Mentre Aleix Espargaro tagliava il traguardo di Silverstone in vittoria con l’Aprilia, il fratello Pol vedeva anche lui la bandiera a scacchi, per la prima volta in questa stagione MotoGP. Il più giovane dei due catalani ha completato l’intero weekend britannico, lasciandosi alle spalle il terribile incidente rimediato nelle libere a Portimão, nel Portogallo peggiore per lui. A dispetto della perdita di conoscenza, fratture a mandibola, vertebre e lesioni varie, il numero 44 del team GASGAS è tornato a fare il proprio lavoro e bene: «La felicità si mixava alla stanchezza – racconta a Spielberg – è stato bello concludere la gara, ricevendo l’approvazione della gente ma, una volta abbassata l’euforia, ho ripensato al risultato, ritrovandomi dodicesimo e lontano dal primo». Primo classificato, suo fratello Aleix. «C’è tanto lavoro da fare, per provare ad arrivare lassù. Il mio corpo lo spiega: la parte sinistra necessita di allenamento e tempo, poiché fiacca, indolenzita e dolorante. Pure il petto ne ha risentito, il collo e le vertebre rotte nell’incidente». Ha avuto paura durante il fine settimana inglese? «No, perché non ricordo assolutamente niente di quanto accaduto. L’impatto, il travaglio e il mio recupero sul posto mi sono ignoti. Invece, dall’ospedale in avanti colleziono ogni momento del mio percorso di guarigione e recupero». Si sente un pilota diverso, adesso? «Ogni infortunio viene accumulato in una sorta di zaino applicato alla schiena, caricato di volta in volta da fratture, urti, ferite. Tornare in sella ti fa ricordare di aver riscontrato rotture e botte. Durante la guida capita di pensare “ehi, come mai mi duole il collo?!”, Si pensa tanto prima di saltare a bordo ma, una volta indossato il casco, il dolore sparisce e subentra l’adrenalina». Quando era a casa, le mancava l’adrenalina? «Spiegare quanto è impossibile. Guardavo le gare davanti alla TV, impotente. Mia moglie chiedeva quando sarei tornato in azione, vedendomi così infelice. Ero triste. Io e lei abbiamo discusso: stavo trascorrendo parecchio tempo a casa in famiglia. Potevamo stare tutti assieme con le figlie, ma io avevo bisogno di gareggiare». Insomma, non avrebbe mai mollato. «Mai. Questo mondo si lascia quando la fiamma interiore si spegne, altrimenti sono guai, altro che infortuni. Se è l’infortunio a determinare la fine di carriera, si patisce il colpo. Si casca nell’infelicità». Può capire come abbia sofferto Marc Marquez in questi tre anni. «Eccome se lo capisco. Marc si è leso un braccio, per sua fortuna gravemente solo quell’arto. Poteva fare tante cose, dato che il suo corpo era integro. Ma fuori dalle corse è dura». LEGGI TUTTO