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    Bologna-Milano, leader Belinelli: “La mia Virtus porta in campo un cuore grande”

    Non fosse per la barba un po’ imbiancata, sarebbe difficile (impossibile?) credere a ciò che racconta la sua carta d’identità: «È vero, non ho 38 anni, ho ingannato tutti: sono 28…». Oltretutto gli anni con il “4” finale sono sempre speciali per Marco Belinelli, a livello sportivo e non soltanto: vent’anni fa la prima finale-scudetto, con la Fortitudo, dieci anni dopo le NBA Finals e lo storico trionfo con i San Antonio Spurs, il 2024 ha regalato a Beli prima la 2ª figlia – Deva Vittoria – e poi la finale-scudetto con la Virtus, da affrontare da MVP del campionato. Uno status a cui l’eterno ragazzo di San Giovanni in Persiceto cerca di tenere fede ogni giorno: «Marco è circondato da un’aura – la definizione di coach Luca Banchi – è un’eccellenza e come tale si fa riconoscere in campo e fuori, e lo fa in modo naturale, senza doversi mettere in evidenza. Caratterialmente non è necessariamente loquace, ma nei suoi comportamenti riconosco il carisma e la capacità di essere un riferimento per gli altri. La sua è una leadership carismatica: una qualità difficile da trasmettere, ma che va assecondata». Un leader che parla da trascinatore, come quando – in stile Kobe Bryant – per indicare i compagni dice “i miei giocatori”.
    L’intervista a Belinelli
    Marco, cosa significa la 4ª finale consecutiva contro Milano? «È la grande rivalità da quando sono tornato dagli Stati Uniti, abbiamo vinto nel 2021, abbiamo perso le ultime due finali, e quel pensiero è ben presente. Quando, venerdì sera, abbiamo chiuso la semifinale contro Venezia, la mente è andata subito alla finale dell’anno passato. Chi era qui già 12 mesi fa, credo abbia una voglia particolare».
    In cosa è cambiata la Virtus, con Luca Banchi al timone? «Siamo una squadra che combatte e che ha grande cuore. Vogliamo dare il 110%, come spesso riusciamo a fare, perché conosciamo l’importanza di questa serie. Abbiamo il vantaggio del fattore campo, abbiamo dato tanto per guadagnarci la possibilità di giocare davanti ai nostri tifosi, mi auguro sia determinante».
    Chi toglierebbe a Milano? «È la squadra da battere, con almeno un grande giocatore in ogni ruolo, inoltre vengono da sei successi di fila e stanno giocando ora il miglior basket della loro stagione. E c’è sempre Ettore Messina, che è una garanzia. Se dovessi fare un nome, forse direi Shavon Shields, perché è l’elemento contro cui abbiamo sofferto di più. Ma sappiamo di poter compiere un buon lavoro contro di lui, il nostro reparto esterni non ha niente da invidiare a nessuno. Ho tanta fiducia nei miei giocatori».
    “I miei giocatori”, come diceva Kobe Bryant: è il segno della sua padronanza della situazione. «Mi è venuto naturale… La realtà è che voglio bene ai miei compagni, siamo una grande famiglia, so quello che succede nell’arco di una stagione, nei momenti difficili, quando perdi, o vivi un quarto in cui giochi male e avverti le critiche attorno. È il nostro mondo, un giorno sei un eroe, un altro sei una pecora. Ma sono legato ai miei compagni, perché so quanto lavorano sodo per portare i trofei a Bologna».
    Nella sua lunga carriera NBA, da chi ha imparato di più sotto l’aspetto della leadership? «Ho cercato di prendere qualcosa da tutti coloro che univano voglia di vincere, intelligenza e umiltà, ma restando sempre me stesso. Potrei citare Manu Ginobili, ma poi come farei a dimenticare Tim Duncan? Certo, non parlava tanto, ma gli bastava un’occhiata… ».
    Vent’anni fa disputava la prima finale-scudetto, dieci anni fa conquistava il titolo NBA, oggi gioca una finale da MVP: come racconterebbe la sua evoluzione? «Penso che l’aspetto fondamentale sia un comune denominatore: la voglia di andare in campo, vincere ed esprimere il mio talento è sempre stata la stessa. A ciò si aggiunge la voglia di essere un buon esempio per tanti ragazzini. Questo è alla base di un’annata che per me è iniziata presto, perché ho anticipato la preparazione, ed è stato determinante. E di fianco ho trovato una squadra con tanto, tanto cuore». LEGGI TUTTO

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    Basket, i giovani italiani crescono. E l’esempio del maestro Belinelli

