il non festeggiare platealmente dopo una vittoria, anche se importante, è stata una scelta ben precisa: “L’anno scorso ho deciso che sarebbe stato il mio marchio di fabbrica. A molte persone piace, ad altre no, ma è così che preferisco. Quando vinci grandi tornei o anche una bella partita contro grandi avversari e non festeggi, hai effettivamente l’opportunità di guardarti intorno e sentire tutta l’energia che sta circolando. Come artista, come giocatore di tennis, puoi sentire tutto se ci pensi, ed è bellissimo gustarsi tutto questo“.
    L’ultimo focus è relativo al suo tennis. Daniil è un tennista “tattico” nel mero senso del termine: la sua tecnica di gioco – assai personale – è del tutto funzionale al suo piano tattico. Non ci sono molti altri tennisti (anzi, non se ne vedeva da anni!) capaci di “sgonfiare” la palla con ritmi così bassi, comandare lo scambio verso angoli, rotazioni e velocità a lui congeniali e quindi strappare all’improvviso con un’accelerazione fulminante, di diritto o di rovescio, totalmente improvvisa e difficile da leggere. Abbinando quest’abilità difensiva e di contrattacco al suo servizio poderoso e alla qualità notevole anche in risposta, ecco un tennista a dir poco ostico da battere. Per tutti. Uno che non riesci sfondare, che ti fa perdere ritmo (tattica ideale contro la maggior parte degli avversari), che ti fa impazzire perché non capisci che diavolo sta per fare. Un giocatore a suo modo affascinante, perché diverso e capace di regalare grande spettacolo. Eppure alcuni gli rimproverano di essere un difensore… Interessante la sua risposta: “Il mio gioco? Se devo stare sulla difensiva, rimarrò sulla difensiva. Ma di solito contro i primi 10 giocatori restare solo in difesa non funzionerà, quindi devo cambiare tattica. Ovviamente quando mi sento bene, mi piace colpire la palla forte, soprattutto con il diritto. Ma nemmeno tirare solo forte funziona. Alle Finals ho ottenuto più punti vincenti di ogni avversario in tutte le partite che ho giocato, e che ho vinto, il che è fantastico. È la dimostrazione che il mio gioco funziona. Sono felice che le piccole cose su cui abbiamo lavorato con il mio allenatore abbiano funzionato in un contesto così importante”.
    Medvedev è indubbiamente un tennista che divide. Puoi amarne il gioco tattico, vario e bizzarro, oppure odiarne quel gesto scomposto che fa inorridire i “puristi”, come il suo sguardo spesso sprezzante. Di sicuro Daniil non lascia indifferenti. Ogni suo match contro un top player è un bel contrasto di stile perché nessuno gioca come lui. Ricordo il mio primo contatto dal vivo: Milano, NextGen Finals 2017. Mentre tutti erano (giustamente) ammaliati dalla spettacolare irruenza tecnica di Shapovalov, dalla consistenza di Chung e dalla furia di Rublev in accelerazione, personalmente rimasi stupefatto dal potenziale di Medvedev, passato quasi inosservato ai più. Daniil ancora non sapeva stare in campo, caotico in tutti i sensi, ma riusciva a passare con totale nonchalance da palle “spaccate” per violenza pura a scambi lenti, lavorati, “rognosissimi” grazie ad un tocco sopraffino. La palla gli usciva dalle corde in modo spettacolare, non ne leggevi la direzione. Se mette ordine nel suo gioco e nella sua testa, sarà il più forte di tutti questi giovani, pensai. Il campo sta dimostrando proprio questo: Daniil è riuscito a dare un senso al proprio talento costruendosi un gioco unico e vincente.
    Vedremo se agli Australian Open sarà da corsa per il titolo. Nelle sue quattro partecipazioni non ha mai superato gli ottavi.
