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    F1, Grosjean di nuovo in pista: test con Mercedes al Paul Ricard

    ROMA – Romain Grosjean, seppur per un giorno solo, tornerà ad essere un pilota di Formula 1. Merito della Mercedes e di Toto Wolff che, mantenendo la promessa fatta qualche mese fa, permetterà al francese di mettersi al volante della Mercedes in un una sessione dimostrativa a margine del Gran Premio di Francia a Paul Ricard. Un regalo che lo stesso Grosjean, dopo il terribile incidente in Bahrain, vuole godersi a pieno: “È un’opportunità incredibile – ha scritto sui suoi profili social – Un grande grazie va a Toto e a tutta la Mercedes per aver reso tutto questo realtà. Non c’è nulla di meglio di fare un ultimo giro con una macchina di Formula 1 davanti al mio pubblico di casa”.
    Il francese ha già fatto la prova sedile
    Il pilota, ora impegnato in IndyCar con Dale Coyne, tornerà così a calcare il palcoscenico più importante nel mondo del motorsport. A testimonianza del test imminente ci sono anche le immagini postate dalla Mercedes stessa sui propri account social nelle quali si vede Grosjean impegnato nella prova sedile all’interno della fabbrica di Brckley, quartier generale della scuderia anglo-tedesca che domina il mondiale dall’avvento dell’era ibrida e che anche quest’anno, nonostante il ritorno ai vertici della Red Bull, sembra avviata alla conquista del titolo mondiale. “Romain ha avuto una lunga carriera di successo in Formula 1 e volevamo assicurarci che il suo ultimo ricordo fosse al volante di una vettura campione del mondo” ha sottolineato il team principal della Mercedes, Toto Wolff. Un ritorno, quello di Grosjean, che fa bene non solo al pilota francese ma a tutta la Formula 1. LEGGI TUTTO

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    Indycar, Grosjean dopo il primo test: “Mi sento a casa”

    ROMA – Inizia la nuova avventura di Romain Grosjean in IndyCar. Il pilota francese, protagonista nello scorso autunno di un bruttissimo incidente in Bahrain, ha lasciato la Haas e la Formula 1 per dedicarsi al circuito statunitense, dove correrà con il team Dale Coyne Racing. Grosjean ha girato per la prima volta con la nuova vettura al Barber Motorsports Park in Alabama: “Mi sono sentito come a casa – ha detto dopo il test -.Preoccupazioni? No, volevo solo guidare, nei primi giri, i muscoli non erano molto caldi, ma verso la fine tutto è migliorato, il che è un buon segno”. 

    Le sensazioni di Grosjean
    Non sono poche le differenze tra IndyCar e Formula 1, e sicuramente prendere piena confidenza con la nuova macchina non sarà un processo immediato. Grosjean è stato protagonista anche di un testacoda in curva, quando la vettura ha accelerato in frenata durante la scalata della marcia, reagendo in maniera diversa a una monoposto di F1. Dopo quel piccolo problema, però, il francese è parso trovarsi già bene sulla macchina. LEGGI TUTTO

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    F1, Grosjean: “Potrò guidare una Mercedes? Non vedo l'ora”

    ROMA – Dopo aver chiuso la sua carriera in Formula 1 con il grave incidente in Bahrain e le ultime due gare stagionali saltate per via dei postumi, Romain Grosjean spera di poter salire ancora una volta nell’abitacolo di una monoposto del Circus per riprovare la piacevole sensazione di correre in pista. E come in molti ricorderanno, c’era stato in tal senso chi gli aveva teso la mano.

    Il commento del francese sui social
    Toto Wolff, team principal della Mercedes, gli aveva infatti promesso che qualora fosse stato possibile e ci fosse stata da parte sua la disponibilità, gli sarebbe stato concesso di guidare in forma privata una Freccia d’Argento come commiato definitivo dal Circus. E nel corso di una diretta su Twitch, rispondendo a una domanda in merito, Grosjean si è lasciato andare a un: “Non vedo l’ora”. LEGGI TUTTO

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    F1, Grosjean rivela: “Non vedo l'ora di guidare la Mercedes”

    ROMA – Romain Grosjean non ha chiuso la sua carriera in Formula 1 nel migliore dei modi. Tutti hanno negli occhi il gravissimo incidente in Bahrain dal quale per fortuna è uscito illeso, ma che lo ha costretto a saltare le ultime due gare stagionali nell’ultima stagione alla Haas. Adesso il francese sta cercando una complicata riabilitazione per riacquistare l’uso della mano, ma non dimentica una promessa che gli è stata fatta a novembre.

