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    Ciclismo, via del Tour de France dall' Italia: vertice a Bologna

    ROMA – Il via del Tour de France in Italia nel 2023 o nel 2024. E’ un ipotesi che sta girando da qualche tempo ma che prende sempre più piede. Di quella che sarebbe la prima partenza della Grande Boucle dall’Italia si è parlato a Bologna, nella sede della Regione Emilia-Romagna, in un incontro fra il presidente Stefano Bonaccini, il sindaco del Comune e della Città Metropolitana di Firenze, Dario Nardella, il presidente di Apt (Azienda promozione turismo) Emilia-Romagna e supervisore delle nazionali italiane di ciclismo (nonché ct della nazionale maschile) Davide Cassani, e il direttore del Tour de France, Christian Prudhomme.Al centro del colloquio, dunque, la partenza in Emilia-Romagna e il passaggio a Firenze: già prenotate da Danimarca e Saint-Etienne le grandi partenze 2021 e 2022, si lavora per il primo slot disponibile, il 2023, e in alternativa il 2024. Un’iniziativa legata alla grande tradizione del ciclismo italiano, con personaggi che il Tour lo hanno vinto e che hanno fatto la storia di questo sport come Fausto Coppi, Gino Bartali, Ottavio Bottecchia, Gastone Nencini, Felice Gimondi, Marco Pantani e Vincenzo Nibali.  LEGGI TUTTO

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    L'ultima bici di Fabio Casartelli

    La bici è là, legata al soffitto con una catena. È una Caloi del 1995, non ha più il suo numero, il 114. Un cimelio, tra i cimeli nel santuario della Madonna del Ghisallo, la cappella dei ciclisti. Il 18 luglio, il giorno dell’81° compleanno di Gino Bartali e della 15ª tappa del Tour de France 1995, la Saint Girons-Cauterets, quella bici apparteneva a Fabio Casartelli. È blu e rossa, immobile, a pochi centimetri dal tetto della cappellina. «Non si sa chi è caduto per primo» inizia così Gianni Mura, il giorno dopo su Repubblica, «se Rezze o Casartelli». La televisione mostra un rivolo di sangue sotto il corpo del ragazzo italiano. Baldinger, caduto anche lui, fatica a rialzarsi. Gianluigi Stanga, il ds della Polti, gli si avvicina, lo sorregge e vede il bianco dell’osso spuntargli dalla gamba.L’incidente, il monumento, il ricordoCasartelli giace, ed è l’unico a non dare segni di vita. Dirà anni dopo Johan Museeuw: «Ho provato a risollevarlo, ma non si alzava. Corsi via e per tanto tempo ho avuto gli incubi. Volevo smettere». Grave caduta, dice Radio Tour. «In genere dice solo “caduta”» ancora Mura. La bici rossa e blu è riversa, come raggomitolata su se stessa, poggiata su un fianco, sulla discesa del Portet d’Aspet. Chiunque passi di là, oggi, può fermarsi accanto alla stele, una ruota di bici, un’ala d’angelo, tutto bianco, sommerso di fiori e borracce. Un piccolo santuario, anch’esso. Non si sveglierà più Fabio. Il suo cuore si fermerà tre volte in elicottero, verso Tarbes. Adriano De Zan, in telecronaca, mentre la tappa supera il Tourmalet e arriva a Cauterets in una festa ignara e vergognosa, fa lungamente silenzio, dopo aver dato la notizia a tutta Italia: «Leggo sul computer che Fabio Casartelli è morto». Vittorio Adorni, accanto a lui, aggiunge: «Lo sapevamo, ma non eravamo sicuri» e prosegue, da solo, per qualche minuto, De Zan è accanto e si sente che piange, si sente che non ce la fa. Era morto, a 25 anni, il campione olimpico di Barcellona ’92, un velocista che prometteva bene ma non aveva raccolto ancora molto.Una moglie, un figlioAveva un figlio di due mesi, Marco, che adesso ha 25 anni. Fabio ne avrebbe esattamente il doppio, se non avesse incontrato del ghiaino sulla strada e un paracarro che gli spaccò la testa. Annalisa, la moglie, vive a Forlì, fa la barista, s’è risposata con un vecchio compagno delle elementari. Marco studia. Il ciclismo non l’ha mai praticato e mai è stato nell’ambiente. Il papà non lo ricorda. Annalisa ebbe un sussulto: un mese prima, con la Motorola in ritiro a Livigno, sfidò i medici che le sconsigliavano di portare un neonato a 1800 metri di altitudine e fece incontrare Fabio e il piccolo Marco. Fu l’ultima volta. Casartelli tornò ad Albese con Cassano, il suo paese, in una bara di legno. Oggi ci saranno una messa in ricordo, senza Annalisa e Marco, ma con i genitori di Fabio, e una serata, con alcuni amici, tra cui Marco Saligari e Andrea Peron. Il Comune di Albese è bardato con uno striscione con Fabio in maglia azzurra e con la medaglia d’oro al collo. Le braccia alte, il sorriso largo. Quel giorno festeggiarono anche l’argento, l’olandese Dekker, e il bronzo, il lettone Ozols. Mai visto un arrivo così, con tre uomini che festeggiano. Il più felice era lui. Sulla bici al muro un cartello: “Bicicletta di Fabio Casartelli, 18 luglio 1995, Col de Portet d’Aspet (Francia)”. Prima della data, una piccola croce. LEGGI TUTTO

