More stories

  • in

    8 ottobre 2000, Schumacher, la Ferrari e il peso della cifra tonda

    8 Ottobre 2000. Schumacher. Formula Uno. Ferrari.8 Ottobre 2020. Schumacher. Formula Uno. (Motorizzato) Ferrari.

    E’ una trappola dolceamara per nostalgici questo animalo campionato 2020, che sembra fatto apposta per incentivare i viaggi nel tempo. Forse sarà il peso della cifra tonda, delle ricorrenze che non si possono evitare anche se non si è nella miglior forma per festeggiarle, forse sarà il fatto che un M. Schumacher guiderà una monoposto ufficiale di F1 o forse, infine, sarà perchè il sibilo del vento gelido fra i boschi dell’Eifel ci richiama alla memoria l’altrettanto infido asfalto umido di Suzuka vent’anni fa.
    Una cosa è certa: come a lungo abbiamo ricordato e continueremo a ricordare quella rigida alba autunnale di vent’anni fa, così ricorderemo il fatale 2020 e il suo calendario, unico benchè stropicciato.
    Stropicciato, sì: prima appallottolato e cestinato dalle mani furiose di un cataclisma globale; poi raccolto, stirato e allungato da mani operose, abituate a mescolare denaro e passioni; quindi affisso, estremo e affascinante, quale manifesto di normalità in un anno anomalo e crudele. Poi ci leggi sui nomi come “Imola” e “Gran Premio” nella stessa frase e ti chiedi che cosa ne è stato di tutti questi anni passati, per poi realizzare che chi è nato in quell’anno oggi ha vent’anni.
    Non mi soffermerò sulla triste figura della Ferrari che, vent’anni dopo, splende della propria eccezionale storia pur non essendo capace da troppo tempo di scriverne nuovi capitoli. Spiaggiata, colpevolmente, come i leoni marini di San Francisco al Pier 9, contenta delle foto dei turisti mentre gli altri cavalcano le onde nella baia aggiungendo capitoli al libro dei record. Oggi è l’8 Ottobre 2020 e cavalcherò solo le onde dei ricordi.
    Io, allora, il giorno 08 Ottobre 2000, ne avevo ventuno. Ventuno, come gli anni che la Ferrari, fra tragedie, tonfi e supplizi di Tantalo, aveva atteso per riacciuffare il titolo mondiale piloti: un’attesa durata una vita, esattamente quanto la mia. Di quella gara ricordo la faticosa lotta contro la paura che tutto svanisse di nuovo, lo spettro della delusione dietro l’angolo, lo choc di Spa ancora vivo e il fastidio di tanti “tifosi” dell’ultima ora che sputavano sentenze sul fatto che “tanto la Ferrari non vincerà manco stavolta“. Oggi stanno su Twitter, allora – i più tecnologici – sui forum dei siti di notizie sportivi o -i più numerosi – nei capannelli davanti alle edicole, al lunedì.
    Ricordo un campionato combattuto, con avversari veramente alla pari se non superiori, l’atmosfera da resa dei conti a ogni gara, gli sms scambiati giro su giro con altre anime in pena afflitte dalla stessa passione, ma soprattutto ricordo che arrivava, vivida, l’umanità di quei personaggi: piloti, tecnici, dirigenti, meccanici, giornalisti. Sembrava di conoscerli, senza bisogno di social, di condivisioni, di trasmissioni h24 ad alta definizione.
    E così siamo giunti al momento “Luci a San Siro”. Dammi indietro la mia Seicento, i miei vent’anni e una ragazza che tu sai per me suona in questo modo: dammi indietro quell’elemento umano, quella possibilità che il guizzo di un singolo amplificato dalla coesione di un gruppo  – fosse una geniale strategia alla Ross Brawn, la suprema capacità di sfruttare la guida di un Michael Schumacher o la ferrea determinazione di chi aveva progettato e costruito quella Ferrari – facesse la differenza e determinasse l’esito di una gara. Dammi indietro una tecnologia che non prende, beffarda, il posto di comando ma resta strumento nelle mani dell’uomo che l’ha creata. Dammi indietro la libertà di sperimentare e provare, sbagliare e correggere, competere e lottare, durante tutto l’anno.
    Li rivorrei indietro perchè sono quegli elementi che mi facevano alzare a ore improponibili e quelle storie che mi hanno talmente catturata da farmi venire la voglia, un giorno, molti anni dopo, di scriverci un libro su.
    Oggi la Formula Uno è un universo complesso, nel quale il dominio di qualcuno è diventato ineluttabile di fronte alla pochezza degli avversari, i quali abbandonano o restano indietro. Non c’è più spazio per il guizzo del singolo, a meno che non sia stato previsto in una qualche elaborata strategia.
    Dell’8 Ottobre 2000 e degli anni che seguirono ricordo, infine, che contro la piccola Italia della Ferrari mandarono contro di tutto: BMW, Mercedes, Honda, giovani fenomeni e scafati corsari delle piste. Persero, e male. Oggi perdiamo noi: fa male, ma ci sta. LEGGI TUTTO

