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    F1, Alpine: un rilancio tra tanto marketing e poca sostanza!

    Il 2021 della Formula 1 sarà l’anno dei grandi Marchi, di nomi roboanti, di autentici miti dell’automobilismo. Peccato che, al di là del tanto pomposo quanto rancido marketing, la sostanza latiti. Alfa Romeo Racing, Aston Martin F1 Team, Alpine F1 Team.
    Tre team che, assieme alle ormai storiche scuderie Ferrari, McLaren, Williams e Mercedes, danno lustro alla Formula 1. Ma è davvero così? Si tratta, invero, di scatole vuote, di attraenti confezioni prive, però, di reali contenuti.
    Come tutti sappiamo, le Alfa Romeo F1 (dalla C38 del 2019 alla C40 del 2021) sono realizzate dalla (nobilissima) Sauber (la sigla “C” non mente…) e motorizzate Ferrari. Le debuttanti Aston Martin-Mercedes affidate a Sebastian Vettel e Lance Stroll sono Racing Point (ex Force India, solo per citare la scuderia più recente in ordine di tempo) sotto mentite spoglie.
    Il medesimo discorso vale per il debuttante Alpine F1 Team. La Renault è impegnata, dal 2012, nel rilancio del Marchio Alpine. Fondata nel 1955 a Dieppe da Jean Rédélé, la Société Anonyme des Automobiles Alpine è da sempre legata, indirettamente o direttamente, a Renault. Il sodalizio si salda ufficialmente già negli Anni ’60, quando Alpine e Renault stringono una esplicita collaborazione tecnica.
    E si sa, il pesce grande finisce per mangiare quello piccolo. Renault, gradualmente, allunga e serra i propri tentacoli attorno alla Alpine, sino a prenderne il controllo.
    Già nei primi Anni ’70, il costruttore di Dieppe barcolla, in crisi di vendite nonostante gli ottimi risultati sportivi. Nel 1973, infatti, grazie ai successi colti da Jean-Claude Andruet, Jean-Luc Thérier, Bernard Darniche e Jean Pierre Nicolas si aggiudica il Campionato del Mondo Rally. La vettura è la iconica Alpine A110, i cui motori Renault vengono maggiorati sino a 1800 cc.
    Nel medesimo anno, avviene la definitiva fusione con Renault. La produzione di vetture GT stradali continua sino al 1995 (l’ultimo modello è la A610, realizzata dal 1991 al 1995). La produzione di serie riprende nel 2017, allorché viene lanciata sul mercato la nuova edizione della A110, dalla quale è nata una competitiva versione da corsa di classe GT4.
    La vita sportiva della Alpine — parimenti a quella legata alla produzione di serie — si può dividere in due periodi: quello pre-Renault e quello post acquisizione da parte della Casa di Boulogne-Billancourt.
    Storia sportiva ricca di trionfi quella della Alpine, sviluppatasi tra ruote coperte e vetture monoposto. Molteplici i successi e gli ottimi piazzamenti colti con vetture Sport-Prototipo nelle più importanti gare di durata internazionali.
    Ad iniziare, ad esempio, dai trionfi ottenuti alla 24 Ore di Le Mans nel biennio 1966-1967. In quelle edizioni della corsa della Sarthe, le ufficiali Alpine A210 concludono rispettivamente al 9° posto assoluto (1° di classe P 1300, equipaggio composto da Henri Grandsire/Leo Cella) e al 13° posto assoluto (1° di classe P 1600, equipaggio composto da Mauro Bianchi/Jean Vinatier).
    Piovono allori e consensi. Negli Anni ’60, Alpine inizia a dedicarsi alla Formula 3. Ron Tauranac svolge consulenze progettuali: non è un caso che le monoposto Alpine di questo periodo siano fortemente imparentate con le Brabham di pari epoca. È il 1964 quando Henri Grandsire vince il Campionato Francese di Formula 3.
    Nel biennio 1971-1972, la Alpine porta a casa altri due campionati francesi di F3, grazie rispettivamente a Patrick Depailler (Alpine A360-Renault) e Michel Leclère (Alpine A364). Sempre nel 1972, Depailler si aggiudica l’importante GP di Monaco di F3, al volante della ufficiale Alpine A364-Renault.
    Formula 3 e, ovviamente, Formula 2. Le bellissime e originali Alpine progettate da André de Cortanze sono ammirate ed apprezzate. Nel 1973, Depailler conclude al 3° posto il Campionato Europeo di Formula 2 al volante della Elf 2 (Alpine A367)-Ford DBA. L’anno successivo, le rinnovate Elf 2 (Alpine A367) motorizzate BMW consentono a Jean-Pierre Jabouille, Michel Leclère e Patrick Tambay di ben figurare nell’Europeo di categoria. L’impegno in F2 (le vetture sono ribattezzate Elf-Renault) culmina nel successo di Jean-Pierre Jabouille nel 1976 al volante della Elf/Alpine 2J-Renault.
    L’attività nelle categorie riservate alle monoposto a ruote scoperte è affiancata dall’impegno nell’Endurance. Le biposto Alpine macinano ottimi risultati e successi.
    È ancora Le Mans a portare in casa Alpine fortuna e gloria. Nel 1978, l’edizione della celebre 24 Ore è vinta dalla Alpine A442B #4423 (Equipe Renault Elf Sport) di classe Gruppo 6 Sport +2000, condotta da Didier Pironi/Jean-Pierre Jaussaud. Il bel Prototipo “bubble top” francese — provvisto di minigonne a spazzola, come quelle proposte dalla Lotus in F1 — è azionato dal 6 cilindri in V di 90° Gordini-Renault, di 1996 cc e sovralimentato mediante singolo turbocompressore. Alpine e Renault, con tenacia e quel pizzico di fortuna che a Le Mans non guasta mai, piegano lo squadrono Martini Racing Porsche System.
    Gordini, appunto: un altro celebre Marchio — fondato dall’italiano Amedeo Gordini — entrato sin dagli Anni ’50 nell’orbita Renault dopo aver militato nell’orbita Simca. Un Marchio, Gordini, celebre e rinomato per la progettazione ed elaborazione di motori (Marchio impegnato con ottimi risultati in F1 negli Anni ’50) ma che Renault (statale) ha gradualmente cancellato dal palcoscenico motoristico.
    L’ultima apparizione alla 24 Ore di Le Mans di una autentica Alpine risale al 1994. In quell’edizione, la Société Legeay Sports Mécanique schiera una A610-Renault V6 3000 cc Turbo nella classe GT2. L’esito della corsa è positivo: Benjamin Roy/Luc Galmard/Jean-Claude Police conducono la bella GT francese al 13° posto assoluto, 5° di classe.