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    La morte di Fabio Casartelli al Tour de France 1995

    Venticinque anni dopo l’incidente e la morte di Fabio Casartelli durante la quindicesima tappa del Tour de France 1995 da Saint Girons a Cauterets, la memoria, per chi ama il ciclismo anche solo da una poltrona nel salone di un appartamento, è viva e terribile. La dinamica della caduta di gruppo a quella curva a sinistra del Colle di Portet d’Aspet, la sensazione subitanea di qualcosa di grave e definitivo nel vedere gli altri ciclisti rialzarsi o comunque muoversi e Casartelli steso quasi rannicchiato e immobile sull’asfalto, le prime notizie in qualche modo confortanti, le immagini della testa della corsa con Richard Virenque in maglia a pois solo al comando, e il paesaggio davanti al francese che diventa quasi lunare mentre Adriano de Zan con la voce rotta dalla commozione annuncia che invece è tutto finito.

    Fabio Casartelli era di Como, ci era nato il 16 Agosto 1970. L’amore per la bicicletta gli era stato tramandato dal papà, ciclista dilettante, e ci si era dedicato dall’età di 9 anni. Una rapida ascesa nel mondo dei dilettanti, costellata di successi nella Coppa Cicogna, nel Trofeo Minardi e nel trofeo dell’Unione dei Circoli Sportivi Sloveni in Italia (meglio conosciuto come Trofeo ZSŠDI), e il coronamento con la chiamata alle Olimpiadi di Barcellona del 1992. Il 2 Agosto, nella gara di corsa in linea, Casartelli vinceva la medaglia d’oro, 24 anni la vittoria di Pierfranco Vianelli alle Olimpiadi di Città del Messico del 1968, precedendo sul traguardo l’olandese Erik Dekker medaglia d’argento e il lituano Dainis Ozols medaglia di bronzo.Passato al mondo dei professionisti nel 1993, Casartelli si era accasato presso l’Ariostea, vincendo la nona tappa della Settimana Ciclistica Lombarda e piazzandosi in tre tappe del Giro di Svizzera. Partecipa anche al Giro d’Italia, piazzandosi alla fine al 107° posto.Nel 1994, passato nella ZG Mobili, ancora grandi giri, sia quello d’Italia che il Tour de France, dai quali si ritira abbastanza presto.Nel 1995 il passaggio alla Motorola. Casartelli arriva secondo nella prima tappa del Giro della Bassa Austria, terzo nella seconda tappa della Vuelta a Murcia e terzo nella settima tappa del Giro di Svizzera. E il 1 Luglio inizia la sua avventura al Tour de France