    L’entusiasmo su Twitch
    Toto Wolff, team principal della Mercedes, gli aveva infatti promesso che qualora fosse stato possibile e ci fosse stata da parte sua la disponibilità in merito, gli sarebbe stato concesso di guidare in forma privata una Freccia d’Argento come commiato definitivo dal Circus. E nel corso di una diretta su Twitch, rispondendo a una domanda in merito, Grosjena si è lasciato andare a un: “Non vedo l’ora”. LEGGI TUTTO

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    Mick Schumacher e Nikita Mazepin: insieme dai go-kart alla Formula 1

    Nel 2021 Mick Schumacher e Nikita Mazepin debutteranno insieme in Formula 1 con il team Haas. Per i due coetanei, entrambi nati a marzo del 1999, sarà dunque la prima stagione nella categoria regina del motorsport, ma non la prima da compagni di squadra. Difatti, il tedesco e il russo indossavano la stessa tuta anche quando correvano con i go-kart.
    Schumacher e Mazepin iniziarono a correre con gli stessi colori nel 2013, nella categoria KF-Junior, entrambi alfieri della Tony Kart, storico team bresciano. I due giovani faticarono nel campionato europeo, ma dimostrarono di essere competitivi nelle gare internazionali della WSK. Il loro primo confronto ravvicinato avvenne proprio nel campionato WSK Euro Series, composto da quattro gare. Su 100 partecipanti, il russo concluse in 18esima posizione, con un solo punto di vantaggio sul tedesco appena dietro.
    Nel 2014 Schumacher e Mazepin continuarono a essere compagni di squadra, ma in due categorie differenti. Mentre il tedesco rimase nella KF-Junior, il russo passò alla categoria successiva, la KF. Per entrambi fu la loro stagione migliore e l’ultima nei go-kart. Mick si laureò vicecampione europeo e vicecampione del mondo, dimostrando un notevole miglioramento rispetto all’anno precedente. Nikita arrivò secondo nel campionato del mondo, dietro a Lando Norris, con un’ottima prestazione al suo esordio nella classe regina del karting monomarcia. Dunque, i due giovani festeggiarono insieme il traguardo più importante delle loro rispettive carriere, lo stesso giorno di settembre, sulla stessa pista di Essay, sotto la stessa tenda della Tony Kart.

    Schumacher e Mazepin non potevano ancora immaginare che poco più di sei anni dopo si sarebbero ritrovati a esordire in Formula 1 ancora insieme, ancora compagni di squadra. Entrambi debuttarono in monoposto nel 2015, ma per le prime annate seguirono percorsi diversi. I due coetanei si ritrovarono a correre l’uno contro l’altro nel 2017, nella Formula 3 europea. Il russo, alla sua seconda stagione, concluse il campionato in 10ima posizione, mentre il tedesco, alla sua prima, terminò 12esimo, per poi vincere l’anno dopo. I due giovani piloti si incontrarono nuovamente nel 2019, in Formula 2, arrivando insieme alle porte dell’olimpo del motorsport. In due anni nella categoria propedeutica alla Formula 1, Mick ha sempre avuto la meglio su Nikita.
    Schumacher approda alla Formula 1 da campione della Formula 2, mentre Mazepin ha concluso lo stesso campionato in sesta posizione. Va precisato che anche Nikita è stato in lizza per il titolo, ottenendo due vittorie, proprio come il tedesco, e cinque podi, contro i dieci di Mick. Indubbiamente si riversano più aspettative sul figlio del sette volte campione del mondo Michael Schumacher, anche perché arriva nella categoria regina supportato dalla Ferrari Driver Academy, atteso da moltissimi tifosi e con un “curriculum” più vincente. Tuttavia, anche il russo non è da sottovalutare perché ha dimostrato di essere veloce, anche se probabilmente meno maturo e meno costante del tedesco.
    Dalla stessa tenda nei go-kart allo stesso box in Formula 1, Schumacher e Mazepin sono altri due talenti che scalano insieme dalla scuola all’università del motorsport. Sarà quindi interessante vedere chi si adatterà più rapidamente, chi sarà più forte, come collaboreranno i due giovani piloti e che equilibri si formeranno all’interno della Haas. Sarà anche curioso verificare l’andamento del team statunitense, che dopo la peggior stagione della sua storia si troverà per la prima volta con due rookie, i quali rimpiazzeranno due piloti esperti come Romain Grosjean e Kevin Magnussen.
    Noi di Circus F1 vi terremo, come sempre, aggiornati anche su questo. Rimanete collegati! LEGGI TUTTO

