Di Redazione
Anche l’ultima uscita è stata da fuoriclasse del fischietto: Roberto Boris, arbitro di Vigevano, lascia per raggiunti limiti di età e lo fa dopo aver diretto, insieme al collega Stefano Cesare, l’ennesima Finale Scudetto, per la precisione Gara 3 della serie tra Sir Safety Conad Perugia e Cucine Lube Civitanova. A dire il vero Boris, che proprio oggi compie 55 anni, termina soltanto la sua prestigiosa carriera in Italia, mentre quella internazionale prosegue fino al 31 dicembre, anche oltre la Final Four di European Golden League di giugno per la quale è già stato designato.
“Come si dice, è la ruota che gira – commenta Boris in un’intervista realizzata dalla FIPAV Lombardia – prima o poi arriva per tutti il momento in cui è giusto farsi da parte e lasciare spazio a chi sta percorrendo la stessa strada“.
Qual è il primo bilancio del tuo percorso?
“Dire positivo è poco. Sono molto soddisfatto di quanto fatto in quarant’anni di arbitraggio, di cui 25 in serie A. Questo percorso mi ha arricchito molto, spero di aver dato anch’io qualcosa alla pallavolo che, come si capisce, è stata una parte importante della mia vita“.
In questi quarant’anni hai vissuto tutti i cambiamenti tecnici, tattici e regolamentari.
“Ho iniziato ad arbitrare quando ancora si giocava con i palloni bianchi e con il cambio palla, ho vissuto l’introduzione del rally point system, quella del libero fino ad arrivare alla tecnologia di questi ultimi anni. Sono passato attraverso il cambio di parecchie regole, ho potuto seguire l’evolversi delle tecniche e delle tattiche di gioco con la velocità di palla che aumentava progressivamente“.
Hai anche potuto arbitrare autentici fuoriclasse che hanno scritto pagine di storia del volley.
“È stato un piacere e anche un onore poter dirigere le gare di fuoriclasse assoluti come – per limitarci ad alcuni italiani – Bernardi, Lucchetta, Cantagalli, Piccinini, Lo Bianco fino ad arrivare ad oggi con i vari Giannelli, Zaytsev, Egonu, Orro“.
Quando inizi ad arbitrare una partita, qual è l’obiettivo che ti proponi?
“Fin dalle prime partite che ho diretto, il mio primo pensiero era quello di trasmettere a chi c’era in campo la massima tranquillità facendo loro capire che ero sicuro ma senza, per questo, sconfinare nell’essere autoritario, presuntuoso. Diciamo che era il mio modo per vivere la partita pensando al bene della pallavolo“.
C’è qualche episodio particolare di questi quarant’anni che ti è rimasto impresso più di altri?
“Ad essere sincero sono tantissimi! Mi piace però ricordare una frase di Julio Velasco – che allora allenava la Gabeca Montichiari – al termine di una partita nella quale, nel valutare una palla in o out, andai contro la mia ‘scelta’ fidandomi del giudice di linea. Mi disse: ‘Complimenti per l’arbitraggio davvero positivo. Mi permetto una cosa: il giudice di linea segnala, ma è l’arbitro che decide’. Un rilievo fatto con grandissima signorilità, come è proprio di Velasco, ma fu un rilievo che mi rimase impresso: Julio aveva visto sul mio volto che avrei fatto la chiamata opposta a quella del giudice di linea e mi fece capire, in modo costruttivo, che dovevo prendermi le mie responsabilità“.
La tua carriera, come detto, è andata anche oltre i confini dell’Italia e dell’Europa…
“Esagerando un po’ potrei dire di aver girato il mondo conoscendo, in Italia e all’estero, colleghi, giocatori e dirigenti di altissimo valore come arbitri e di elevato spessore umano. Persone che rimarranno sempre nei miei pensieri“.
(fonte: FIPAV Lombardia) LEGGI TUTTO