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    Kevin Anderson: “Fusione ATP – WTA? Non ne abbiamo ancora parlato. La riduzione dei prize money è necessaria”

    Kevin Anderson, 34 anni

    Il due volte finalista Slam Kevin Anderson è uno dei giocatori più rappresentativi in seno all’ATP, forte di un’esperienza decennale. In primavera dovrebbe essere rieletto come Presidente dei giocatori nel Player Council, in una fase storica molto delicata per lo sport. La pandemia ha non solo bloccato e rallentato l’attività, ma messo in crisi sul lato economico moltissimi tornei, proprio mentre era iniziata – con l’avvento della nuova Presidenza di Andrea Gaudenzi – una complessa trattativa per ridistribuire i compensi in modo più equo per i tennisti.
    Anderson ha rilasciato una lunga e molto interessante intervista al collega Simon Cambers, pubblicata su Tennis Majors. Il sudafricano ha parlato dei temi più importanti del momento, dai prossimi Australian Open alla politica sportiva, incluso il ruolo della tanto discussa PTPA lanciata da Djokovic & c. la scorsa estate. Riportiamo alcuni dei passaggi più interessanti del suo pensiero.

    “Qual è la sfida più grande per il prossimo anno? Navigare con il virus e cercare di inserire più tennis possibile nel calendario. Ad oggi abbiamo solo un calendario fino a Miami. Siamo costretti a navigare a vista, è un grande gioco d’attesa. Alcuni tornei non ce l’hanno fatta, in particolare Indian Wells. Potenzialmente stanno cercando di rimandarlo, ma chissà quando o come. Questa sarà la sfida più grande e poi abbiamo molte altre cose su cui stiamo lavorando. C’è una nuova gestione (ATP), stanno cercando di lavorare su diversi piani verso la loro versione di miglioramenti e modifiche da apportare allo sport”.
    Il 2021 vedrà molto probabilmente una riduzione dei prize money rispetto ad una stagione “normale”, ecco il suo punto di vista in merito. “Capiamo che di base il grande produttore di entrate dei tornei sono i fan, e non solo i fan diretti ma la quantità di sponsorizzazioni sul sito … penso che tutto si riduce per colpa del virus. Quindi dobbiamo tenere una posizione molto ragionevole per lavorare con i tornei. Alcuni di loro stanno soffrendo molto finanziariamente…, alcuni di loro sono anche potenzialmente in perdita o rischio cancellazione. Quindi, se sono disposti a organizzare i tornei, penso che sia una buona negoziazione per i giocatori capirlo e accettare le riduzioni dei premi in denaro. E penso che sia stato messo in moto un buon sistema. Si basa su quale (percentuale) di fan si trovano nell’impianto. Voglio dire, se il torneo si sta svolgendo a pieno regime, avremo il pieno prize money; con riduzione della capienza, si riduce anche il nostro premio. Questa è una sorta di scala progressiva. È qualcosa di cui abbiamo discusso molto in Consiglio. Ovviamente non è una situazione ideale per tutti, ma penso che sia necessario affinché i tornei abbiano luogo “.

    Il piano è di ridistribuire il premio in denaro, con una riduzione maggiore per vincitore, finalista, e quindi a scendere: “Sì, quello era il piano. In molti tornei, il premio in denaro del primo turno è rimasto quasi lo stesso. Molti di quei soldi sono usciti dai round successivi. Abbiamo avuto un piccolo aggiustamento perché sentivamo che la proposta iniziale fosse un po’ troppo drastica (la riduzione inizialmente prevista colpiva molto più nettamente chi avanzava nel torneo, ndr) e pensavamo che dovessimo premiare un po’ di più i tennisti che fanno bene nei tornei. La nuova distribuzione, considerando il montepremi, penso che sia un buon risultato”.