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    F1, Fuoco e fiamme a Sakhir: il volto spietato e reale del motorsport!

    Ogni volta che si verifica un grave incidente, il motorsport si esibisce in contorsionismi ideologici e mentali degni di una clinica psichiatrica. Da un lato i freddi, impassibili realisti, coloro i quali perseguono il buonsenso, dall’altro i moralisti e coloro i quali perdono il lume della ragione.

    L’incidente occorso a Romain Grosjean durante il primo giro del GP del Bahrain rimarrà per sempre scolpito nella memoria del pubblico appassionato e degli addetti ai lavori. Un incidente le cui dinamiche appaiono irripetibili, più uniche che rare. Sbattere contro il guard-rail interno, in quel tratto di pista, è — appunto — un evento più unico di una nevicata sulla Riviera Maya in piena estate.
    Partiamo dall’analisi tecnica, dai dati fattuali. La Haas VF-20 ha fatto il proprio dovere. E bene. La vettura realizzata dalla Dallara, all’impatto con il guard-rail, si è letteralmente disintegrata, spezzandosi in due. Un fatto normale. Scocca da una parte, retrotreno dall’altra. Normale, al contempo, che un guard-rail subisca, in tali condizioni, il danno che abbiamo avuto modo di constatare.
    L’urto è stato devastante: la monoposto condotta da Grosjean ha subito una decelerazione pressoché istantanea, passando da oltre 200 km/h (circa 220 km/h) a 0 km/h in un battito di ciglia. Il picco istantaneo di decelerazione è stato pari a 53 g.