  • in

    F1, Curiosità: Come si accende il motore di una monoposto di Formula 1?

    Come si accende il motore di una monoposto di Formula 1? Ve lo spieghiamo noi in questo articolo.

    Per anni siamo stati abituati a vedere il pilota nell’abitacolo dare il segnale con una mano a un meccanico che a quel punto inseriva l’avviatore nel retrotreno in modo da dare l’impulso di energia in grado di far partire il propulsore.
    Oggi non è più così, almeno per quei costruttori che hanno scelto di rendere il pilota in grado di gestire autonomamente questa procedura, come ad esempio ha fatto la Ferrari.
    Da qualche anno infatti la power unit di Maranello è avviata dal pilota utilizzando l’energia generata dalla MGU-K, sia quando la vettura si trova nel box sia quando è in pista. In un certo senso, il pilota agisce esattamente come ognuno di noi fa quando accende il motore di una vettura stradale, girando una chiave o, come ormai si usa sempre di più, premendo un semplice pulsante. In realtà il pilota completa una una sequenza di comandi ma la sostanza è la stessa.
    Apparentemente può sembrare un dettaglio ma può risultare decisivo. Lo si è visto ad esempio nelle qualifiche dello scorso Gran Premio di Russia, in occasione delle concitate battute finali della Q2. Dopo l’interruzione causata dall’uscita di pista di Sebastian Vettel, restavano solamente due minuti e 15 secondi dal semaforo verde per potersi lanciare per l’ultimo tentativo e sul tracciato di Sochi un normale giro di lancio è stimato fra il minuto e 50 e i due minuti e 20 secondi: abbastanza per qualche pilota, non certo per tutti i 14 rimasti in lizza.
    Ecco che la posizione d’uscita dalla pit-lane diventava quindi fondamentale, come spiega Iñaki Rueda, Head of Race Strategy Ferrari: “La maggior parte delle squadre avevano deciso di mandare i piloti alla fine della pit-lane ben prima di sapere quando la sessione sarebbe ripartita, proprio perché si sapeva che la posizione d’uscita sarebbe stata decisiva. È quello che abbiamo fatto con Charles che, una volta messosi in fila, ha potuto spegnere la PU in attesa dell’inizio della procedura di ripartenza, contando sulla possibilità di riaccenderla autonomamente, senza un ausilio esterno. Altri concorrenti hanno fatto la stessa scelta ma hanno dovuto tenere il motore acceso proprio perché non disponevano di questa possibilità e, visto che l’attesa si protraeva e le temperature di esercizio si alzavano pericolosamente, alcuni piloti hanno dovuto rinunciare e riportare la vettura ai box, non potendo più migliorare il proprio tempo. Altri hanno scelto addirittura di aspettare nel box l’annuncio dell’orario di ripartenza per poi provare a recuperare il tempo perduto in pista. La possibilità per il pilota di accedenre da solo la vettura può essere utile anche in altre occasioni. Ad esempio, nel caso il pilota compiesse una manovra errata e si ritrovasse con la vettura ferma in pista a motore spento allora potrebbe ripartire da solo, come è successo a Charles in Spagna, per citare un caso. Senza contare il fatto che non si devono più portare gli avviatori in griglia prima del via, il che – considerata la limitazione del personale presente – consente di essere più efficienti. Poter contare su questa funzionalità può far risparmiare tempo ma anche salvare una gara!”.
    La Ferrari ha iniziato a lavorare su questa soluzione a partire dal 2017 ed è stato necessario un importante lavoro di affinamento, sia hardware – in particolare sull’identificazione della coppia necessaria per l’avviamento e sulla conseguente robustezza della MGU-K e della cascata degli ingranaggi del motore, sottoposti ad uno stress inusuale e a un picco di vibrazioni – che software, fondamentale proprio per gestire le fasi nella maniera migliore e, soprattutto, più sicura dal punto di vista dell’affidabilità. Oggi è una funzionalità ormai standardizzata che ha dimostrato una volta di più la sua utilità. LEGGI TUTTO