    Nel corso della pandemia, Roger Federer lanciò l’idea forte di una vera fusione tra ATP e WTA tour, in modo da massimizzare gli aspetti positivi di entrambi i circuiti e avere un’unica forte piattaforma per fan, sponsor, ecc. Ecco il parere di Anderson, da membro del Council: “Non ci sono state discussioni reali su questa possibile fusione. Non ho molto da dire su questo perché non è qualcosa che è stato per davvero sul tavolo. A parte una sorta di vaga idea di base, ci sarebbero molti dettagli che tutti dovrebbero elaborare. Ovviamente lo sport è più forte quando tutti lavorano insieme, ma non posso davvero commentare cosa potrebbe accadere in aspetti importanti come quello logistico (sedi, non tutti i tornei M e F si svolgono nelle stesse sedi, ndr) e commerciale. So che parte del nuovo piano della direzione (ATP) è lavorare insieme a queste entità separate e dal punto di vista dell’ATP, ovviamente, il WTA è un partner enorme, quindi è qualcosa che deve essere esaminato con attenzione. Non so se l’idea della fusione fosse qualcosa su cui alcuni giocatori volevano già parlare ma forse la pandemia ha bloccato tutto. Al momento, questa non è una conversazione che abbiamo avuto internamente con ATP né alcuna conversazione con la WTA. Vedremo in futuro”.
    Immancabile la domanda sulla PTPA, il suo ruolo presente e futuro. ATP e PTPA potranno lavorare insieme? L’ATP ha detto pubblicamente che non ritiene questa una ipotesi possibile…. Anderson: “Beh … spero che tutti possano lavorare insieme, anche solo dal punto di vista dello sport in generale, perché è allora che siamo più forti, con unità di visione per il bene dello sport. In termini di logistica e flusso effettivo di informazioni e processo decisionale, non vedo come possiamo lavorare insieme, anche solo puramente dal … modo in cui sono impostate le nostre strutture. Non sono a conoscenza di nessuna delle conversazioni all’interno della PTPA, non so quale sia il tipo di visione della PTPA e come pensano di proseguire il proprio percorso. E quindi, per quanto posso dire, i giocatori sono rappresentati dal Consiglio, dai membri del Tour, e sì, la nostra struttura è di proprietà del 50% dei tornei, del 50% dei giocatori; ma anche se ci fosse un’entità al 100% dei soli giocatori, dovresti comunque andare al tavolo e negoziare con i tornei. Quindi personalmente non vedo davvero quale sia il vantaggio di una PTPA rispetto alla rappresentatività attuale dei giocatori in seno all’ATP“. Aggiungiamo che diventa difficile capire il futuro della PTPA visto che i suoi membri più rappresentativi (Djokovic e Pospisil in particolare) continuano a rilasciare dichiarazioni d’intenti piuttosto generiche senza un piano operativo, senza chiarezza anche su un aspetto molto basico della associazione: quanti tennisti hanno aderito? Continua Anderson: “Non credo che il sistema sia perfetto adesso, e la nuova direzione ha parlato molto sulla volontà di iniziare una revisione completa e cambiare parte della governance. Penso sarebbe davvero importante, cose come limiti di mandato, conflitti di interesse e cose di questa natura, che penso sarebbero davvero importanti. Ma credo ancora che debba essere fatto all’interno della struttura del Tour. Forse 30 anni fa avrebbe potuto essere fatto in modo un po ‘diverso, ma allo stato attuale, stiamo parlando di un’organizzazione che è una società multinazionale, in termini di dipendenti, appaltatori, tante persone diverse coinvolte. Questa non è solo una piccola attività in cui puoi cambiare metodi e persone facilmente, servono processi complessi per rinnovare”.
    “I conflitti di interessi sono un problema enorme, non credo che troverai mai una situazione ideale e penso ce ne saranno sempre un po ‘.  L’importante è iniziare un percorso con la volontà di affrontrare il problema, questo è un ottimo punto di partenza”.