    Nulla se messo in confronto con quanto David Purley subiva nel 1977, in occasione delle pre-qualifiche del GP di Gran Bretagna (Silverstone). In quella circostanza, la LEC CRP1-Cosworth condotta dal pilota inglese passava da una velocità di poco oltre i 170 km/h a 0 km/h in meno di 70 cm. Il picco di decelerazione era pari a circa 180 g. Purley riporta fratture multiple ma sopravvive. La LEC si era accartocciata su se stessa. Le scocche dell’epoca, ricordiamo, erano in pannelli di alluminio.
    La complessa scocca in materiali compositi della Haas (e di tutte le F1) — benché provata, scalfita e danneggiata dal tremendo urto contro il tagliente guard-rail— ha retto ottimamente; l’energia cinetica dell’impatto — nonostante la istantanea decelerazione della vettura — correttamente dissipata.
    A salvare la vita al pilota della Haas è stata, senza dubbio, la presenza dell’HALO. Il discusso dispositivo ha fatto ciò per cui è stato progettato e introdotto: proteggere la testa del pilota in questi rari incidenti. È un innegabile dato di fatto: senza HALO, verosimilmente, Grosjean non sarebbe sopravvissuto.
    Quello stesso HALO, tuttavia, che in altre circostanze può rivelarsi un autentico intralcio. Basti pensare ad un capottamento, in condizioni ben più critiche di quelle occorse a Lance Stroll in Bahrain: la struttura dell’HALO potrebbe non agevolare l’uscita del pilota dall’abitacolo in tempi rapidi. Due facce della medesima medaglia…
    Il merito, dunque, non va alla sola Dallara ma ai regolamenti FIA in fatto di costruzione della cellula di sopravvivenza, ai quali debbono sottostare tutti i costruttori impegnati in F1. Se al posto della Haas ci fosse stata una qualsiasi altra monoposto di F1, l’epilogo non sarebbe cambiato.
    Se è più che raro assistere ad un incidente in quel tratto di pista (praticamente rettilineo), è ormai altrettanto raro assistere a vetture che penetrano le maglie dei guard-rail, in disuso (o debitamente protetti da apposite barriere) nei circuiti permanenti in corrispondenza delle autentiche vie di fuga. Insomma, siamo in presenza di un incidente tanto agghiacciante quanto, oggigiorno, pressoché irripetibile. E, in quanto tale, legittimamente impressionante.
    E non deve nemmeno sconvolgere l’incendio propagatosi violento e potenzialmente mortale a seguito del micidiale impatto. Un simile urto — senza tanti giri di parole — disintegra la vettura: un mix incandescente e altamente infiammabile di carburante (miscela alcol-benzina), olio motore, lubrificanti, componenti elettriche, accumulatori di energia (ad iniziare dalle batterie del sistema ERS…) capace di innescare una autentica esplosione. In questo caso, non ci sono prove crash e prove a carico statico che tengano.
    A tal proposito, occorre mettere in discussione le motorizzazioni ibride, inutilmente rischiose e mal gestibili sotto molti aspetti. Motorizzazioni emanazione della demagogia “ambientalista-elettrificata” oggi in voga (e quindi difficilmente sacrificabili…) ma che, concretamente, non aggiungono nulla ai contenuti tecnici della F1.
    Persino il più che sicuro serbatoio del carburante adottato in Formula 1 può subire ingenti danni a seguito di un simile impatto. Qui, trovate i principali articoli estrapolati dal Regolamento Tecnico F1 2020 inerenti al serbatoio del carburante.
    Le indagini FIA saranno approfondite. Vedremo se e quali modifiche verranno apportate alle monoposto di F1 e ai circuiti, in particolare ai guard-rail e al loro posizionamento. Parliamo di modifiche: non sempre, infatti, queste modifiche si sono tradotte e si traducono in migliorie, specie quando in ballo vi è la sicurezza o presunta tale. Il rischio — alto — è la tipica, classica isteria collettiva, la quale ha già prodotto uno scadimento del “prodotto” Formula 1 e, più in generale, del motorsport. Il rischio di “deriva demagogica” è, in questi casi, molto alto. E chi ha vissuto appieno i mesi, gli anni post Imola 1994 sa bene a cosa ci riferiamo…
    Insomma, solo per citare un esempio, dalle vie di fuga più ampie all’assillo degli odiosi “track limits” è un attimo…
    I gravi incidenti scatenano polemiche, alzano polveroni, spesso ingiustificati. Ma, specie oggi, fanno tornare coi piedi per terra. Stiamo vivendo, infatti, un momento storico nel corso del quale le cronache della F1 (ma più in generale del motorsport) vengono letteralmente ridicolizzate e quotidianamente svilite da appassionati, tanto giovani quanto improvvisati e sprovveduti cronisti e addetti ai lavori stessi.
    Cronache che ci raccontano solo ed esclusivamente di inflazionati e tristi meme, di cani che attraversano la pista, di Roscoe e compari umanizzati protagonisti delle frivole, stucchevoli, patetiche vicende social di piloti e team, di glamour, di “outfit” alla moda, di treccine e tatuaggi, di piloti sempre meno piloti e sempre più “influencer”, di frasi fatte, di sedicenti e strumentali battaglie sociali, di finti, paraculi e artefatti hashtag, di caschi speciali, di arcobaleni e altre amenità.
    No, signori, non ci siamo. Il motorsport non è una partita di ping pong, non è una pagina social tutta apparenza e zero sostanza, non è il palcoscenico del sudicio politicamente corretto imperante.
