More stories

  • in

    Formula 1: trattori in pista e auto. Un rischio inaccettabile

    TORINO – Eccolo, puntuale e ineffabile, non per la prima volta durante questa stagione di Formula 1, il trattore in pista (lo si era visto anche a Monza, ma almeno su asfalto asciutto). Dopo l’incidente mortale di Jules Bianchi si era detto che di trattori in pista non se ne sarebbero più visti. Ricordiamo: il 5 ottobre del 2014, proprio a Suzuka, proprio in un concitato pomeriggio di pioggia, mentre stava per sopraggiungere la sera e si profilava il rischio di non poter finire la corsa, la gara venne neutralizzata e il trattore (una gru in quel caso) venne impiegata per togliere un’auto incidentata. Bianchi ci sbattè contro dopo aver perso il controllo della monoposto su un rivolo d’acqua. Non c’era ancora l’Halo e l’urto gli fu fatale. Vero, per completezza di cronaca, va ricordato che venne estratto vivo e rimase in vita, in stato comatoso, un po’ in Giappone e poi in Francia dove venne trasferito. Morì, ufficialmente (e a anche “tecnicamente” se così si può dire) molti mesi dopo a luglio. Ci fu un’inchiesta che scagionò tutti gli attori Fia: avevano seguito le procedure e lo stesso Bianchi, in quel frangente, era troppo veloce in pista. Ma questo nulla toglie al fatto che si disse che mai più sarebbero entrati i trattori o le gru in pista in condizioni critiche.
    SAFETY CAR – Un principio, a guardare bene, difficile da applicare. Ma un conto è neutralizzare la gara, usare la safety car su una pista asciutta (come accaduto a Monza), in condizioni di aderenza quasi perfette, a velocità bassa e controllata. E solo in quel momento togliere l’auto in panne. Un altro conto è – sotto un pioggia torrenziale – finire con l’avere contemporaneamente in pista le monoposto e i mezzi di soccorso. La bandiera rossa deve essere pressoché istantanea. Anche questa volta, pur fatto salvo che le condizioni erano difficili per tutti (per i piloti in pista e per i giudici chiamati a prendere una decisione) i tempi sono stati non coincidenti. Così i trattori in pista c’erano, insieme alle auto, la pioggia e quant’altro. E si è pure investigato sull’incolpevole Gasly che s’è ritrobato con un cartellone pubblicitario sul muso della sua auto, aggiungendo rischio al rischio. A margine: s’è pensato di spostare il GP del Giappone in primavera, perché troppo spesso in autunno piove. Ma ragioni economiche di varia natura hanno impedito di farlo. Urgono riflessioni. LEGGI TUTTO

  • in

    La F1 affronta l'onda lunga Budget Cap: può diventare uno tsunami

    TORINO – Il 2021 dovrebbe essere un anno magico per Mohammed Ben Sulayem, che l’ha concluso succedendo a Jean Todt alla guida della Fia, ma finora ha portato al principe saudita solo grane. Prima quella di Michael Masi, il direttore di gara rimosso dopo la gestione molto contestata del duello mondiale di Max Verstappen e Lewis Hamilton, concluso con quell’ormai famosa safety car che all’ultimo giro dell’ultimo GP ad Abu Dhabi è costato all’inglese l’ottavo titolo e contemporaneamente ha dato il primo all’olandese. Adesso la vicenda Budget Cap, il tetto di bilancio (fissato l’anno scorso in 145 milioni di euro) che proprio la Red Bull (e l’Aston Martin, ma non interessa a nessuno, tranne Fernando Alonso che rischia di metterci le chiappe sopra con una penalizzazione) avrebbe sforato in quella stagione. Un vulnus che rischia di minare la credibilità del Circus, tornato di moda e riamato dai giovani.Aver rinviato a lunedì, dopo il GP del Giappone che domenica potrebbe assegnare il titolo bis a Verstappen (per essere sicuro deve vincere con il giro veloce), non aiuta certo. Senza dare credito a chi parla di inciuci vecchio stile, è comprensibile che da parte della Fia ci sia la difficoltà di avere numeri certi sui bilanci, già di per sé (e non solo per la Red Bull e tanto meno per la F1) oggetto spesso di “fantasiose” operazioni (come moltiplicare le società fiscali che fanno capo a una sola: in questo caso ben otto…). Senza contare che nel famigerato regolamento del Budget Cap non ci sono pene scritte e certe. Semmai margini manovra. Complesso essere inattaccabili, anche giuridicamente.Però la sostanza è che se qualcuno ha speso di più per portare in pista più sviluppi ha tratto vantaggio. E un Mondiale deciso all’ultimo giro è facile pensare che sia stato condizionato da tutto ciò. Falsato, come dice chiaramente Lewis Hamilton a Suzuka. Il più duro, anche perché quello che ha pagato di più. Personalmente e come team. Non a caso la Mercedes fa alzare la voce ai suoi piloti. La Ferrari invece, come ormai da tradizione, sceglie una via più politica e meno mediatica. Lavora lontano dai riflettori, per questo Charles Leclerc è più cauto. Ma i benefici di un eventuale aggiramento del Budget Cap nel 2021 avrebbero condizionato anche questa stagione. E visto che la Red Bull ha portato molti sviluppi anche nel 2022, pure la prossima. Un’onda lunga, che fa subito fermata con un argine solido e chiaro. LEGGI TUTTO