    Questo il succo del pensiero di Anderson. Parole moderate, che danno credito all’ATP con la voglia di perseguire il piano presentato da Gaudenzi e lavorare dal di dentro per migliorare lo status quo, tenendo ben presenti le difficoltà scoppiate con la pandemia, tutt’altro che risolta. Staremo a vedere i prossimi passi dell’ATP, già dalla seconda parte del calendario per la stagione su terra che, al momento, dovrebbe essere confermato con i tornei “classici” in date “classiche”. Pandemia permettendo…
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    Carla Suarez Navarro: “Il cancro non mi ha fatto paura, ma tanta rabbia e tristezza”

    Carla Suarez durante un trattamento

    Il 2020 è stato un anno davvero difficile per la spagnola Carla Suarez Navarro. Giusto un anno fa annunciò che il 2020 sarebbe stato il suo ultimo anno da Pro. La sua “passerella finale” è stata a dir poco guastata prima dalla pandemia, con il tour sospeso in marzo, quindi dalla scoperta in estate di avere un Linfoma di Hodgkin (LH), una forma di tumore che si origina dalle cellule linfoidi normalmente presenti nel sangue, nel midollo osseo, nei linfonodi e in molti altri organi. Carla convocò una conferenza stampa il 2 settembre, giusto il giorno prima del suo 32esimo compleanno, rivelando la sua malattia e l’inizio di un percorso impegnativo per affrontarla, “la partita più dura che ho mai giocato” disse. Fortunatamente ha scoperto il cancro in tempo, e le varie sessioni di chemioterapia a cui si è sottoposta stanno dando segnali più che incoraggianti.
    Carla ha rilasciato una lunga e toccante intervista al collega Angel Rigueria di Mundo Deportivo, in cui parla del suo presente, di come ha affrontato la malattia, con grande forza e convinzione, e anche del suo futuro. In campo. Riportiamo alcune parti dell’intervista, che ci rivalano il carattere e la forza d’animo della spagnola.
    “Sto abbastanza bene, il trattamento sta rispondendo e questo è un motivo per essere felice. Sono nella fase finale, credo che mi manchi un mese e mezzo. Mi restano tre sedute di chemio, poi dovremo vedere se faremo radioterapia o no. È una malattia che in linea di principio  quando finisce… finisce, non deve riprodursi di nuovo. A febbraio, se non dovrò fare la radioterapia, sarò arrivata alla meta”.
    “Paura? Onestamente no. All’inizio non sapevamo davvero cosa fosse, avevo fatto dei test su tutto. In una delle visite il dottore mi ha spiegato tutte le possibilità. Mi ha messo in guardia. Passarono forse sette giorni prima che mi dessero la notizia, e non fu più una sorpresa a quel punto. Non avevo paura perché mi hanno detto che era un cancro curabile, che l’avevamo preso in tempo. Mi hanno dato così tanta speranza e così tanta fede che non ho mai temuto per la mia vita. La rabbia? Sì, mi sono chiesta perché, perché a questo punto della mia vita. Ho pensato, che peccato proprio in questo momento… Dopo quindici anni a dedicati al tennis, ammalarsi proprio ora che ero vicina alla fine. Adesso mi sento molto bene, ma non avevo idea se nel 2021 sarei potuta tornare giocare di nuovo oppure no. Se la porta era chiusa, dire addio in quel modo non mi piaceva. Non era quello che volevo”.

    Le chiedono se esser una sportiva aiuta ad affrontare una malattia così importante: “Ti parlano degli effetti collaterali, del dolore che puoi avere, e poi aiuta a essere una giocatrice di tennis perché ci sono momenti nella tua carriera in cui hai dovuto soffrire, giocare con molto dolore, sopportarlo. Quando sentivo dolore a casa era come qualcosa di già più familiare, che sapevo affrontare. Se ho scoperto una nuova Carla? No. Quello spirito da lottatrice già che ce l’avevo. Essere ottimista, positiva o calma lo sentivo forte dentro di me, e in questo senso non ho scoperto nulla di nuovo. Le sessioni di chemioterapia? Sono andate abbastanza bene. Ho fatto cinque sessioni e ho avuto un brutto momento nella seconda, un po’ anche nella quinta. Dopo le sedute ho mal di pancia per due o tre giorni, con nausea, ma dopo ho una vita “normale”. In quel senso, sono dieci, dodici giorni in grado di godermi le cose, anche all’interno di quello che ci lascia il Covid-19″.
