La settimana che conduce al I Großer Preis der Eifel (Nürburgring, 11 ottobre 2020) è improvvisamente scossa da un autentico terremoto sportivo: Honda, a fine 2021, lascerà la Formula 1.
Uno scenario non nuovo per la F1 stessa ma che, oggi, si palesa più che mai preoccupante per la categoria.
La Honda, In F1, vanta un passato ed un presente tanto vincente e prestigioso quanto burrascoso. In estrema sintesi. La Honda entra in F1, in qualità di costruttore totale, nel 1964 per uscirne già a fine 1968. Nel 1983, la Casa nipponica riabbraccia la F1 solo in qualità di motorista: Spirit, Williams, Lotus, McLaren. Piovono successi.
A fine 1992, la Honda risaluta la compagnia. Il tarlo della F1 è vivo, ed ecco che la Honda ritorna in F1 nel 2000, andando a motorizzare la neonata BAR, quindi anche la Jordan. Dal 2006, la BAR si trasforma nel Lucky Strike Honda Racing F1 Team, infine in Honda Racing F1 Team nel 2007. Frattanto, anche la Super Aguri impiega motori Honda.
A fine 2008, la Honda saluta — per l’ennesima volta — la Formula 1: i vertici giapponesi, stufi dei magri risultati a fronte di ingenti investimenti, abbandonano il circus iridato.
Nel 2015, la Honda riprende il filo interrotto a fine 2008. Lo fa in pompa magna, legandosi alla McLaren nell’era delle da poco introdotte e complesse power unit Turbo-ibride. È un disastro. Un magro 2018 con Toro Rosso, quindi il salto di qualità nel 2019 assieme a Red Bull. Honda torna alla vittoria e sul podio.
In questo 2020 ancora in corso, le power unit Honda hanno già conquistato due successi: Max Verstappen (Red Bull RB16) vince il 70th Anniversary Grand Prix (Silverstone), Pierre Gasly (Alpha Tauri AT01) trionfa a Monza.
Ci risiamo: a fine 2021, ossia al termine del ciclo di vetture inaugurato nel 2017 e all’alba delle future wing-car che entreranno in vigore a partire dal 2022, Honda abbandona per l’ennesima volta la F1.
Ma se in passato la fuga della Casa giapponese era sì fragorosa ma, tutto sommato, indolore, oggi rischia di mandare al collasso l’intera F1.
In F1, infatti rimarranno attivi tre motoristi, uno dei quali — Mercedes — in forte dubbio per gli anni a venire.
Anche in passato, la F1 ha conosciuto anni di “vacche magre” dal punto di vista del numero di motoristi impegnati in F1. Ricordiamo, a tal proposito, la stagione 1974, quando ai 12 cilindri Ferrari e BRM si affiancava la pletora dei V8 Cosworth DFV. Ma erano tempi diversi, in cui anche un semplice Cosworth poteva essere rimaneggiato e preparato da autentici artigiani della tecnica sino a dare vita ad un nuovo motore. Le versioni dei Cosworth, infatti, potevano differire le une dalle altre a seconda dei preparatori e dei team che andavano a fornire.
In più, nel 1974 avevamo ben 20 costruttori (con relativi modelli) impegnati — costantemente o in sporadiche occasioni — in F1.
O come non ricordare il 2014, primo anno delle nuove power unit Turbo-ibride. In quella stagione, a sfidarsi erano solo i V6 Ferrari, Renault e Mercedes.
Se in passato entrare in F1 era relativamente semplice, oggi significa fare i conti anzitutto con regolamenti che, purtroppo, sopiscono sul nascere la volontà di impegnarsi nella categoria. Budget cap, paletti di ogni sorta, congelamenti, sviluppi bloccati, mancanza di test, un motore sì pressoché unificato per tutti in numerose aree ma, ad ogni modo, complesso e dispendioso nella realizzazione, chilometraggi imposti.
Insomma, impegnarsi in F1 assomiglia sempre più ad un rompicapo burocratico.