  • in

    Suzuka, i ritardi della Fia e i musi lunghi

    TORINO – Può la Fia, Federazione Internazionale dell’Auto, avere bisogno di altri quattro o cinque giorni per decidere se qualche squadra abbia sforato il tetto di spese consentito per il 2021? Certo, se ci sono volute tre ore (tre ore!) per comminare una sanzione a Sergio Perez nel GP di Singapore (una sanzione che pareva pressoché assodata, tanto che via radio ne parlavano sia in Red Bull sia in Ferrari), è abbastanza normale che ci voglia quasi un anno (un anno!) per certificare i bilanci del 2021. Dunque, lunedì, si saprà. Ma a questo punto è lecito chiedersi se davvero lunedì sarà il giorno…
    SCUSANTE – L’unica scusante, che è stata addotta dalla stessa Fia in una nota diffusa ieri, è che il regolamento è complesso e soprattutto che siamo al primo anno di applicazione. Il che è vero. Ma lo si poteva (e probabilmente doveva) sapere anche prima, attrezzandosi di conseguenza. Certo, l’inseguirsi di voci non aiuta né alla chiarezza né al rasserenare gli animi. In Inghilterra (dove la Red Bull ha la sua sede) sostengono che alla fine dovrebbero essere solo rilievi formali. Ma c’è da credere che da oggi a domenica, festeggiamenti (eventuali) a Verstappen a parte, i musi nel paddock di Suzuka saranno lunghi. LEGGI TUTTO

  • in

    Sanzione a Perez: non è il quanto, ma il come che non va bene

    TORINO – Ma alla fine, ragionando a freddo, la punizione inflitta domenica scorsa a Sergio Perez si può considerare giusta o sbagliata, adatta o inadeguata? Non semplice dare giudizi imparziali, ma i 5 secondi che la Fia ha inflitto al messicano per aver infranto la regola secondo cui bisogna tenere una determinata distanza dalla safety car, sono più o meno quel che tutti si aspettavano. Li avevano considerati anche in Ferrari e in Red Bull. Caso mai si può discutere sul fatto che Perez abbia commesso la stessa infrazione per due volte e, nel primo caso, sia stato solo ammonito. Ma effettivamente, come scrivono i giudici di gara, le circostanze generiche c’erano (ovvero, la scivolosità della pista era obbiettivamente difficile da gestire).
    TRE ORE – Quel che non è accettabile è che ci siano volute tre ore (un tempo infinito) quando l’infrazione era evidente a tutti e la possibile sanzione più o meno altrettanto chiara. Tra l’altro, nemmeno mancavano i precedenti ai quali richiamarsi per mantenere una certa uniformità di giudizio. Aspettare la fine, convocare piloti e rappresentanti delle squadre in direzione gara è stato un inutile formalismo da azzeccagarbugli. A parte sottolineare l’inefficienza della Fia, bisogna dire che la mancanza maggiore è stata non riuscire a decidere con la gara ancora in corso, in modo da comunicare ai piloti che cosa sarebbe accaduto. Più giusto per chi era davanti (Perez, appunto) e per chi stava inseguendo (in questo caso Leclerc). E molto più giusto per gli spettatori, che avevano (e hanno in ogni momento) il diritto di sapere che cosa sta accadendo. Non che i due piloti avrebbero potuto fare qualcosa di molto diverso da quello che hanno fatto (ovvero spingere al massimo sino che ne hanno avuto la possibilità). Ma almeno l’avrebbero fatto all’interno di una situazione chiara, anche (e soprattutto) dal punto di vista psicologico. Invece è stata apposta, anziché una medaglia sul petto, un’altra inutile macchia sull’intera Formula 1. LEGGI TUTTO

  • in

    La Fia e i tempi biblici, una zavorra per la Formula 1

    TORINO – No, la Formula 1 non può avere tempi biblici. È una contraddizione in termini, lo sport che vive sulla velocità – in linea teorica (ma anche pratica) lo sport più veloce tra quelli automobilistici – non può essere così drammaticamente lento nel prendere decisioni. Per decidere se Perez abbia o non abbia infranto la regola delle “dieci macchine dietro Safety Car” ci vuole una sorta di camera di consiglio che un tribunale ordinario riserverebbe a reati di gravità indicibile. E ancora (sempre la Fia) non ha detto se qualche squadra abbia effettivamente infranto le regole sul budget cap del 2021. Del 2021. Siamo nel 2022, quasi alla fine.
    LA SUCCESSIONE – Certo, la Fia è stata retta da tanto tempo (forse troppo) da Jean Todt, molto preoccupato del suo ruolo di promotore della sicurezza stradale presso l’Onu. Causa giustissima e nobile, sia chiaro. Ma forse ci voleva un po’ più di attenzione alla parte sportiva. Il caso Masi, in fondo, nasce dal fatto che la scomparsa improvvisa di Charlie Whiting (nel 2019) abbia dimostrato che non c’era una linea di successione. Si è andati avanti sino a fine 2021, poi è scoppiato il bubbone (leggasi Abu Dhabi, gara finale). E la ferita non è ancora rimarginata.
    ORGANIZZAZIONE – L’attuale presidente, Ben Sulayem, intende dare una sterzata in seno alla Fia, ma un conto è dire e altro conto è fare. Nel frattempo la Formula 1 – intesa come la parte che non fa capo all’autorità sportiva – sta vivendo una fase di crescita ed espansione senza precedenti. Per ripetere il concetto iniziale: chi gestisce lo sport della velocità è un organizzazione essa stessa velocissima. La Fia non tiene il passo. E questa è una grave zavorra. A meno che non ci sia dia una bella svegliata. LEGGI TUTTO