  • in

    F1 2020, una stagione molto didattica per Charles Leclerc

    A fine 2019 Charles Leclerc non vedeva l’ora che arrivasse questo Mondiale di F1 per divertirsi come un matto. I tre Gp vinti in maniera netta ed esaltante e l’aver battuto sul campo l’illustre team-mate Vettel avevano lanciato il pilota monegasco nell’Olimpo consacrando le sue capacità. Lecito attendersi una Ferrari fortissima nel 2020 e un Charles super brillante. Invece è mancata all’appello la materia prima: la Rossa di Maranello.
    Lui invece è sempre lì, sul pezzo, ma frustrato da un binomio scuderia-mezzo non all’altezza. Non sono mancate, quindi, le ovvie manifestazioni di nervosismo di un ragazzo fortissimo che in questa stagione sperava già di lottare per il titolo o, quantomeno, di assestarsi stabilmente ai piani alti con una manciata di vittorie. In questo momento Leclerc è nero dalla rabbia ma proprio queste inattese e, a volte, insopportabili difficoltà con cui sta avendo a che fare lo hanno messo di fronte rudemente al lato più rognoso della F1 per un pilota. Una traversata nel deserto dalla quale potrà uscirne ancora più forte nei prossimi anni. I problemi fanno crescere, specialmente alla sua età.
    Ti fanno incavolare ma anche sbattere la testa per trovare una soluzione e imparare a non affondare quando sei nella tempesta. In sostanza maturi, e tanto. Dopo il lato bello vedi anche quello più oscuro e ti tempri. Passaggio, questo, molto importante nel processo di piena maturazione di un giovane e talentuoso pilota. Una stagione così complicata Charles Leclerc non l’ha mai vissuta da quando corre. Gli farà molto bene perché lui è un ragazzo che impara tanto dagli errori e dagli insegnamenti che la durezza del vissuto, in questo caso professionale, gli prospetta. Se riuscirà come è presumibile a farne tesoro, questo Campionato 2020 si potrà rivelare per lui molto prezioso, praticamente didattico, rendendo più dolce un’annata pessima sul piano dei risultati. LEGGI TUTTO

  • in

    Tra Honda e Formula 1 è di nuovo rottura. E ora?

