Con la mente e con il cuore, quando ho visto Andrea Giani incapace di trattenere l’emozione di fronte al traguardo storico della sua prima medaglia d’oro olimpica, sono tornato a quel primo pomeriggio del 1996, quando tutti noi, sintonizzati su Raidue, ricordiamo le lacrime di diversa natura dello stesso Andrea dopo l’ultima palla caduta a favore dell’Olanda e il conseguente argento della nazionale italiana.
Il metaverso della vita stavolta ha rovesciato le regole, catapultato le emozioni, tanto che ventiquattro ore dopo il suo maestro, Julio Velasco, che sedeva in panchina per quell’argento olimpico che la nostra generazione, inventrice della nostalgia, difficilmente dimentica, si è aggiudicato la medaglia più ambita della pallavolo femminile.
Un dettaglio, da perfetto , che trascuro e spero trascuriate anche voi è che Velasco abbia vinto vestendo i colori della nazionale azzurra, mentre Giangio abbia ottenuto la sua prima medaglia da tecnico della Francia. È una sfumatura del racconto, se mi permettete, perché gli eroi veri non hanno nazione, e perché i miti dello sport, come lo è Andrea Giani da quando possiedo memoria (avevo sette anni e quella pagina pubblicitaria che è il suo spot della Maxicono resta uno dei momenti più iconici degli anni ’90), restano tali a prescindere dalla bandiera e dall’appartenenza.
Sono trascorsi due lunghi mesi da quel pomeriggio. Andrea è in Polonia, con la propria famiglia, perché le circostanze della vita (non anticipo troppo) lo hanno portato ad allenare lo Zaksa e proprio nella nazione che ha sconfitto nella finalissima. È il destino, sono gli incroci, è il crossroaddella vita, come diciamo io e lui.
Mi rendo conto sia molto difficile toccare certe corde, perché essere colui che gioca l’ultimo punto nel 1996, è stato un fantasma che ha portato dietro tutta la vita. Dopo l’oro conquistato in panchina, si riesce a far pace con quello scheletro nell’armadio?
Credo che l’aggettivo ‘personale’ sia il più corretto per descrivere il suo 10 agosto.
Julio Velasco. Lei ha detto scherzosamente che è riuscito a vincere qualche ora prima di lui.
A Velasco è stato attribuito il merito di aver saputo gestire il gruppo. Possiamo dire che Giani ha fatto lo stesso straordinario lavoro nel maschile in Francia?
Giocare le Olimpiadi in casa per loro, cosa ha significato per Giani?
L’emozione dei suoi di giocare dinanzi al proprio popolo?
L’incrocio in semifinale con l’Italia?
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Dopo quella partita a Flavio Vanetti del Corriere della Sera lei ha parlato della questione del doppio incarico. Cosa c’era in quell’appello Andrea?
Lei cosa propone?
Torniamo agli incroci della vita. Primi mesi in Polonia, la nazione a cui lei ha sottratto l’oro olimpico. Mi faccia sorridere.
Come ha trovato la Polonia del volley?
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Ha portato la famiglia con sé. Mi sembra felice Giani.
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Di Roberto Zucca