L’atmosfera che si respira quando si è a colloquio con Matteo Meschiari è fatta di tensione positiva e di enorme potenzialità. Siamo di fronte ad un giovane indubbiamente interessantissimo, con anni di scuole di primissimo livello (leggi Milano, citofonare Allianz) e con una capacità esplosiva anche a livello motivazionale piuttosto alta. Eseguita la diagnosi, non resta che individuare la destinazione e siamo in tal caso di fronte ad una realtà come la Sarlux Sarroch che fa rima con progettualità, isola-mento strategico, perché il mare prepara alla battaglia in maniera totalitaria, e ambizione. Ai nastri di partenza della nuova A3, Meschiari risponde all’appello con l’entusiasmo che lo contraddistingue, e lo fa in un anno decisamente da banco di prova non solo per lui.
Cosa porta Meschiari a mischiare la propria carriera con il sapore di Sardegna?
Il pedigree di Meschiari certifica la sua provenienza milanese. Possiamo dirlo?
Dopo Milano, domanda da avvocato del diavolo, gli anni successivi sono esattamente quelli che lei avrebbe desiderato?
Il passato a Sarroch torna imperterrito. Sulla panchina ora siede Camperi, secondo di Piazza ai tempi di Powervolley.
A proposito di avventure, in questi anni ha fatto parte anche della sua vita il progetto azzurro.
Ricordo un Meschiari emozionatissimo.
Di quel gruppo facevano parte molti giocatori che oggi calcano il palcoscenico della Superlega. Cosa prova Meschiari? La soddisfazione di aver condiviso una parte della vita pallavolistica con loro?
Di Roberto Zucca