    Nella Motorola Casartelli corre con grandi ciclisti, quali lo statunitense Lance Armstrong, il canadese Steve Bauer, il colombiano Álvaro Mejía e l’italiano Andrea Peron, suo compagno di stanza. Le tappe si succedono senza particolari problemi per Casartelli, e in generale gli Italiani si stanno comportando bene; Mario Cipollini e Marco Pantani hanno vinto due tappe a testa, una ne ha vinta Fabio Baldato, la Gewiss-Ballan ha portato a casa la quarta tappa a cronometro, Ivan Gotti è stato per due giorni Maglia Gialla.Dopo un giorno di riposo si arriva il 18 Luglio 1995 alla quindicesima tappa, una delle pirenaiche, da Saint Girons a Cauterets. Durante la discesa a 80 Km/h dal Colle di Portet d’Aspet, all’altezza di Ger de Boutx si verifica una caduta all’altezza di una curva a sinistra, innescata dalla precipitazione in una scarpata del francese della Aki-Gipiemme Dante Rezze che riporta la frattura di un femore. Rimangono coinvolti nella caduta l’italiano della Brescialat Giancarlo Perini, il belga della Mapei-GB Johan Museeuw e l’olandese della ONCE Erik Breukink che riescono a ripartire; il tedesco della Polti-Granarolo-Santini Dirk Baldinger che si rompe il bacino; e Casartelli, che picchia violentemente la testa su un paracarro e rimane privo di conoscenza. Gérard Porte, medico del Tour, presta immediatamente i soccorsi all’italiano che viene portato in elicottero all’ospedale di Tarbes. Durante il viaggio Casartelli subisce tre arresti cardiaci e arriva in ospedale in coma irreversibile. I gravissimi danni riportati rendono vano ogni tentativo di rianimazione. Alle 14.00, due ore dopo la caduta, Fabio Casartelli muore.Il giorno dopo la sedicesima tappa viene neutralizzata con il passaggio contemporaneo sul traguardo dei ciclisti della Motorola, e di tutti gli altri in gruppo a seguire. Il giorno dopo ancora Armstrong vince la diciottesima tappa: mentre taglia il traguardo solleva l’indice di entrambe le mani al cielo, in un’ideale dedica al compagno di squadra scomparso.
    L’incidente di Casartelli riaccende la polemica nel mondo del ciclismo sull’opportunità o meno di indossare caschetti a protezione della testa da parte dei ciclisti. Alcuni passi in avanti vengono fatti, ma sarà solo dopo la morte del kazako Andrej Kivilëv il 12 Marzo 2003 in seguito alle ferite riportate il giorno prima in seguito a una caduta durante la terza tappa della Parigi-Nizza che il caschetto verrà reso obbligatorio.

    La Fondazione Fabio Casartelli, nata poco dopo la morte del ciclista italiano, ha istituito a partire dal 1998 ad Albese con Cassano (Como) una mediofondo non agonistica rivolta a cicloamatori e cicloturisti. Un giusto omaggio alla passione propria del ciclista comasco. Un modo per celebrarne la vita perché, come sempre affermato dalla moglie Annalisa Rosetti, sarebbe bene ricordare Fabio Casartelli non come il ciclista morto al Tour de France, bensì come il vincitore dell’Olimpiade di Barcellona. E da sempre la vita si celebra con i momenti belli. O con i loro ricordi. LEGGI TUTTO

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    Ciclismo, Nibali ricorda Giovanni Iannelli: “Mettete sempre le transenne”