    Il recente passato ed il presente parla di altre vetture Sport-Prototipo battezzate Alpine. In realtà, le moderne Alpine A450, A450B, A460 e A470 altro non sono che i modelli Oreca 03, 05 e 07 (tutti di classe LMP2) rimarchiati e gestiti dal team Signatech Alpine. Anche la Alpine LMP1 motorizzata Gibson che prenderà parte al World Endurance Championship 2021 è realizzata dalla Oreca.
    Alpine A350 e A500, ad un passo dalla Formula 1
    La Alpine medita, sin dagli Anni ’60, l’approdo in Formula 1. Elf e Renault (ossia, lo Stato francese) sollecitano la Alpine circa la realizzazione di una monoposto di F1. A progettare la vettura, col supporto dei tecnici Michelin, è Richard Bouleau. Nasce la interessante Alpine A350. Siamo tra il 1967 ed il 1968.
    La peculiarità tecnica della vettura risiede nelle sospensioni, semi-indipendenti. Una soluzione atta a ridurre il rollio in curva così da mantenere quanto più “piatto” possibile l’assetto della monoposto.
    Ad azionare la vettura è il rinnovato Gordini-Renault V8, un 3000 cc aspirato erogante poco più di 300 CV, alimentato mediante 4 carburatori Weber doppio corpo. Un motore (stiamo parlando del Gordini T62) che troverà spazio nelle gare Endurance (spinge, infatti, con discreto successo ma per breve periodo i Prototipi Alpine A211 e A220) ma ormai obsoleto per la F1.
    Soprattutto, è la scarsa potenza ad allarmare i vertici Alpine e Renault. Potenze dell’ordine dei 310 CV nulla possono contro cavallerie dell’ordine dei 400-415 CV dei V8 Cosworth DFV, dei Ferrari V12, dei Maserati V12, dei BRM H16 e V12, del Weslake V12, degli Honda V12 e dei Matra V12. Il Gordini risulta persino meno potente del V8 Repco.
    I riscontri in pista della Alpine A350 sono controversi. A testarla è Mauro Bianchi. Se sul fronte ciclistica e telaistica la vettura sembra promettente, non si può dire lo stesso per quanto concerne il motore, eccessivamente fiacco per la F1. La storia racconta che la vettura stava per essere iscritta al GP di Francia del 1968. Una corsa, tuttavia, che la Alpine A350 non disputerà mai. Il solo esemplare di A350 viene smantellato.
    Ma la Formula 1, nonostante l’insuccesso della A350, rimane tra i piani della Alpine. E della Renault.
    A partire dagli Anni ’70, e specie dopo la definitiva acquisizione da parte della Renault, Alpine diviene il “braccio armato” sportivo della Renault stessa. Le vetture — Sport-Prototipo e formula — realizzate dalla Alpine vincono ovunque. La Renault, tuttavia, vuole imporre il proprio nome. La Renault, infatti, dopo aver vinto coi motori Gordini-Renault (e telai Alpine) in F3, in F2, nell’Endurance e nelle ruote coperte, punta alla Formula 1. L’obiettivo è chiaro: vincere con una propria vettura spinta dal nuovo V6 Turbo.
    Tra il 1975 ed il 1976, Alpine e Renault-Gordini partoriscono la Alpine A500. A curare il progetto e la realizzazione della vettura vi sono André de Cortanze, François Castaing e Marcel Hubert, figure che poi comporranno l’ossatura tecnica del debuttante Equipe Renault Elf a partire da quel GP di Gran Bretagna 1977. 
    La monoposto si presenta compatta e, come da tradizione Alpine, molto interessante e originale. Il cuore della vettura è il motore: si tratta del 6 cilindri in V di 90° Turbo (1 singolo turbocompressore). Questo propulsore sovralimentato trae vita dai V6 aspirati già in uso con successo su vetture Formula e Sport Alpine.
    Convertito in Turbo, il V6 — in varie versioni e cilindrate — coglierà successi nelle gare Endurance, tra cui la già citata 24 Ore di Le Mans 1978. Più tardi, anche BMW e Hart trasformeranno ed elaboreranno i propri motori aspirati in turbocompressi da destinare alla F1.
    Il V6 Turbo presenta, come da regolamento, una cilindrata massima di 1500 cc. Il singolo Turbo Garrett è posizionato centralmente a valle del motore e riceve aria mediante una presa d’aria a periscopio posta sul lato destro della vettura. Le due prese d’aria dinamiche poste immediatamente a valle del roll-bar alimentano lo scambiatore di calore, collocato davanti al motore, molto incassato e nascosto (come sui Prototipi Alpine). Questa impostazione generale è — assieme a quella alternativa, ossia prese d’aria per l’intercooler integrate nella parte alta delle fiancate — mantenuta anche sulle prime Renault di F1, prima della introduzione del doppio turbocompressore con la RS10 del 1979.
    Particolarmente complesso e poco razionale risulta il “gioco” di tubazioni in aspirazione e scarico (wastegate comprese). Sulle Renault, infatti, possiamo osservare una disposizione più ordinata di questi organi. I dischi posteriori sono, seguendo una impostazione molto in voga in quegli anni, collocati entrobordo.
    La Alpine 500 non disputerà mai un GP di F1. I test, condotti da Jabouille, non promuovono la vettura, ancora acerba. I problemi dei primi motori Turbo di F1 si presentano evidenti: surriscaldamenti, un eccessivo Turbo-lag, una potenza — dell’ordine dei 500 CV — tutt’altro che irresistibile se raffrontata ai 3000 cc aspirati di pari epoca.
    Il potenziale, ad ogni modo, c’è. Le soluzioni della Alpine 500 verranno riprese e cesellate per dar vita alla Renault RS01, prima vettura di F1 azionata da un motore Turbo. La gialla vettura debuttante nel 1977 — tanto nella versione a muso stretto quanto in quella a muso largo e carenante — non nasconde la parentela con la Alpine A500, specie nel muso e nella inconfondibile rastremazione delle fiancate.
    Nei fatti, possiamo affermare che la Renault RS01 attiva tra il GP di Gran Bretagna 1977 ed il GP del Belgio 1979 è una versione riveduta, corretta ed ulteriormente elaborata ed aggiornata della embrionale Alpine A500.
    Il Marchio Alpine, dunque, farà il proprio ingresso in F1 nel 2021. Ovviamente si tratta del Renault DP World F1 Team con nome diverso. Fernando Alonso ed Esteban Ocon sono i piloti destinati a portare in gara la futura Alpine-Renault di F1.
    Nuovi adesivi, una nuova livrea, un team dal nuovo nome. Marketing, ma nulla più. Una costante sempre più ramificata e salda nel moderno motorsport. LEGGI TUTTO