    La settimana che conduce al I Großer Preis der Eifel (Nürburgring, 11 ottobre 2020) è improvvisamente scossa da un autentico terremoto sportivo: Honda, a fine 2021, lascerà la Formula 1.
    Uno scenario non nuovo per la F1 stessa ma che, oggi, si palesa più che mai preoccupante per la categoria.
    La Honda, In F1, vanta un passato ed un presente tanto vincente e prestigioso quanto burrascoso. In estrema sintesi. La Honda entra in F1, in qualità di costruttore totale, nel 1964 per uscirne già a fine 1968. Nel 1983, la Casa nipponica riabbraccia la F1 solo in qualità di motorista: Spirit, Williams, Lotus, McLaren. Piovono successi.
    A fine 1992, la Honda risaluta la compagnia. Il tarlo della F1 è vivo, ed ecco che la Honda ritorna in F1 nel 2000, andando a motorizzare la neonata BAR, quindi anche la Jordan. Dal 2006, la BAR si trasforma nel Lucky Strike Honda Racing F1 Team, infine in Honda Racing F1 Team nel 2007. Frattanto, anche la Super Aguri impiega motori Honda.
    A fine 2008, la Honda saluta — per l’ennesima volta — la Formula 1: i vertici giapponesi, stufi dei magri risultati a fronte di ingenti investimenti, abbandonano il circus iridato.
    Nel 2015, la Honda riprende il filo interrotto a fine 2008. Lo fa in pompa magna, legandosi alla McLaren nell’era delle da poco introdotte e complesse power unit Turbo-ibride. È un disastro. Un magro 2018 con Toro Rosso, quindi il salto di qualità nel 2019 assieme a Red Bull. Honda torna alla vittoria e sul podio.
    In questo 2020 ancora in corso, le power unit Honda hanno già conquistato due successi: Max Verstappen (Red Bull RB16) vince il 70th Anniversary Grand Prix (Silverstone), Pierre Gasly (Alpha Tauri AT01) trionfa a Monza.
    Ci risiamo: a fine 2021, ossia al termine del ciclo di vetture inaugurato nel 2017 e all’alba delle future wing-car che entreranno in vigore a partire dal 2022, Honda abbandona per l’ennesima volta la F1.
    Ma se in passato la fuga della Casa giapponese era sì fragorosa ma, tutto sommato, indolore, oggi rischia di mandare al collasso l’intera F1.
    In F1, infatti rimarranno attivi tre motoristi, uno dei quali — Mercedes — in forte dubbio per gli anni a venire.
    Anche in passato, la F1 ha conosciuto anni di “vacche magre” dal punto di vista del numero di motoristi impegnati in F1. Ricordiamo, a tal proposito, la stagione 1974, quando ai 12 cilindri Ferrari e BRM si affiancava la pletora dei V8 Cosworth DFV. Ma erano tempi diversi, in cui anche un semplice Cosworth poteva essere rimaneggiato e preparato da autentici artigiani della tecnica sino a dare vita ad un nuovo motore. Le versioni dei Cosworth, infatti, potevano differire le une dalle altre a seconda dei preparatori e dei team che andavano a fornire.
    In più, nel 1974 avevamo ben 20 costruttori (con relativi modelli) impegnati — costantemente o in sporadiche occasioni — in F1.
    O come non ricordare il 2014, primo anno delle nuove power unit Turbo-ibride. In quella stagione, a sfidarsi erano solo i V6 Ferrari, Renault e Mercedes.
    Se in passato entrare in F1 era relativamente semplice, oggi significa fare i conti anzitutto con regolamenti che, purtroppo, sopiscono sul nascere la volontà di impegnarsi nella categoria. Budget cap, paletti di ogni sorta, congelamenti, sviluppi bloccati, mancanza di test, un motore sì pressoché unificato per tutti in numerose aree ma, ad ogni modo, complesso e dispendioso nella realizzazione, chilometraggi imposti.
    Insomma, impegnarsi in F1 assomiglia sempre più ad un rompicapo burocratico.
    Che fare?