    Il motorsport è una cosa tremendamente seria. Sì Svago, sì passione, sì divertimento, sì festa, ma tutto inscritto in una cornice unica, inimitabile, che solo altri pochi sport possono sfoggiare e vantare: uomini e macchine che sfidano i propri limiti, uomini che giocano a dadi con la morte.
    La prova di questo “politicamente corretto” imperante è quanto dichiarato da Daniel Ricciardo. Il pilota della Renault, infatti, denuncia l’eccessiva “spettacolarizzazione” dell’incidente occorso a Grosjean. La regia, secondo l’opinabile opinione dell’australiano, avrebbe indugiato troppo a lungo con i replay dell’incidente.
    La realtà, però, non è quella descritta da Ricciardo. Esiste, infatti, un diritto di cronaca. Un sacrosanto diritto di cronaca. Il motorsport, che piaccia o no, contempla incidenti, anche cruenti, anche mortali. Circostanze che vanno documentate, al pari di un podio, di un pit-stop o di un semplice testacoda.
    Ma è la stessa regia internazionale a cadere nella (parziale e iniziale) censura. I filmati relativi all’incidente, infatti, sono stati trasmessi solo quando Grosjean è uscito illeso dai rottami della propria Haas.
    Domanda: e se Grosjean fosse deceduto, non avremmo mai visto alcun filmato o alcuna foto? Questa si chiama censura. Ingiustificabile censura.
    L’incidente di Grosjean costituisce un aspetto tanto spietato quanto reale del motorsport. Un aspetto sovente dimenticato, soffocato dalla frivolezza delle odierne cronache, da vetture che sembrano indistruttibili, da piloti che troppo spesso sembrano fluttuare in un mondo patinato fatto solo di Instagram, scenette social, vuoti slogan e caschi speciali, da circuiti sempre più sicuri, molti dei quali anonimi, persino stucchevoli e noiosi tanto riescono a perdonare il minimo errore di guida.
    La sicurezza (come, purtroppo, la demagogia…) ha fatto passi da gigante. Si chiama progresso, evoluzione tecnologica. Come sempre avvenuto: è sufficiente contestualizzare le varie epoche per afferrare tale, basilare concetto. Il concetto di sicurezza non nasce nel 1994 né con HALO.
    In passato, il rischio di rimetterci la pelle era innegabilmente più alto rispetto ad oggi. Abbiamo tutti negli occhi le immagini, le foto degli incidenti occorsi a Lorenzo Bandini, Jo Schlesser, Jochen Rindt (il cui incidente mortale presenta affinità con quanto accaduto a Grosjean), Jo Siffert, Roger Williamson, Niki Lauda, Ronnie Peterson, Riccardo Paletti, Gerhard Berger, solo per citare i più ricorrenti, indelebili momenti di una Formula 1 così amata e rimpianta quanto maledettamente spietata.
    Il fuoco, in particolare, costituiva un ricorrente demone.
    Incidenti che hanno portato via con sé vite. Incidenti gravi che, al contrario, hanno avuto lieti fini. Lauda, miracolato in quel del Nürburgring grazie al tempestivo intervento di alcuni, valorosi colleghi; Berger, scampato al rogo di Imola 1989 (vettura spezzata in due); Michele Alboreto, anche lui “vittima” del Tamburello (vettura disintegrata e incendio) nel corso di alcuni test nel 1991 (Footwork FA12).
    Ma anche il già citato David Purley, colui il quale nel 1973 cerca — invano — di salvare la vita a Williamson e, nel 1977, esce vivo da uno degli incidenti più cruenti e devastanti che la storia della F1 ricordi. Contrariamente a quanto si pensi, anche in passato si poteva uscire vivi da incidenti potenzialmente mortali.
    Frivolezza, incontenibile voglia di ridicolizzare: ed ecco che anche l’incidente di Grosjean è, in queste ore, terreno fertile per cuoricini, lacrimevoli emoji, frasi fatte, strampalate analisi tecniche e storiche che lasciano il tempo che trovano in salsa “se c’era HALO, Tom Pryce non sarebbe morto”.
    I dati fattuali sono pochi e ben individuabili.
    1) Le odierne vetture da competizione (F1 comprese) sono altamente sicure grazie ad un continuo (e in questo senso apprezzabile perché sensato e mirato) lavoro sui materiali e sulle prove crash e a carico statico.
    2) Il motorsport era, è e sempre sarà uno sport in cui la “componente rischio” non potrà mai essere eliminata e azzerata. E, detto senza peli sulla lingua, è un bene.
    3) L’incidente di Grosjean rientra in quella categoria di circostanze più uniche che rare. Imponderabili, non prevedibili, non gestibili secondo una reiterata e scientifica casistica. Come la morte di Senna, la quale è stata solo ed esclusivamente frutto di un “accidente” unico nella storia del motorismo, un “accidente” che nulla aveva a che fare con le prestazioni e la sicurezza delle allora vetture. Ma la demagogia, si sa, ha cavalcato questo tragico evento…
    4) HALO ha salvato la vita di Grosjean. Se da un lato questo dispositivo di sicurezza risulta, sotto molti aspetti, controverso e ancora lungi dall’essere perfetto (il traguardo, probabilmente, è arrivare ad abitacoli integralmente chiusi e ben integrati al resto della vettura come avviene per i Prototipi), in simili circostanze può rivelarsi determinante. Un dispositivo certamente non bello a vedersi, poco (o per nulla) utile contro detriti che possono penetrare attraverso le ampie aperture ma, senza dubbio, ben concepito e salvifico in simili pur rare circostanze.
    Analisi, controanalisi, moviole, sentenze. La speranza è che si giunga ad una semplice, elementare, logica conclusione: Motorsport is dangerous. Prendere o lasciare. LEGGI TUTTO