    Vincenzo Nibali sta lavorando sulle Dolomiti in vista della ripresa dell’attività agonistica. Il siciliano, con i compagni della Trek-Segafredo, è sul Passo San Pellegrino da circa una settimana. La costruzione della nuova stagione, che per lui prenderà il via ufficialmente con la Strade Bianche del 1° agosto, procede bene. “Pedalare con i miei compagni mi fa sentire più forte” ha scritto Nibali su Facebook, “mi mancava tantissimo questa sensazione. In ritiro, tra le Dolomiti, stiamo lavorando per creare il miglior meccanismo di squadra. Solo insieme riusciremo, nei prossimi mesi, a costruire qualcosa di importante #WeAreATeam. Con Nibali, sul San Pellegrino, ci sono anche il fratello Antonio, Giulio Ciccone, Gianluca Brambilla, Nicola Conci, Jacopo Mosca, Pieter Weening. Questa, con uno tra De Kort e Bernard, sarà la formazione che affronterà anche il prossimo Giro d’Italia (3-25 ottobre).”Per Giovanni Iannelli”In un altro post molto intenso, Nibali ha sposato l’iniziativa di Carlo Iannelli, papà di Giovanni, il 22enne toscano morto in corsa nell’ottobre 2019 durante una gara regionale a Molino dei Torti (Al). Iannelli ha chiesto alla Federciclismo di dedicare la maglia bianca di miglior giovane del prossimo Giro Under 23 al figlio. Sulla morte di Giovanni, Carlo Iannelli sta conducendo una battaglia giudiziaria: il figlio morì nell’ottobre scorso dopo lo scontro con una colonnina di mattoni non segnalata e non protetta, posta a bordo strada a meno di cento metri dall’arrivo, in un tratto non transennato. Il risultato del Circuito Molinese fu anche omologato. Così Nibali: “Paradossalmente la storia di Giovanni mi lega a una sottile linea… Nel mio caso meno grave, quando qualche anno fa, in una tappa del Tour de France, mi procurai una grave frattura. Nel secondo caso invece la situazione è stata molto più tragica, purtroppo costa cara la vita di Giovanni. Il mio pensiero è racchiuso in una semplice frase detta nel mio gergo !! Mettetele queste minchia di transenne, a pagarne maledettamente le conseguenze alla fine siamo solo noi e le nostre famiglie, e in alcuni casi anche il pubblico. Codeste sono l’unica cosa che ci protegge. Vi chiedo di poter condividere la richiesta di Carlo, affinché il ricordo di Giovanni resti vivo tra di noi”. LEGGI TUTTO

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    Ciclismo, pedalare e fare del bene: nasce 2+Milioni di km

