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L’intervista a Banchi
Che programmi aveva?
«Riposare e dare una mano a casa, mancavo da più di due mesi. Mi sembra giusto dedicare attenzione a chi vuoi bene e come te fa tante rinunce».
Come hanno reagito a casa?
«In modo contrastante, tra la sorpresa immediata ma anche tanta soddisfazione».
Bologna, Barcellona per la riunione dei coach di Eurolega, di nuovo Bologna per i primi allenamenti, ora Brescia in Supercoppa. Non doveva riposare?
«Ho dormito pochissimo per sfruttare ogni singolo momento e raccogliere più informazioni possibili. Non voglio essere un rallentamento per la squadra».
E’ nuovo momento d’oro della sua carriera?
«Ho vinto scudetti, certo questa chiamata ha un sapore particolare perché legata a risultati inattesi. Pesaro, Strasburgo, Lettonia, mentre a Siena e Milano si partiva con quelle ambizioni».
Si riconosce il coraggio di aver fatto scelte non scontate?
«So quanti rischi mi sono preso, grazie all’esperienza accumulata potevo permettermelo».
La statua a Riga è pronta?
«Era una fake new, però diventare un simbolo, da straniero, è davvero bello. Spero di continuare a renderli orgogliosi. Non immaginavano esistesse una scuola tecnica tale da godere del vantaggio di avere un allenatore italiano».
Ci sono stati momenti difficili, in cui ha pensato di non avere più certe occasioni?
«Lo vivevo con tranquillità, senza sentirne il peso. Ho dato il giusto valore a ogni cosa, anche ad altre priorità, gli affetti prima di tutto»
E’ stato anche un grande avversario, cos’era la Virtus prima di arrivarci?
«Una contendente quando ero a Siena e Milano. Un riferimento e un modello, l’occasione per mettersi alla prova contro i migliori. Il sogno e il desiderio un giorno di essere al loro posto. Ho avuto la fortuna che accadesse».
Non ha costruito lei la squadra, ma sbagliamo a dirle che le assomiglia?
«Posso lavorare con alcuni dei migliori giocatori del basket internazionale, certo che mi piace, sarei ipocrita a dire il contrario».
In soli tre giorni si può mettere qualcosa di proprio?
«Oggi è richiesto performare al più alto livello nel minor tempo possibile. In nazionale sto imparando a combattere il tempo, il nostro nemico principale. Quanti coach restano a lungo sulla stessa panchina? A Bologna però lavoro su una struttura di gioco già rodata, di altissimo livello, con giocatori molto esperti, di grande talento, gente come Dunston e Shengelia. Devo ricalcare un solco, portando qualcosa di ciò che a mio giudizio serve per essere competitivi».
Come ha trovato la squadra dopo il ribaltone?
«Inevitabilmente turbata, allo stesso tempo fortemente determinata a dimostrare il valore e a darmi la possibilità di portare in dote il mio lavoro. Ho subito chiesto grande sacrificio, Supercoppa o no, mancano sette giorni all’inizio inizio di una stagione da 80 e più partite».
Cos’è questo trofeo?
«Una tappa. Però sempre una coppa, dal format decisamente interessante, utile a spostare i riflettori sul basket a inizio stagione»
Milano sempre più forte?
«Non la voglio tirare a nessuno, a me piace e mi fermo qui. Hanno infortunati come noi abbiamo Dobric, ma anche un organico sconfinato, ci sono i presupposti per una stagione di altissimo livello. Io cercherò di fare da guastatore. Ognuno con le sue traiettorie, dovremo usare armi meno convenzionali. Organici e potenzialità sono diverse, ma possiamo avere importanti margini di miglioramento. Dopo l’addio di Teodosic il gruppo va ridisegnato, io posso contare su carisma ed esperienza di giocatori come Belinelli, Hackett, Pajola, questo nucleo di italiani con Polonara che può rappresentare un altro riferimento».