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    F1, Il commento di Flavio Briatore su Davide Brivio in Renault: L’inesperienza non è un problema!

    Si attende solo l’ufficialità dell’approdo di Davide Brivio nel Team Alpine F1 (ex Renault). Il commento di Flavio Briatore.

    In una nota stampa pubblicata dal Team Suzuki di MotoGP si legge: “Dopo otto anni alla guida del Team Suzuki Ecstar nel ruolo di Team Manager, Davide Brivio e Suzuki annunciano la fine della loro collaborazione. L’italiano è presente nel paddock del Campionato del Mondo di MotoGP da più di 20 anni ed è in Suzuki dal 2013. Ha ricoperto la posizione di Team Manager quando Suzuki ha intrapreso il nuovo progetto in MotoGP, ed è rimasto al suo posto per tutta l’ascesa verso il successo, quest’anno coronato dall’incredibile vittoria del titolo di Campione del Mondo conquistato da Joan Mir e del titolo costruttori per il Team Suzuki Ecstar”.
    Brivio passa dalla MotoGP alla F1, dalla Suzuki alla Renault che correrà dal 2021 con il brand Alpine. L’ingaggio pare sia stato fortemente voluto dal nuovo responsabile di Renault, l’italiano Luca De Meo che di Brivio ha profonda stima sin fa quando FIAT era sponsor e partner del Team Yamaha in MotoGP con Valentino Rossi.
    Brivio dovrebbe ricoprire il ruolo di CEO del Team e si troverà a dover gestire una squadra ufficiale con un pilota di peso come Fernando Alonso. Lo spagnolo è ancora gestito da Flavio Briatore che ha voluto commentare così la notizia: “In fondo di tratta sempre di gestire uomini e l’importante è avere una macchina che vada forte”.
    Ricordando il suo esordio in F1 a capo della Benetton, Briatore ha anche aggiunto: “Non avevo mai visto nemmeno una gara e poi ho vinto 7 Mondiali. Non credo ci sia da aggiungere altro e auguro a Brivio di fare altrettanto. Di certo se la Renault lo ha scelto ci saranno molte buone ragioni, per cui sono certo che l’inesperienza non sarà un problema”. LEGGI TUTTO

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    F1 2021, In forse il primo Gran Premio del Mondiale in Australia

    L’inizio del Campionato Mondiale 2021 di Formula 1 potrebbe slittare di una settimana. La gara inaugurale in Australia potrebbe essere cancellata per via del Covid-19 e delle restrizioni molto severe per l’ingresso nel Paese.

    Il 21 marzo 2021 era la data indicata nel Calendario F1 per il via della nuova stagione. Da quanto abbiamo appreso però la trasferta del Circus della F1 in terra australiana potrebbe essere a rischio a causa del perdurare della pandemia da Coronavirus e soprattutto per le stringenti norme per l’ingresso in Australia.
    Il Campionato Mondiale di Formula 1 vedrebbe quindi il via in Bahrain, il week end del 26, 27 e 28 Marzo. Alla luce di questo anche i test F1 in programma inizialmente a Barcellona a inizio Marzo (leggi qui il programma e gli orari), potrebbero subire uno spostamento, sia di data che di sede. La location alternativa sarebbe proprio il Bahrain, sede poi della prima gare mondiale.
    Qui sotto il calendario aggiornato dei primi 5 appuntamenti del Campionato F1 2021 e quello dei test.

    Data GRAN PREMIO
    21 Marzo Gp Australia, Melbourne
    28 Marzo Gp Bahrain, Sakhir
    11 Aprile Gp Cina, Shanghai
    25 Aprile Gp TBC
    09 Maggio Gp Spagna, Barcellona

    // VAI AL CALENDARIO COMPLETO F1 2021 //
    Calendario Test F1 2021 (ancora da confermare)

    2 marzo – Barcellona – 9:00-13:00 – 14:00-18:00 | TBC
    3 marzo – Barcellona – 9:00-13:00 – 14:00-18:00 | TBC
    4 marzo – Barcellona – 9:00-13:00 – 14:00-18:00 | TBC

    16 marzo – Bahrain – 9:00-13:00 – 14:00-18:00 | TBC
    17 marzo – Bahrain – 9:00-13:00 – 14:00-18:00 | TBC
    18 marzo – Bahrain – 9:00-13:00 – 14:00-18:00 | TBC LEGGI TUTTO

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    Caccia agli Slam 2021: cosa manca agli “inseguitori”? (di Marco Mazzoni)

