L’australiano supera il russo 6-2, 6-4 e vince il Masters canadese, primo ‘1000’ della sua carriera. Tra le donne, a Toronto, secondo titolo consecutivo per la statunitense Pegula che in finale ha sconfitto in tre set la connazionale Anisimova
Alexei era arrivato a Montreal da 62 del mondo e torna a casa – pardon: volerà subito a Cincinnati, ma per la prima volta su un jet privato, ‘cadeau’ dell’organizzazione – con il titolo di campione del Masters canadese, il primo ‘1000’ del suo palmarès, quarto aussie dopo Pat Rafter, Mark Philippoussis e Lleyton Hewitt, l’ultimo a riuscirci nel 2003 (a Indian Wells). Popyrin è, inoltre, il vincitore con il secondo ranking più basso nella storia del National Bank Open, preceduto dallo svedese Mikael Pernfors (n. 95 nel 1993); e il clamoroso balzo in classifica è da canguri doc: salta al numero 23, 39 posizioni scalate in un lampo (a proposito, per una volta il cielo è stato clemente in Québec: non ha piovuto!). Proprio lui, che non era mai stato in top-30 e adesso si ritrova testa di serie allo US Open. Una settimana da dio (“la più bella della mia carriera”) per il ragazzo, aperta il 7 agosto da un comodo successo sul ceco Machac e sigillata nella notte italiana appena trascorsa con un altrettanto agevole (ma del tutto imprevisto, stavolta) trionfo su un Andrej Rublev irriconoscibile, un tigrotto spelacchiato rispetto al leone visto con Jannik Sinner e Matteo Arnaldi tra quarti e semifinale. Un match mai in discussione, in cui il gigante di Sydney (è alto 1,96) non ha sbagliato nulla, chiudendo con un perentorio 6-2, 6-4.
Cavalcata trionfale
Ma è stato il cammino del 25enne globetrotter australiano – e, ne va da sè, i rivali che ha battuto – a impressionare: i due mezzi miracoli con Grigor Dimitrov (n.9 ATP) al terzo turno dopo aver salvato tre match point e ai quarti con Hubert Hurkacz (n.7), sotto di un set e di un break; le prove di forza con Ben Shelton (n.14, al 2° turno) e in semifinale con Sebastian Korda, pur sempre il n.15 del circuito. Cinque top-20 silurati in serie com’era riuscito solo a Holger Rune a Bercy nel 2022.
Rublev e le sue montagne russe
Alla sesta finale in un 1000 (con due affermazioni: nel 2023 a Montecarlo e Madrid ’24) e tornato grande, 6° in graduatoria, eppure dominato il moscovita. Da incubo nel primo parziale (pronti, via: break!) e un po’ troppo nervoso ormai nel secondo per pensare di rimediare: bravo, sì, a recuperare da 3-1 a 3-3, ma imperdonabile nel settimo game, quando concede tre cioccolatini e subisce l’inevitabile contro-break (con annessa pedatona di rabbia a un tabellone pubblicitario). Più mobile, Popyrin, di quella leggerezza tipica dell’underdog; e, soprattutto, più preciso al servizio (Rublev, implacabile con gli Azzurri, si è fermato al 44% di prime in campo e 16 vincenti, contro il 59% e i 31 dell’avversario).
Popyrin e l’Italia
Nato in Australia, ma da genitori russi sempre in giro per lavoro, Alexei ha imparato presto a stare al mondo: Dubai, poi la Florida (dove muove i primi passi nel tennis all’Academy di Bollettieri), quindi Spagna, Francia e Italia, allievo di Riccardo Piatti al Bordighera Lawn Club 1878 tra il 2011 e 2012; per approdare, infine, all’Académie Mouratoglou, in Costa Azzurra. Da juniores, nel 2017, vince il Trofeo Bonfiglio e il Roland Garros, salendo al numero 2 della classifica mondiale under 18, con immediato passaggio tra i pro. Due i titoli in bacheca prima di Montreal: Singapore ’21 (anno in cui ha sconfitto Sinner, a Madrid, nel loro unico precedente) e Umago ’23, ai danni di Aleksandr Bublik e Stan Wawrinka. Tre finali, tre vittorie!
Masters femminile: Pegula ancora campionessa
A Toronto, nel frattempo, andava in scena la finale del Masters femminile tra l’americana Amanda Anisimova e Jessica Pegula, che ha prevalso sulla connazionale con il punteggio di 6-3, 2-6, 6-1, confermandosi campionessa dopo la gioia dell’anno scorso. Impresa che, purtroppo, non è riuscita al nostro Jannik.
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