Che fare?
Sgombriamo il campo. Le ricette pauperistiche messe ciclicamente sul tavolo sin dai tempi di Bernie Ecclestone non funzionano, non funzionerebbero, non funzioneranno, specie in F1. Ci riferiamo alla commessa per la realizzazione di un motore clienti standard. Un’idea folle. In sostanza, i team che — per varie ragioni — non possono accedere ai motori realizzati dalle Case, possono acquistare il motore clienti, realizzato da una azienda scelta dalla FIA. No, non ci siamo.
Paradossalmente, le politiche (vere o sedicenti) di contenimento dei costi e di “equilibrio tecnico” forzato hanno prodotto un graduale impoverimento tecnico del “prodotto Formula 1”. Pochi motoristi presenti, nessuno (al momento) interessato ad entrarvi ed un numero di team che si regge sulla punta di uno spillo sono segnali di un meccanismo che, per quanto sfavillante, è sempre pronto ad implodere.
Urgono, pertanto, giusti (e non demagogici) correttivi.
Red Bull e Alpha Tauri — due scuderie importanti — sono, in chiave 2022, ancora senza un propulsore. Cosa fare? Non sarà facile, per il team anglo-austriaco e per quello italiano, rimpiazzare Honda. Una power unit Honda, peraltro, ormai divenuta competitivo.
Mercedes e Ferrari assai difficilmente andranno a spingere le vetture del team di Milton Keynes, Renault difficilmente (ma non impossibile) si legherà nuovamente a Red Bull.
Più percorribile la pista che porta ad un accordo tra Ferrari e Alpha Tauri, alla luce di un legame che per diverse stagioni ha unito Toro Rosso a Maranello (dal 2007 al 2013 e di nuovo nel 2016).
L’abbandono di Honda potrebbe, inoltre, avere ricadute sulla progettazione delle nuove vetture di casa Red Bull e Alpha Tauri in ottica 2022. Senza un motore attorno al quale lavorare, risulta arduo approntare un progetto ben integrato. La scelta del nuovo motorista, inevitabilmente, dovrà consumarsi a stretto giro, al fine di amalgamare al meglio telaio e motore sin dalle fasi di progetto.
La improvvisa fuga della Honda deve far riflettere. È stata vincente la scelta di introdurre complesse, a tratti demagogiche, rigidamente regolamentate power unit Turbo-ibride? No. Si sono rivelate e si riveleranno vincenti le (sedicenti) politiche di contenimento dei costi? No. La F1, in questi ultimi anni, è riuscita ad attrarre ulteriori motoristi? No.
Il rimedio esiste ma, come spesso accade oggigiorno, si preferisce guardare il dito anziché la Luna. Insomma, si preferisce stringere le maglie a suon di budget cap, congelamenti e standardizzazioni anziché allargarle.
I motori Turbo costituiscono un’ottima alternativa. Al contempo, poniamo la seguente domanda (retorica): allo stato attuale delle cose, non sarebbe preferibile eliminare (o semplificare) la componente ibrida e aprire le porte ad uno sviluppo continuo dei motori, in base alle proprie esigenze e disponibilità economiche?
È bene, dunque, tornare ad una F1 più “leggera” e snella, dalle regole meno asfissianti, demagogiche e che cercano di trasformare la massima categoria in una sorta di Formula 2 più veloce.
Ricette perdenti. Vi dice qualcosa, ad esempio, il fallimento del DTM dell’era “contenimento dei costi” e “vetture tutte uguali”?
I costruttori vanno e vengono, i motoristi vanno e vengono. È sempre accaduto e sempre accadrà. Sono le corse.
Ma quando le defezioni si verificano all’interno di un sistema che, a parole, dovrebbe funzionare a meraviglia ma che, nei fatti, scricchiola e non poco, allora è bene resettare il sistema, ormai elefantiaco e sovraccarico di spam.
E portarlo alle condizioni iniziali. LEGGI TUTTO