    Sgombriamo il campo. Le ricette pauperistiche messe ciclicamente sul tavolo sin dai tempi di Bernie Ecclestone non funzionano, non funzionerebbero, non funzioneranno, specie in F1. Ci riferiamo alla commessa per la realizzazione di un motore clienti standard. Un’idea folle. In sostanza, i team che — per varie ragioni — non possono accedere ai motori realizzati dalle Case, possono acquistare il motore clienti, realizzato da una azienda scelta dalla FIA. No, non ci siamo.
    Paradossalmente, le politiche (vere o sedicenti) di contenimento dei costi e di “equilibrio tecnico” forzato hanno prodotto un graduale impoverimento tecnico del “prodotto Formula 1”. Pochi motoristi presenti, nessuno (al momento) interessato ad entrarvi ed un numero di team che si regge sulla punta di uno spillo sono segnali di un meccanismo che, per quanto sfavillante, è sempre pronto ad implodere.
    Urgono, pertanto, giusti (e non demagogici) correttivi.
    Red Bull e Alpha Tauri — due scuderie importanti — sono, in chiave 2022, ancora senza un propulsore. Cosa fare? Non sarà facile, per il team anglo-austriaco e per quello italiano, rimpiazzare Honda. Una power unit Honda, peraltro, ormai divenuta competitivo.
    Mercedes e Ferrari assai difficilmente andranno a spingere le vetture del team di Milton Keynes, Renault difficilmente (ma non impossibile) si legherà nuovamente a Red Bull.
    Più percorribile la pista che porta ad un accordo tra Ferrari e Alpha Tauri, alla luce di un legame che per diverse stagioni ha unito Toro Rosso a Maranello (dal 2007 al 2013 e di nuovo nel 2016).
    L’abbandono di Honda potrebbe, inoltre, avere ricadute sulla progettazione delle nuove vetture di casa Red Bull e Alpha Tauri in ottica 2022. Senza un motore attorno al quale lavorare, risulta arduo approntare un progetto ben integrato. La scelta del nuovo motorista, inevitabilmente, dovrà consumarsi a stretto giro, al fine di amalgamare al meglio telaio e motore sin dalle fasi di progetto.
    La improvvisa fuga della Honda deve far riflettere. È stata vincente la scelta di introdurre complesse, a tratti demagogiche, rigidamente regolamentate power unit Turbo-ibride? No. Si sono rivelate e si riveleranno vincenti le (sedicenti) politiche di contenimento dei costi? No. La F1, in questi ultimi anni, è riuscita ad attrarre ulteriori motoristi? No.
    Il rimedio esiste ma, come spesso accade oggigiorno, si preferisce guardare il dito anziché la Luna. Insomma, si preferisce stringere le maglie a suon di budget cap, congelamenti e standardizzazioni anziché allargarle.
    I motori Turbo costituiscono un’ottima alternativa. Al contempo, poniamo la seguente domanda (retorica): allo stato attuale delle cose, non sarebbe preferibile eliminare (o semplificare) la componente ibrida e aprire le porte ad uno sviluppo continuo dei motori, in base alle proprie esigenze e disponibilità economiche?
    È bene, dunque, tornare ad una F1 più “leggera” e snella, dalle regole meno asfissianti, demagogiche e che cercano di trasformare la massima categoria in una sorta di Formula 2 più veloce.
    Ricette perdenti. Vi dice qualcosa, ad esempio, il fallimento del DTM dell’era “contenimento dei costi” e “vetture tutte uguali”?
    I costruttori vanno e vengono, i motoristi vanno e vengono. È sempre accaduto e sempre accadrà. Sono le corse.
    Ma quando le defezioni si verificano all’interno di un sistema che, a parole, dovrebbe funzionare a meraviglia ma che, nei fatti, scricchiola e non poco, allora è bene resettare il sistema, ormai elefantiaco e sovraccarico di spam.
    E portarlo alle condizioni iniziali. LEGGI TUTTO