    Stefanos Tsitsipas, semifinalista a Roland Garros 2020

    Il 2021 tennistico maschile scatta oggi tra Antalya e Delray Beach, tra le mille incertezze dovute alla pandemia, possibili nuovi spostamenti e cancellazioni. Ci apprestiamo a seguire una stagione che, come mai prima, saremo costretti a vivere giorno per giorno, sperando che le vaccinazioni di massa in corso in molti paesi possano rappresentare la fine del tunnel verso quella “normalità” perduta che oggi ci manca terribilmente.
    In questo scenario di totale incertezza, lanciarsi in previsioni sugli Slam 2021 sarebbe a dir poco ardito. La sensazione è che Novak Djokovic e Rafa Nadal saranno – tanto per cambiare – ancora gli uomini da battere. Nonostante i loro (prossimi) 34 e 35 anni, con mille battaglie nelle gambe e nella testa, la fortissima motivazione di segnare record storici (numero di Slam, settimane al n.1) li farà scattare in pole position, a meno di infortuni o situazioni imprevedibili.
    Altra certezza, la posizione di Dominic Thiem, ormai al pari dei due super campioni. L’austriaco è stato il primo nato nei ’90s a vincere un Major a New York, dopo aver perso finali a Parigi e Melbourne. Ormai Dominic è a tutti gli effetti il terzo incomodo, pronto a vincere a Melbourne, Parigi e New York. E gli altri?
    Nel primo approfondimento del 2021 parliamo degli inseguitori, quella pattuglia variopinta, interessante e ricca di talento quasi pronta a spiccare il volo verso la prima vittoria in uno Slam. Accadrà nel 2021? Non v’è certezza, ma è assai probabile che almeno uno di loro possa finalmente imporsi in uno dei quattro tornei principali della stagione. Ci sono molti segnali concordanti in tal senso. Il disgraziato 2020 ha mostrato per alcuni di loro importanti segnali di crescita, come la finale a US Open di Zverev, la vittoria alle ATP Finals di Medvedev spazzando via i primi tre al mondo, la semifinale di Tsitsipas a Roland Garros (dopo quella a Melbourne del 2019). Andiamo a vederli uno per uno, focalizzando l’attenzione su quel che (a fine 2020) mancava per compiere l’impresa e sedersi al banchetto dei veri Campioni. Per tutti loro sarà fondamentale elevare la “continuità di prestazione”, ossia la capacità di giocare il proprio miglior tennis più a lungo possibile, ma non solo.

    Daniil Medvedev (24 anni) – Continuità con la prima di servizio. È già andato molto vicino a vincere uno Slam, a New York 2019, quando solo l’enorme cuore e classe di Nadal hanno impedito al russo l’impresa, a coronare la sua estate magica. Medvedev ha il tennis più “rognoso” tra gli emergenti: tattico, di difficile lettura, molto personale. Ti porta a giocare male, con quella ragnatela di palle lente, “storte”, senza peso, e poi un improvviso strappo a spezzarti il ritmo e le gambe. Ti manda “in bestia”, ti toglie ritmo e fiducia. Quando Medvedev è davvero centrato, è un bruttissimo cliente per tutti. Però il suo tennis così complesso e personale richiede una perfetta condizione atletica, è assai dispendioso in energie fisiche e psicologiche, perché lui non spazza via il rivale, lo lavora ai fianchi, spesso in match lunghi e faticosi. Per questo il rendimento della prima di servizio diventa fondamentale: ricavare molti punti diretti per non spremersi in ogni scambio, ed allo stesso tempo elevare la frustrazione dell’avversario, è conditio sine qua non per vincere contro i big. Lo si è visto alle Finals, e praticamente in ogni suo grande successo. Ancora la prima di Daniil non è sempre al top. A volte stenta a prendere ritmo, oppure scompare per alcuni games. In uno Slam, con Rafa, Novak o Dominic al di là della rete, non te lo puoi permettere. Se nel 2021 Daniil troverà un servizio ancor più pungente e costante, potrà vincere il suo primo Slam.

    Stefanos Tsitsipas (22 anni) – Intensità e propensione offensiva. Il giovane “Dio greco” del tennis affascina per la sua eleganza nel gesto, completezza tecnica e versatilità. Dalla sua racchetta possono uscire traiettorie splendide da ogni posizione di campo, anche dal diritto, assai migliorato e reso più stabile nell’ultimo periodo. Tuttavia Stefanos ancora difetta in intensità. Nelle grandi e lunghe sfide, ha ancora la tendenza a prendersi delle pause in cui aspetta troppo l’avversario, si mette a scambiare come per rifiatare, ritrovare energie fisiche e mentali. Puntualmente in quei frangenti un rivale top ne approfitta, mette le marce alte e scappa via. Tsitsipas spesso riesce a rientrare, ma compie un grande sforzo che poi finisce per pagare nella fasi decisive (tiebreak, quarto e quinto set). È diventato un discreto lottatore, ma deve riuscire a concentrare gli sforzi in un rendimento medio più alto, cancellando quei momenti un po’ abulici in cui sembra tirare i remi in barca. Allo stesso tempo, deve trovare la fiducia per produrre un tennis più incisivo perché ha tutti i mezzi e colpi per riuscirci. Quando il greco tiene l’iniziativa, affonda i colpi, viene avanti giocando molto aggressivo, produce un tennis non solo bellissimo ma anche vincente ed efficace. Resterà sempre un creativo, soggetto a sbagliare e prendere decisioni tattiche pericolose, ma deve incanalare il suo gioco verso il rischio, con una posizione più avanzata e cercando di tenere in mano l’iniziativa il più possibile, visto che in modalità “creative” è assai più forte rispetto a quando è costretto a rincorrere. E magari usare maggiormente il rovescio slice per togliere ritmo ai molti picchiatori del tour e quindi entrare con i suoi colpi in anticipo.

    Alexander Zverev (23 anni) – Posizione di campo e attitudine. Sono passati diversi mesi, ma ancora resta incredibile la rimonta subita a NY da Thiem nella finale di US Open 2020. Sasha aveva dominato i primi due set, mostrando finalmente un tennis facile, sicuro, offensivo. Thiem fu forse fin troppo dimesso, e la sua scossa nel terzo finì per far ripiombare il tedesco nella propria palude, quella in cui si arrocca con un tennis consistente ma poco incisivo, tanto da annegare. Qua passa tutta la differenza tra un Campione ed un ottimo giocatore. Zverev in carriera ha vinto Masters 1000, le ATP Finals, ha battuto tutti i migliori perché possiede la qualità per farlo. Tuttavia continua non convincere perché riesce in queste imprese solo quando libera testa a braccio, producendo un gioco geometrico e veloce, aggressivo. In questi match, gioca con i piedi più vicini alla riga di fondo, con la prima apre il campo e quindi entra col rovescio poderoso, o lavora lo scambio col diritto cross, lungo e preciso. Quando tiene questa attitudine offensiva insieme ad una posizione avanzata, è un Top player, pronto a vincere uno Slam. Purtroppo ancora gli accade di rado, in modo completamente imprevedibile. È quindi una questione mentale, di fiducia, di presenza in campo. Nella sua giovane carriera, Alexander ha macinato tanti avversari quanti coach… vediamo se David Ferrer sarà quello “buono”. L’iberico fu un esempio di applicazione ed attitudine, proprio quella che manca al suo assistito.

    Andrey Rublev (23 anni) – Piano B. Rublev è stato uno dei giocatori migliori nel 2020. 5 tornei vinti, una crescita importante che l’ha giustamente portato a vincere anche l’ATP Award (insieme al suo coach, Fernando Vicente). Tuttavia i numeri vanno saputi leggere, e questi parlano chiaro: contro i migliori e negli Slam, Rublev ancora fa fatica. Non ha ancora superato la barriera dei quarti in uno Slam, ha battuto pochi Top, tenendo invece un livello medio molto alto contro gli altri. Il motivo di quest’andamento è squisitamente tecnico: il tennis di Rublev è formidabile ma ancora mono dimensionale. Il suo pressing ad altissimo ritmo e grande rischio è il suo marchio di fabbrica, con cui macina moltissimi avversari; ma potrebbe diventare anche la sua maledizione se non riuscirà a costruirsi un piano B per le situazioni in cui non riesce a sfondare l’avversario. Con i piedi vicini alla riga di fondo, Andrey spinge come un forsennato, palla dopo palla, costringendo l’avversario ad accorciare e aprendosi uno spiraglio per l’affondo, o portandolo all’errore. Ma… se questo non avviene? Se l’avversario si appoggia e non sbaglia? O se l’avversario risponde con palle lavorate e lo manda fuori ritmo? Sconfitta, perché Rublev ancora non è riuscito a trovare una via di fuga, una soluzione. Questa potrebbe essere un’incursione a rete (ma la tecnica di volo e posizione sono ancora rivedibili), oppure lavorare per stringere gli angoli con meno velocità e più rotazione, visto che il vero cambio di ritmo non è nelle sue corde. Rublev sembra un tennista già piuttosto formato sul piano tecnico, e con precise qualità ma anche limiti. Magari potrebbe trovare due settimane in cui, sostenuto da una condizione fisica eccezionale e grande sicurezza, riuscirà a travolgere ogni avversario, ma per trovare uno Slam del genere sembrano molti i pianeti che dovrebbero allinearsi alla perfezione…

    Matteo Berrettini (24 anni) – Salute e forma fisica. Di fatto il 2020 dell’azzurro non è valutabile. Ha giocato pochissimo, forte del ranking protetto sui risultati 2019, e quando l’ha fatto non stava quasi mai bene. Lo si sapeva, fin dall’inizio. Nel 2019 il tennis fantastico di Matteo è stato sostenuto da un’annata fortunatamente senza grandi intoppi sul lato fisico. Quando ti porti dietro un corpo così importante, il problema è dietro l’angolo. Con questo dovrà convivere l’azzurro, per tutta la carriera, l’augurio e speranza è che grazie ad un eccellente lavoro si possa preservarne il più possibile la salute, in modo da esplodere in campo quella potenza e qualità che l’hanno portato alla SF a US Open e giocare il Masters di fine anno, chiudendo tra i primi 8 al mondo la stagione 2019. Matteo come tennis può crescere ancora in molte cose: più qualità in risposta, qualche accelerazione di rovescio improvvisa, qualche miglioria nella volée e nell’approccio, una seconda di servizio sempre più incisiva. Ma il miglior Berrettini, seppur incompleto, è già un tennista fortissimo, che se la gioca con i migliori, perché ha un tennis “moderno”, efficace su ogni superficie, a patto di stare bene. L’augurio è di ritrovarlo nel 2021 al 100% sul lato atletico, perché solo con la miglior condizione gioca libero di testa e con fiducia.

    Denis Shapovalov (anni 21) – Ordine e prima di servizio. “Showtime Shapo” ha infiammato il Foro Italico nel 2020, mostrando anche sul rosso quel tennis irresistibile, una macchina da tennis infernale, imprevedibile, bellissima. Capace di creare meraviglie tecniche che ti lasciano a bocca aperta, ma allo stesso tempo distruggere tutto con la stessa velocità. Tra i giocatori di cui ho parlato è il più giovane, in tutti sensi. Quando si è così creativi, quando il padreterno ti regala così tanto talento e possibilità, incastrare il tutto in un piano razionale ed efficace è sempre più complesso. Ancor più se hai una personalità spiccata, vuoi imporre il suo gioco senza compromessi. Per questo solo trovando ancor più ordine e logica, Denis potrà salire di livello trovando quella continuità di rendimento all’interno dello stesso torneo che ancora gli manca. Non ha superato lo scoglio dei quarti in uno Slam, segnale di come faccia ancora fatica a trovare stabilità. Per farlo, oltre ad un lavoro importante sul piano mentale e tattico – auguri Youzhny – sarà necessaria anche una crescita nel rendimento con la prima di servizio. È la storia del gioco che lo dice: tutti i tennisti altamente creativi e con un tennis molto rischioso hanno iniziato a vincere solo quando sono riusciti a ricavare molti punti diretti con la prima. Perché metti sotto pressione il rivale, perché prendi fiducia nel tuo gioco, perché rischiando tanto, qualcosa concedi. Uno Shapo che si gioca uno Slam sarebbe il miglior biglietto da visita per il nostro sport.

    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO

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    Costruttori F1 2020: la classifica dei compensi dei 10 team, tra premi e bonus

    La Mercedes vince in pista ma è la Ferrari a raccogliere di più da Liberty Media grazie a due bonus milionari. La classifica dei compensi dei 10 team F1.

    Il Campionato Mondiale F1 2020 si è concluso con la vittoria della Mercedes che, nella classifica riservata ai Costruttori, ha preceduto Red Bull e McLaren. Stagione “amara” per la Scuderia Ferrari che si è “dovuto accontentare” del quinto posto finale, dietro anche a Racing Point e Renault.
    Come sappiamo la classifica costruttori stabilisce anche l’ammontare dei premi che Liberty Media distribuisce ai 10 Team che partecipano al mondiale. Oltre 120 milioni di dollari vanno al vincitore del titolo mentre sono poco più di 50 quelli che spettano all’ultimo in classifica.
    Oltre ai premi standard, sono previsti due tipi di bonus: uno “storico“, per i team che sono presenti in Formula 1 da più anni e uno esclusivo per la Ferrari , unico team che ha sempre preso parte al mondiale.
    Sommando il premio e i due bonus, la Ferrari risulta il Costruttore con l’introito maggiore pari a 150 milioni di dollari. Alle sue spalle la Mercedes con 145 milioni, Red Bull con 132, McLaren con 115, Racing Point con 100 e via via tutti gli altri con compensi tra i 50 e i 100 milioni di dollari.
    Grazie al bonus Ferrari, la Scuderia di Maranello riceverà quest’anno più denaro di tutti gli altri Team da Liberty Media.
    Costruttori F1 2020: la classifica dei compensi dei 10 team, tra premi e bonus

    # Costruttore Premio | Bonus-Storico | Bonus-Ferrari
    1. Ferrari 85 15 50
    2. Mercedes 124 21
    3. Red Bull 116 16
    4. McLaren 108 7
    5. Racing Point 100 –
    6. Renault 92 5
    7. AlphaTauri 77 –
    8. Alfa Romeo 69 –
    9. Haas 61 –
    10. Williams 53 6

    Dati: AMuS LEGGI TUTTO

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    F1, La ”maledizione” dei vincitori della Formula 2

    La “Mick Schumacher mania” è già iniziata. Il figlio d’arte, come noto, disputerà quest’anno la sua prima stagione in Formula 1, in seno all’Haas F1 Team. Un traguardo importantissimo, ideale prosieguo della carriera del padre. A 30 anni di distanza dal debutto in F1 di Michael Schumacher, ecco l’approdo in F1 di Mick.
    Mick Schumacher si presenta in F1 da vincitore del 2020 FIA Formula 2 Championship (nel 2018 vinceva l’ultima edizione del FIA Formula 3 European Championship). Il pilota del Prema Racing ha totalizzato 215 punti, 14 in più dell’inglese Callum Ilott, alfiere dell’UNI-Virtuosi Racing. Schumacher è stato protagonista di una stagione regolare e accorta. Nell’economia del campionato, infatti, hanno pesato i due ritiri di Ilott contro il solo ritiro di Schumacher in quel del Red Bull Ring (Gara 2). Due le vittorie conquistate da Schumacher (Gara 1 Monza, Gara 1 Sochi), tre quelle ottenute da Ilott.
    Il Mondiale di F1 2021 vedrà il debutto di altri due piloti provenienti dalla Formula 2: il giapponese Yuki Tsunoda ed il russo Nikita Mazepin. Il primo sarà al volante della Alpha Tauri AT02, il secondo vestirà i panni di compagno di scuderia di Schumacher alla Haas. Entrambi molto veloci, hanno costantemente occupato le vette della classifica del 2020 FIA Formula 2 Championship. Tsunoda (Carlin Motorsport) ha chiuso il campionato in terza posizione (200 punti, 3 vittorie), Mazepin (Hitech Grand Prix) è andato ad occupare la quinta posizione finale (164 punti, 2 vittorie).
    Da molti, Mick Schumacher è indicato quale futuro campione del mondo di F1. Un ennesimo “predestinato”. Una valutazione, allo stato attuale delle cose, alquanto frettolosa, frutto solo ed esclusivamente di un cognome “ingombrante” e di essere a libro paga Ferrari.
    Non è tutto. Schumacher deve fare i conti con una autentica “maledizione”: chi ha trionfato in Formula 2 (e successivamente in Formula 3000) non ha mai vinto il Mondiale di F1. Sino ad adesso…
    Lewis Hamilton e Nico Rosberg: sono loro i soli piloti ad aver vinto sia la serie cadetta (denominata, dal 2005 al 2016, FIA GP2) sia il titolo Piloti di F1. Rosberg trionfa nel 2005, Hamilton nel 2006. Due eccezioni che, appunto, confermano la regola.
    Nemmeno le tante serie susseguitesi e accavallatesi tra la fine degli Anni ’90 ed il 2017 (ci riferiamo alle molteplici serie di F3000, AutoGP e World Series by Nissan/Formula Renault 3.5/World Series Formula V8) hanno spezzato la maledizione.
    E nemmeno la vittoria di Fernando Alonso nell’Euro Open MoviStar by Nissan (1999) può considerarsi “valida”, giacché la serie non era realmente cadetta alla F1. Nel 2000, infatti, Alonso partecipa all’International Formula 3000 al volante della Lola B99/50-Zytek del Team Astromega, giungendo 4°.
    Anche gli ottimi campionati giapponesi susseguitesi dal 1973 (Formula 2000, Formula 2, Formula 3000, Formula Nippon, Super Formula), sebbene abbiano partorito eccellenti piloti, non hanno mai — per così dire — concesso il bis. Il vincitore di queste serie, infatti, non ha mai conquistato il titolo Piloti di F1.
    La Formula 2 vanta un passato a dir poco glorioso. Sono vetture Formula 2, in assenza di sufficienti vetture F1, a contendersi il titolo Mondiale Piloti nel biennio 1952-1953. Sono anni in cui la Ferrari 500 ed Alberto Ascari trionfano a mani basse.
    Nel 1967, viene ufficialmente istituito il Campionato Europeo di Formula 2. Dal 1967 al 1971, le monoposto debbono essere azionate da motori aspirati derivati dalla serie (almeno 500 esemplari costruiti nell’ultimo anno), frazionamento massimo fissato a 6 cilindri e di cilindrata compresa tra 1300 cc e 1600 cc.
    Nel 1972, la cilindrata dei motori sale sino a 2000 cc e gli esemplari realizzati debbono toccare almeno quota 1000, per poi scendere a 100 dal 1973 al 1975. Dal 1976 al 1984, sono ammessi anche motori “pure racing”, ossia non derivati dalla serie, ma sempre aspirati di 2000 cc e massimo 6 cilindri.
    Il primo campione europeo di Formula 2 è Jackie Ickx, al volante delle Matra MS5 e MS7, gestite dal Matra International di Ken Tyrrell e spinte dal 4 cilindri in linea Ford-Cosworth FVA.
    Campionati accesi, circuiti di prim’ordine, una varietà tecnica non seconda a quella riscontrabile nella allora F1, un irresistibile mix di team privati ed ufficiali (i medesimi impegnati in F1), scuderie che poi entreranno in F1, piloti tanto poliedrici quanto talentuosi.
    Al pilota belga succedono Jean-Pierre Beltoise (1968, Matra MS7-Cosworth FVA, Matra Sports), Johnny Servoz-Gavin (1969, Matra MS7-Cosworth FVA, Matra International), Clay Regazzoni (1970, Tecno 69 e 70-Cosworth FVA, Tecno Racing Team), Ronnie Peterson (1971, March 712M-Cosworth FVA, Smog/March Engineering), Mike Hailwood (1972, Surtees TS10-Cosworth FVA, Team Surtees; nello stesso anno, Niki Lauda vince il John Player British Formula 2 Championship ed Emerson Fittipaldi il Torneio Internacional de Formula 2 do Brasil), Jean-Pierre Jarier (1973, March 732-BMW, March Engineering), Patrick Depailler (1974, March 742-BMW, March Engineering), Jacques Laffite (1975, Martini Mk 16-BMW, Écurie Elf Ambrozium), Jean-Pierre Jabouille (1976, Elf/Alpine 2J-Renault, Equipe Elf), René Arnoux (1977, Martini Mk 22-Renault, Écurie Renault Elf), Bruno Giacomelli (1978, March 782-BMW, March Racing), Marc Surer (1979, March 792-BMW, Polifac BMW Junior Team), Brian Henton (1980, Toleman TG280/280B-Hart, BP/Toleman Group Motorsport), Geoff Lees (1981, Ralt RH6-Honda, Ralt Racing Ltd), Corrado Fabi (1982, March 822-BMW, March Racing Ltd), Jonathan Palmer (1983, Ralt RH6-Honda, Ralt Racing Ltd), Mike Thackwell (1984, Ralt RH6-Honda/Mugen, Ralt Racing Ltd).
    Il neozelandese Mike Thackwell, dunque, è l’ultimo campione europeo di Formula 2 “dell’età dell’oro”. Nel 1985, è introdotto il Campionato Europeo (poi divenuto Internazionale) di Formula 3000. Altro nome, stessa gloria.
    Christian Danner (March 85B-Cosworth, BS Automotive) inaugura l’albo d’oro dei vincitori. Al tedesco succederanno Ivan Capelli (1986, March 86B-Cosworth, Genoa Racing), Stefano Modena (1987, March 87B-Cosworth, Onyx Racing), Roberto Moreno (1988, Reynard 88D-Cosworth, Bromley Motorsport), Jean Alesi (1989, Reynard 89D-Mugen, Eddie Jordan Racing), Érik Comas (1990, Lola T90/50-Mugen, DAMS), Christian Fittipaldi (1991, Reynard 91D-Mugen, Pacific Racing), Luca Badoer (1992, Reynard 92D-Cosworth, Crypton Engineering), Olivier Panis (1993, Reynard 93D-Cosworth, DAMS), Jean-Christophe Boullion (1994, Reynard 94D-Cosworth, DAMS), Vincenzo Sospiri (1995, Reynard 95D-Cosworth, Super Nova Racing).
    Nel 1996, la Formula 3000 sposa il monomarca: è l’inizio della fine. Tra il 1996 ed il 2004 si succedono i telai Lola T96/50, T99/50 e B02/50, tutti azionati da V8 Zytek aspirati. Ad eccezione di Jörg Müller, Bruno Junqueira e Björn Wirdheim (terzo pilota Jordan e Jaguar tra il 2003 ed il 2004), gli altri vincitori di F3000 vantano GP all’attivo in F1. Si tratta di Ricardo Zonta, Juan Pablo Montoya, Nick Heidfeld, Justin Wilson, Sébastien Bourdais, Vitantonio Liuzzi.
    Formula 2 e F3000, dunque, hanno partorito autentici campioni, molti dei quali hanno brillato in F1 (e in altre categorie), vinto dei GP. conquistato podi e apprezzamenti. Altri, invece, avrebbero potuto brillare anche in F1 se solo avessero avuto tra le mani vetture più competitive e qualche opportunità in più…
    A questo campionato principale si affiancano altre serie di Formula 3000: Italian Formula 3000, Euro Formula 3000, Euroseries 3000, AutoGP. Campionati monomarca (come moderna, detestabile tradizione vuole…), che si accavallano gli uni sugli altri. Serie sovente di scarsa qualità sportiva. Tra i vincitori di questi campionati, spiccano due nomi su tutti: Felipe Massa (vincitore dell’Euro Formula 3000 del 2001) e Romain Grosjean (campione AutoGP 2010).
    La GP2 si issa, dal 2005 al 2016, quale principale serie cadetta alla F1. Ennesimo monomarca Dallara “monotutto”, tecnicamente soporifero. La serie si riscatta, però, sotto il profilo dei piloti. Rosberg, Hamilton, ma anche Nico Hülkenberg (2009), Pastor Maldonado (2010), Romain Grosjean (2011), Pierre Gasly (2016). Gli altri vincitori della serie sono Timo Glock (2007), Giorgio Pantano (2008), Davide Valsecchi (2012), Fabio Leimer (2013), Jolyon Palmer (2014), Stoffel Vandoorne (2015).
    Due i piloti italiani campioni: Pantano e Valsecchi, entrambi persi per strada.
    Il recente passato parla di una Formula 2 di nuovo in scena. Un nuovo monomarca, nuove Dallara, un nuovo “monotutto” ma fucina di giovani talenti. Nel 2017, ad imporsi è Charles Leclerc, l’anno dopo è la volta di George Russell. Nel 2019 è il turno di Nyck de Vries (bel talento ormai lontano dalla F1), a precedere il già ampiamente citato Mick Schumacher.
    Leclerc, Russell, Schumacher: “predestinati” con una “maledizione” sulle spalle. Sapranno spezzarla?
    Con il seguente link, crediamo di farvi cosa gradita. Potrete vedere, infatti, il XXXVI Marlboro Daily Express International Tropy 1984 (Silverstone), corsa inaugurale dello European Championship for F2 Drivers di quell’anno. È il 1 aprile 1984: sono previsti 47 giri per un totale di 221,746 km (circuito di 4718 m). La pole-position è firmata da Roberto Moreno in 1’14”.82, su Ralt RH6-Honda/Mugen (Ralt Racing Ltd). Completa la prima fila l’altra Ralt ufficiale, quella del futuro campione Mike Thackwell.
    I due alfieri del Ralt Racing Ltd, costruttore facente capo all’ex progettista Brabham Ron Tauranac, daranno vita ad una corsa appassionante, memorabile, epica. Il commento della gara è affidato al leggendario Murray Walker. Buona visione… LEGGI TUTTO