    Pedalare e fare del bene. È con questo obiettivo che nasce l’iniziativa ‘2+Milioni di km’, ideata e organizzata da Bikevo con la partnership della Federazione Ciclistica Italiana. La corsa nasce proprio a scopo benefico, a favore di Dynamo Camp per le sue attività di terapia ricreativa offerte ai bimbi con patologie gravi e croniche, e dell’attività ciclistica giovanile. La presentazione è avvenuta alla presenza, tra gli altri, del presidente del Coni Giovanni Malagò, della Fci Renato Di Rocco e del coordinatore delle Nazionali di ciclismo Davide Cassani.Il claim dell’iniziativa recita ‘L’Italia in sella a supporto dei giovanì: “Quando si parla di giovani – ha spiegato il presidente della Fci Di Rocco – c’è sempre l’apprezzamento della Federazione. È importante dare speranza e fiducia verso il futuro. Sono contento perché è la prima gara che da presidente approvo dopo il lockdown. Abbiamo 3.000 società che sapranno fare la loro parte, ridiamo entusiasmo e luce anche al ct Cassani”.L’iniziativa si svolge dal 26 settembre al 4 ottobre, a cavallo tra i Mondiali di ciclismo e il Giro d’Italia, dove “l’uomo da battere sarà Vincenzo Nibali”, si dice sicuro Cassani, secondo il quale “quella che presentiamo oggi è veramente una gran bella iniziativa, il ciclismo è lo sport ideale per lanciare una richiesta di aiuto. È molto bello pedalare per il proprio benessere ma allo stesso tempo pensando che tutte quelle pedalate possono portare beneficio per gli altri. Andiamo ad aiutare il mondo giovanile del ciclismo e Dynamo Camp”.Tutti possono partecipare all’evento e confermare la propria iscrizione donando la cifra simbolica di 2 euro. Ad iscrizione effettuata, si riceverà il pettorale da utilizzare durante la propria uscita. Non è importante il mezzo, tantomeno il livello di preparazione. L’importante è contribuire tutti insieme per raggiungere l’obiettivo di ‘2+ Milioni di Km’. I partecipanti dovranno registrare i km percorsi in una delle modalità previste e trasformarli in una donazione. Il ricavato sarà interamente devoluto a sostegno delle attività di Dynamo Camp e della Fci.”Il lockdown – ha dichiarato Vincenzo Manes, fondatore di Dynamo Camp – per noi è stato un vero e proprio shock, ma abbiamo reagito in maniera straordinaria con i Camp digitalizzati e poi abbiamo preso una strada di grande coraggio decidendo di riaprire il Camp come sempre all’inizio di giugno, dove questa volta abbiamo ospitato realtà che non ci erano mai state: ragazze madri, case famiglia, quelli che sono veramente gli ultimi”. Plauso anche da parte del presidente del Coni Giovanni Malagò, il quale ha assicurato anche la presenza di alcuni atleti dell’Italia Team: “Una bellissima idea – ha spiegato il capo dello sport italiano – che unisce la passione per le due ruote a un contributo nobile. Finalmente oggi parliamo di una bellissima iniziativa di sport. Il Coni sarà sempre al vostro fianco”. LEGGI TUTTO

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    Doping, atleti Gb usati come cavie per sostanza sperimentale a Giochi 2012

    Gli atleti olimpici britannici sarebbero stati usati come cavie per testare una sostanza sperimentale in un progetto segreto costato centinaia di migliaia di sterline di denaro pubblico nel tentativo di migliorare le loro prestazioni durante i Giochi olimpici di Londra 2012. Lo rivela l’edizione odierna del Daily Mail.Il comitato olimpico britannico avrebbe costretto gli atleti a firmare liberatorie a propria discolpa se qualcosa fosse andato storto e preso accordi in modo da impedire agli atleti di parlarne. Ma alcuni documenti pubblicati dal Mail on Sunday mostrano come 91 sportivi britannici di livello mondiale in otto sport olimpici siano stati sottoposti al trattamento, che consisteva nell’assunzione di una bevanda energizzante, il DeltaG.  La sostanza, una versione sintetica di un acido corporeo naturale, i chetoni, è stata originariamente sviluppata da scienziati dell’Università di Oxford con 10 milioni di dollari di finanziamenti da parte del Dipartimento della Difesa americano in modo che le forze speciali statunitensi potessero operare più a lungo dietro le linee nemiche pur a corto di viveri. I chetoni sono composti organici prodotti dal fegato in mancanza di carboidrati per bruciare grassi, sfruttati anche in alcune diete dimagranti.UK Sport, l’agenzia governativa responsabile del finanziamento dello sport olimpico e paralimpico in Gran Bretagna, ha prodotto un “foglio informativo per i partecipanti” per accompagnare la domanda di progetto che recita così: “UK Sport non garantisce, ma promette e assicura che l’uso della bevanda chetonica è assolutamente conforme al codice antidoping mondiale e quindi esclude se stessa da ogni responsabilità. La WADA potrebbe raccogliere campioni di sangue o testare retrospettivamente vecchi campioni. Ciò può verificarsi se questa storia diventasse di dominio pubblico. Tuttavia la chetosi è uno stato fisiologico temporaneo e sarebbe difficile da dimostrare o testare con qualsiasi campione post-evento.”Lo scorso anno, durante il Tour de France, era emerso che la Jumbo-Visma, la formazione olandese del numero uno delle classifiche Uci Primoz Roglic, stesse usando una bevanda miracolosa a base di chetoni. Le prestazioni, secondo alcuni studi, migliorerebbero del 15%. L’uso dei chetoni non è comunque illegale, anche se all’interno del mondo del ciclismo c’è grande discussione sulla loro liceità. LEGGI TUTTO