  • in

    Mick Schumacher debutterà in Formula 1 al Nürburgring su Alfa Romeo

    Mick Schumacher farà il suo debutto in F1, in una sessione di prove ufficiali. Sarà al volante dell’Alfa Romeo Racing, nelle FP1 del Gran Premio di Germania al Nürburgring.

    Il 21enne, membro della Ferrari Driver Academy (FDA), attualmente in testa alla classifica del campionato di Formula 2, salirà sulla vettura di Antonio Giovinazzi per la prima sessione di prove libere del Gp di Germania che si correrà al Nürburgring dal 9 all’11 ottobre 2020.
    Le parole di Mick Schumacher sono state le seguenti: “Sono felicissimo di avere questa possibilità nelle prove libere. Il fatto che la mia prima partecipazione a un weekend di Formula 1 si svolgerà davanti al mio pubblico di casa al Nürburgring rende questo momento ancora più speciale. Vorrei ringraziare l’Alfa Romeo Racing e la Ferrari Driver Academy per avermi dato l’opportunità di avere un altro assaggio dell’aria di Formula 1 un anno e mezzo dopo il nostro comune test drive in Bahrain. Per i prossimi dieci giorni mi preparerò bene, in modo da poter fare il miglior lavoro possibile per la squadra e ottenere alcuni dati preziosi per il fine settimana”.
    Frédéric Vasseur, Team Principal Alfa Romeo Racing e CEO Sauber Motorsport, ha così commentato: “Non c’è dubbio che Mick sia uno dei grandi talenti che arrivano nelle fila della serie cadetta e i suoi recenti risultati lo stanno dimostrando. È ovviamente veloce, ma è anche coerente e maturo al volante, tutti segni distintivi di un campione in divenire. Ci ha impressionato con il suo approccio e l’etica del lavoro in quelle occasioni in cui è stato con noi l’anno scorso e non vediamo l’ora di lavorare ancora una volta con lui al Nürburgring”. LEGGI TUTTO

  • in

    F1, Tecnica: Sulla Red Bull RB16 c’è una nuova ala posteriore in Stiria

    Red Bull, al secondo appuntamento sul circuito di Zeltweg, ha portato delle novità aerodinamiche per la RB16, nonostante una settimana prima avesse già introdotto il primo pacchetto di sviluppo per la prima gara dell’anno.

    Per il Gran Premio di Stiria sulla RB16 è stata modificata l’ala posteriore, con l’introduzione di nuovi endplate, con diverse modifiche aerodinamiche. Con questa nuova soluzione, Adrian Newey sembra continuare a “copiare” da altre vetture, anche se non proprio di alta classifica: per i soffiaggi nella zona centrale della paratia dell’ala posteriore Newey ha preso spunto da una soluzione molto simile a quella della Haas.
    Mentre la vecchia paratia laterale era dal design molto semplice, con una sola feritoia nella zona in cui l’endplate si restringe verso l’interno, nella nuova soluzione sono presenti cinque soffiaggi dalla forma affusolata. Lo scopo di queste soffiature è quello di laminare i flussi provenienti dal rotolamento delle grandi ruote posteriori, che generano vortici nocivi all’aerodinamica. Anche il grande slot per l’aria davanti alle soffiature ha una forma diversa, e nella nuova soluzione è più largo e segue il bordo dell’endplate. Nella vecchia ala posteriore era esattamente l’opposto, con la presa d’aria che si allontanava dal bordo della paratia nella direzione più interna. La parte posteriore dell’endplate, infine, presenta una serie di “gradini” che si ispirano molto ad una soluzione adottata da Mercedes (e da Racing Point).
    Questa nuova soluzione di ala posteriore era probabilmente prevista per l’Ungheria, ma i tecnici di Milton Keynes hanno deciso di anticipare di una settimana gli aggiornamenti per recuperare carico aerodinamico. La RB16 è sembrata una vettura potenzialmente competitiva (soprattutto con Max Verstappen), ma che pecca ancora di gioventù, risultando acerba e con problemi di affidabilità e nel setup della macchina. Red Bull che dunque è alla ricerca di carico aerodinamico al posteriore, per una monoposto apparsa molto nervosa con mescola più dura, e difficile da mettere a punto.

    Si è visto anche che nelle due sessioni di libere la scuderia anglo-austriaca ha utilizzato la vecchia specifica di fondo, senza i deviatori di vortice vicino le ruote posteriori. Un passo indietro abbastanza strano, soprattutto perché il nuovo fondo la scorsa settimana era stato confermato sia in qualifica, che in gara. Evidentemente gli ingegneri Red Bull hanno voluto provare ancora la vecchia specifica, dopo aver analizzato a fondo i dati del vecchio gran premio. Rimane invece il nuovo nose dai piloni stretti in stile Mercedes, introdotto la scorsa gara. LEGGI TUTTO