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    F1, Gp Bahrain: terribile incidente al via per Grosjean. Fuoco e auto spezzata in due

    Il via del Gran Premio del Bahrain ha visto Romain Grosjean sfortunato protagonista di un terrificante incidente. La sua Haas, dopo un contatto con Daniil Kvyat, è finita ad altissima velocità contro le barriere del circuito di Sakhir. 🔴 BOTTO VIOLENTISSIMO AL VIA (giro 2/57 🏁)Coinvo… L’articolo F1, Gp Bahrain: terribile incidente al via per […] LEGGI TUTTO

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    F1, Grosjean e Magnussen lasciano Haas. I piloti pronti a sostituirli

    È un anno imprevedibile anche per la F1, oltre che per il mondo intero. Una stagione in cui i fatti più interessanti accadono spesso fuori dalla pista. Come oggi con lo tsunami in casa Haas che scuote il Circus. Prima Romain Grosjean comunica su Facebook l’addio al team al termine del 2020. Poi arriva lo stesso annuncio anche di Kevin Magnussen e il ringraziamento della scuderia, senza alcun cenno alla nuova coppia 2021. Questo duplice abbandono, tuttavia, conferma indirettamente tutte le indiscrezioni di mercato che girano attorno a due uomini e alle due note squadre legate alla Ferrari. I drivers in questione sono Mick Schumacher e Antonio Giovinazzi, Alfa Romeo e la stessa Haas i team.
    Uno dei posti lasciati liberi per il prossimo Mondiale da Grosjean e Magnussen, a questo punto, potrà essere occupato proprio dal figlio di Michael o dal pilota italiano. Il tedeschino ha però la precedenza, molto più vicino adesso agli americani rispetto a qualche settimana fa, quando sembrava imminente il suo approdo all’Alfa, dove invece Antonio è ora ben avviato sulla strada della riconferma accanto a Kimi Raikkonen. A fianco di Mick le voci di mercato piazzano il 21enne pilota russo di F2 Nikita Mazepin e Sergio Perez. Niente alternativa in F1 sia per Grosjean, proiettato nel Wec o in Formula E, che per Magnussen, anch’egli con il pensiero altrove.
    “L’ultimo capitolo è concluso – ha scritto sulla sua pagina Facebook – e il libro è finito. Sono stato con la Haas dal primo giorno. Cinque anni nei quali abbiamo vissuto alti e bassi. Ho imparato tanto, sono diventato un pilota e un uomo migliore. Spero di aver anche aiutato anche le persone nel team a migliorare. Questo è il mio orgoglio più grande”. “Mi sono trovato bene con il team in questi quattro anni – ha dichiarato il danese su Instagram – ed è stata una sfida che mi è piaciuta moltissimo facendomi acquisire parecchia esperienza, migliorare e crescere come pilota. Vorrei ringraziare Gene, Gunther e tutto il team per la loro lealtà e fiducia”. LEGGI TUTTO