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    Ciclismo, la storica foto di Coppi, Bartali e la borraccia: ma non erano soli

    Coppi, Bartali, la borraccia e il Galibier. Era il 6 luglio 1952, il Tour, la tappa Bourg d’Oisans-Sestriere. L’immagine apparve per la prima volta sul numero 28 della rivista Ciclismo illustrato. Coppi passa la borraccia a Bartali o viceversa, non s’è mai capito e forse non importa. Ma, ed è la prima volta che questa storia emerge, Coppi e Bartali non erano soli. La foto era semplicemente stata tagliata sui due grandi italiani. Alla sinistra di Coppi, infatti, ecco emergere il belga Stan Ockers, proteso alla ricerca di acqua. Alle loro spalle, le ombre di altri corridori, Ruiz, Gelabert e Geminiani. E all’attacco, con un minuto di vantaggio, il francese Le Guilly. La foto tagliata sul Ciclismo IllustratoCondividi   LEGGI TUTTO

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    Ciclismo, Froome lascia la Ineos

    Un comunicato ufficiale del team Ineos ha messo fine alla storia d’amore e di vittorie tra Chris Froome e l’ex Sky: «A fine stagione il contratto non verrà rinnovato». Secco, essenziale, atteso eppure brutale nella sua lapidarietà. La notizia è che, comunque, il contratto di Froome non si arresterà al 1° agosto, ipotesi già emersa in precedenza, che aveva dato il la a una serie di ipotesi sulla nuova destinazione del quattro volte vincitore del Tour de France. Un minuto dopo il comunicato della Ineos, ecco quello della Israel Start-Up Nation: “Chris sarà un nostro nuovo corridore dal 1° gennaio”. Una svolta attesa, a conferma di voci che inseguivano da almeno un mese. Il gruppo sportivo israeliano, foraggiato dal magnate canadese Sylvan Adams, ha messo a segno un colpo sensazionale.A 35 anni, con un Tour davanti da vincere per entrare nel “club dei 5”, il Kenyano bianco si trova comunque di fronte a un muro e sarà molto difficile, a questo punto, che abbia un team tutto a sua disposizione per l’assalto alla Grande Boucle. Tanto più che la Ineos trabocca di capitani: Egan Bernal e Geraint Thomas scalpitano. Che sia in dubbio persino la presenza di Froome al prossimo Tour? Saranno settimane complicate per Sir Dave Brailsford. Che oggi dice solo: «Crediamo sia la decisione giusta. Chris ha diritto ad avere garantita la leadership in un team, cosa che noi non possiamo garantirgli». In maglia Sky Froome ha vinto tutto quel che ha vinto nella sua spettacolare carriera: 4 Tour, un Giro, una Vuelta, 46 vittorie dal 2011 fino al Giro 2018, l’ultima, la più bella e incredibile. Meno fortunata la sua carriera dopo il cambio di denominazione e colori. In maglia Ineos ebbe il terribile incidente nella ricognizione della crono del Delfinato, nel giugno 2019. Fratture multiple agli arti, lesioni al fegato, problemi a non finire per rimettersi in bici. Era tornato, a febbraio, ma le prime pedalate avevano acceso il campanello d’allarme: sarà ancora lo stesso Froome? Con la sua decisione Brailsford si è dato una risposta. Diversa da quella di Froome: «Sono focalizzato sulla conquista del mio quinto Tour con Ineos. La mia carriera comunque proseguirà e sono molto eccitato nel pensare alle nuove sfide che mi attendono».  LEGGI TUTTO