    Giovani leoni crescono e del resto hanno un esempio da seguire e applaudire. È Marco Belinelli. Il bolognese che arrivato nella Nba ha dovuto conquistarsi tutto con il lavoro, arrivando a vincere la gara del tiro da tre all star e infilandosi un anello al dito, in questa stagione ha faticato a trovare spazio, perché coach Scariolo aveva un’idea precisa. In Serie A comunque Beli è sempre stato protagonista, non ha praticamente polemizzato se non a un certo punto. Il grande coach e il grande giocatore si sono poi chiariti e da quel momento, vista anche la necessità di averlo di più in campo causa infortuni altrui, Belinelli è diventato sempre dominante in attacco, mostrando di poter aprire la valigia dei trucchi, finte e movimenti per prendere fallo, non solo tiri che finiscono puntualmente a canestro. Scariolo sperava di non spremerlo, in vista del finale di stagione, ma ora non può farne a meno. LEGGI TUTTO

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    Eurolega, Virtus Bologna colpaccio in casa dell'ASVEL e playoff a portata di mano

    LIONE (Francia) – Nella 23ª giornata di Eurolega splendida e pesantissima vittoria per la Virtus Bologna. Dopo il successo di martedì sulla Stella Rossa, le V Nere di coach Scariolo passano anche in casa dell’ ASVEL Villeurbanne per 64-77, avvicinandosi ulteriormente alla zona play-off.
    Decide un mostruoso Belinelli
    Fondamentali per il successo degli emiliani, i 21 punti di un magnifico Marco Belinelli, finalmente protagonista per la Virtus e il campionato italiano. LEGGI TUTTO

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    Virtus europea, Belinelli out. Scoppia un caso per Scariolo

    Una volta le sbroccate si facevano prendendo da parte un cronista, investito del ruolo di confessore. Oggi invece si pubblica un tweet, senza nemmeno usare le parole. Scariolo non aveva incluso Belinelli tra i “tre italiani che possono giocare veramente, tutti nello stesso ruolo”, ribadendo anche dopo il successo su Venezia per l’ennesima volta quanto il roster della Virtus sia sbilanciato sugli esterni. Beli, retrocesso di fatto nelle gerarchie interne dietro a Hackett, Pajola e Mannion, ha spedito in rete 12 emoji “facepalm”, che per i meno avvezzi significano frustrazione e imbarazzo. Segno tangibile che le tante gare in cui l’ex Spurs ha scritto “non entrato” a tabellino in Eurolega sono di difficile digestione per il tiratore di San Giovanni in Persiceto. È evidente che tra i due qualcosa si è rotto. La scorsa settimana Belinelli non ha messo piede in campo nemmeno nel furto con scasso dell’Olympiacos alla Segafredo Arena, mentre in campionato ha giocato 18′ con la Reyer, in linea con gli altri nove giocatori impiegati. Stasera col Panathinaikos si prospetta un’altra gara da seduto per Belinelli, salvo inversioni di rotta.

    Un tema su cui Sergio Scariolo glissa nelle notarelle ufficiali pre-gara: «Il Panathinaikos è in ottima forma. Ha recuperato molti uomini. Sfrutta un sistema di gioco solido in cui in tanti possono segnare. Noi vogliamo continuare a competere e a crescere: l’obiettivo è perdere meno palloni e mantenere alta l’intensità in difesa per tutta la partita. La strada è lunga, ma la direzione intrapresa è quella giusta».

    La tensione è anche figlia degli eurorisultati altalenanti. Con 15 partite da giocare non è il caso di parlare di ultima spiaggia, ma la Virtus tredicesima a due vittorie di distanza dalla zona playoff non è che possa lasciare molti altri punti interni per strada. Marshall Glickman, attuale reuccio dell’azienda Eurolega, mette Bologna tra le papabili per l’espansione a 24 squadre nel 2025-2026: un segnale positivo per il futuro, però come diceva Baglioni la vita è adesso. La Virtus sarà al completo (tranne i lungodegenti Abass e Menalo), e questa è quasi una novità. Anche ad Atene i bianconeri si sono sentiti defraudati dai fischietti: ko al supplementare, giocatosi senza che al 40′ esatto venisse sanzionato un fallo solare su Ojeleye. Com’è, come non è, proprio con le greche il conto non torna mai. Stasera in Fiera il capo-arbitro sarà Borys Ryzhyk, l’ucraino incluso lo scorso aprile nel corpo arbitrale italiano, al centro di diverse polemiche durante la finale scudetto con l’Olimpia. I dietrologi avranno sicuramente pane per i loro denti cariati. LEGGI TUTTO

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    Basket: l'addio di Belinelli e Hackett all'azzurro, il ritorno di Datome