    Vincere il cancro sarà la migliore vittoria? “Probabilmente sarà la mia migliore vittoria. All’inizio lo affrontavo bene perché contavo: il primo, il secondo, il terzo turno di cure. Ora sono passata a quel momento in cui è meno uno, meno due e ho fretta di finire. Sono a Barcellona, ​​mi sarebbe piaciuto essere a Las Palmas. Ci sono cose che voglio finire per recuperarne altre più normali”.
    Carla ha già ricominciato a giocare a tennis… Quando glielo fatto notare, sorride raccontando: “Non dico molto ai dottori! Mi hanno messo un PICC (dove viene inserito il catetere per la somministrazione della chemioterapia, ndr) e mi hanno detto che non potevo sopportare molto peso, che non potevo nuotare, che non sarei riuscita a giocare a tennis o padel… Mi hanno detto una serie di cose che all’inizio mi hanno scioccato, che se avessi esagerato avrei rischiato una trombosi. Ma col passare del tempo sono andata in palestra, facendo pesi, riacquistando mobilità nel braccio. Uno di quei giorni ho detto: se posso fare tutto quello che faccio, perché non posso giocare a tennis, che è quello che ho fatto per tutta la vita? Ho provato, con le palle senza pressione, con le palle di un bambino, e devo dire è che è andata bene, non mi ha infastidito. Adesso sto provando a giocare due o tre volte a settimana. Cerco ogni volta di alzare un po ‘di più il livello, ma soprattutto mi serve come evasione dalla mia situazione e attività fisica. È un sollievo, è quello che so fare e quello che mi piace”.
    Carla è convinta e focalizzata sul rientro in campo, per un’ultima passerella, come aveva desiderato fin dal 2019: “Mi piacerebbe poter giocare un Grande Slam, ovviamente nella seconda parte della stagione. E sto vedendo se riuscirò a qualificarmi per le Olimpiadi. La chiusura dell’entry list per parteciparvi è al Roland Garros e io non potrò giocare prima, quindi dipende da cosa faranno le altre. Se entrerò nella lista, vorrei essere ai Giochi di Tokyo. Ho una classifica protetta, il numero 68, e il taglio deve essere compreso tra 60 e 70. Voglio anche giocare un po’ del tour americano, e basta. L’intenzione è di giocare tre o quattro tornei. Vediamo anche come si evolverà anche la situazione del coronavirus. Giocare oltre il 2021? No, voglio riposare. Con il lockdown e quindi la malattia, non sto facendo quello che vorrei o quello che avevo programmato di fare. Dopo aver salutato il tour, voglio avere tempo per me stessa, cosa che non sono ancora riuscita a fare. So che questo è già programma fin troppo a lungo termine, meglio andare giorno per giorno, settimana dopo settimana, ma rispetto a prima ora posso guardare al futuro”.
    In questo periodo di lotta, molti colleghi non l’hanno lasciata sola: “Qualche messaggio a sorpresa? Molti. Ho sentito la vicinanza di giocatori che hanno fatto la storia nel nostro sport e con i quali, all’interno del circuito, non avevo un grand rapporto. Chi? Preferisco tenerlo per me. E’ stata una bella sorpresa  scopire che sono consapevoli del mio stato e seguono il mio percorso di guarigione”.
    Anche tutti noi auguriamo il meglio a Carla, che possa sconfiggere definitivamente la malattia e quindi, se il corpo glielo consentirà, che provi di nuovo l’emozione di giocare sul tour e ricevere il saluto che si merita.
    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO