8 Ottobre 2000, il perfect day della Scuderia Ferrari
Ci sono degli eventi che hanno un potere evocativo talmente elevato che ognuno di noi è in grado di dire dove si trovasse o cosa stesse facendo quando sono avvenuti: l’11 settembre 2001 o il 9 novembre 1989, oppure – per gli sportivi – il 9 luglio 2006, il 13 luglio 2025 o… l’8 ottobre 2000, oggi 25 anni fa.
Quando i colori dell’arcobaleno tinsero finalmente i cieli di Maranello in Italia era l’alba di una uggiosa domenica, mentre dall’altra parte del mondo, a Suzuka, Michael Schumacher tagliava il traguardo vincendo il titolo piloti colmando un’attesa di 21 anni. Ricordo dov’ero, cosa indossavo, il volume del televisore tenuto basso per non svegliare i vicini, il silenzio della casa, l’interminabile trasmissione pre-gara che non voleva saperne di finire, il troppo sonno che impediva di capire le spiegazioni sui dati emersi dal warm-up mattutino, le discutibili magliette della presentatrice Luana Ravegnini, il non sapersi decidere fra piangere e ridere durante quel dannato ultimo giro. Ci sono giorni in cui persone distanti anni luce da te fanno qualcosa che rende la tua vita più bella anche solo per un giorno, che ti fanno dimenticare la tua deprimente vita universitaria, il tuo perenne 2 novembre sentimentale, le amiche che ti usano come taxi e le facce a punto interrogativo dei tuoi genitori che ti guardano barcamenarti nei tuoi 21 anni, loro che a quell’età già avevano famiglia, mentre tu picchi i pelouche quando sbagli a ripetere gli argomenti degli esami. L’8 ottobre 2000 la mia vita è stata invidiabile e bellissima, grazie a Michael Schumacher e alla Scuderia Ferrari.
Niente streaming, niente live su blog, niente contenuti spezzettati, niente repliche, soggettive, replay istantanei o ansia condivisa nella timeline di qualche social network: se volevi vedere il Gran Premio c’era la diretta Rai, la pay tv per quelli che si davano le arie e se volevi condividere la trasmissione con qualcuno lo invitavi a casa oppure gli telefonavi, chè i cellulari non li avevano mica tutti, e poi gli sms si pagavano. Se volevi unirti al dibattito, andavi al bar, oppure commentavi la Gazzetta dello Sport con gli amici all’università e magari ti riusciva di rimorchiare qualche belloccio perché – accidentaccio! – una ragazza tifosa appassionata di tecnica era quasi una rarità. Per conferme chiedete a qualcun altro, però, perché evidentemente io ero difettosa.
Se potevi affidarti a un valido modem a 56k, potevi dire la tua nei primordiali forum che le principali testate giornalistiche iniziavano a tenere aperti per avere un contatto diretto con gli appassionati, magari qualche famoso giornalista poteva notare il tuo commento e risponderti. Io ero Laurouge – sic!- e nessuno famoso o non, m’ha mai filato di striscio.
Io avevo soltanto una raccolta di giornali sportivi, una bandiera taroccata che appendevo a mo’ di lenzuolo steso ad asciugare – per l’ilarità del vicinato – e una bandierina molto più che taroccata della Ferrari turbo ’87 che porto nella mia macchina da quasi 30 anni, oltre a una figurina da collezione di Riccardo Patrese, che negli anni ha avuto una vita propria. Che tenerezza, pensando al merchandising selvaggio che si vede oggi!
Se ripenso a cosa provavo 25 anni fa, non ricordo né ansia né patema, ma consapevolezza. Perché eravamo vicini, perché le 3 stagioni precedenti non erano state solo un supplizio di Tantalo, ma un lento e inesorabile procedere verso l’obiettivo, culminati dal Costruttori vinto l’anno prima: per qualche strana ragione, io, ragazzina all’inseguimento dell’autostima, avevo l’incrollabile certezza che quella era la volta buona, che tutto sarebbe finito o tutto sarebbe ricominciato daccapo. Il mio diario delle gioie, del resto, parlava chiaro: da qualche anno tenevo una specie di conteggio dei momenti felici, la quasi totalità dei quali erano vittorie della Ferrari che, nel corso degli anni, erano via via aumentate; si trattava di statistica, non ti semplice tifo: la vittoria, quella che aspettavamo da 21 anni, sarebbe arrivata. E la cosa era molto romantica, se si pensava che io l’ultima vittoria, nel 1979, l’avevo vista dalla culla: nel mio caso, si poteva dire davvero che l’attesa era durata una vita.
Che cosa è rimasto di quella vita 25 anni dopo? Ho i capelli rossi che ho tanto desiderato a vent’anni, ho smesso di cercare di rimorchiare i bei ragazzi parlando di motori da quando ho beccato quello giusto diciannove anni fa, da un famoso giornalista sono riuscita a farmi offrire caffè e cornetto in un bar di corso Buenos Aires, ho l’autografo di Patrese su quella celebre figurina e scrivendo su di un blog non sono diventata una scrittrice acclamata, ma ho incontrato tanta gente alla quale voler bene, una seconda famiglia. È un bel po’ di tempo che non mi esce qualche lacrima “sportiva”, ma più di uno s’è commosso leggendo le cose che scrivo.
Cosa è rimasto di quelle sensazioni, dopo 25 anni, al cospetto dell’attuale Ferrari? L’amarezza e la sconcertante certezza che le cose sono destinate a rimanere così per chissà quanto altro tempo. Non c’è supplizio di Tantalo nella Ferrari del 2025, ma horror vacui, la strisciante sensazione che, mentre gli altri innovavano, costruivano dal nulla, cadevano e si rialzavano, si dissipava un patrimonio di saper fare che, unito a un’incrollabile volontà, eccellenze tecniche e un super pilota di ghiaccio dal cuore molto tenero, ci aveva portato a ridicolizzare la concorrenza per anni. Ma il passato glorioso è ora una gabbia dorata, il presente è un gratta e vinci a vuoto e la polvere sui poster celebrativi la cosa più concreta. Il futuro? Un rassegnato “vabbè”.
Sullo sfondo, la Formula Uno è un carrozzone che si autodefinisce spettacolare dove le uniche cose che non fanno un rumore bestiale sono i motori delle macchine.
L’8 ottobre 2000 è una di quelle giornate perfette, just a perfect day, come dice la canzone, che sei fortunato a condividere con qualcuno che ami, ma che ti scaldano il cuore anche se sei da solo. Da qualche parte una bandiera ancora impregnata di aria salmastra, una collezione di ritagli di giornale, un poster impolverato e una lista di momenti memorabili mai più allungata aspettano di essere tirati fuori o che valga ancora la pena di sostituirli con qualcosa di nuovo. LEGGI TUTTO