TORINO – Non si poteva giocare con serenità, non si poteva giocare pensando al miracolo, poveri azzurri, perché più pensi al miracolo e più combini guai perché l’adrenalina non funziona come dovrebbe, sei contratto anziché decontratto, distratto anziché lucido. Non si può giocare sapendo che non ti è concessa alcuna distrazione, nemmeno la più piccola. Saremmo dovuti stare su tutte le diagonali giuste, avremmo dovuto intuire ogni direzione dei servizi e siccome si stava costruendo un miracolo ci sarebbe stato bisogno di giocatori capaci di raggiungere le palle sporcate dalle mani dei muri che nessuno raggiunge e di giocatori abituati a giocare partite estreme, terminali, in cui ogni punto vale doppio, anzi vale tutto. Ma non ne avevamo. Erano carichi ma spaventati: non erano riusciti evidentemente a farsi sedurre dall’illusione di poter compiere l’impresa.
E così la partita del dentro o fuori è durata niente, la miseria di venticinque minuti, il tempo di perdere il primo set, durante il quale la Polonia, campione del mondo in carica e probabilmente più forte degli azzurri, ha amministrato soprattutto il suo vantaggio psicologico, quel sentirsi quasi inarrivabile perché anche loro si erano fatti i conti, anche loro sapevano bene, o quanto lo sapevano, che l’Italia, pur forte, pur imbattuta sino allo schianto contro la Serbia, pur sostenuta dal fantastico pubblico di Torino, aveva le mani tremanti di un gruppo che si era accorto (senza darlo a vedere) di aver perso tutta la sua ammirevole baldanza, perché la Serbia gli aveva bruciato con un solo falò, o un falò diviso in tre (set) tutte le speranze alimentate dalle prestazioni precedenti.
Una squadra che trova il bandolo della matassa la riconosci subito: parte forte, dall’altra parte della rete manda messaggi aggressivi a catinelle, dimostra nei primi minuti di non soffrire le bombe sul servizio o i muri (veramente alti quelli dei polacchi). La squadra che tentenna invece manda segnali anche lei, ma non li controlla, non sa cosa contengono e alla fine è lei a subire il primo, fatale allungo che la fa precipitare sotto di quattro punti (3-7), e con una botta emotiva supplementare: perché gli ultimi due punti della fuga polacca provengono da due ace “intoccabili” o appena “sporcabili”.
La piccola rimonta azzurra si ferma con due errori da tensione, anch’essi figli del disagio complessivo: un attacco senza muro avversario finito fuori e poco dopo un bagher sbagliato da Zaytsev. Cose che non si dovrebbero vedere, in teoria. Se non fosse la partita in cui conta più la parte invisibile: ciò che sta dentro i giocatori, la somma delle loro paure e dei loro dubbi. Il set finisce tanto a poco: 25-14. Era uno dei risultati che si sognava di imporre alla Polonia nel caso si fosse vinto in tre set. Ma ormai sono solo chiacchiere.
I set successivi sono stati i set dell’onore e dell’amore per la maglia, ma in pratica sono stati poco più di un allenamento agonistico (con la Polonia 2 in campo) abbellito dall’innocua fantasia di sconfiggere comunque i campioni del mondo (anche per tributare la giusta riconoscenza al pubblico). Domani la Polonia giocherà la sua semifinale con gli Stati Uniti (21.15 Raidue). A quell’ora gli azzurri saranno già tornati a casa, qualcuno avrà anche disfatto le valigie con una gran voglia di farsi una birra guardando la tv, ma senza guardarla sul serio. Qualche giorno di vacanza sarebbe gradito. Ma non è detto. Di sicuro l’Italia esce a testa alta ma anche con un’esibizione dei propri limiti che magari può tornare utile: ci sono cose da migliorare nella costruzione della personalità del gruppo, forse sarà necessario rivedere la rosa.
Intanto è già iniziato il reclutamento federale e dei grandi club per cominciare a individuare i piccoli che potrebbero diventare grandi, in giro per il paese. Gli appuntamenti li conosciamo: gli Europei del 2019 e i Giochi di Tokyo. Aspettando di vedere chi vincerà questi Mondiali e poi spostandoci sui Mondiali femminili, arriveremo all’inizio del nostro campionato, la Superlega, che inizierà il 13 ottobre con l’anticipo della 1ª giornata Ravenna-Milano. Molti dei campioni che abbiamo visto a Torino li rivedremo con altri colori nel nostro volley: a Torino rivali per nazione, in Superlega spesso compagni per città.