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    F1, l’AlbumArt regalo di compleanno di Filippo Di Mario a Schumacher

    Il suggestivo binomio di foto e pittura che racconta, emozionando, la meravigliosa saga di Michael Schumacher alla Ferrari omaggiando il grande campione tedesco è il bel regalo di compleanno confezionato dal suo cantore Filippo Di Mario.

    Il fotoreporter che ha seguito il pilota in tutta la sua lunga e gloriosa militanza nella scuderia di Maranello ha condensato nel suo “AlbumArt” 50 vivaci e colorate immagini foto-pittoriche scelte tra il ventaglio completo delle stesse illustrazioni appartenenti alla mostra itinerante “Passione Rossa e Schumacher50”, che ha riscosso molto successo tra appassionati e addetti ai lavori. Un’opera suggestiva, commovente e che testimonia il grande affetto di Filippo Di Mario verso il Kaiser costituendone un vero e proprio tributo alle sue doti di guida nonché alle indubbie qualità umane.
    L’intera realizzazione, come si ricorderà, era stata presentata a Maranello l’11 febbraio 2020, qualche ora prima della presentazione della Ferrari SF1000. «La mostra Schumacher50 – ha illustrato un emozionato Di Mario – è stato un modo per rompere quel silenzio cosi assordante che da tempo rilega Michael in una dimensione tanto triste quanto dolorosa. Dopo un anno di esposizioni, l’ultima delle quali in Germania, riscontrando tanto interesse, attenzione e profonda commozione nei visitatori, decido di non disperdere quelle opere ma di raccoglierle in un AlbumArt di grande dimensione con le pagine in tela e utilizzando materiali di alto pregio come il carbonio, la pelle vera, l’ottone, il cromo di carbonio, il legno e altro».
    Una piastra di carbonio sagomata fa da contenitore alle 62 pagine in tela dello stesso AlbumArt, composto da 50 opere più 12 pagine di testi scritti dallo stesso artista di origini messinesi e prefazioni dei giornalisti Allievi, Ciccarone, Terruzzi e Turrini. «Poi la stampa – rileva Di Mario – realizzata con un sistema innovativo miscelando agli inchiostri anche la vernice, che stabilizza l’immagine e la rende inalterabile nel tempo. Infine la rilegatura effettuata in un’unica campata che viene fissata alla piastra di carbonio con 6 viti in ottone, che riprendono il disegno dei bulloni della ruota della Ferrari con cui Michael nel 2000 conquistò il primo titolo iridato e sui quali sono incisi gli anni di tutti i titoli conquistati dal 1999 al 2004». Il cuore ha guidato Filippo Di Mario alla realizzazione del suo capolavoro: «Le opere sono 50 che ho scelto tra le più particolari e intime del racconto di Passione Rossa. Ho realizzato i primi campioni sui 50 previsti e numerati. Pertanto l’AlbumArt Schumacher50 rappresenta il completamento del mio regalo a Michael, con la speranza che un giorno non lontano anche lui possa vederlo». LEGGI TUTTO

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    Calendario Test F1 2021: le date e gli orari per preparare il mondiale

    I Test F1 invernali avranno nel 2021 un calendario ridotto a sole tre giornate: dal 2 al 4 marzo, i 10 team saranno in pista sul tracciato del Montmelò a Barcellona.

    2020 Barcelona Pre-Season Test 1, Day 1 – Wolfgang Wilhelm

    Come negli ultimi anni, anche nel 2021 i Test F1 pre-stagionali si disputeranno sul circuito del Montmelò a Barcellona in Spagna.
    A differenza però da quanto successo fino allo scorso anno, la sessione di Test F1 2021 sarà una sola: dal 2 al 4 marzo.
    I 10 Team di Formula 1 avranno quindi solamente tre giorni utili per preparare al meglio il mondiale F1 2021 che scatterà il 21 marzo con il primo Gran Premio a Melbourne in Australia.
    Calendario Test F1 2021

    2 marzo – Barcellona – 9:00-13:00 – 14:00-18:00
    3 marzo – Barcellona – 9:00-13:00 – 14:00-18:00
    4 marzo – Barcellona – 9:00-13:00 – 14:00-18:00 LEGGI TUTTO