    TORINO – Adesso la festa è passata. Il debutto dolce, nella casa di famiglia traboccante di gente e passione, contro la Slovenia di Luka Doncic, seppure con una sconfitta pesante (71-90) quanto prevedibile anche nelle dimensioni, è alle spalle. La luna di miele con il nuovo ct Gianmarco Pozzecco proseguirà, ci mancherebbe. Ma la prossima partita contro l’Olanda del ct Buscaglia il 4 luglio assegnerà già due punti importanti. Non per la prima fase ormai scontata di qualificazione mondiale, ma per la seconda al via a fine agosto e in preparazione agli Europei che inizieranno a Milano il 2 settembre prossimo.
    L’ADDIO DI BELI E HACKETT Intanto il ct ha fatto chiarezza su un tema che avrebbe potuto continuare a suscitare equivoci. Era arcinoto a tutti che Marco Belinelli e Daniel Hackett non sarebbero tornati in Nazionale, DH23 dopo un ritiro annunciato con correttezza e ufficialmente nel 2019. Pozzecco ha siglato la fine della vicenda con parole misurate, illustrando i colloqui avuti. Il prossimo passo della federazione, auspichiamo, dovrebbe essere l’organizzazione di una partita d’addio alla Nazionale per i due campioni che tanto hanno dato all’azzurro (e chi dice non sia stato così è in malafede, oppure non capisce). A suo tempo, ovvio, ma la memoria va mantenuta e nutrita. Anche da eventi appositi.
    GIGI C’È SEMPRE Altrettanto sicuro era il ritorno di Gigi Datome. Il capitano per la Nazionale c’è sempre stato, se in salute. A volte anche malconcio, tanto da mettere a repentaglio pezzi di carriera. Ha per esempio, compromesso il suo percorso Nba, per l’azzurro. Gigi darà un esempio fondamentale nel raduno a Brescia da martedì 28. Anche se per questa settimana mancherà Nicolò Melli, uscito acciaccato dalla finale scudetto e bisognoso di riposo per arrivare carico a un’estate importante.
    CHI VIENE E CHI RESTA Rientrano sette finalisti scudetto: i milanesi Biligha, Alviti, Baldasso, Datome, i virtussini Tessitori, Ricci, Pajola, poi Simone Fontecchio reduce dai playoff nella Liga. Otto sono i confermati da questo primo raduno di un azzurro molto sperimentale. E se appariva scontato tenere il difensore esimio John Petrucelli dopo il debutto, la novità a sorpresa e però avvalorata dalla prestazione in campo è Tomas Woldetensae, il ragazzo emiliano di origine eritrea rientrato la scorsa stagione dagli anni di studio (in ogni senso) negli States. Il disegnatore che ha tiro e fisico e perfetta coscienza dei propri limiti e pregi, saprà rendersi utile come contro la Slovenia. Il bello di Tomas è che correndo per il campo sembra danzare leggero con movenze che parevano dimenticate. Intanto potrà raccontare ai nipotini di aver rubato palla a Doncic nella prima azione in Nazionale. Come avranno notato tutti, manca un protagonista della qualificazione olimpica: Nico Mannion. Ha altro a cui pensare il playmaker reduce da stagione impervia fin dall’inizio tormentato da un virus gastrointestinale. Nico deve decidere del suo futuro. Chi guida una Nazionale deve cogliere anche gli umori di un giocatore. A volte si fa bene a non chiamarlo. A volte basta parlarci. E Poz sa parlare. Meglio, molto meglio utilizzare l’irrefrenabile grinta ed etica lavorativa di Tommy Baldasso. Del resto, mai sottovalutare il play-guardia torinese.
    OKEKE Il Poz ha ricevuto altre buone notizie dal debutto. Ha scoperto che Luca Severini, uno degli 8 confermati, è un lottatore intelligente, cresciuto alla corte di coach Ramondino. E perciò è un soldato che non spreca in campo, né si perde in banalità. Poi c’è Leo Okeke e qui si apre una parentesi importante: perché un 2,10 così mobile e atletico, con braccia smisurate e però anche tocco, Italia nostra non lo ha mai avuto. È molto da costruire, ma è sfrontato. Deve studiare il gioco e tanto, ma ha mezzi abbacinanti su cui un allenatore vero non può non essere stimolato e trascinato a lavorare. Il resto verrà, ma il futuro è appena cominciato. E paradossalmente per questo progetto studiato e preparato nei dettagli da Salvatore Trainotti, manager delle nazionali, l’Europeo prossimo è solo una tappa. L’approdo è Parigi 2024 e ancor più Los Angeles 2028. Con Banchero, Procida e Spagnolo, ovviamente LEGGI TUTTO